Sanità  e farmacie – Medici incaricati degli istituti penitenziari – Fissazione tetto massimo orario settimanale di lavoro – Violazione dell’art. 117, co. 2, let. l) Cost. – Questione di legittimità  costituzionale – Non manifesta infondatezza

àˆ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità  costituzionale dell’art. 21, comma 7, della L.R. n. 4/2010 per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. l) Cost. nella parte in cui ha fissato il tetto massimo orario in 48 ore settimanali con riferimento anche ai medici incaricati degli istituti penitenziari, ai quali si applica la disciplina dettata dalla L. n° 748/70, invadendo così la materia dell’ordinamento civile riservata, invece, alla legislazione esclusiva nazionale.
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Le ordinanze nn. 1295/2015, 1296/2015 e 1297/2015  sono identiche nella massima. 

N. 01294/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00925/2014 REG.RIC.           
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REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
 
ORDINANZA
 
sul ricorso numero di registro generale 925 del 2014, proposto da:

Vincenzo De Marco, Michelangelo Giannelli, Antonio Abbinante, Alberto Metrangolo, rappresentati e difesi dall’avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via Putignani, 168;

contro
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Silvio Dodaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, Via F. S. Abbrescia, 83/B; 

per l’annullamento
della deliberazione di Giunta Regionale n. 1076 del 27.05.2014, nella parte specificata in ricorso;
nonchè di ogni altro atto a questo presupposto, connesso e conseguente.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 aprile 2015 la dott.ssa Paola Patatini e uditi per le parti i difensori avv. Raffaele Guido Rodio e avv. Luigi Deramo, su delega dell’avv. Francesco S. Dodaro;
 

Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti, tutti dirigenti medici in servizio presso alcune case circondariali pugliesi, il cui rapporto di lavoro è disciplinato dalla legge n.740/70, hanno impugnato la delibera di Giunta Regionale in oggetto, che ha richiamato tutte le ASL al rispetto della normativa nazionale ed europea che individua il tetto massimo orario di lavoro in 48 ore settimanali, stabilendo altresì le modalità  con cui sopperire ad eventuali carenze orarie all’interno degli istituti di pena derivanti dall’applicazione del suddetto limite.
Il contenzioso in esame concerne infatti la vicenda applicativa conseguente all’approvazione della Legge Regionale n.4/2010, con cui la Regione Puglia ha inteso dettare norme urgenti in materia di sanità  e servizi sociali, prevedendo in particolare all’art.21, comma 7, in materia di personale degli istituti penitenziari, che “ai contratti di lavoro di cui ai commi 5 e 6, nonchè nei confronti dei medici incaricati definitivi, si applicano le deroghe previste dall’art.2 della legge n. 740/1970 (¦) nel rispetto della normativa nazionale ed europea in tema di orario di lavoro, individuando il tetto massimo orario in quarantotto ore settimanali”.
Invero, la figura dei cd. “medici incaricati” è stata introdotta e disciplinata per la prima volta dall’art.1, l. n. 740/70 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell’Amministrazione penitenziaria), che così qualifica i medici “non appartenenti al personale civile di ruolo dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, i quali prestano la loro opera presso gli istituti o servizi dell’amministrazione stessa”.
In base alla predetta disciplina statale dunque, le prestazioni rese da questi ultimi non ineriscono ad un rapporto di lavoro subordinato, ma sono inquadrabili nella prestazione d’opera professionale in regime di parasubordinazione, come la Corte Costituzionale ha più volte riconosciuto (da ultimo Sent. n. 149/2010) affermando che, diversamente dagli impieghi civili dello Stato, i medici incaricati possono esercitare liberamente la professione e assumere altri impieghi o incarichi.
Sotto tale aspetto, la natura giuridica del contratto di lavoro di tali figure non è stata alterata dal loro trasferimento al Servizio Sanitario regionale in forza del DPCM 1.4.2008.
I ricorrenti infatti, sono transitati presso le ASL pugliesi ed inseriti in un apposito ruolo unico, fino alla scadenza dei relativi rapporti di lavoro, per effetto del sopra citato DPCM, il quale ha altresì disposto che i rapporti di lavoro, instaurati ai sensi della legge n.740/70 e trasferiti alle Aziende Sanitarie Locali del SSN nei cui territori sono ubicati gli istituti penitenziari di riferimento, continuino ad essere disciplinati dalla legge sopra citata fino alla relativa scadenza.
Ora, l’art.2 della legge n.740 cit. stabilisce in particolare che “ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità  e al cumulo di impieghi nè alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato. A tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività  nell’ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità  e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il SSN”.
In ragione di tale disposizione, le parti, dirigenti medici, pur svolgendo servizio presso gli istituti penitenziari, prestano quindi attività  anche in qualità  di medici ospedalieri o medici di base o medici del SSN.
La Regione Puglia, come sopra visto, pur riconoscendo ai medici “incaricati” degli istituti le deroghe stabilite dalla legge nazionale, con l’art.21, comma 7, l. r. citata, ha fissato per essi il tetto massimo orario di lavoro in 48 ore settimanali, nel rispetto della normativa nazionale ed europea in tema di lavoro.
I ricorrenti hanno quindi impugnato la delibera in oggetto applicativa della norma in questione, chiedendone l’annullamento previa sospensione, per i seguenti motivi di seguito sintetizzati: Illegittimità  derivata in conseguenza dell’illegittimità  costituzionale del comma 7, art.21, l. r. n. 4/2010 per violazione dell’art.117, comma 2, Cost.; Violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento agli artt. 2 e 14, l. n. 740/70, art.17, D. Lgs. n. 66/2003, art.17 Direttiva n.88/2003, art.3 del DPCM 1.4.2008; Eccesso di potere sotto diversi profili; chiedendo altresì l’eventuale rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, nonchè il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE per il contrasto tra la normativa regionale e la disciplina comunitaria sull’orario di lavoro.
Con successivo atto, depositato in data 29.7.2014, i ricorrenti hanno inoltre presentato domanda di adozione di misure cautelari monocratiche provvisorie ex art. 56 c.p.a., che è stata tuttavia respinta con Decreto Presidenziale n. 434/14.
La Regione Puglia si è costituita in giudizio, chiedendo il rigetto dell’avversa impugnativa perchè inammissibile e infondata.
Alla successiva Camera di Consiglio del 3.9.2014, parti ricorrenti hanno rinunciato all’istanza cautelare e all’esito dell’Udienza Pubblica del 1°.4.2015, fatte discutere le parti sul profilo della giurisdizione ai sensi dell’art.73, comma 3, c.p.a., la causa è stata introitata in riservata decisione, definitivamente sciolta in data 16.4.2015, e successivamente riportata in Camera di Consiglio il 3.6.2015 con modificata decisione.
Il Collegio infatti, ritenuta sussistente, ad un più approfondito esame, la propria giurisdizione, ha ravvisato la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità  sollevata dai ricorrenti.
Prima ancora, la questione di legittimità  costituzionale appare rilevante nel presente giudizio, in quanto la norma regionale censurata preclude il percorso che porterebbe all’accoglimento del ricorso atteso che l’atto gravato costituisce diretta e immediata conseguenza della sua applicazione.
Invero, la circostanza che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione emerge alla luce della stessa esposizione dei fatti di causa, atteso che il provvedimento impugnato trova un’indefettibile base normativa nel più volte citato art. 21, comma 7, l. r., di modo che solo il suo eventuale annullamento per illegittimità  costituzionale comporterebbe l’illegittimità  derivata della delibera impugnata e degli eventuali successivi atti applicativi con il conseguente accoglimento del ricorso che altrimenti dovrebbe essere respinto, avendo l’Amministrazione operato in virtù della citata normativa regionale.
Nè il Collegio ravvisa un’interpretazione normativa costituzionalmente orientata, della norma regionale censurata.
Passando quindi all’esame della non manifesta infondatezza della questione, è opportuna una breve ricognizione del quadro normativo di riferimento.
In particolare, la Direttiva 2003/88/CE del 4.11.2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, ha stabilito all’art.6 che la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, prevedendo altresì all’art.17 una deroga quando si tratti di dirigenti o di altre persone aventi potere di decisione autonomo.
La normativa comunitaria ha trovato attuazione in Italia col D. Lgs. n. 66/2003 che ha riportato quasi testualmente il contenuto della direttiva, statuendo all’art.17, comma 5, che “nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli¦, 4 (relativo alla durata massima dell’orario di lavoro, n.d.r.),¦. non si applicano ai lavoratori la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività  esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo ¦OMISSIS.
Con l’art.41, comma 13, D.L. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, il legislatore nazionale ha poi previsto che “Al personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale, in ragione della qualifica posseduta e delle necessità  di conformare l’impegno di servizio al pieno esercizio della responsabilità  propria dell’incarico dirigenziale affidato, non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 4 e 7 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66”.
In tale quadro, si è quindi inserito il legislatore regionale che, con l’art.21 della legge censurata, ha previsto all’art.7, che “Ai contratti di lavoro di cui ai commi 5 e 6 – già  dichiarati incostituzionali dal Giudice delle Leggi con Sentenza n. 68/2011 per contrasto con l’art.117, comma 2, lett. l, Cost., n.d.r. – nonchè nei confronti dei medici incaricati definitivi, si applicano le deroghe previste dall’articolo 2 della l. 740/1970, come modificato dall’articolo 6 del decreto legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 1993, n. 296, nel rispetto della normativa nazionale ed europea in tema di orario di lavoro, individuando il tetto massimo orario in quarantotto ore settimanali (articolo 6 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003)”.
Assumono quindi i ricorrenti che la norma regionale, disciplinando l’orario di lavoro del personale degli istituti penitenziari, avrebbe invaso la materia dell’ordinamento civile, invece riservata alla legislazione esclusiva nazionale, in violazione dell’art.117, comma 2, Cost.
A giudizio del Collegio, invero, la questione appare non manifestamente infondata alla luce del quadro comunitario e nazionale come sopra ricostruito, non potendosi infatti condividere le argomentazioni della difesa dell’Amministrazione regionale, la quale sul punto ha ritenuto che la Regione Puglia si sia limitata a riprodurre il contenuto di una disposizione comunitaria, trasfusa fedelmente nel nostro ordinamento con il D. Lgs. n. 66/03, argomentando altresì che le uniche deroghe possibili al tetto massimo sarebbero quelle espressamente subordinate all’emanazione di apposito decreto da parte del Ministro della Funzione Pubblica, o alla contrattazione collettiva, nella fattispecie non intervenuti.
Tuttavia, il Collegio deve rilevare che le ipotesi richiamate dall’Amministrazione quali le uniche deroghe possibili al tetto massimo orario, fanno chiaramente riferimento ad altre ipotesi derogatorie previste dal diverso comma 2, dell’art.17, D.lgs. n. 66 citato, e non già  a quelle, applicabili nella fattispecie, previste dal successivo comma 5, lett. a), e dall’art.41, comma 13, D.L. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008.
Pertanto, la Regione non si sarebbe limitata a riprodurre fedelmente la normativa nazionale, e prima ancora europea, in materia di orario di lavoro, ma, fissando autoritativamente il tetto orario senza fare salve tutte le diverse ipotesi derogatorie previste dal legislatore nazionale nonchè quello comunitario, avrebbe illegittimamente invaso la materia riservata alla competenza esclusiva del primo in materia di ordinamento civile ed altresì – rilevandolo d’ufficio – in spregio all’art. 117 comma 1, Cost., avrebbe legiferato nell’inosservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
Alla stregua di quanto sopra, la decisione del presente ricorso presuppone quindi la previa delibazione della questione di costituzionalità  della norma applicata (art. 21, comma 7, della legge regionale Puglia n. 4/2010) in relazione all’art. 117, comma 1 e comma 2, lett. l), Cost.
Tanto premesso, ai sensi dell’art.23, comma 2, l. n. 87/53, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, questo Tribunale solleva questione di legittimità  costituzionale nei termini sopra enunciati, con rimessione degli atti di causa alla Corte Costituzionale e sospensione del giudizio fino alla sua decisione e pubblicazione nella G.U. della Repubblica Italiana, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c..
Va riservata alla sentenza definitiva ogni ulteriore decisione, nel merito e sulle spese..
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sezione Seconda, pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, visti gli artt.79, comma 1, c.p.a. e 23, l. n.87/53, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità  costituzionale dell’art.21, comma 7, della Legge Regione Puglia n. 4/2010 in relazione all’art.117, commi 1 e 2, lett. l, Cost., dispone la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.
Rinvia ogni definitiva statuizione nel merito e sulle spese di lite all’esito del promosso giudizio incidentale ai sensi degli artt. 79 e 80 c.p.a.
Ordina che a cura della Segreteria la presente ordinanza sia notificata alla parti costituite e al Presidente della Giunta Regionale della Regione Puglia, nonchè comunicata al Presidente del Consiglio Regionale.
Così deciso in Bari nelle Camere di Consiglio dei giorni 1 aprile 2015, 16 aprile 2015 e 3 giugno 2015, con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/10/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)