Institori, vice presidenti e procuratori speciali: a chi l’obbligo della dichiarazione sui requisiti morali ex art. 38, codice dei contratti pubblici?

 

Institori, vice presidenti e procuratori speciali: a chi l’obbligo della dichiarazione sui requisiti morali ex art. 38, codice dei contratti pubblici?

di Michele Didonna

Trae spunto da una recente decisione di palazzo Spada, il seguente scritto che tenta di mettere a fuoco l’attuale, complesso scenario delle soggettività  societarie tenute, per l’ultima e più autorevole giurisprudenza, a effettuare la dichiarazione ex art. 38, del D.Lgs. n. 163/2006, sul possesso dei requisiti cd. “morali” degli operatori economici. Dai labirinti statutari dove sovente s’addentra il Giudice amministrativo, vien fuori un cortocircuito esegetico, incomponibile perlomeno per la quaestio dei “procuratori speciali”, meritevole, anche per i non secondari riflessi economici, di soccorso legislativo, se non dell’intervento chiarificatore, fin dalle premesse assai arduo, dell’Adunanza Plenaria.

Il caso

Ad una procedura competitiva disputata col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento di un servizio di assistenza pluriennale, prendono parte due operatori economici entrambi in costituendi RTI; la gara viene aggiudicata, ma l’altro propone ricorso dianzi al TAR di Napoli per l’esclusione della controinteressata a motivo dell’asserita mancanza di taluni requisiti tecnici ed economici pretesi dalla legge di gara. La controinteressata, costituendosi in giudizio, spiega gravame incidentale censurando la partecipazione alla procedura della seconda in graduatoria in ragione della mancata produzione della dichiarazione ex art. 38, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 163/2006, riferita ai soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara.
Attesa la sua efficacia “paralizzante”, il ricorso incidentale è esaminato con priorità  e accolto dal Collegio partenopeo, per l’effetto dichiarato improcedibile quello principale. Il concorrente escluso ripropone, dunque, il ventaglio delle doglianze al cospetto del g.a. d’appello e la Sezione V, con la pronuncia in questione, conferma la prospettiva giuridica del primo giudice. Sul versante processuale, richiamando Ad. Plen. n. 4 del 2011, rileva che il rimedio incidentale, proteso all’esclusione del ricorrente principale, se fondato, priva quest’ultimo (non già  dell’interesse a ricorrere, ma) della legittimazione ad agire, rendendo il mezzo principale inammissibile: sicchè non rileva l’interesse (processuale) del ricorrente principale a ottenere la delibazione sulla fondatezza anche del proprio gravame al fine dell’interesse (strumentale) alla riedizione della gara.
Quanto al merito della vicenda e ai temi propri del presente approfondimento, palazzo Spada, posto che la dichiarazione sui requisiti di ordine generale ex art. 38 del codice dei contratti pubblici poggia su una normativa di carattere inderogabile, eppertanto, in caso di sua omissione e/o incompletezza, determina l’esclusione dalla gara, precisa: «¦ non può ritenersi escluso tale obbligo per la carica di vice presidente la cui funzione si espleta occasionalmente, atteso che ciò che conta è la titolarità  del potere e non anche il suo esercizio, in particolar modo quando il soggetto investito della funzione vicaria sia abilitato a sostituire il titolare del potere di rappresentanza in qualsiasi momento della vita sociale e per qualsiasi atto, senza necessità  di intermediazione, autorizzazione o investitura ulteriore».
La decisione innesca la necessità  di una ricognizione sullo stato dell’arte pretorio quanto ai soggetti tenuti secondo il codice a effettuare, nelle gare d’appalto, la dichiarazione sul possesso dei requisiti di ordine generale.

Il diritto positivo e le prime applicazioni

Le lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006, com’è noto, prevedono, per quanto qui d’interesse, che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nè possono essere affidatari di subappalti e non possono stipulare i relativi contratti, i soggetti che sono sottoposti a procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione, ovvero nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di condanna passata in giudicato per reati che incidono sulla moralità  professionale; la normativa precisa che l’esclusione e il divieto operano per la platea di soggetti ivi indicati, che risultano organici alle diverse composizioni che secondo l’ordinamento giuridico può oggidì assumere un operatore economico: per gli altri tipi di società , l’esclusione e il divieto si applicano, oltrechè al direttore tecnico, agli «amministratori muniti di poteri di rappresentanza». Per i soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la pubblicazione della gara, vigono le medesime ragioni di esclusione e divieto.
All’indomani dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, la giurisprudenza di primo grado addusse un’interpretazione restrittiva della locuzione «amministratori muniti del potere di rappresentanza»; era ritenuto diffusamente che se l’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 impone determinati requisiti di moralità  nei confronti dell’imprenditore o del direttore generale (in caso di impresa individuale) e degli amministratori con poteri di rappresentanza e del direttore generale (in caso di imprenditore collettivo), e si considera che il direttore generale può non essere fornito di poteri di rappresentanza, ciò spinge a interpretare la norma nel senso che l’interesse perseguito dalla disposizione è quello di verificare la condotta di «coloro che determinano le scelte all’interno dell’impresa» e non di coloro che manifestano all’esterno tali scelte, pur se dotati di poteri gestionali che siano circoscritti, però, nell’ambito degli indirizzi impartiti dall’imprenditore.
L’estensione della previsione contenuta nell’art. 38 – che contempla espressamente ed esclusivamente gli amministratori e direttori tecnici – a tutti i soggetti muniti di un qualsiasi potere di rappresentanza, oltre a risultare irrazionale e di grande complicazione in relazione a strutture organizzative di un certo rilievo, poteva apparire persino contraria alla specialità  della disciplina, che introduce restrizioni e limitazioni al potere di iniziativa economica del privato, non essendo, pertanto, suscettibile di interpretazione in via analogica.
A rafforzare l’esposto indirizzo di pensiero, venne precisato che, nel caso in cui la commissione giudicatrice avesse avuto fondate perplessità  sulla necessità  della dichiarazione da parte di un determinato soggetto, seppur non formalmente investito, ma sostanzialmente svolgente la rappresentanza societaria, in luogo dell’esclusione dalla gara, l’organo di valutazione avrebbe potuto concedere al partecipante di addurre chiarimenti e/o integrazioni documentali ex art. 46 del codice; fu condiviso infatti che, ove tanto non fosse previsto espressamente dal bando, non poteva procedersi a escludere da una gara a evidenza pubblica la ditta che avesse allegato alla propria offerta la dichiarazione relativa all’assenza delle cause individuali impeditive della partecipazione alle selezioni per un appalto pubblico limitata ai soli formali amministratori muniti di potere di rappresentanza della società , essendo consentito, a tutto voler concedere, «stante l’ambiguità  della disposizione normativa contenuta nell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006», che il seggio di gara richiedesse l’integrazione di quanto dichiarato nei confronti di coloro che, pur non amministratori, rivestissero poteri di fungibile rappresentanza con questi ultimi.

L’incipit sostanzialistico: le diverse figure

Dai tracciati indirizzi restrittivi, i Collegi territoriali aprirono il varco, in considerazione della ratio propria della norma, a una sua lettura sostanzialistica; si osservò così che le lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 38 hanno la finalità  di escludere dalla partecipazione alle gare di appalto le società  in cui i soggetti, «aventi un significativo ruolo decisionale e gestionale», si trovino in una delle situazioni descritte nella disposizione; al fine di garantire la sua corretta applicazione e di evitarne agevoli elusioni, il g.a. di prima istanza focalizzò la necessità  di far riferimento alle “funzioni sostanziali” svolte all’interno della società , più che alle qualifiche formali.
La menzionata disposizione, così, doveva essere intesa nel senso che, per individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione circa l’esistenza di procedimenti penali in corso e delle sentenze di condanna, con riferimento alle persone giuridiche, era necessario indagare (nello statuto) quali fossero i soggetti dotati di potere rappresentativo: ha infatti come destinatari tutti i soggetti-persone fisiche che essendo titolari di potere di rappresentanza della persona giuridica, «sono comunque in grado di trasmettere, col proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato».
S’individuò così un luogo di mare calmo de jure condendo, nel convincimento in forza del quale, quando nè il bando nè il disciplinare di gara contengano una enumerazione dei soggetti obbligati a rendere le dichiarazioni ex art. 38, il criterio da perseguire per l’individuazione di questi ultimi è dato dalla «riconoscibilità  e ufficialità  del potere» della persona fisica di trasferire direttamente, al soggetto rappresentato, gli effetti del proprio operato.
La questione venne così riguardata sotto un duplice punto di osservazione: il dato formale attinto dalla ufficialità  dell’attribuzione del ruolo (da parte degli atti societari) e quello sostanziale della (inequivoca) percepibilità  da parte dei terzi della riconduzione dell’esercizio del potere rappresentativo direttamente alla sfera giuridica del soggetto sostituito.
Eppertanto, al fine di individuare la persona fisica, rispetto alla quale, nell’ambito del rapporto societario, assume rilievo la causa di esclusione di cui trattasi, venne proposto di cercare, nello statuto della persona giuridica, i soggetti dotati effettivamente di poteri di rappresentanza.
Più nettamente venne affermato che, per le società  e gli enti l’obbligo di dichiarare l’assenza del cd. “pregiudizio penale”, involge tutti i soggetti in atto muniti dei poteri di rappresentanza, ovvero il direttore tecnico, nonchè tutti i cessati dalla carica nel triennio antecedente la pubblicazione del bando, indipendentemente dalla circostanza secondo la quale essi non abbiano materialmente speso i loro poteri nella specifica gara; tale obbligo, espressivo di principi fondamentali di ordine pubblico, in caso di previsioni generiche della lex specialis, ne consente la eterointegrazione, ove manchino clausole esplicite con esso contrastanti: non destò perplessità , dunque, che l’ex vice presidente avrebbe dovuto rendere la dichiarazione di cui si discetta. La nozione di «amministratori muniti di poteri di rappresentanza», venne così assunta come riferibile non soltanto agli amministratori tradizionalmente intesi, ma anche a tutti i soggetti che, pur non facendo parte del consiglio di amministrazione, concretamente esercitino poteri di generale e organica rappresentanza esterna con ampie competenze decisionali e gestionali, alla stregua delle norme statutarie o di specifici atti di secondo grado.
La sezione giurisdizionale del CGA Sicilia consacrò, come Giudice d’appello, la necessità  della dichiarazione ex art. 38 per i soggetti che, vicariamente, esercitino il potere rappresentativo nella compagine sociale di un operatore economico.
Gli institori ex art. 2203 c.c.
Con maggior chiarezza venne dettagliato l’inaugurato indirizzo sostanzialistico mercè la disamina della figura del cd. “institore” delle società  di capitali; si ritenne infatti che nelle gare pubbliche la dichiarazione in ordine al possesso dei requisiti morali, si riferisce anche agli institori atteso che, ai sensi dell’art. 2203 c.c., institore è colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa commerciale con posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore munito di poteri di rappresentanza. E ancora che, quando la lex specialis di gara prevede che una serie di soggetti debbano dichiarare di non trovarsi nelle cause di esclusione di cui all’art. 38 cit. e fra essi ricomprende gli institori, l’obbligo di dichiarazione deve ritenersi esteso a tutti i procuratori con rappresentanza, la cui disciplina, in base al codice civile, è parificata a quella degli institori stessi.
Essendo dunque l’institore il soggetto delegato dal titolare dell’impresa all’esercizio in parte qua dell’attività  commerciale, doveva essere ricompreso tra i soggetti tenuti a effettuare la dichiarazione sul possesso dei requisiti di ordine generale: l’institore, infatti, sostituendo per volontà  della disciplina civilistica il titolare dell’impresa, si trova in una posizione corrispondente a quella di vero e proprio amministratore munito di poteri di rappresentanza.
E tale obbligo incombe anche in mancanza di una espressa imposizione da parte della lex specialis di gara: a dispetto del nomen juris, è l’estensione statutariamente appresa dei poteri rappresentativi conferiti a taluni soggetti che consente di qualificarli come amministratori di fatto.
Poggiando la ratio dell’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 nella tutela del buon andamento dell’azione amministrativa per evitare che la p.a. entri in contatto con soggetti privi di affidabilità  morale e professionale, la disposizione doveva interpretarsi nel senso di estendere l’accertamento del possesso del requisito della moralità  professionale in capo a qualsiasi persona dotata di poteri sì ampi da consentire di obbligarsi, validamente, per conto della società . Occorre, in altri termini, aver riguardo alle funzioni sostanziali del soggetto, più che alle qualifiche formali, altrimenti il citato obiettivo di tutela poteva risultare agevolmente disatteso, per tal ragione l’obbligo non poteva che essere esteso all’institore, essendo posto dall’imprenditore all’esercizio dell’impresa commerciale, ovvero di una sua sede secondaria o di un suo ramo particolare: potendo, in quella cornice, compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, con esclusione dei (soli) atti di alienazione o di ipoteca dei beni immobili del preponente, limitabile unicamente mediante atto scritto opponibile ai terzi nei modi stabiliti dalla legge.
Il g.a. d’appello confermò l’impostazione sostanzialistica chiarendo che la preposizione institoria è caratterizzata dall’ampiezza dei poteri rappresentativi e di gestione che fanno dell’institore un alter ego dell’imprenditore con analoghi poteri, sia pure limitatamente al ramo di attività  o alla sede cui il soggetto è preposto, di guisa che lo stesso è titolare di una posizione corrispondente a quella di un vero e proprio amministratore munito di poteri di rappresentanza; per conseguenza questi, al pari di tutti i rappresentanti legali dell’impresa partecipante a una gara pubblica, è tenuto a produrre a pena di esclusione le dichiarazioni di cui all’art. 38 cit..

I vice presidenti

Come la decisione del Consiglio di Stato che ha ispirato la presente disamina, e che ha stabilito che i vice presidenti sono tout court assoggettati all’obbligo di rendere la dichiarazione sul cd. “pregiudizio penale”, in quanto quel che conta «non è il concreto esercizio del potere rappresentativo, ma la sua titolarità », l’indirizzo esegetico formatosi sull’argomento, fin dalle prime battute, ha ritenuto di annoverare pacificamente questa figura tra i soggetti obbligati alla dichiarazione ex art. 38, codice dei contratti pubblici.
Da subito infatti è stato osservato che, agli effetti dell’individuazione dei soggetti che, in quanto muniti di poteri di rappresentanza legale di società  partecipante alla selezione, sono obbligati a rendere le dichiarazioni sui requisiti di moralità , il vice presidente, se statutariamente incaricato di svolgere gli stessi poteri di amministrazione e rappresentanza legale del presidente in caso di assenza o impedimento dello stesso, è tenuto a rendere detta dichiarazione, essendo irrilevante che i suddetti poteri sono esercitabili solo in funzione vicaria.
Nondimeno, i Collegi di prima istanza hanno confermato che, anche nel caso in cui dallo statuto societario e dalla visura camerale emerga che i poteri di rappresentanza sono attribuiti al solo presidente del consiglio di amministrazione, il vice presidente è tenuto alla dichiarazione ex art. 38, essendo insita nella stessa natura sostitutiva della vice presidenza la possibilità  di esercizio dei poteri di rappresentanza della società  in caso di temporanea assenza o impedimento del titolare, dovendo considerarsi che l’onere di produrre la dichiarazione è correlato all’astratta attribuzione della carica e non all’effettivo svolgimento della funzione; similmente il TAR di Venezia che, notoriamente, ha promosso la declinazione più restrittiva dell’art. 38, è costante nell’avviso per cui il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria è legittimo allorchè risulti mancante la dichiarazione in parola del vice presidente e del presidente cessato dalla carica della società , essendo ciò che rileva non tanto la circostanza che il potere di rappresentanza possa essere esercitato solo in via vicaria, bensì la sua astratta titolarità .
La Sezione III di palazzo Spada ha confermato che la dichiarazione in esame dev’essere resa anche dai vice presidenti o dagli amministratori, che esercitino il potere di rappresentanza in funzione vicaria, quando lo statuto della persona giuridica abilita tali soggetti a sostituire in qualsiasi momento il titolare primario della funzione.
L’onere di produrre la dichiarazione «è correlato all’astratta attribuzione della carica e non all’effettivo svolgimento della funzione in concreto».

Lo strano caso dei procuratori speciali

àˆ per quanto concerne la sussunzione dei procuratori speciali tra i soggetti tenuti alla dichiarazione di cui all’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006, che la giurisprudenza, nonostante le indicazioni maestre dei Giudici di secondo grado, a oggi, non sembra ancora aver rintracciato una soluzione condivisa.
Infatti i primi approcci del Consiglio di Stato, mutuando evidentemente le argomentazioni sviluppate per gl’institori e i vice presidenti, considerarono che l’art. 38, assumendo come destinatari tutti coloro che, in quanto titolari della rappresentanza dell’impresa, sono in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta al soggetto rappresentato, impone l’obbligo di dichiarazione non soltanto da parte di chi rivesta formalmente la carica di amministratore, ma anche da parte di coloro che, in qualità  di procuratori ad negotia, hanno ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell’impresa e nel compimento di atti decisionali.
Da rimarcare che la giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali aveva invece abbracciato posizioni più restrittive preferendo restare dell’avviso per cui la locuzione «amministratori muniti di potere di rappresentanza», poteva includere soltanto i titolari di ampi e generali poteri di amministrazione; ben diversa essendo, in realtà , la posizione di un procuratore speciale che può rappresentare la società  non in via generale, ma soltanto per taluni specifici negozi espressamente indicati nell’atto di conferimento della procura.
Sembrò da questo momento che il punto di armonizzazione delle opposte tesi potesse rinvenirsi nello spazio mediano coperto dalla valutazione “casistica”, affrancandosi da posizioni precostituite, nell’opinione per cui l’identificazione delle persone fisiche munite di poteri di rappresentanza, va disposta non solo in base alle qualifiche formali rivestite, ma alla stregua dei poteri sostanziali attribuiti, con conseguente inclusione, nel novero dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, delle persone fisiche in grado di impegnare la società  verso i terzi e dei procuratori ad negotia solo laddove, a prescindere dal nomen, l’estensione dei loro poteri avesse condotto a qualificarli come amministratori di fatto.
A giudizio della Sezione IV del Consiglio di Stato, la locuzione «amministratori muniti del potere di rappresentanza» impone che per i procuratori deve centralmente porsi il problema della verifica in concreto del possesso di siffatti poteri; sicchè solo ove quest’ultimi risultano statutariamente titolari di poteri gestori generali e continuativi ricavabili dalla procura, può desumersi l’obbligo della dichiarazione ex art. 38, non essendo sufficiente il mero conferimento a essi della rappresentanza negoziale della società , ivi compresa la facoltà  di partecipare alle gare e stipulare contratti con la p.a..
La dichiarazione di onorabilità  risulta per l’effetto circoscritta soltanto agli amministratori dotati di poteri di rappresentanza, tenuto conto che, ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori e può essere concentrata in un unico soggetto (amministratore unico) o affidata a più persone, che sono i componenti del consiglio di amministrazione (in caso di scelta del sistema monistico ex artt. 2380 e 2409-sexiesdecies c.c. ) o del consiglio di gestione (in caso di opzione in favore del sistema dualistico ex artt. 2380 e 2409-octies c.c. ): a essi, o a taluno tra essi, spetta la rappresentanza istituzionale della società .
Epperò, simultaneamente, la stessa Sezione V è tornata su posizioni sostanzialiste, statuendo che l’omessa indicazione dei procuratori speciali, come l’omessa dichiarazione da parte degli stessi legittimamente conduce all’esclusione dalla gara.
Non accantonata, soprattutto nelle vivacità  di primo grado, risulta la tesi formalistica nella cui prospettiva viene ribadito che ben diversa è, rispetto ai soggetti titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, la posizione del procuratore speciale, che può rappresentare la società  non in via generale, ma soltanto per taluni specifici negozi espressamente indicati nell’atto di conferimento della procura, con la conseguenza che l’obbligo di rendere la dichiarazione su requisiti morali può ricadere anche su un procuratore ad negotia, ma soltanto nel caso in cui egli abbia ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell’impresa e nel compimento di atti decisionali: essendo tale, però, in dette evenienze, solo per nomen.
Più intransigente si è mostrata l’esegesi che, ai suesposti fini, considera finanche insufficiente l’attribuzione di ampi poteri rappresentativi, occorrendo anche l’attribuzione della carica societaria di amministratore, concludendo che non sia necessaria la dichiarazione ex art. 38 per i procuratori: la norma la impone solo per amministratori muniti del potere di rappresentanza e, ai sensi dell’art. 2380-bis c.c., la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori.
Ben comprensibili gli onorevoli obiettivi cui ambisce la delineata ricostruzione, tuttavia essa può concretamente prestarsi a distorsioni sull’utilizzo di (veri e propri) amministratori muniti di potere rappresentativo presentati sotto le mentite spoglie di procuratori.
Epperò l’illustrata tesi si è rinvigorita nella considerazione per cui l’applicazione analogica sarebbe opinabile in presenza della radicale diversità  della situazione dell’amministratore, cui spettano compiti gestionali e decisionali di indirizzi e scelte imprenditoriali, con quella del procuratore, il quale, benchè munito di poteri di rappresentanza, è soggetto dotato di limitati poteri rappresentativi e gestionali, ma non decisionali (nel senso che i poteri di gestione sono pur sempre circoscritti dalle direttive fornite dagli amministratori). In altre parole le manifestazioni di volontà  del procuratore possono produrre effetti nella sfera giuridica della società , ma ciò non significa che egli detiene un ruolo nella determinazione delle scelte imprenditoriali, lasciate al solo amministratore: l’art. 38, D.Lgs. n. 163/2006, fa riferimento soltanto agli amministratori muniti di potere di rappresentanza, ossia, ai soggetti che siano titolari di ampi e generali poteri di amministrazione, senza estendere tale obbligo anche ai procuratori.
àˆ stato così soggiunto che, in ragione della diversità  ontologica (tra amministratore e procuratore) e della natura eccezionale della norma suindicata, non v’è alcuno spazio per estendere in via analogica ai procuratori la sua applicabilità ; il tenore letterale della norma pretende la dichiarazione sostitutiva dai soggetti su cui ricade simultaneamente la qualifica di amministratore e il conferimento del potere di rappresentanza: «al mero procuratore manca invece il primo requisito, rappresentato dall’investitura formale come consigliere di amministrazione».
Agli effetti finali, si è sottolineato, dunque, che per le società  di capitali partecipanti a gare pubbliche l’obbligo di dichiarazioni sostitutive deve intendersi limitato alle sole categorie degli amministratori muniti di poteri di rappresentanza e del direttore tecnico, unici soggetti in grado di determinare in concreto le scelte imprenditoriali e gestionali; l’art. 38, in buona sostanza, richiede la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza, non essendovi alcuna possibilità  per estendere l’operatività  della disposizione a soggetti, quali i procuratori speciali, che amministratori non sono: trattandosi di una norma limitativa della partecipazione alle gare e della libertà  di iniziativa economica delle imprese, poichè prescrittiva dei requisiti di partecipazione, in quanto tale assume carattere eccezionale ed è, quindi, insuscettibile di applicazione analogica a situazioni diverse, qual è quella dei procuratori.
Invero, siffatta direttrice interpretativa, come pure rilevato dalla stessa Sezione V, ha il pregio di risultare maggiormente rispondente al dato letterale dell’art. 38 ed evita, altresì, che l’obbligo della dichiarazione dipenda da impalpabili distinzioni circa l’ampiezza dei poteri del procuratore, inidonee a garantire la certezza del diritto sotto un profilo di estrema rilevanza per la libertà  di iniziativa economica delle imprese: la possibilità  di partecipare ai pubblici appalti.
La Sezione III, con maggior eloquenza, ha soggiunto che i procuratori speciali (o ad negotia), nonchè i titolari di poteri institorii ex art. 2203 c.c., sono soggetti, cui può essere conferita la rappresentanza – di diritto comune – della società , ma che non sono amministratori «¦ e ciò a prescindere dall’esame dei poteri loro assegnati».
La riportata prospettiva è stata radicalmente (inattesamente) posta in dubbio dalla Sezione VI del Consiglio di Stato che ha ritenuto di privilegiare, per ragioni sistematiche, la diversa opzione secondo cui l’art. 38, nella parte in cui elenca le dichiarazioni di sussistenza dei requisiti morali e professionali richiesti ai fini della partecipazione alle procedure di gara, assume come destinatari anche coloro che, in qualità  di procuratori ad negotia, abbiano ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell’impresa e nel compimento di atti decisionali: «¦ si tratta, come è evidente, di poteri di rappresentanza di rilevanza sostanziale e di contenuto economico tali da giustificare senz’altro l’assoggettamento agli obblighi di cui al più volte richiamato art. 38».
Di tutta risposta, la Sezione V ha, recentemente, ribadito che l’obbligo di presentare le dichiarazioni de quibus non opera per i procuratori speciali «indipendentemente dall’ampiezza dei poteri rappresentativi di cui gli stessi sono investiti», essendo necessaria a tal fine la compresenza della qualifica di amministratore e del potere di rappresentanza.
In ultimo la Sezione III, ha riproposto la propria, intermedia opinione secondo cui, per i soggetti diversi dagli amministratori muniti di poteri di rappresentanza, quali procuratori o institori, può porsi, al medesimo scopo, la questione della verifica in concreto del possesso di siffatti poteri rappresentativi.

Per qualche spunto conclusivo

A prescindere dalle differenti, tutte apprezzabili, opinioni espresse dalle Sezioni del Consiglio di Stato, a concisa riepilogazione preme ora rilevare che, per quanto concerne la posizione del vice presidente, pare non esservi dubbio alcuno sull’applicabilità  della norma di cui al ridetto art. 38, atteso che questi è in toto assimilato al presidente, quale «amministratore munito di potere di rappresentanza», agendo – nella pienezza dei suoi poteri – nelle necessità  della vita societaria; potrebbe al più farsi questione, nel caso in cui, per remoto e poco ricorrente nella prassi che sia, lo statuto della persona giuridica prevedesse l’intervento del vice presidente previa espressa autorizzazione da parte degli organi amministrativi societari.
Per gli institori ex art. 2203 c.c., la vicenda sembrava sopita in quanto essi venivano condivisibilmente ritenuti amministratori con potere rappresentativo ai sensi e per gli effetti dell’art. 38, pur assegnati a uno specifico ambito dell’attività  aziendale o sede secondaria dell’impresa. Infatti, al pari dei vice presidenti che divengono amministratori con poteri di rappresentanza, pleno jure, in circostanze definite e circoscritte di tempo, gl’institori lo sono sine die (fino a revoca) e per definite e circoscritte circostanze di spazio, delimitate dal settore e/o area aziendale a essi pleno jure affidati.
Tuttavia, come ormai appare chiaro, il Giudice d’appello e taluni Collegi di prime cure, senza per vero sostanziare il postulato giudizio di valore, hanno ritenuto di trattare giuridicamente essi alla medesima, complicata stregua dei procuratori speciali.
Per questi ultimi i nodi critici, come si è appurato, non risultano affatto sciolti perpetrando frustrazioni alla tenuta del diritto vivente. Muovendo, infatti, dalla (sicuramente) condivisa natura eccezionale della norma e della locuzione «amministratori muniti di potere di rappresentanza», come tale non analogicamente o estensivamente interpretabile, è incontestabile che essi non possano essere seriamente ritenuti “amministratori” ai sensi delle succitate previsioni della disciplina civilista.
Tuttavia addurre un atteggiamento – indulgente – solamente formalistico, esporrebbe le stazioni appaltanti al fondato pericolo che la normativa (di ordine pubblico) impositiva di siffatti obblighi dimostrativi della moralità  delle imprese venga aggirata sotto l’agevole schermo del “procuratore speciale”, poichè è da ritenere che, in sempre più numerose situazioni in fatto, essi siano «¦ in grado di trasmettere, col proprio personale comportamento, la riprovazione dell’ordinamento al soggetto rappresentato».
Ancora, consentire in quest’ultimo caso il soccorso istruttorio tout court ex art. 46 del codice, potrebbe confliggere con la par condicio visto che, com’è generalmente inteso, un requisito di ordine generale, non tempestivamente dichiarato in gara, non risulta giammai integrabile.
Sotto altro crinale, affondare negl’intricati dedali dello statuto del particolare operatore economico al fine di desumere se il soggetto interessato abbia «ampi e generali» poteri di rappresentanza o «poteri gestori generali e continuativi», finisce per mettere a dura prova la certezza del diritto affidandola all’inevitabile mobilità  del caso per caso.
Nondimeno plastica sembra invero la distinzione tra poteri di rappresentanza, gestione e/o decisionali, ravvisando soltanto in colui che è titolare di quest’ultimi l’«amministratore munito di poteri di rappresentanza» e la disinvolta presa in prestito dell’istituto, tutto civilistico, dell’«amministratore di fatto», che, all’evidenza, non si armonizza con la diversa natura e consistenza delle questioni involte dalla presente tematica d’indole – e finalità  – spiccatamente giuspubblicistiche.
àˆ indiscusso che la locuzione designi due concetti giuridici trattati separatamente nel nostro ordinamento giuridico: “amministratore” e “potere di rappresentanza”. Da qui, invero, il genetico difetto di coordinamento, che ha indotto i ripensamenti applicativi passati in rassegna, tra cultura legislativa italiana e soggettività  comunitarie portate ex abrupto nella direttiva UE 18/2004.
L’amministratore, infatti, può non possedere potere rappresentativo ex art. 1387 e ss. c.c., come, viceversa, chi ha potere rappresentativo può non avere l’investitura formale de jure condito di amministratore di società  di capitali. àˆ ben vero, d’altronde, che entrambe le figure possano, alla prova dei fatti, recare il disvalore d’ordine imperativo che le norme in parola si prefiggono di scongiurare.
Dovrebbe, in conclusione, auspicarsi un chiarimento legislativo che, pur sacrificando la fluidità  che man mano la celebrazione della procedura competitiva (non solo telematica) sta recuperando, aggiunga – o escluda espressamente – i procuratori speciali (di qualsiasi ampiezza e rango) dallo status di amministratore, ovvero l’intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria cui, senz’altro indugio, si rimanda l’arduo, salvifico compito.

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