Breve disamina della sentenza della Corte Costituzionale n. 71/2015 in tema di espropriazione per pubblica utilità 

Breve disamina della sentenza della Corte Costituzionale
n. 71/2015 in tema di espropriazione per pubblica utilità

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 71/2015
del 11/03/2015, depositata il 30/04/2015, ha respinto in toto i rilievi di incostituzionalità  promossi dalle S.U. civili
della Corte di Cassazione con due
ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal TAR Lazio, sezione II, con ordinanze del 12
maggio e del 5 giugno 2014 sull’art. 42 bis del T.U.E.
L’art 42 bis DPR 327/2001 (“Utilizzazione senza titolo di un bene per
scopi di interesse pubblico”), introdotto dall’art. 34 d.l. 6.7.2011, n.
98, convertito con modificazioni nella l.15.7.2011, n. 111, consente come noto
l’acquisizione, da parte della p.A., per scopi di interesse pubblico, di un
bene privato che occupa sine titulo (c.d.
acquisizione sanante).
Secondo i Giudici costituzionali, detto
procedimento espropriativo, non viola gli artt. 3, 24, 97, 111, comma 1, 113 e
117, comma 1 Cost., nè gli art. 6 della CEDU e l’art. 1 del Primo Prot. add. .
In primis, la Corte ha ritenuto infondate, per difetto di
rilevanza, le censure formulate in via preliminare, sia in punto di riparto di giurisdizione,
relativamente alla qualificazione in termini indennitari o risarcitori del
ristoro per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito dal privato;
sia, in punto di regolamento di giurisdizione,  sulla attinenza della fattispecie in ipotesi
di occupazione usurpativa o acquisitiva. Infondata è risultata essere anche
l’eccezione (sollevata dal Comune di Porto Cesareo) inerente la questione di
legittimità  costituzionale, giacchè, in ipotesi, il ristoro economico sarebbe
assoggettato al regime del risarcimento ex art. 43, indipendentemente dal
riconoscimento del diritto alla restituzione del bene.
La Corte quindi ha proceduto ad una breve
disamina degli istituti dell’occupazione appropriativa ed usurpativa, fino ad
arrivare all’art. 43 T.U.E., già  dichiarato incostituzionale, in quanto statuente,
in capo alla p.A. un generalizzato potere
di sanatoria. àˆ proprio dalla comparazione con quest’ultimo articolo che i
Giudici procedono allo scrutinio della norma censurata.
L’art. 42 bis, si legge nella sentenza, “sintetizza uno actu lo svolgimento
dell’intero procedimento”, facendo sì che l’atto di acquisizione coattiva
si ponga come un procedimento
espropriativo semplificato, tale da assorbire sia la dichiarazione di
pubblica utilità  che il decreto di esproprio.
Uno dei principali
elementi di novità , sottolineano i Giudici, si rileva in riferimento agli
effetti dell’acquisto della proprietà  del bene da parte della pubblica
amministrazione: l’acquisto della proprietà  avviene ex nunc e
quindi l’amministrazione acquista la proprietà  quando emana il provvedimento di
esproprio, senza possibilità  di far retroagire gli effetti dell’acquisto ad un
momento precedente: inoltre, impone un
obbligo motivazionale rafforzato in capo all’amministrazione procedente,
la quale deve rendere note le ragioni di eccezionalità  di interesse pubblico
che la spingono ad adottare tale procedura. Nel computo dell’indennizzo poi,
viene in considerazione non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non
patrimoniale liquidato forfettariamente nella misura del 10% del valore venale
del bene; il passaggio di proprietà  è sospensivamente condizionato al pagamento
delle somme dovute, da effettuare entro 30 gg dal provvedimento di
acquisizione. La nuova disciplina infine si applica sia quando manchi l’atto
espropriativo che quando sia stato annullato l’atto da cui è sorto il vincolo espropriativo
o la dichiarazione di pubblica utilità  o il decreto di esproprio.
La Consulta, dopo aver esaminato le differenze
con la previgente normativa, è passata ad analizzare le censure proposte.
Infondato è il supposto contrasto con gli art. 3 e 24 113 Cost. in quanto: la
violazione del pr. di uguaglianza sussiste solo quando situazioni
sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente
diverso; la p.A. gode di una forma di protezione costituzionale non in quanto
soggetto ma in relazione alla funzione svolta per il raggiungimento dei fini
pubblici ad essa assegnati; il pr. dell’effettività  del diritto di difesa non è
leso in quanto è previsto un  “serio ristoro economico”, prevedendosi
la sola esclusione delle azioni restitutorie. Sotto altro profilo, in
merito alla presunta violazione del principio di eguaglianza in considerazione
del fatto che l’indennizzo previsto dalla norma censurata sarebbe
ingiustificatamente inferiore nel confronto con l’espropriazione in via
ordinaria dello stesso immobile, la Corte rammenta che è stabilito un importo
ulteriore, non contemplato per l’espropriazione condotta nelle forme ordinarie
(ovvero una somma a titolo di danno non patrimoniale, quantificata in misura
pari al 10 per cento del valore venale del bene), determinato direttamente
dalla legge, in misura certa e prevedibile. Per quanto concerne l’indennità
dovuta per il periodo di occupazione illegittima antecedente al provvedimento
di acquisizione, i Giudici ritengono che “è
vero che essa viene determinata in base ad un parametro riduttivo rispetto a
quello cui è commisurato l’analogo indennizzo per la (legittima) occupazione
temporanea dell’immobile, ma il terzo comma della norma impugnata contiene una
clausola di salvaguardia, in base alla quale viene fatta salva la prova di una
diversa entità  del danno”.
In
merito invece, alla censurata irragionevolezza dell’art. 42-bis, da parte dei rimettenti, con
presunta violazione dell’art. 3 Cost. (giacchè la norma avrebbe trasformato il
precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito, che
assumerebbe natura di debito di valuta, non automaticamente soggetto alla
rivalutazione monetaria) si legge nelle 47 pagine della sentenza, che la norma,
prevedendo la corresponsione di un indennizzo, determinato in misura
corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del
trasferimento della proprietà  di esso, non fa venire in considerazione somme
che necessitano di una rivalutazione.
Quanto
poi alla circostanza secondo la quale, il ristoro economico assicurato
resterebbe pur sempre inferiore nel confronto con l’espropriazione per le vie
ordinarie dello stesso immobile (in quanto ove il fondo abbia destinazione
edificatoria, non è riconosciuto l’aumento del 10 per cento di cui all’art. 37,
comma 2, del T.U. sulle espropriazioni, non richiamato dalla norma impugnata;
se il terreno è agricolo, non è applicabile il precedente art. 40, comma 1, che
impone di tener conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e «del
valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione
all’esercizio dell’azienda agricola) la Corte evidenzia che l’aumento del 10%
ex art. 37 co. 2 del T.U. sulle espropriazioni non si applica a tutte le
procedure, ma solo nei casi in cui sia stato concluso l’accordo di cessione (o
quando esso non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato,
ovvero perchè a questi è stata offerta un’indennità  provvisoria che,
attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via
definitiva); e che ai destinatari del provvedimento di acquisizione spetta un incremento pari proprio al 10% del
valore venale del bene, a titolo di ristoro del danno non patrimoniale. Non
appare trascurabile che la Consulta abbia ritenuto “che i giudici rimettenti – basandosi sul solo dato letterale e
trascurando una visione di sistema − non hanno sperimentato la praticabilità  di
un’interpretazione che, facendo riferimento genericamente al «valore venale del
bene», consenta di ritenere riconducibili ad esso anche le somme corrispondenti
al valore delle colture effettivamente praticate sul fondo e al valore dei
manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio
dell’azienda agricola, previsti dall’art. 40 del T.U. sulle espropriazioni”.
Secondo
i Giudici costituzionali è confermata la compatibilità  con l’art. 42 Cost.,  in quanto l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente quando
costituisca l’extrema ratio per la
soddisfazione di “attuali ed eccezionali
ragioni di interesse pubblico”.
In merito alla presunta violazione del pr. del
giusto procedimento, la Consulta dapprima ha rammentato che detto
principio, che consente ai soggetti privati di poter esporre le proprie
ragioni, e in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi
dei loro diritti, “non può dirsi
assistito in assoluto da garanzia costituzionale (sentenze n. 312, n. 210 e n.
57 del 1995, n. 103 del 1993 e n. 23 del 1978; ordinanza n. 503 del 1987)”; quindi
ha rappresentato che il privato è “sempre
posto in grado di accentuare il proprio ruolo partecipativo, eventualmente
facendo valere l’esistenza delle «ragionevoli alternative» all’adozione
dell’annunciato provvedimento acquisitivo, prima fra tutte la restituzione del
bene”.
Infine,
relativamente al presunto contrasto con i principi della CEDU, la Corte ha sentenziato
anzitutto che, seppur la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla
sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia
già  stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato,mira ad eliminare le cc.dd.
espropriazioni indirette, determinando l’acquisto del bene solo al momento
dell’emanazione dell’atto di acquisizione. La Consulta ha quindi riassunto le
differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo nel: carattere non
retroattivo dell’acquisto, nella necessaria rinnovazione della valutazione di
attualità , nella prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione
e, infine, nello stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del
provvedimento. In ultima analisi, si legge nella sentenza, la necessaria
comunicazione, da parte dell’autorità  procedente, entro trenta giorni, alla
Corte dei Conti, risponde a quell’esigenza già  indicata dalla CEDU di  “scoraggiare
le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma,
adottando misure dissuasive e cercando di individuare le responsabilità  degli
autori di tali pratiche”.
In conclusione, sembra che il decisum della
Corte Costituzionale abbia riconosciuto, in merito al dettato normativo di cui
all’art. 42 bis T.U.E., una procedura espropriativa semplificata, congegnata in
modo tale da non violare il perimetro – accidentato – dell’attività
amministrativa. Eppure sono numerosi i cittadini e gli operatori del diritto
che, forse, si attendevano un risultato diverso, soprattutto sulla scorta dei
principi comunitari elaborati in materia e in relazione a cause decennali,
nelle quali il provvedimento espropriativo illegittimo era stato già  annullato
dal TAR, per essere poi “riproposto”  sotto le nuove spoglie della c.d. acquisizione
sanante.

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