1. Procedimento amministrativo – Termine di conclusione del procedimento – art. 2 L. 241/1990 – Limite discrezionalità  P.A.
 

2. Procedimento amministrativo – Obbligo per la p.a. di provvedere

1. La libertà  delle Amministrazioni di determinare il termine di conclusione dei procedimenti di propria competenza incontra un limite nell’art. 2 della legge 241/1990 che fissa un tetto massimo alla durata dei procedimenti amministrativi. La previsione del termine di conclusione del procedimento consente, infatti, di legare la dimensione procedimentale a quella temporale e risponde alle esigenze di certezza dei tempi dell’azione amministrativa e di efficienza della stessa.


2. Il mancato rilascio del provvedimento richiesto all’Amministrazione e, comunque, una formale risposta all’istanza di parte determina la formazione del silenzio inadempimento, senza che rilevino eventuali disfunzioni procedurali di natura endo-procedimentale, come ad esempio la mancata espressione di un parere di competenza di altro soggetto. L’Amministrazione, infatti, è tenuta comunque a procedere ed a completare il procedimento.

Pubblicato il 23/03/2017
N. 00274/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01255/2016 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1255 del 2016, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Carta, Giovanni Carta e Chiara Lo Mastro, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Puglia – Bari, in Bari, Piazza Massari, 6;

contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, 97;

per l’accertamento
dell’illegittimità  del silenzio-inadempimento serbato dal Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto, III Divisione disciplina, in ordine all’istanza di rimborso presentata da -OMISSIS-, in data 31 marzo 2015, volta ad ottenere, ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 25 marzo 1997, convertito in legge n. 135 del 23 maggio 1997, il rimborso delle spese legali relative al procedimento penale n. 58097/2010 R.G.N.R., instaurato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e al cui esito è stato prosciolto con sentenza n. 13700/2014;
e per il conseguimento
dell’ordine rivolto al Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto, III Divisione, di concludere il relativo procedimento entro un termine non superiore a trenta giorni.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 25.10.2016 e depositato in Segreteria il 2.11.2016, -OMISSIS- adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere la pronuncia di accertamento dell’illegittimità  della condotta di silenzio-inadempimento meglio indicata in oggetto.
Esponeva in fatto di essere un Luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, in forze presso la 1a Compagnia dell’11o Battaglione Carabinieri “Puglia” di Bari.
Nel corso del 2010 il predetto veniva sottoposto al procedimento penale n. 58097/2010 R.G.N.R. dalla Procura della Repubblica di Napoli, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 368 c.p. (calunnia) per una serie di scritti anonimi indirizzati alla magistratura e ai superiori gerarchici, che incolpavano, pur sapendolo innocente, il proprio Comandante di Reparto per il reato di cui all’art. 314 c.p. (peculato).
Con decisione n. 13700/2014, del 28 ottobre 2014, il procedimento in questione veniva definito con “sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto”, ex art. 530, secondo comma, c.p., in quanto, pur accertata la falsità  delle circostanze narrate negli scritti integranti la calunnia contestata, non era possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la loro riconducibilità  all’imputato.
La sentenza diveniva irrevocabile a far data dal 29.12.2014.
Successivamente, in data 31.03.2015 il Sottufficiale-OMISSIS-proponeva istanza di rimborso delle spese legali sostenute nel procedimento penale de quo, ex art. 18 del d.l. n. 67 del 25 marzo 1997, convertito in legge n. 135 del 23 maggio 1997, sulla base della considerazione che la vicenda penale era stata originata da fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio e per l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
L’istanza, corredata della prevista documentazione, per il tramite del Comando di appartenenza, veniva trasmessa al Ministero della Difesa negli uffici della III Divisione disciplina del I Reparto della Direzione Generale per il Personale Militare, affinchè si desse avvio alla procedura di rimborso.
La Direzione Generale, con nota n. M_D GMIL 0569311 del 25 agosto 2015, trasferiva la richiesta all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli per l’acquisizione del prescritto parere di competenza circa “l’ammissibilità  del rimborso e, ove favorevole, il giudizio di congruità  delle spese sostenute” e delle qualivenivachiesto il ristoro, nonchè per il rilascio di espresse indicazioni sulla cifra da liquidare.
Trascorso un anno dalla presentazione della predetta istanza, senza che il richiedente avesse conosciuto alcunchè al riguardo, lo stesso comunicava all’amministrazione procedente la volontà  di conoscere lo stato attuale della propria domanda di rimborso.
Il 24.06.2016 la Direzione Generale, ricevuta la comunicazione del Luogotenente, con nota n. M_D GMIL REG2016 0412884, rappresentava all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli di essere ancora in attesa di conoscere le valutazioni richieste.
Ciononostante, il ritardo perdurava fino alla data di presentazione del presente ricorso.
Avverso tale inerzia insorgeva il ricorrente, lamentandone l’illegittimità  sulla scorta della seguente censura: violazione del combinato disposto dell’art. 1041, primo comma, lett. t) del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90 e dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il mancato rispetto del termine per la conclusione del procedimento amministrativo. 
Veniva altresì proposta istanza di accertamento del silenzio-rifiuto, ai sensi dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli artt. 31 e 117 del Codice del processo amministrativo, volta a conseguire l’ordine, rivolto all’Amministrazione, di provvedere nel merito.
Con memoria di costituzione pervenuta in Segreteria in data 17.11.2016 si costituiva in giudizio il Ministero della Difesa instando per la reiezione del ricorso in quanto infondato.
L’Amministrazione resistente evidenziava la manifesta inconsistenza delle argomentazioni giuridiche proposte dal ricorrente, articolando la propria difesa sul mancato perfezionamento della fattispecie di inerzia denunciata, data l’obbligatorietà  nell’acquisizione del parere dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli per poter procedere all’adozione del provvedimento richiesto dall’istante.
Risulta altresì dagli atti del giudizio che, con nota n. M_D GMIL REG2016 0682671, del 24 novembre 2016, notificata all’interessato in data 9 dicembre 2016, la Direzione Generale comunicava al sig.-OMISSIS-che l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, con nota n. Cs. 10384/2016 del 19 settembre 2016, aveva espresso parere favorevole all’accoglimento dell’istanza di rimborso, ritenendo congruo l’importo richiesto.
All’udienza pubblica del 11.01.2017 la causa era definitivamente trattenuta in decisione.
Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato nel merito e, pertanto, può essere accolto.
In sintesi, parte ricorrente si duole della violazione dei tempi dell’azione amministrativa e dell’illegittimità  del silenzio-inadempimento opposto dall’Amministrazione resistente all’istanza, presentata ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 25 marzo 1997, volta al conseguimento del rimborso delle spese legali sostenute personalmente nel corso del procedimento penale meglio indicato in oggetto.
Al riguardo, sembra opportuno preliminarmente chiarire, in via generale, il perimetro applicativo della disposizione citata.
L’art. 18 del d.l. n. 67 del 25 marzo 1997, convertito in legge n. 135 del 23 maggio 1997, sotto la rubrica “Rimborso delle spese di patrocinio legale”, stabilisce che “le spese legali relative a giudizi per responsabilità  civile, penale e amministrativo, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità , sono rimborsate nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. “. 
àˆ necessario premettere che, nella fattispecie in esame, sussistevano i presupposti di legge previsti per la presentazione di una domanda di riconoscimento delle spese legali anticipate dal ricorrente, in quanto, come risulta dagli atti di causa, l’Ufficio di Comando di appartenenza dell’istante – al momento della presentazione della domanda – la inoltrava alla Direzione Generale competente ad esaminarla.
La consistenza della censura svolta in ricorso impone piuttosto di esaminare la tipologia di comportamento inerte in cui è incorsa l’Amministrazione interessata rispetto a tale domanda.
Occorre, in particolare, prendere le mosse dall’art. 2 della legge 8 agosto 1990, n. 241, il quale stabilisce che “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza [¦] le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. [¦] Nei casi in cui le disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni [¦]”.
Il Legislatore si preoccupa altresì di fissare dei limiti a questa libertà  delle Pubbliche Amministrazioni di determinare il termine di conclusione per i procedimenti di propria competenza, stabilendo un tetto massimo di novanta giorni (art. 2, terzo comma) e, per i procedimenti più complessi, di centottanta giorni (art. 2, quarto comma).
La previsione del termine di conclusione del procedimento consente, infatti, di legare la dimensione procedimentale alla dimensione temporale, rispondendo non solo alle esigenze di certezza circa i tempi dell’azione amministrativa, ma anche alle necessità  di efficienza della stessa.
La tematica si è imposta sin da subito all’attenzione della giurisprudenza e della dottrina ed ha alimentato numerosi interventi normativi.
In questo quadro si colloca l’art. 1041, primo comma, lett. t), del D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, primo e secondo punto, laddove, nell’ambito sezionale dell’ordinamento militare, per i procedimenti di competenza della Direzione Generale aventi ad oggetto le spese legali, prescrive che il termine per l’istruttoria dell’istanza di rimborso è di “60 giorni dalla ricezione del parere dell’Avvocatura generale o distrettuale dello Stato” e il termine per il pagamento, a seguito di conforme giudizio di congruità  dell’Avvocatura generale dello Stato, è di “60 giorni dalla data di ricezione della documentazione necessaria”.
Così ricostruito il contesto normativo di riferimento è possibile affermare che il procedimento in parola si sarebbe dovuto concludere entro il termine complessivo di centoventi giorni o, al più tardi, entro quello di centottanta giorni.
Nel caso in esame, i termini in questione sono ampiamente decorsi, senza che sia intervenuto alcun esito provvedimentale da parte della Direzione Generale competente.
Preso atto della rilevanza comportamentale del contegno omissivo in cui è incorsa la Direzione Generale attraverso la violazione della regola sostanziale che impone ad ogni Amministrazione pubblica l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e nel rispetto dei termini prescritti, resta da valutare se siano maturati i presupposti per il formarsi del silenzio-inadempimento censurato dal ricorrente ed eccepito dal resistente, sulla scorta dell’argomentazione che “finchè il parere obbligatorio richiesto all’Organo Consultivo interessato (l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli) non sarà  reso, il comportamento dell’Amministrazione della Difesa non potrà  essere qualificato quale silenzio rigetto”.
Deve, infatti, rilevarsi che riguardo all’an ed al quantum debeatur, l’art. 18 cit. prevede che le spese legali ” [¦] sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”.
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, il giudizio di congruità  demandato all’Avvocatura dello Stato si pone quale condizione per il rimborso delle spese legali ed assume la veste di una verifica approfondita e qualificata, obbligatoria e vincolante per l’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. II, parere 13 maggio 2015, n. 1889; Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, sentenza 15 gennaio 2014, n. 323).
Tuttavia, con riguardo alla vicenda in oggetto, il Collegio non ritiene condivisibile la tesi del Ministero della Difesa di non essersi potuto determinare per mancanza del parere obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato, richiesto in data 25.08.2015 e rilasciato solo in data 19.09.2016.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale che in questa sede si ritiene di condividere, va, infatti, evidenziato che “quando nell’ambito del procedimento è prevista l’emissione di un parere obbligatorio, la mancata espressione del parere non può bloccare in modo indefinito il procedimento” (T.A.R. per l’Emilia Romagna, Sez. I, sentenza n. 193/2015), sicchè il mancato rilascio del provvedimento richiesto e, comunque, di una formale risposta all’istanza di parte determina la formazione del silenzio inadempimento, senza che rilevino le disfunzioni procedurali di natura endoprocedimentale evidenziate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. del 17 marzo 2016, n. 1721).
Ne deriva che l’Amministrazione, indipendentemente dalla mancata espressione del parere, è tenuta comunque a procedere, ciò valendo a fortiori in una materia in cui la valutazione di congruità  della somme da erogare è da parametrare ad una tariffa fissata con Decreto Ministeriale (cfr. D.M. n. 55/2014).
Va, dunque, dichiarata l’illegittimità  del silenzio serbato dal Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto, III Divisione disciplina, in ordine all’istanza di rimborso presentata da -OMISSIS- in data 31 marzo 2015 e, conseguentemente, l’obbligo di provvedere in maniera espressa sulla stessa.
Si consideri, in particolare, che nessuna valenza interruttiva del silenzio può essere riconosciuta alla nota n. M_D GMIL REG2016 0682671, del 24 novembre 2016, notificata all’interessato in data 9 dicembre 2016, essendo evidente che con quest’ultima si è soltanto notiziato il ricorrente degli sviluppi endoprocedimentali della sua istanza, fermo restando il mancato soddisfacimento, dovuto ad inerzia non giustificata, dell’interesse al rimborso ad essa sotteso.
Va, conclusivamente, fissato il termine di trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza affinchè l’Amministrazione si pronunci con provvedimento espresso sull’istanza de qua.
Per il caso di persistente inadempienza, si nomina sin da ora il commissario ad acta nella persona del Prefetto di Bari, con facoltà  di delega ad altro funzionario del suo ufficio, il quale dovrà  provvedere entro l’ulteriore termine di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione a cura di parte dell’inutile decorso di quello assegnato al Ministero della Difesa.
Da ultimo, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sezione II, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto:
– accerta l’illegittimità  del silenzio inadempimento verificatosi nel caso di specie;
– ordina al Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto, III Divisione disciplina, di determinarsi con provvedimento espresso sull’istanza di rimborso del ricorrente entro e non oltre trenta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza;
– dispone sin d’ora, per il caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione onerata, la nomina del commissario ad acta nella persona del Prefetto di Bari, con facoltà  di delega ad altro funzionario del suo ufficio, il quale dovrà  provvedere entro l’ulteriore termine di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione a cura di parte dell’inutile decorso di quello assegnato al Ministero intimato;
– condanna il Ministero della Difesa al pagamento in favore del sig. Giuseppe-OMISSIS-delle spese e dei compensi di lite, che liquida in complessivi € 1.000,00 (euro mille,00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità  della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità  nonchè di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Angelo Scafuri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alfredo Giuseppe Allegretta Angelo Scafuri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità  e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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