1. Edilizia e urbanistica – Titolo edilizio – Distanze tra le costruzioni – D.M. 1444/1968 – Art. 9 – Presupposto applicativo – Posizione effettiva dei manufatti 


2. Edilizia e urbanistica – Titolo edilizio – Distanze tra le costruzioni – D.M. 1444/1968 – Art. 9 – Presupposto applicativo – Tettoia – Distanza minima – Non si applica

1. In tema di distanza tra edifici, sia la formulazione letterale dell’art. 9 del D.M. 1444/1968, sia la sua ratio, tesa ad evitare la creazione di malsane  intercapedini tra edifici, depongono nel senso che il presupposto per l’applicazione della disposizione in parola è che i fabbricati siano in concreto antistanti.


2. Essendo la prescrizione della distanza minima di 10 mt., fissata dall’art. 9 del D.M. 1444/1968, funzionale ad evitare la creazione di intercapedini di dimensioni inferiori alla predetta distanza minima, essa non opera in riferimento a una tettoia a spiovente, siccome inidonea a dar origine ad alcun interstizio.


* * * 
Vedi Cons. St., Sez. III, ric. n. 2035 – 2016, ud. pubbl. 20 aprile 2017, sentenza 2 maggio 2017, n. 1997 – 2017

N. 00113/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00103/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 103 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Maria Rosaria Sarcina e Rosa Alba Sarcina, rappresentate e difese dall’avv. Giacomo Valla, con domicilio eletto presso Giacomo Valla in Bari, Via Q. Sella, n.36; 

contro
Comune di Trinitapoli, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco De Robertis, con domicilio eletto presso Francesco De Robertis in Bari, Via Davanzati n.33; 

nei confronti di
Diomira Giuliano, rappresentata e difesa dall’avv. Nino Sebastiano Matassa, con domicilio eletto presso Nino Matassa in Bari, Via Andrea Da Bari, n.35; 

RICORSO PRINCIPALE
per l’annullamento, previa sospensiva,
del permesso di costruire n. 70/2014, rilasciato dal Comune di Trinitapoli;
dell’ordinanza del responsabile del 3° Settore del Comune di Trinitapoli del 25.11.2014 (prot. n. 16212 del 26.11.2014), di presa d’atto della SCIA in variante al PdC n. 70/2014 e di revoca dell’ordinanza di sospensione dei lavori e
per la declaratoria di illegittimità  del silenzio serbato dall’amministrazione sulla richiesta della sig.ra Maria Rosaria Sarcina del 2.12.2014 di verifica e di accertamento della illegittimità  della SCIA innanzi indicata, con adozione delle doverose misure repressive;
PRIMO RICORSO PER MOTIVI AGGIUNTI depositato in data 23.3.2015
per l’annullamento
della nota del responsabile del III settore del 10.03.2015, che ha confermato la legittimità  dei lavori denunciati dalla SCIA del 24.02.2015 e, in particolare, l’innalzamento dell’altezza dell’esistente torrino scale di circa 90 cm. nella parte posta alla distanza di almeno m.5 dal confine;
della SCIA del 24.02.2015 presentata dalla Sig.ra Diomira Giuliano;
SECONDO RICORSO PER MOTIVI AGGIUNTI depositato il 29.7.2015:
per l’annullamento
oltre agli atti impugnati, del permesso di costruire n.74 del 2.7. 2015, in variante al permesso di costruire n.70/2014;
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Trinitapoli e di Diomira Giuliano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2015 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori Giacomo Valla, Francesco De Robertis e Nino Sebastiano Matassa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Le parti dibattono, in questa sede, della legittimità  dei lavori di soparaelevazione del fabbricato della controinteressata sig.ra Diomira Giuliano, sito in Trinitapoli, alla v. Barletta 29.
Si discute, in particolare della legittimità  del titolo edilizio inerente la realizzazione del II piano fuori terra (ovverosia del primo piano sovrastante il piano terra che, d’ora in poi, verrà  indicato come primo piano).
La sua realizzazione, nella originaria consistenza, è stata inizialmente assentita con il PdC (permesso di costruire) n.70 del 16.6.2014 e successiva SCIA in variante del 20.11.2014 prot. n. 15897 (atti contestati con il ricorso principale).
E’ seguita una ulteriore modifica progettuale, dichiarata con ulteriore SCIA del 24.2.2015, la cui legittimità  è stata affermata nella nota del responsabile del III settore del 10.03.2015 (impugnata, unitamente alla predetta SCIA, con I motivi aggiunti).
Il progetto definitivo (in fase ormai di quasi totale edificazione) è stato, infine, oggetto del PdC in variante n. 74 del 2.7.2015, che ha consacrato la consistenza ultima del primo piano del fabbricato Giuliano.
Si dolgono della legittimità  di tali titoli edilizi le vicine di casa sig.re Sarcina, proprietarie del suolo contermine su cui insiste un fabbricato, rispetto al quale quello della sig.ra Giuliano è frontistante (per la corretta indicazione dello stato dei luoghi e la raffigurazione della posizione spaziale dei due edifici, quanto mai essenziale per seguire il percorso motivazionale esposto in sentenza, v. documenti depositati dalla controinteressata in data 6.11.2015).
Giova premettere, per meglio circoscrivere il punto nodale della decisione, che la modifica progettuale da ultimo assentita con il PdC n.74/2015, rende improcedibili per difetto di interesse sia il ricorso principale sia quello per primi motivi aggiunti.
E’, dunque, solo sulle doglianze denunciate nel ricorso per secondi motivi aggiunti che si appunta l’interesse alla decisione ed è su tali censure (che, peraltro, ripetono, in buona parte le stesse questioni già  proposte con gli altri atti introduttivi) che si appunterà , per esigenze di sintesi, la decisione del Collegio.
Tanto premesso, possono, in considerazione della infondatezza nel merito, ritenersi superate le eccezioni preliminari inerenti la tempestività  e la legittimazione delle ricorrenti ed in particolare la questione inerente la ventilata abusività  dell’edificio delle ricorrenti.
Sotto tale aspetto, in sede cautelare, la Sezione ha invitato le parti a fornire, in sede di esame nel merito del ricorso, adeguata prova delle tesi sostenute nel corso della discussione cautelare.
A fronte della documentazione esibita in giudizio, deve escludersi che possa ritenersi accertata l’abusività  dell’edificio Sarcina.
Infatti, per quanto il Comune abbia prodotto un certificato attestante l’inesistenza di titoli autorizzatori relativi a tale edificio, la sua abusività  non pare sostenibile in considerazione della circostanza che le ricorrenti ne hanno allegato la realizzazione ante 1967 (in zona esterna al centro abitato) e hanno esibito il progetto per la manutenzione straordinaria depositato presso il Comune, senza che alcun potere repressivo – sanzionatorio sia mai stato azionato dall’Ente locale.
La mancata adozione di ordini demolitori neppure a seguito del presente giudizio (il che è incompatibile con la asserita abusività  dell’opera) rende, infine, convinti che neppure l’Ente locale sia persuaso dell’abusività  dell’opera.
Conclusivamente la natura dell’opera e la sua conseguente qualificazione richiederebbero accertamenti ulteriori che si mostrano, tuttavia, superflui, in considerazione dell’esito dell’esame delle censure.
Venendo al merito delle doglianze proposte, 3 sono gli aspetti progettuali censurati.
In primo luogo, le ricorrenti lamentano che il c.d. vano a servizio a realizzarsi al primo piano (lo si individua chiaramente nel grafico progettuale depositato dalla controinteressata, in data 6.11.2015. Esso si trova sul lato prospiciente v. Barletta) non rispetterebbe la distanza di 10 mt dalla parete finestrata dell’immobile Sarcina che lo fronteggia, così violando le prescrizioni di cui all’art. 9 DM n.1444/68.
La censura non è fondata.
La visione dei grafici raffiguranti lo stato dei luoghi permette di accertare che l’immobile Sarcina (che è indiscusso che abbia una parete finestrata), non fronteggia il vano a servizio in questione, perchè l’inizio del suddetto vano tecnico si trova oltre il termine ultimo del fabbricato.
In altri termini, il vano tecnico fronteggerebbe, a distanza inferiore a 10 mt., il prolungamento ideale della parete Sarcina.
In analoga controversia, definita con sentenza di questo Tar n. 1572/2015, ai cui principi integralmente ci si richiama, la Sezione ha avuto modo di chiarire che sia la formulazione letterale dell’art. 9 cit, sia la sua ratiodepongono in modo inequivoco nel senso che il presupposto per l’applicazione della distanza minima dei 10 mt è che gli edifici siano effettivamente (e non solo “idealmente”) “antistanti”.
Una diversa interpretazione del richiamato art. 9, del resto, si porrebbe in contrasto con la ratio del medesimo, tesa a evitare la creazione di malsane intercapedini tra edifici, tali da compromettere i profili di salubrità  degli stessi, quanto ad areazione luminosità  ed altro.
Intercapedini che, evidentemente non possono crearsi se la parete in costruzione sia frontistante al solo prolungamento ideale di quella finestrata.
Richiamati, dunque, i principi enunciati in modo ancor più puntuale nella citata sentenza, la censura va respinta; con il che si respinge anche la analoga doglianza mossa in relazione al torrino scala.
Con la seconda doglianza, le ricorrenti lamentano che la tettoia costruita a copertura del primo piano (perfettamente visibile, nella sua consistenza, nelle fotografie prodotte da parti ricorrenti e depositate il 29.11.2015) arretri, rispetto alla frontistante parete finestrata, di mt. 9,40, così non rispettando il già  richiamato limite dei 10 mt imposto dalla normativa di settore.
Essa, in particolare, dovendo considerarsi quale nuova costruzione, non potrebbe che rispettare la suddetta distanza.
Anche tale doglianza non è fondata.
Soccorre ancora una volta la già  indicata ratio della disposizione invocata.
Se la prescrizione è funzionale ad evitare la creazione di intercapedini di dimensioni inferiori ai 10 mt, essa, allora, non può che riguardare pareti che perpendicolarmente si fronteggiano (e da cui le distanze vanno calcolate), perchè solo tali manufatti sono idonei a creare intercapedini, mentre la tettoia a spiovente in esame non è idonea a creare alcuna intercapedine, essendo piuttosto assimilabile, per natura, ad un elemento di decoro o ad un balcone.
Nè vale a mutare tale orientamento il timore, prospettato in sede di discussione dalla difesa di parte ricorrente, che la realizzata tettoia (che poggia sul solaio/copertura del primo piano in costruzione) diventi facile strumento per realizzare la copertura di eventuali ampliamenti abusivi.
In tal caso, i poteri comunali di vigilanza e sanzionatori, eventualmente sollecitati dalle sig.re Sarcina, provvederanno a reprimere ogni ampliamento non consentito.
Analoga sorte merita la doglianza relativa all’aumento di altezza del torrino scala.
Tale torrino scala era – ed è – preesistente e si trova a distanza dal confine inferiore a 5 mt. (che rappresenta la distanza minima in base alle NTA, artt. 7 o 44.4).
Di tale vano scala, la controinteressata intende innalzare l’altezza e pretende di farlo, per rispettare le disposizioni invocate, aumentandola solo nella parte retrostante, in modo tale che la parte innalzata si trovi ad almeno 5 mt dal confine.
Di diverso avviso è la difesa delle parti ricorrenti che, invece, reclama la natura unitaria di tale opera, censurando la ipotizzata parcellizzazione e suddivisione ideale in una sua parte a distanza inferiore di 5 mt dal confine (che manterrebbe l’altezza originaria) e parte a distanza superiore che, invece, andrebbe innalzata.
Il torrino scala, nella sua nuova consistenza, andrebbe a costituire una nuova costruzione unitaria che dovrebbe rispettare la distanza dal confine, a nulla rilevando che, in sostanza, il vano scala resti esattamente nella stessa posizione in cui già  si trovava.
La interpretazione offerta dalle ricorrenti non può essere seguita, alla luce di una valutazione razionale e di buona fede mirata a reprimere, in sede giurisdizionale, ogni ipotesi di abuso del diritto.
E’ fuori discussione che il torrino scala, nella iniziale consistenza e altezza (cioè con estradosso di mt. 2,20), avesse buon diritto a esistere, benchè realizzato a distanza dal confine inferiore a 5 mt. (poco importa, in questa sede, se perchè i termini di decadenza per censurarne il relativo titolo edilizio siano già  decorsi, ovvero perchè realizzato prima dell’introduzione della prescrizione a mezzo del PRG).
L’aumento di altezza nella parte retrostante rispetta, peraltro, la distanza reclamata dal confine.
La tesi proposta dalle ricorrenti, laddove seguita, determinerebbe, come conseguenza, quella di rimettere in discussione la permanenza del vano scala anche nella parte che non viene affatto modificata nella sua attuale consistenza.
In altri termini, seguendo la tesi delle ricorrenti, la distanza dal confine del vano scala preesistente – che pacificamente non potrebbe più essere contestata laddove nessun innalzamento fosse realizzato- tornerebbe ad esserlo, a seguito della modifica dell’altezza di una sua parte.
Anche a voler considerare unitariamente il vano scala, qualificandolo come nuova costruzione, non può tuttavia, darsi ingresso, pena la violazione del divieto di abuso del diritto ovvero di certezza del diritto a seguito del maturarsi delle decadenze per l’impugnazione, a doglianze che non superano il vaglio di proponibilità  e fondatezza per il manufatto già  esistente.
Conclusivamente, la modifica di una parte della costruzione non può valere a rimettere in discussione la legittimità  di sue parti che non vengono alterate.
D’altro canto tale conclusione trova conferma nella seguente considerazione.
Nulla osterebbe a che, abbattuto il vano scala, ne venga ricostruita solo la parte retrostante con il richiesto innalzamento di quota, purchè a distanza di almento 5 mt dal confine.
Il che significa che le ricorrenti non potrebbero, comunque, pretendere che la attuale parte in innalzamento resti alla attuale quota.
In questo specifico caso, dunque, la parcellizzazione del vano scala con distinzione tra parte inalterata e parte oggetto di innalzamento è funzionale a garantire il rispetto del principio di buona fede.
Per le ragioni suesposte le doglianze proposte non possono essere accolte.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso per secondi motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso principale e il primo per motivi aggiunti.
Condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre IVA, CAP e spese generali in misura massima, da ripartirsi in parti uguali (euro 1.500,00 ciascuno) tra Diomira Giuliano ed il Comune di Trinitapoli.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Desirèe Zonno, Presidente FF, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
Maria Colagrande, Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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