1. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Danno risarcibile – Valore venale del bene – Determinazione – Criteri


2. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Interessi a titolo risarcitorio ex art. 42 bis, comma 3, D.P.R. n. 327/2001 – Quantificazione


3. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Penalità  di mora ex art. 114, comma 4, lett. e) C.P.A. – Finalità 


4. Processo amministrativo – Giudizio di ottemperanza – Penalità  di mora e nomina commissario ad acta – Incompatibilità  – Non sussiste

1. In caso di illegittima occupazione di un suolo da parte della p.A., il valore venale del bene, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, non va determinato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, nè a quello di irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo.


2. Ai sensi dell’art. 42 bis, comma 3, D.P.R. n. 327/2001, per il periodo di occupazione senza titolo e’ computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità  del danno, l’interesse del  cinque percento annuo sul valore venale del bene.


3. L’irrogazione della penalità  di mora prevista dall’art. 114, comma 4, lett. e) C.P.A. (cd. “astreinte”) assolve ad una finalità  sanzionatoria e non risarcitoria, in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato all’esecuzione della sentenza, ma vuole sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento.


4. Non vi è incompatibilità  tra l’irrogazione della penalità  di mora di cui all’art. 114, comma 4, lett. e) C.P.A. (cd. “astreinte”) e la richiesta di nomina di un commissario ad acta. Si tratta, infatti, di mezzi di tutela diversi poichè la penalità  di mora è un mezzo di coercizione indiretta (modello “compulsorio”), mentre la nomina del commissario ad acta – il quale provvede in luogo dell’amministrazione – comporta una misura attuativa del giudicato ispirata ad una logica del tutto differente, siccome volta non già  ad esercitare pressioni sull’amministrazione affinchè provveda, ma a nominare un diverso soggetto, tenuto a provvedere al posto della stessa (secondo un modello di “esecuzione surrogatoria”). L’opzione per l’uno o per l’altro modello rientra nella disponibilità  della parte, essendo strumenti di tutela cumulabili e non incompatibili tra loro, con l’unico limite espressamente contemplato dall’art. 114 C.P.A. rappresentato dal fatto che l’applicazione della penalità  di mora non risulti manifestamente iniqua ovvero non sussistano altre ragioni ostative.


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Vedi Cons. St., sez. IV, sentenza 15 settembre 2013, n. 4613 – 2013; ric. n. 1082 – 2013; ric. n. 5596 – 2012. Ricorso per revocazione n. 7236 – 2013, sez. IV, sentenza 26 agosto 2014, n. 4297 – 2014


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N. 00006/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01826/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1826 del 2011, proposto da Antonio Pio Salvatore Dattoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Follieri e Giovanni Maggiano, con domicilio eletto presso l’avv. Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14; 

contro
Comune di Rodi Garganico, rappresentato e difeso dall’avv. Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto in Bari, via Pizzoli, 8; 
Acquedotto Pugliese S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Costantino Ventura, con domicilio eletto in Bari, via Dante Alighieri n. 11; 

per l’ottemperanza
alla sentenza del T.A.R. Puglia, 17 agosto 2010 n. 3402, resa inter partes dalla prima Sezione.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rodi Garganico e dell’Acquedotto Pugliese S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Enrico Follieri, Vito Aurelio Pappalepore e Costantino Ventura;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1.a. Con ricorso numero di registro generale 1521 del 2009 il signor Antonio Pio Salvatore Dattoli, in qualità  di proprietario, ha adito questo Tribunale contro il Comune di Rodi Garganico e l’Acquedotto pugliese per ottenere la restituzione dei suoli, siti nel territorio di Rodi Garganico e occupati per accogliere l’impianto di depurazione e varie opere della rete fognaria, il risarcimento del danno per l’indebita occupazione, l’indennità  di occupazione, i danni ulteriori subiti e, in subordine, ove ritenuto ancora vigente l’istituto dell’occupazione acquisitiva, il risarcimento del danno, pari al valore degli immobili, subito per l’illegittima perdita della proprietà .
Le pretese attoree riguardavano due procedimenti diversi, incidenti su due particelle vicine e finalizzati alla realizzazione d’infrastrutture collegate. Essi soprattutto erano accomunati dal fatto che alla dichiarazione di pubblica utilità  e al decreto di occupazione d’urgenza, nonchè alla stessa realizzazione dell’opera pubblica, non erano seguiti l’emanazione del decreto di esproprio e il pagamento della relativa indennità . In particolare, si trattava
a) del procedimento relativo alla particella 371 del foglio 5 (estesa mq 6106), occupata in forza del decreto di occupazione d’urgenza del Prefetto di Foggia del I luglio 1978 n. 3446, per allocarvi opere terminali della fognatura comunale, riguardo alla quale il signor Dattoli, non essendo intervenuto al 2000 alcun decreto di esproprio, proponeva azione di danno innanzi al Tribunale di Lucera – Sezione distaccata di Rodi Garganico, causa oggi pendente in appello;
b) di quello relativo alla particella 409 del foglio 5 (per una superficie di mq 2075), occupata in forza del decreto di occupazione d’urgenza del Comune di Rodi Garganico del 15.11.2000, per realizzare opere di adeguamento del depuratore consortile, riguardo alla quale nel 2007 l’interessato proponeva altra azione dinanzi al giudice civile, del quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, con ordinanza n. 15237 del 30 giugno 2009, ravvisavano il difetto di giurisdizione.
Il ricorso n. 1529/2009 veniva deciso in parte con sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, che sospendeva il processo, ai sensi dell’articolo 295 del codice di procedura civile, in attesa della pronuncia della Corte d’appello di Bari sul procedimento promosso dal signor Dattoli con atto di citazione notificato il 19 febbraio 2007 (in ordine alla pretesa concernente la particella 371 del foglio 5), e per il resto accoglieva le domande attoree.
In relazione alla particella 409 del foglio 5, in applicazione dei principi già  più volte enunciati da questo Tribunale con le sentenze, prima Sezione, 17 settembre 2009 n. 2081; terza Sezione, 17 settembre 2008 n. 2131 e 14 luglio 2008 n. 1751, veniva disposta a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni e veniva condannata l’Amministrazione municipale resistente a pagare al ricorrente il risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, meramente detentiva (dallo scadere del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza in data 15 novembre 2000 a tutt’oggi).
A tal proposito si puntualizzava che “in mancanza d’indicazione e deduzioni più puntuali, deve ritenersi che il risarcimento per il mancato godimento debba calcolarsi assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito, e applicando ad esso il tasso d’interesse legale, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività  dell’immobile.
D’altra parte, a monte, il valore base del suolo dev’essere attualizzato anno per anno (a partire dal 2007), con utilizzo dell’indice ISTAT, e solo sul relativo risultato dev’essere computato il danno per la perdita della possibilità  di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso di interesse legale, che rappresenta la commisurazione equitativa dei c.d. frutti civili, in mancanza di una più puntuale dimostrazione dei frutti e di altra utilità  perduti (similmente: Cassazione, Sez. I, 5 maggio 2005 n. 9361; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 11 maggio 2009 n. 2520).
A tali importi devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell’erogazione delle somme, da computarsi anno per anno (Cassazione, Sez. I, 29 ottobre 2008 n. 25983) sino al soddisfo.
Nell’operare tali pagamenti devono naturalmente essere sottratte le eventuali somme già  versate, per esempio, a titolo di indennità  di occupazione per gli anni presi in considerazione.
L’effettiva determinazione del quantum debeatur, secondo gli enunciati parametri, dovrà  essere effettuata dall’Amministrazione intimata, che dovrà  provvedere, ai sensi dell’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ove anteriore), a formulare una proposta alla parte ricorrente, indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci”.
Si deve aggiungere che il valore ricostruibile in base a tale consulenza, pari a € 327.139,32, era stato contestato dal Comune e dall’Acquedotto pugliese, perchè reputato esorbitante e perchè non era accoglibile la domanda risarcitoria per danni morali e/o esistenziali.
La sentenza ha rigettato il primo rilievo poichè l’illecito permanente costituito dall’abusiva occupazione si è realizzata nella vigenza del nuovo piano regolatore, mentre ha ritenuto infondata la pretesa di ristoro dei lamentati danni morali e/o esistenziali.
Il Consiglio di Stato, Sezione quarta, ha poi rigettato l’appello proposto dal Comune di Rodi Garganico e ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale dell’Acquedotto pugliese (sfornito di legittimazione attiva, non essendo risultato soccombente in primo grado, non avendo “svolto alcun ruolo, nè nel procedimento nè nella gestione del bene”, come osservato dal T.A.R.) con decisione 2 agosto 2011 n. 4590.
Tale pronuncia teneva peraltro conto del mutato quadro normativo.
Infatti, l’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/2001, vigente al momento di emissione della sentenza del T.A.R., è stato espunto dall’ordinamento dalla Corte Costituzionale, con sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, per eccesso di delega.
L’articolo 34, comma primo, del decreto-legge. 6 luglio 2011, n. 98 (non modificato dalla legge di conversione 15 luglio 2011, n. 111) ha poi inserito, dopo l’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, l’articolo 42 bis.
Tenendo conto delle novità  normative intervenute, il Consiglio di Stato ha puntualizzato:
“Innanzi tutto, dalla lettura della sentenza impugnata risulta evidente che il T.A.R. non ha proceduto a una quantificazione specifica del danno risarcibile, limitandosi a dettare i criteri per la sua determinazione ai sensi dell’art. 35, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80 (e quindi, oggi, dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm.).
In secondo luogo, è altrettanto evidente che il primo giudice non si è in alcun modo pronunciato sulla destinazione urbanistica in ragione della quale individuare il valore venale dell’immobile, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, limitandosi a enunciare il principio per cui tale valore non va fissato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, nè a quello di irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo.
Tale principio va senz’altro confermato in questa sede, l’opposto avviso di parte appellante essendo fondato – ancora una volta – sull’erroneo convincimento che il momento di ultimazione dell’opera pubblica possa avere una qualche rilevanza ai fini della consumazione dell’illecito (e, quindi, della determinazione del danno risarcibile).
Piuttosto, i criteri enunciati dal T.A.R. in questa sede possono essere integrati alla luce di quanto prescritto dal già  citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, medio tempore sopravvenuto: e pertanto, ferma restando la necessità  di partire dal valore venale del suolo per ciascun anno a partire dall’inizio dell’illegittima occupazione (15 novembre 2005), l’interesse corrispondente al danno da liquidare andrà  liquidato nella misura del 5% annuo sui predetti importi, come prescritto dal comma 3 della menzionata norma, non emergendo in atti la prova di un danno diverso e ulteriore.
Ancora si può aggiungere che, essendo stato nel presente giudizio chiesto il solo risarcimento da illecita occupazione, ed essendo quest’ultima ancora in corso, la determinazione del danno dovrà  arrestarsi alla data di erogazione della somma determinata in base ai criteri fissati; tuttavia, dal momento che l’ulteriore protrarsi dell’occupazione sine titulo anche dopo tale data ben potrebbe indurre la parte privata a intentare nuove azioni risarcitorie, in questa sede non ci si può esimere dal rappresentare l’opportunità  che l’Amministrazione provveda quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o dando esecuzione all’ordine di restituzione del suolo, o con le modalità  sopra indicate al punto 4, ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001)”.
1.b. Con l’atto di significazione del 25 novembre 2010 e con un ulteriore sollecito pervenuto al Comune in data 6 settembre 2011 il ricorrente invitava l’Amministrazione ad eseguire, comunicando anche l’entità  del danno da occupazione abusiva, calcolato in € 235.507,91.
L’Ente locale annunciava allora l’avvio del procedimento volto all’attivazione dell’acquisizione ex articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, con nota 21 settembre 2011 n. 8496, contestando ancora una volta, quanto al valore del suolo, le risultanze della perizia di parte.
Constatati l’atteggiamento dilatorio dell’Amministrazione e la sostanziale inesecuzione del giudicato, con ricorso depositato il 28 ottobre 2011, il signor Dattoli perciò ha adito il T.A.R., ai sensi dell’articolo 112 del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, domandando, in ottemperanza della sentenza n. 3402/2010, confermata in appello, che venisse ordinata al Comune resistente la restituzione del suolo, di cui alla particella 409 del foglio 5, e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni e che la medesima Amministrazione municipale venisse condannata a pagare al ricorrente il risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, indicata nella misura di € 235.507,91, ma con la precisazione che l’importo di tale ristoro “è pari al 5% per anno del valore venale, salvo ulteriori interessi fino al rilascio del terreno, in conformità  dell’articolo 42 bis del d.p.r. n. 327/2001, come indicato nella decisione del Consiglio di Stato”.
L’interessato chiedeva altresì che venisse nominato un commissario ad acta o che venisse adottato ogni altro rimedio ritenuto opportuno per la completa esecuzione della sentenza.
Nelle more, con nota 3 novembre 2011 prot. 9799 il Comune di Rodi Garganico comunicava la quantificazione dell’indennità  risarcitoria, come stimata dal Responsabile del Settore tecnico, pari ad euro 9.043,48. Nella stessa missiva inoltre, premesso che l’Autorità  d’ambito e l’Acquedotto pugliese avevano manifestato l’intenzione di spostare l’impianto di depurazione dal sito attuale, di proprietà  del signor Dattoli, l’Ente ha chiesto di conoscere la disponibilità  ad una cessione volontaria del suolo sulla scorta del valore di mercato individuato dal Responsabile del Settore tecnico, ammontante ad euro 132.283,96.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Rodi Garganico, che, in considerazione degli atti, come sopra riferiti, nega la propria inadempienza, e l’Acquedotto Pugliese S.p.A.
Alla luce delle sopravvenienze, il signor Dattoli, prima della camera di consiglio del 13 gennaio 2012, con atto integrativo (debitamente notificato e accompagnato d’apposito deposito documentale) ha manifestato anche in sede processuale la sua contrarietà  alla proposta comunale, chiedendo, ai sensi dell’articolo 34, quarto comma, del codice processo amministrativo, la determinazione diretta della somma dovutagli a titolo di risarcimento nel giudizio di ottemperanza.
La causa veniva poi discussa il giorno 8 marzo 2012, verificato altresì, intanto, che per il prospettato spostamento del depuratore non vi era alcuna certezza sui tempi.
Con sentenza 4 maggio 2012 n. 924 il ricorso veniva in parte definito, nei termini che in sintesi si riportano:
“B.1. In primo luogo deve affermarsi la competenza di questo Tribunale a decidere sul ricorso per l’ottemperanza, ai sensi dell’articolo 113, primo comma, del decreto legislativo 2 luglio 2010 n. 104, poichè, come già  anticipato, la decisione di appello conferma anche in motivazione il contenuto dispositivo e conformativo della sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, limitandosi a farsi carico delle indicazioni rinvenenti dalle intervenute modifiche normative”.
Constatato che l’Acquedotto pugliese, il quale aveva attivamente partecipato alla dialettica processuale, era stato evocato in giudizio dello stesso ricorrente, si sono ritenuti insussistenti i presupposti per la sua estromissione.
In particolare, avendo il medesimo Acquedotto eccepito che, a seguito delle iniziative dell’Amministrazione municipale prese dopo la decisione d’appello, fosse sopravvenuta la cessazione della materia del contendere, il Tribunale ha invece ritenuto:
“B.2. Da quanto sopra premesso risulta invece che, essendo questa azione diretta all’ottemperanza della sentenza del T.A.R. con cui veniva disposta a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo (particella 409 del foglio 5) e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, nonchè il risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione, nessuno dei due capi della sentenza è stato propriamente ed effettivamente eseguito, per cui non rimane altro al Collegio se non l’esame nel merito delle pretese avanzate.
B.2.a. Quanto alla condanna alla restituzione dell’immobile, sgombro dalle costruzioni e dagli impianti esistenti, occorre osservare che il Comune, pur non avendo provveduto, ha recepito le indicazioni del Consiglio di Stato (“in questa sede non ci si può esimere dal rappresentare l’opportunità  che l’Amministrazione provveda quanto prima a far cessare la permanenza dell’illecito (o dando esecuzione all’ordine di restituzione del suolo, o con le modalità  sopra indicate al punto 4, ovvero attraverso il meccanismo oggi previsto dal citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001))”.
Nel caso di specie la rilevanza della citata disposizione appare indubbia, poichè sull’area occupata senza titolo (perchè scaduti i relativi decreti e mai emanato quello di espropriazione) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, consistenti in un depuratore.
Il Comune ha perciò ritenuto di poter applicare il sopravvenuto meccanismo che consente l’acquisizione coattiva e ha avviato il relativo procedimento.
Al proposito di tale istituto il Consiglio di Stato ha recentemente osservato: “deve ritenersi che, anche nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione abbia comunque l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè debba adeguare la situazione di fatto a quella di diritto” (Sezione sesta, sentenza I dicembre 2011 n. 6351).
Di conseguenza tale iniziativa, pur non potendo configurare l’esatta esecuzione della sentenza, rappresenta un’azione discrezionale che doverosamente tiene conto dalla possibilità  offerta dalle sopravvenienze legislative.
A ciò il ricorrente oppone che il contenuto delle note 21 settembre 2011 n. 8496 e 3 novembre 2011 prot. 9799 si ponga in diretto contrasto con il decisum, poichè il Comune elabora e propone una stima dei suoli lontana da quella richiamata nella sentenza 17 agosto 2010 n. 3402.
Il Collegio intende occuparsi in prosieguo di tale questione, ma non può esimersi dal constatare che la lettera e laratio dell’articolo 42 bis inducono a qualificare la somma di cui si discute come “indennizzo”, aspetto tuttora sottratto alla sua giurisdizione, a norma dell’articolo 133, primo comma, lett. g), del codice del processo amministrativo e prima dell’articolo 53 del T.U. espropriazione.
Ciò chiarito, è evidente che tale nuovo procedimento non può costituire uno strumento di elusione e di differimento nell’adempimento dell’obbligo di ottemperare alla sentenza, passata in giudicato e tuttavia rimasta ineseguita.
Di conseguenza, il Collegio ritiene, nell’esercizio dei poteri in materia, attribuita alla propria giurisdizione esclusiva e di merito, valorizzando la già  evidenziata ratio sottesa all’articolo 42 bis, che la domanda proposta dal ricorrente possa e debba essere accolta, differendone, tuttavia, gli effetti alla mancata emissione da parte del Comune intimato di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi del citato articolo 42 bis, per la quale devono essere fissati appositi termini per scongiurare pericoli di dilazione.
Il Comune dunque potrà  emanare, entro 60 giorni dalla comunicazione o notificazione, se antecedente, della presente sentenza, un provvedimento di acquisizione ex articolo 42 bis, quarto comma, del T.U. espropriazioni, contenente tra l’altro l’indicazione dell’indennizzo dovuto all’istante per la perdita della proprietà  del fondo che dovrà  essere effettivamente corrisposto o depositato nei successivi 15 giorni.
Per il caso in cui il Comune non adotti l’atto formale volto all’acquisizione del bene dei ricorrenti ed al correlativo indennizzo ex articolo 42 bis ovvero se quest’ultimo non venga liquidato o depositato (sì da impedire l’operatività  del meccanismo), nei suindicati termini, il Collegio ordina Comune di Rodi Garganico di restituire i suoli, previa demolizione del costruito, entro i successivi 90 giorni.
Ove il iussum del Giudice dovesse rimanere ancora una volta inottemperato, il ricorrente potrà  chiedere l’esecuzione coattiva, tramite commissario ad acta, dell’obbligo di restituzione dei lotti e l’adozione delle misure consequenziali e collegate (comprese quelle di cui all’articolo 114, comma quarto, lettera e), del codice del processo amministrativo).
B.2.b. L’Amministrazione municipale è stata anche condannata a pagare il risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo (dallo scadere del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza in data 15 novembre 2000 a tutt’oggi),
La sentenza 17 agosto 2010 n. 3402, partendo dal presupposto che “l’illecito permanente debba essere risarcito per ogni anno di abusiva occupazione, che si è realizzata nella vigenza del nuovo piano regolatore”, ha affidato all’Amministrazione intimata l’effettiva determinazione del quantum debeatur, ai sensi dell’art. 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, entro il termine di sessanta giorni.
In particolare, il Comune avrebbe dovuto “formulare una proposta alla parte ricorrente, indicante l’ammontare complessivo del dovuto, corredata dall’analisi delle varie voci”, “assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito”, sul quale poi avrebbe dovuto computare il danno per la perdita della possibilità  di utilizzo del bene, calcolato attraverso il tasso d’interesse legale.
Sul punto la pronuncia di appello non ha sollevato alcun rilievo che comporti quale effetto la riforma della sentenza di primo grado.
Il Consiglio di Stato ha infatti constatato “che il T.A.R. non ha proceduto a una quantificazione specifica del danno risarcibile, limitandosi a dettare i criteri per la sua determinazione” e ha espressamente condiviso il principio enunciato dal Tribunale per cui il valore venale dell’immobile, sulla cui base calcolare il danno risarcibile, non va fissato con riferimento al momento dell’inizio dell’occupazione, nè a quello d’irreversibile trasformazione del bene, bensì avendo riguardo alla destinazione del suolo per ciascun anno di protrazione dell’occupazione sine titulo”.
Nella decisione 2 agosto 2011 n. 4590 si è invece in effetti limitato a suggerire che tali criteri possano “essere integrati alla luce di quanto prescritto dal già  citato art. 42 bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, medio tempore sopravvenuto: e pertanto, ferma restando la necessità  di partire dal valore venale del suolo per ciascun anno a partire dall’inizio dell’illegittima occupazione (15 novembre 2005), l’interesse corrispondente al danno da liquidare andrà  liquidato nella misura del 5% annuo sui predetti importi, come prescritto dal comma 3 della menzionata norma, non emergendo in atti la prova di un danno diverso e ulteriore”.
Ora tale osservazione, formulata evidentemente per l’ipotesi del prosieguo della vicenda e, quindi, soprattutto, nella prospettiva di ulteriori sviluppi giurisdizionali, non può che essere condivisa, rappresentando una modalità  di calcolo del tutto analoga a quella della sentenza, ma in definitiva più chiara e semplice.
Fugata ogni perplessità  sul punto, occorre rimarcare l’inadempienza dell’Amministrazione municipale che ha ritenuto di potersi sottrarre al decisum, non solo non pagando alcuna somma all’istante, ma anche formulando un’offerta che nulla ha a che vedere con quanto statuito dal Giudice. Ciò sia per quanto riguarda l’entità  dell’importo, sia addirittura per ciò che concerne gli stessi metodi e criteri di apprezzamento del valore venale. Infatti, come si legge nel controricorso del Comune 4-8 novembre 2011, il medesimo, accogliendo il suggerimento del Consiglio di Stato, ha proceduto alla determinazione del valore del suolo, attraverso la perizia di stima redatta dal Responsabile del Settore tecnico, di cui si è data notizia all’istante con nota 3 novembre 2011 n. 9799 (pagine 10-11).
Tale relazione, datata ottobre 2011, tende a stabilire direttamente il valore di mercato del terreno, applicando, quale sistema di stima, la comparazione con i prezzi dei suoli edificabili compravenduti di recente a prezzi noti, con eventuale applicazione di coefficienti correttivi (pagine 3-4). Invece, come espressamente riconosce l’Ente nell’atto difensivo, tutta la descritta impostazione diverge in radice dalla stima come effettuata dal perito di parte, che il Tribunale aveva individuato (incaricando appositamente il Comune, ai sensi dell’articolo 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 – oggi corrispondente all’articolo 34, comma quarto, del codice del processo amministrativo) come base per la quantificazione specifica del danno risarcibile.
Infatti, la stima del consulente di parte, richiamata espressamente nella sentenza n. 3402/2010, adotta, quale criterio quello (diverso) del “valore di trasformazione del suolo” (pagina 13 del controricorso), ovvero ricava dal presumibile valore del costruito quello della relativa superficie.
A tal proposito si deve solo chiarire (avendo notato il Consiglio di Stato “che il primo giudice non si è in alcun modo pronunciato sulla destinazione urbanistica in ragione della quale individuare il valore venale dell’immobile”) che risulta incontestato – perchè affermato dallo stesso Comune (nota del Sindaco 21 settembre 2011 n. 8496; relazione n. 363/2011) – che il suolo in questione alla data del 15 novembre 2005 era edificabile perchè tipizzato zona CM (mista, residenziale-commerciale-artigianale) dal P.R.G. approvato con deliberazione G.R. 14 maggio 2002 n. 613.
Di conseguenza, una volta accertata l’inesecuzione nella sentenza, (anche) nella parte in cui il Comune era stato condannato a quantificare il risarcimento per abusiva occupazione dei suoli – calcolato in base ai criteri stabiliti nella pronuncia e precisati nella decisione del Consiglio di Stato n. 4590/2011 (“assumendo a valore-base quello di mercato del bene, come stimato dal perito” per ciascun anno e applicando il criterio del “valore di trasformazione del suolo”, per poi liquidare le somme nella misura del 5% annuo sui predetti importi) – e, poi, a pagare quanto dovuto, altro non rimane se non provvedere a tale (non effettuata nei termini imposti dalle pronunce intervenute) quantificazione specifica.
A tal fine è necessario disporre apposita verificazione e, per l’effetto, ai sensi dell’art. 66 del codice del processo amministrativo, stabilire quanto segue:
a) alla verificazione provvederà  il Direttore della Direzione regionale della Puglia dell’Agenzia del Territorio, con facoltà  di delega ad un Funzionario dell’Ufficio;
b) il verificatore dovrà  procedere alla quantificazione specifica del risarcimento del danno con le modalità  e i criteri di cui motivazione;
c) alla verificazione si provvederà , previi acquisizione dell’occorrente documentazione (operazione per la quale il Comune di Rodi Garganico metterà  a disposizione un proprio dipendente e fornirà  comunque il supporto richiesto dal verificatore) e apposito sopralluogo, cui potranno partecipare le parti, eventualmente assistite dai loro legali, nonchè ogni altra operazione ritenuta utile o necessaria dal verificatore; la data del sopralluogo sarà  comunicata alle parti 10 giorni prima dell’effettuazione, anche tramite fax o posta elettronica, ove così concordato;
d) la relazione conclusiva sarà  depositata entro il termine del 17 settembre 2012;
e) l’anticipo sul compenso spettante al verificatore è stabilito nella misura di euro 1.000,00, a carico dell’istante;
f) la camera di consiglio per il prosieguo della trattazione è fissata per il 29 novembre 2012″.
In conclusione, questa Sezione, parzialmente pronunciandosi,
I. in parte ha accolto il ricorso n. 1826/2011 “e, per l’effetto, assegnato al Comune di Rodi Garganico il termine di 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza per emanare il provvedimento di acquisizione, ex articolo 42 bis del T.U. espropriazioni, contenente l’indicazione dell’indennizzo dovuto ai ricorrenti per la perdita della proprietà  del fondo, e l’ulteriore termine di 15 giorni per la liquidazione di tali somme”,
– ha ordinato “a carico del Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli la restituzione del suolo di mq 2075, contrassegnato in catasto al foglio 5, p.lla 409, e la rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, con effetto dall’infruttuosa scadenza dei termini sopra fissati;
II. per la restante parte”,
– ha disposto la verificazione “nei termini e con le modalità  di cui in motivazione, fissando per il prosieguo la camera di consiglio del 29 novembre 2012” e ha rinviato il regolamento delle spese alla definizione della causa.
1.c. La sentenza parziale n. 924/2012 è stata appellata, ma senza istanza di sospensione, ex articolo 111 del codice.
Contemporaneamente, con delibera consiliare 13 luglio 2012 n. 26, il Comune di Rodi Garganico ha disposto l’acquisizione al patrimonio del terreno conteso, ha determinato l’indennizzo in € 35.512,36 (valore venale più incremento del 10%), affermando (punto 3 del dispositivo) che tale atto “comporta il passaggio del diritto di proprietà ¦ sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ovvero del loro deposito¦” e autorizzando l’Ufficio tecnico a rimodulare il quadro economico del progetto del depuratore “al fine di ricavare la necessaria provvista finanziaria per la liquidazione dell’indennità  di espropriazione”. E ciò anche in risposta all’intervento del consigliere Carmine D’Anelli, che, nel corso della seduta, aveva sollecitato il pagamento della detta somma entro 15 giorni.
In data 14 settembre 2012 il nominato verificatore, geometra Pierbiagio Bisceglia, Funzionario dell’Agenzia del territorio di Foggia e designato dal Direttore regionale, ha prodotto la relazione sugli adempimenti espletati, quantificando (in misura peraltro contestata anche dal ricorrente nella memoria del 12-13 novembre 2012 e nella replica del 15 novembre 2012) il danno patito per la mancata utilizzazione del terreno, riferito all’intero periodo di occupazione successiva alla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità  (15 novembre 2005), in € 115.924,92.
Acquisiti tutti i predetti elementi, nonchè le conclusioni delle parti trasfuse anche in apposite memorie, la causa è stata riservata per la decisione alla camera di consiglio del 29 novembre 2012.
2. Dev’essere innanzitutto rigettata l’istanza di sospensione del giudizio, ai sensi dell’articolo 295 del codice di procedura civile.
A prescindere dalla circostanza che il meccanismo, come invocato dall’Amministrazione municipale e dall’Acquedotto pugliese, pregiudicherebbe l’esecutività  di una sentenza di primo grado, mai sospesa in appello, ciò che non emerge dalla prospettazione delle parti è la considerazione complessiva della vicenda: il Comune di Rodi Garganico è stato condannato a restituire la particella 409, di proprietà  del signor Dattoli, e a risarcire il medesimo per l’abusiva occupazione del suolo, con sentenza n. 3402/2010, confermata in appello e passata in giudicato. L’Ente nè ha restituito il bene nè ha pagato alcuna somma a titolo di risarcimento; anzi, ha ritenuto di non doversi adeguare neppure ai criteri che erano stati fissati dal Giudice per la liquidazione ai sensi dell’articolo 35, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (e oggi dell’articolo 34, quarto comma, del codice del processo amministrativo). Perciò, in particolare, con la sentenza n. 924/2012, oltre a prendere atto delle inadempienze della parte resistente, è stato necessario disporre la verificazione per quantificare il risarcimento, profilo per il quale la discussione della causa è stata rinviata a quest’udienza.
In tale situazione quindi, non essendo peraltro agevole comprendere quale precisamente sia la questione di fatto o di diritto pregiudiziale all’esame del tuttora pendente ricorso in ottemperanza, le esigenze espresse nell’articolo 111 della Costituzione, per la cui realizzazione anche le parti dovrebbero cooperare, ai sensi dell’articolo 2, secondo comma, del codice del processo amministrativo, inducono alla reiezione della richiesta, in un contesto che già  ha registrato una serie di ritardi sia in sede procedimentale sia in sede processuale.
2.a. Per un più ordinato esame delle questioni, è opportuno riferirsi ai capi della sentenza n. 924/2012.
Ordine di restituzione del suolo di mq 2075, contrassegnato in catasto al foglio 5, p.lla 409, e di rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, in caso d’infruttuosa scadenza dei termini di 60 giorni per l’emanazione del provvedimento di acquisizione e di 15 giorni per la liquidazione dell’indennizzo
àˆ evidente da quanto permesso che i termini assegnati (espressamente “per scongiurare pericoli di dilazione”) al Comune di Rodi Garganico, al fine della regolarizzazione dell’assetto proprietario, sono tutti scaduti.
àˆ vero che non è stata fornita la prova della ricezione della sentenza 4 maggio 2012 n. 924 da parte del Comune di Rodi Garganico. àˆ però anche vero che tale prova spettava all’Amministrazione municipale inadempiente. Si deve infatti presumere che il medesimo Ente, avendo disposto l’acquisizione, con delibera consiliare 13 luglio 2012 n. 26, non abbia rispettato il termine di 60 giorni posto dalla pronuncia del TAR. Inoltre era stato concesso un ulteriore termine di 15 giorni, decorrente dall’atto di acquisizione. Anche in questo caso, il Comune non si è attenuto aldecisum, tant’è che non ha mai pagato alcun indennizzo nel lasso di tempo individuato in sentenza (quindi in concreto entro il 28 luglio 2012) e neppure successivamente ha versato o depositato alcuna somma fino alla data dell’odierna camera di consiglio.
Il Comune sembra ricostruire la vicenda (delibera consiliare 13 luglio 2012 n. 26 – punto 3 del dispositivo) come se si fosse ormai verificato l’effetto traslativo della proprietà , pur se in attesa del pagamento dell’indennità , in conformità  alle statuizioni della sentenza n. 924/2012.
Non considera però l’Amministrazione che non è tanto rilevante il mancato rispetto della sequenza e dei tempi delineati da questo Giudice quanto il fatto che non si è perfezionata la fattispecie produttiva del passaggio della proprietà  al Comune e che quindi, oggettivamente, il medesimo continui a occupare abusivamente il terreno del ricorrente, non producendo l’acquisizione ancora effetto, in virtù dell’espressa previsione dell’articolo 42 bis, quarto comma.
Di conseguenza, essendo rimasta immutata la situazione di diritto, deve essere reiterato l’ordine al Comune di Rodi Garganico e in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli di provvedere alla restituzione del suolo di mq 2075, contrassegnato in catasto al foglio 5, p.lla 409, e alla rimozione delle opere realizzate sui suddetti terreni, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza.
L’interessato peraltro ha anche domandato che, ai sensi dell’articolo 114, quarto comma, lettera e), del codice del processo amministrativo, il Tribunale stabilisca “la somma di denaro dovuta dal Comune per ogni giorno di ritardo oltre il termine finale, quanto meno nella somma di Euro 500,00 al giorno” (atto integrativo, pagine 14 e 15, punto 5).
Ai fini che qui rilevano, occorre solo ricordare che, secondo la giurisprudenza, detta misura assolve ad una finalità  sanzionatoria e non risarcitoria in quanto non mira a riparare il pregiudizio cagionato all’esecuzione della sentenza, ma vuole sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all’adempimento (Consiglio di Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011 n. 6688; 3 marzo 2012, n. 2547; T.A.R. Puglia, Bari, 26 gennaio 2012 n. 259; 24 maggio 2012 n. 1027).
D’altra parte è stato chiarito che non vi è incompatibilità  tra irrogazione di astreintes e richiesta di nomina di un commissario ad acta, pure avanzata dalla parte ricorrente (T.A.R. Lazio, Roma, 29 dicembre 2011 n. 1035; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 15 aprile 2011 n. 2162; Sez. VIII, 23 febbraio 2012, n. 959). Si tratta infatti di mezzi di tutela diversi perchè l’astreinte è un mezzo di coercizione indiretta (modello “compulsorio”), mentre la nomina del commissario ad acta, il quale provvede in luogo dell’amministrazione, comporta una misura attuativa del giudicato ispirata ad una logica del tutto differente, siccome volta non già  ad esercitare pressioni sull’amministrazione affinchè provveda, ma a nominare un diverso soggetto, tenuto a provvedere al posto della stessa (secondo un modello di “esecuzione surrogatoria”).
àˆ evidente che l’opzione per l’uno o per l’altro modello rientra nella disponibilità  della parte e, in mancanza di specifiche preclusioni normative, deve ritenersi ammissibile la richiesta al giudice amministrativo, tanto della nomina del commissario ad acta quanto dell’applicazione dell’astreinte, trattandosi di strumenti di tutela cumulabili e non incompatibili tra loro.
L’unico limite espressamente contemplato dall’art. 114 del codice processo amministrativo è rappresentato dal fatto che l’uso dell’astreinte non risulti “manifestamente iniquo, ovvero sussistano altre ragioni ostative”.
Nel caso in esame, a fronte dell’eventuale, ulteriore inerzia serbata dall’Ente locale successivamente alla scadenza del termine assegnato per l’ottemperanza, la pluralità  di strumenti di tutela richiesti dalla parte ricorrente consente di graduare le misure applicabili, tenendo conto delle circostanze della fattispecie concreta.
In dettaglio, si presta a positivo apprezzamento la richiesta di astreintes, sussistendo l’imprescindibile presupposto della richiesta di parte ricorrente, non ravvisandosi ragioni ostative e neppure profili di manifesta iniquità . L’attività  che l’Amministrazione dovrà  effettuare in ottemperanza alla sentenza consiste infatti nel porre riparo ad una situazione d’illegalità  che si protrae ormai da anni. Specificamente la declaratoria giudiziale dell’obbligo di provvedere alla restituzione risale poi alla sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, passata in giudicato.
In ogni caso non si ritiene di dover applicare le astreintes al periodo di tempo di 30 giorni fissato con la presente decisione per l’adempimento.
Tuttavia, in caso di perdurante inadempimento dell’Amministrazione, tali astreintes prenderanno a decorrere dallo spirare del termine di 30 giorni fissato ancora una volta per l’ottemperanza e, quindi, dal trentunesimo giorno dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza fino alla completa esecuzione delle pronunce intervenute inter partes.
Venendo al quantum, in applicazione dei parametri di cui all’art. 614 bis del codice di procedura civile, si deve reputare congrua, in ragione della gravità  dell’inadempimento, del valore della controversia, della natura della prestazione, dell’entità  del danno e delle altre circostanze, oggettive e soggettive, del caso concreto, la misura pari ad € 300,00 (trecento/00) in favore del ricorrente, da corrispondere per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza.
Dev’essere invece respinta l’istanza per la nomina del commissario ad acta.
Lo smantellamento dell’impianto di depurazione con i suoi accessori, lo sgombero dell’area e la regolarizzazione dei titoli di proprietà , con i relativi oneri pubblicitari, presuppone una precisa programmazione e una serie di verifiche relative sia agli aspetti tecnici sia ai costi, nonchè adempimenti preliminari, aspetti tutti per i quali non sono stati offerti elementi sufficienti per ritenere la questione, involgente profili di merito, rientranti nei poteri cognitivi del Giudice ai sensi dell’articolo 134, primo comma, lettera a), del codice del processo amministrativo, matura per la decisione.
Risarcimento del danno subito per effetto dell’occupazione senza titolo, meramente detentiva (dallo scadere del quinto anno dall’immissione in possesso in esecuzione del decreto di occupazione d’urgenza in data 15 novembre 2000)
Già  con la sentenza della prima Sezione 17 agosto 2010 n. 3402, l’Amministrazione municipale veniva condannata a pagare al ricorrente il ristoro derivante dall’illegittimo mancato godimento del bene.
Stabiliti i criteri di liquidazione, la sentenza affidava l’effettiva determinazione del quantum debeaturall’Amministrazione intimata.
Nella pronuncia del Consiglio di Stato, quarta sezione, 2 agosto 2011 n. 4590, poi, si suggeriva d’integrare tali criteri con quelli ricavabili dall’intervenuto articolo 42 bis del d.p.r. n. 327 del 2001.
La sentenza 4 maggio 2012 n. 924 constatava che l’Amministrazione municipale non solo non aveva pagato alcuna somma all’istante, ma anche aveva elaborato una stima di entità  molto inferiore al richiesto e soprattutto basata su metodi e criteri di apprezzamento del valore venale diversi da quelli stabiliti in sentenza.
Di conseguenza, avendo l’Ente calcolato direttamente il valore di mercato del terreno, applicando, quale sistema di stima, la comparazione con i prezzi dei suoli edificabili compravenduti – mentre il Tribunale aveva individuato il diverso criterio del “valore di trasformazione del suolo” – la pronuncia ha provveduto a tale quantificazione specifica, tramite verificazione.
Il verificatore, nel pieno rispetto del mandato conferitogli, ha stimato il danno per mancata utilizzazione del terreno riferito all’intero periodo di occupazione abusiva (e fino al 12 settembre 2012) pari a € 67.628,30.
Il ricorrente ha invero contestato tali conclusioni, perchè inferiori alle aspettative, ma senza riuscire a dimostrare nè che sia stato utilizzato un criterio diverso da quello del “valore di trasformazione del suolo”, nè che il ragionamento seguito nella relazione fosse inficiato da vizi logici.
In definitiva, il Comune di Rodi Garganico va condannato al pagamento, in favore del signor Dattoli, della somma di € 67.628,30, a titolo di risarcimento per la causale più volte richiamata.
A tale importo devono aggiungersi poi gli interessi legali per il ritardo nell’erogazione delle somme, da computarsi anno per anno (Cassazione, Sez. I, 29 ottobre 2008 n. 25983) sino al soddisfo.
Ovviamente, trattandosi d’illecito permanente, in caso di protrazione dell’abusiva occupazione, il ricorrente potrà  ottenere il relativo, ulteriore ristoro.
Dato l’esito della causa, le spese di lite devono essere poste a carico delle parti soccombenti, nella misura in cui il dispositivo, che tiene conto dei criteri di cui al decreto ministeriale 20 luglio 2012 n. 120.
Sul Comune di Rodi Garganico grava inoltre il pagamento delle spese di verificazione, ammontanti a € 1.669,74, da effettuare entro 15 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, con l’utilizzo delle modalità  indicate nella specifica del 12-14 settembre 2012.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’ottemperanza alla sentenza del T.A.R. Puglia, 17 agosto 2010 n. 3402, resa inter partes dalla prima Sezione, nei limti, nei tempi e nei modi in cui motivazione.
Condanna inoltre, ai sensi dell’articolo 114, quarto comma, lettera e), del codice del processo amministrativo, il Comune di Rodi Garganico al pagamento di € 300,00 (trecento/00) in favore del ricorrente, da corrispondere per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza, come specificato in motivazione.
Condanna, in solido, al pagamento delle spese di lite in favore del signor Antonio Pio Salvatore Dattoli il Comune di Rodi Garganico, nella misura di € 4.000,00 (quattromila/00), e l’Acquedotto Pugliese S.p.A., nella misura di € 2.000,00 (duemila/00), per un totale di € 6.000,00 (seimila/00), oltre CU, CPI e IVA, come per legge.
Condanna il Comune di Rodi Garganico al pagamento delle spese di verificazione, nella misura di € 1.669,74, da effettuare entro 15 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, con l’utilizzo delle modalità  indicate nella specifica del 12-14 settembre 2012.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Dispone che copia della presente sentenza, a cura della Segreteria, sia trasmessa alla Procura regionale della Corte dei conti.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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