1. Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Vincoli urbanistici – Decadenza – Zona bianca – Varianti – Effetti 


2. Risarcimento del danno – Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Varianti – Tipizzazione urbanistica – Danno da ritardo – Legittimazione passiva 


3. Risarcimento del danno – Danno da ritardo – Prescrizione 


4. Risarcimento del danno – Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Vincoli urbanistici – Decadenza – Zona bianca – Varianti – Tipizzazione urbanistica – Danno da ritardo – Lucro cessante – Prova – Onus probandi 


5. Risarcimento del danno – Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Vincoli urbanistici – Decadenza – Zona bianca – Varianti – Tipizzazione urbanistica – Danno da ritardo – Danno emergente – Liquidazione in via equitativa

1. Le varianti c.d. normative al P.R.G. non producono effetti sulla zonizzazione, nè tantomeno su quella parte dello strumento urbanistico che, a causa dell’inerzia della p.A. nell’adozione del provvedimento di ritipizzazione a seguito di decadenza del vincolo di destinazione a verde pubblico, sia priva di conformazione urbanistica siccome degradata ad “area bianca” secondo il disposto dell’art. 4, ult. comma L. n. 10/1977. 


2. La Regione ed il Comune sono entrambi legittimati passivi all’azione di risarcimento dei danni cagionati dal ritardo nell’approvazione di una variante di ritipizzazione al P.R.G. Infatti, sia la Regione che il Comune – proprio perchè titolari del potere di adozione e approvazione del P.R.G. – possono in astratto concorrere nel cagionare danni da ritardo, omettendo gli atti di propria competenza. 


3. L’inerzia della p.A. nel provvedere, ove sia lesiva di beni cui l’ordinamento accorda tutela, oltre che essere illegittima, costituisce un comportamento illecito di carattere permanente i cui effetti lesivi si producono e si aggravano fino all’adozione dell’atto dovuto. Per tale ragione, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre solo dal momento della cessazione dell’illecito e, dunque, dall’adozione del provvedimento omesso. 


4. Ai fini dell’accertamento e della quantificazione del danno da omessa adozione ed approvazione di una variante di ritipizzazione del P.R.G. (a seguito di accertata decadenza di un vincolo di destinazione a verde pubblico), il lucro cessante, derivante dal mancato incremento di valore dell’immobile ovvero dalla mancata redditività  degli edifici residenziali che si sarebbero potuti realizzare, è risarcibile nella misura in cui sia dimostrato secondo un criterio di regolarità  causale o logico-razionale rigorosamente sorvegliato o, infine, di preponderanza dell’evidenza. A tal fine, il ricorrente è gravato dell’onere di provare che il mancato incremento di valore dell’area sia derivato, con maggiore probabilità , dall’inerzia dell’Amministrazione, che non da altre plausibili cause concorrenti, quali l’indisponibilità  di risorse materiali. 


5. Ai fini della quantificazione del danno da omessa adozione ed approvazione di una variante di ritipizzazione del P.R.G. (a seguito di accertata decadenza di un vincolo di destinazione a verde pubblico), il danno emergente può essere liquidato in via equitativa in un importo pari alla differenza tra il valore di mercato che il suolo aveva dalla data in cui si è formato il silenzio inadempimento e quello che avrebbe avuto se a quella stessa data fosse stato sottoposto alla destinazione poi impressa dai dovuti provvedimenti di adozione ed approvazione della variante. Al suddetto importo va poi applicato il saggio di rendimento dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi, corrispondente ai periodi di permanenza dell’illecito; trattandosi di debito di valore, inoltre, sulla somma annualmente rivalutata, in funzione ripristinatoria del valore del credito, devono essere calcolati anno per anno gli interessi in misura legale che hanno, invece, funzione compensativa del mancato godimento.

N. 01149/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01397/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1397 del 2012, proposto da: 
Giuseppe Dachille, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio L. Deramo, con domicilio eletto presso Antonio L. Deramo in Bari, via F.S. Abbrescia, n. 83/B; 

contro
Regione Puglia, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso Anna Bucci, in Bari, via Nazario Sauro n. 33; Comune di Bari, rappresentato e difeso dall’avv. Chiara Lonero Baldassarra, con domicilio eletto presso Chiara Lonero Baldassarra, in Bari, via P. Amedeo n. 26; 

per l’annullamento
della delibera n. 1257 del 19 giugno 2012 della Giunta regionale della Regione Puglia avente ad oggetto il diniego di approvazione della variante al p.r.g. del Comune di Bari, nonchè per
il risarcimento dei danni;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia e del Comune di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2014 la dott.ssa Maria Colagrande;
Uditi per le parti i difensori Antonio L. Deramo, Chiara Lonero Baldassarra e Anna Bucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Il ricorrente lamenta la lesione del suo diritto di proprietà  sul suolo censito nel catasto del Comune di Bari al foglio 15A particella 461, di estensione pari a 3.300 mq, già  destinato a verde pubblico di tipo A – parco urbano, dal PRG del 1976.
Con ricorso del 21 maggio 1997 chiedeva e otteneva dal Tar Puglia (sentenza 916/01) l’accertamento della illegittimità  del silenzio serbato dall’amministrazione sulle istanze del 7.3.1997 e 10.4.1997 da esso ricorrente avanzate per la ritipizzazione del suolo essendo ormai decaduto il vincolo di destinazione a verde pubblico.
Permanendo l’inerzia del Comune a ciò provvedeva il Commissario ad acta che, verificata la sovrabbondanza nel territorio comunale di aree destinate a verde urbano, qualificava l’area come “zona residenziale di espansione C4”, benchè nè le NTA, nè il PRG contemplassero tale conformazione urbanistica.
Il ricorrente adiva nuovamente il Tar che annullava la delibera commissariale con sentenza n. 4011/2006 confermata, poi dal Consiglio di Stato.
Seguivano ulteriori diffide del ricorrente e il Comune, solo in data 17.2.2011 con delibera consiliare n. 8/ 2011 imprimeva all’area la destinazione ad area di espansione residenziale C3.
La Giunta regionale con delibera n. 1257 del 19 giugno 2012 decideva di non approvare la variante ritenendo la ritipizzazione ingiustificata, sotto il profilo dell’interesse generale, considerato che le zone destinate a verde pubblico di tipo A, dall’entrata in vigore della variante normativa al PRG, approvato con DGR n. 2415 del 10 dicembre 2008, non sono gravate da un vincolo espropriativo in quanto possono essere oggetto di intervento privato.
Con il ricorso in decisione il ricorrente impugna la delibera della Giunta regionale gli altri atti indicati in epigrafe e chiede il risarcimento dei danni per il mancato sfruttamento edilizio e commerciale del suolo che da quindici anni attende di poter utilizzare per interventi di edilizia residenziale privata e ne quantifica l’importo in € 2.137.583, per danni decorrenti dal 2001 derivanti dal mancato incremento del valore immobiliare e dalla mancata redditività  degli edifici residenziali che avrebbe potuto realizzare, in subordine ne chiede la stima in via equitativa.
Con unico e articolato motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 2 l. 1187/68, 9 comma 2 d.P.R. 327/01, dei principi generali in tema di decadenza dei vincoli espropriativi e di efficacia del giudicato e dei principi generali in tema di irretroattività  degli atti amministrativi; violazione dell’art. 7 l. 1150/42, dell’art. 9 l.r. Puglia 20/2001 dell’art. 3 l. 241790 per motivazione apparente e pretestuosa; violazione dell’art. 42 cost. e dell’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU; eccesso di potere per difetto di presupposto e per travisamento, nonchè per istruttoria carente e per ingiustizia manifesta.
La decisione della Regione sarebbe in contrasto con il giudicato – TAR Bari n. 96/2001 -che ha sancito l’obbligo del Comune di ritipizzare il suolo di proprietà  del ricorrente, ormai privo di conformazione urbanistica, essendo ormai decaduto il vincolo espropriativo ad esso impresso, nè la variante normativa al PRG approvata con DGR n. 2415/08, che ha modificato l’art. 31 delle NTA del PRG abilitando i privati ad eseguire interventi edilizi su aree a verde pubblico, può dispiegare effetti retroattivi e far rivivere il vincolo dichiarato decaduto con sentenza definitiva.
Il diniego della Regione si risolverebbe pertanto in una espropriazione di fatto ai danni del ricorrente.
Resistono il Comune e la Regione ed entrambi eccepiscono la prescrizione del diritto al risarcimento per decorso del termine quinquennale e comunque ne contestano l’ammontare.
La Regione eccepisce, in particolare, la carenza di interesse al ricorso perchè il ricorrente non ha impugnato la variante normativa al PRG approvata con DRG n. 2415/08 e il proprio difetto di legittimazione passiva, con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni da ritardo nella ritipizzazione dell’area, essendo intervenuta nel procedimento solo a giugno 2012.
Con memoria il ricorrente ha eccepito la tardività  dell’eccezione di prescrizione perchè sollevata oltre il termine stabilito dall’art. 46 c.p.a.
Durante il giudizio la Regione con delibera della Giunta n. 2201 del 26 novembre 2013 ha approvato con prescrizioni (adozione di un piano attuativo comprensivo di aree per servizi) , la variante al PRG adottata con delibera del Consiglio del Comune di Bari n. 8/2011 avente ad oggetto la ritipizzazione del suolo del ricorrente in zona C3.
All’udienza del 16 luglio il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
1) L’eccezione di inammissibilità  per carenza di interesse sollevata dalla Regione – perchè il ricorrente non avrebbe impugnato la variante normativa al PRG approvata con DRG n. 2415/08 – non è fondata.
Infatti tale delibera ha ad oggetto esclusivamente la modifica di alcuni articoli delle NTA del PRG – fra i quali l’art. 31 che riguarda le aree destinate a verde pubblico.
Ciò vuol dire che la variante normativa, in quanto tale, non ha interessato le precedenti zonizzazioni e localizzazioni del territorio comunale stabilite dal PRG.
Dunque il suolo del ricorrente, non solo non è stato ritipizzato dalla predetta variante, ma ha mantenuto, fino all’adozione delle delibera del Comune, che lo ha destinato all’edilizia residenziale privata, la consistenza di “zona bianca” per decadenza del vincolo, come accertato da questo Tribunale con sentenza definitiva n. 916/2001.
Ne consegue allora che il ricorrente non aveva l’interesse, nè l’onere di impugnare la variante normativa che si riferiva a zone già  tipizzate a verde pubblico dallo strumento generale, fra le quali non figurava più il suo terreno in attesa di essere ritipizzato.
2) Venendo al merito, l’interesse alla decisione sulla domanda di annullamento della delibera di GR n. 1257/2012 risulta superato dal sopravvenire, in corso di giudizio, della delibera della Giunta regionale n. 2201/2013 che ha approvato con prescrizioni la variante di ritipizzazione del suolo adottata dal Comune.
Sul punto le parti costituite convengono che sia cessata la materia del contendere.
Ciò non esime tuttavia il Collegio dall’accertamento in via incidentale della illegittimità  della delibera della GR che ha negato l’approvazione della variante speciale di ritipizzazione, avendo il ricorrente spiegato domanda di risarcimento del danno da ritardo nell’adozione e approvazione della variante, con condanna sia del Comune che della Regione.
Sul punto, occorre ribadire che al tempo dell’adozione della variante del 2008 l’area del ricorrente, dopo la scadenza del vincolo a verde pubblico, aveva acquistato ex lege la qualifica di “zona bianca” come accertato con giudicato di questo Tribunale.
Pertanto la modifica, per mezzo di detta variante, dell’art. 31 delle NTA che ammette l’intervento privato sulle zone destinate a verde pubblico, non riguarda il suolo, diversamente classificato, del ricorrente e neppure ne implica una ritipizzazione a verde, perchè, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, le varianti normative non producono effetti sulla zonizzazione del PRG e per quanto di rilievo in causa, sulla parte di esso che, a causa dell’inerzia nell’adottare il provvedimento di ritipizzazione, è priva di conformazione urbanistica siccome degradata ad “area bianca” secondo il disposto dell’art. 4 ultimo comma della L. n. 10/1977.
Ne consegue che la motivazione opposta dalla Regione alla ritipizzazione a zona residenziale dell’area del ricorrente adottata dal Comune, secondo la quale detta variante sarebbe ingiustificata, essendo venuta meno la natura espropriativa del vincolo a verde pubblico, che ammette l’intervento privato sulle aree a ciò destinate, postula erroneamente l’immanenza di detto vincolo sull’area del ricorrente, benchè, come detto, esso fosse da tempo decaduto, e non risulti altrimenti reiterato da alcuno strumento urbanistico, men che meno dalla variante normativa del 2008
Sotto tale profilo si rivelano dunque fondate le censure secondo le quali la delibera della Giunta regionale, nel ritenere ancora esistente un vincolo ormai decaduto, è elusiva del giudicato, che al contrario ne ha sancito la decadenza, e concorre a perpetuare una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà  del ricorrente paralizzando il procedimento con il quale il Comune lo ha destinato ad edilizia residenziale privata.
3) Accertata l’illegittimità  della delibera della Giunta regionale e venendo alla domanda di risarcimento del danno da ritardo occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Regione sul presupposto che questo sia derivato solo dal comportamento inerte del Comune.
3.1. E’ noto che la legittimazione attiva o passiva all’azione postula che la posizione in concreto assunta nel rapporto dedotto in giudizio dalle parti, sia congruente con il corrispondente modello normativo che risulta dalla prospettazione della domanda.
La Regione è stata evocata in giudizio, anche ai fini del risarcimento dei danni, in quanto il PRG è un atto complesso imputabile congiuntamente alla sua volontà  e a quella del Comune, con la conseguenza che l’inerzia nell’approvazione della variante di ritipizzazione sarebbe in astratto imputabile ad entrambi.
Ciò vuol dire che sia la Regione sia il Comune – proprio perchè titolari del potere di adozione e approvazione del PRG – possono in astratto concorrere nel cagionare danni da ritardo, omettendo gli atti di propria competenza.
Sussiste dunque la legittimazione passiva di entrambi all’azione di risarcimento danni, mentre l’accertamento sul se la Regione abbia, in concreto, dato causa al ritardo è questione che deve essere accertata nel merito, non prima tuttavia di aver esaminato pregiudizialmente l’eccezione di prescrizione ritualmente sollevata da entrambe le parti resistenti all’atto della costituzione, non essendo previste dall’art. 46 c.p.a. preclusioni o decadenze, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente.
3.2. In linea di principio occorre premettere che l’inerzia nel provvedere, ove sia lesiva di beni cui l’ordinamento accorda tutela, oltre che essere illegittima, costituisce un comportamento illecito di carattere permanente – ritenuto dalla giurisprudenza risarcibile, prima ancora dell’introduzione dell’art. 2-bis della l. 241/90 (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 11/12/2001, n. 5419) – i cui effetti lesivi si producono e si aggravano fino all’adozione dell’atto dovuto.
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre pertanto solo dal momento della cessazione dell’illecito e quindi l’eccezione di prescrizione deve essere respinta perchè infondata (Consiglio di Stato, sez. V, 30/09/2009, n. 5899).
3.3.Venendo al merito della domanda risarcitoria occorre osservare che il diritto del ricorrente ad ottenere la ritipizzazione dell’area riposa sul giudicato della sentenza n. 916/01 di questo Tribunale che ha accertato l’illegittimità  del silenzio del Comune serbato sulle istanze del ricorrente del 7.3.1997 e 10.4.1997, cui ha fatto seguito l’inerzia nel provvedere protrattasi oltre ogni ragionevole termine a provvedere decorrente dall’istanza del privato.
Il bene della vita di cui è stato privato il ricorrente per tutto il tempo di durata dell’inerzia non è solo la certezza sulla effettiva possibilità  di adeguata e razionale utilizzazione della proprietà  (Cassazione civile, Sez. Un., 06/05/2009, n. 10362), ma anche lo ius aedificandi derivante dalla destinazione residenziale attribuita al fondo con circa sedici anni di ritardo a far data dalle relative istanze.
Sussiste quindi il nesso di imputazione oggettiva fra l’inerzia dell’amministrazione e la lesione subita, ossia l’impossibilità  per il ricorrente di sfruttare il fondo come edificabile, poichè è certo, avendo questi ottenuto tale risultato in corso di causa, che il fondo avrebbe potuto essere ritipizzato con destinazione a edilizia residenziale privata.
Inoltre deve ritenersi che tale possibilità  non sia mai venuta meno nell’intervallo temporale fra lo scadere del termine a provvedere e l’adozione della variante speciale, in mancanza di prova contraria che il Comune avrebbe dovuto allegare, sia perchè versava in re illicita, sia per il principio di vicinanza della prova derivante dalla titolarità  in capo ad esso del potere pianificatorio, sia perchè la variante del 2008 al PRG adottata medio tempore, come detto dianzi, non ha riguardato il regime urbanistico del territorio e, per quanto di rilievo ai fini del decidere, del suolo del ricorrente, ma ha modificato solo alcune NTA .
Sul versante dell’imputazione soggettiva della lesione, ricorre senz’altro quanto meno la colpa dell’amministrazione nel serbare un’inerzia – tanto ingiustificata, quanto duratura – nel compiere un atto dovuto di ordinaria amministrazione, quale l’adozione di una variante speciale, assunta con anni di ritardo durante i quali il ricorrente è stato costretto a promuovere tre giudizi – il primo dei quali contra silentium si era concluso con l’accertamento dell’illegittimità  del ritardo – e a resistere ad un appello per ottenere quanto di ragione.
Peraltro il Comune non ha provato che l’inerzia serbata anche dopo la declaratoria dell’obbligo di provvedere sia derivata da errore scusabile (v. Consiglio di Stato n. 482/2012), nè lo esime da alcuna responsabilità  il fatto che nel periodo considerato il procedimento di ritipizzazione sia stato condotto da un Commissario ad acta che ha adottato atti poi annullati, in quanto è consolidato in giurisprudenza l’indirizzo secondo il quale l’amministrazione può sempre adottare gli atti di propria competenza nonostante la nomina di un Commissarioad acta,.
3.4 Accertato dunque che la lesione del bene della vita (interesse alla ritipizzazione edificatoria dell’immobile) c’è stata ed è imputabile oggettivamente e soggettivamente alla condotta omissiva del Comune, occorre accertare se a tanto abbia dato causa anche il comportamento della Regione e infine se ne è derivato un danno (conseguenza) risarcibile.
Sotto il primo profilo l’accertamento della illegittimità  della delibera della G.R. n. 1257 del 19 giugno 2012 costituisce, in linea di principio, titolo di responsabilità  concorrente nella produzione del danno secondo i criteri stabiliti dall’art. 2055 c.c.
Sussiste inoltre l’elemento soggettivo della colpa poichè la delibera del Consiglio comunale avente ad oggetto la ritipizzazione del suolo del ricorrente, approdata all’esame della Regione a giugno 2012, conteneva già  tutti gli elementi poi presi in considerazione nella delibera 2201/2013 dalla Regione per ritirare la precedente delibera di diniego, prima fra tutti la circostanza che il vincolo a verde pubblico, apposto dal PRG sul suolo del ricorrente e ritenuto ostativo all’approvazione della ritipizzazione adottata dal Comune, era già  definitivamente decaduto sin dal 1981.
In concreto essendo stata detta delibera ritirata in autotutela con la successiva delibera n. 2201 del 26.11.2013 il contributo causale della Regione appare effettivamente limitato, avendo approvato la variante poco più di un anno dopo l’illegittimo diniego a fronte di un’inerzia del Comune durata oltre 14 anni.
3.5 Passando all’accertamento del danno da omessa attività  amministrativa occorre osservare che nel caso in decisione la perdita subita o danno emergente, ai sensi dell’art. 1223 c.c., consiste nel fatto che il ricorrente non ha potuto disporre, per circa 16 anni, di una utilità  certa e non solo sperata, che poi gli è stata attribuita definitivamente con la delibera di G.R. 2201/2013, senza che nulla fosse cambiato nelle circostanze di fatto rappresentate nelle istanze di ritipizzazione del 1997.
Occorre dunque quantificare il danno corrispondente alla impossibilità  di fruire detta utilità  per il tempo che come richiesto dal ricorrente, decorre dal 2001, cioè dall’accertamento della illegittimità  del silenzio, alla ritipizzazione dell’area.
Il ricorrente ha chiesto il risarcimento per il mancato incremento di valore che l’immobile avrebbe conseguito se avesse potuto realizzare, come era sua intenzione, tutta la cubatura esprimibile dal lotto, stimata in 1.620 mc per un valore capitale di € 1.500.000 al netto del costo di costruzione, nonchè per la mancata redditività  degli edifici residenziali che avrebbe realizzato calcolata dal 2003 al 2012, per un totale complessivo, al netto delle spese di manutenzione, di € 637.583.
Si tratta in entrambi i casi con tutta evidenza di danno da lucro cessante mediato dalla perdita temporanea del bene della vita cui legittimamente il ricorrente poteva aspirare, ossia la destinazione edificabile del fondo, danno che è risarcibile solo se certo ed attuale, cioè derivante, secondo un criterio di regolarità  causale, dal mancato conseguimento della edificabilità  del suolo.
In via controfattuale e ragionando per ipotesi – perchè ricorre non un’attività  produttiva di un evento ma di un’omissione che ha impedito il realizzarsi di un evento favorevole – ai fini del riconoscimento del danno da mancato incremento di valore, dovrebbe ammettersi, secondo un criterio logico razionale (è certo che il complesso edilizio sarebbe stato realizzato) o di preponderanza dell’evidenza (è più probabile che il complesso edilizio sarebbe stato realizzato che non il contrario) che il ricorrente, se avesse ottenuto la ritipizzazione del suolo avrebbe realizzato il complesso edilizio e quindi incrementato il valore dell’immobile e che tale possibilità  gli è definitivamente preclusa, tanto da poter oggi pretendere l’equivalente monetario del lucro cessante.
Innanzitutto è certo che il ricorrente, ancorchè con notevole ritardo, oggi invece è in condizione di realizzare l’intervento edilizio – dipende cioè solo dalla sua iniziativa la possibilità  di incrementare il suo patrimonio – e già  tale circostanza esclude che possa pretenderne l’equivalente pecuniario.
Inoltre il ricorrente non ha allegato, nè provato che poteva disporre illo tempore, anche mediante accesso al credito, delle risorse, stimate in € 250.000, per realizzare l’investimento.
Ciò vuol dire che non risulta provato da parte del ricorrente, gravato del relativo onere, che il mancato incremento di valore dell’area sia derivato, con maggiore probabilità , dall’inerzia dell’amministrazione, che non da altre plausibili cause concorrenti, quali l’indisponibilità  di risorse materiali.
Per conseguenza neppure può ritenersi sussistere il danno da mancata redditività  degli immobili che postula sia dimostrato il fatto che il ricorrente li avrebbe realizzati, se solo l’immobile fosse stato destinato a uso edificatorio.
3.6 Esclusa la possibilità  di risarcire il danno da lucro cessante, così come quantificato dal ricorrente, del quale non risulta provata l’esistenza secondo un criterio di regolarità  causale o logico – razionale rigorosamente sorvegliato o infine di preponderanza dell’evidenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 12/02/2014, n. 674), occorre verificare la possibilità  di liquidare secondo equità  il danno emergente – la cui esistenza al contrario risulta provata in via controfattuale essendosi verificato l’evento sperato (ritipizzazione), sia pure con ritardo – come richiesto dal ricorrente in via gradata.
Inoltre il ricorrente, che ha domandato il risarcimento del danno anche in via equitativa, senza limitarne la descrizione a singole componenti, si duole della sostanziale espropriazione del fondo a causa della ritardata destinazione urbanistica ad uso residenziale del suolo, cioè della perdita – danno emergente – che il suo patrimonio ha subito, potendo pretendere illo tempore proprio la ritipizzazione dell’area ad uso edificabile, che poi ha ottenuto, ma con enorme ritardo.
Infatti, scaduto il vincolo a verde pubblico, il suolo del ricorrente è rimasto attratto al regime di sostanziale inedificabilità  assoluta delle zone bianche previsto dall’art. 4 ultimo comma della l. n. 77/1978 (Consiglio di Stato, sez. IV, 04/05/2011, n. 2680) per nulla dissimile dalla precedente condizione che ne aveva precluso o limitato fortemente le possibilità  di scambio.
Ne consegue, stante la identità  delle situazioni descritte, che se la reiterazione, pur legittima, di un vincolo di inedificabilità  è ritenuta un pregiudizio non tollerabile dal singolo nel rispetto dell’art. 42 Cost., comma 3, tanto da imporne il ristoro mediante indennizzo ai sensi dell’art 39 d.lg. 327/01, lo stesso trattamento deve riconoscersi per il pregiudizio conseguente al comportamento riconosciuto illegittimo dell’amministrazione che ha di fatto escluso l’area da qualsiasi pianificazione urbanistica (in termini Cassazione civile, sez. I 9 aprile 2010 n. 8530).
3.7. Appare allora conforme ai principi generali in materia di tutela della proprietà  elaborati dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria liquidare il risarcimento del danno in misura pari al mancato godimento dell’importo pecuniario corrispondente alla differenza tra il valore di mercato che il suolo aveva dalla data in cui si è formato il silenzio inadempimento e quello che avrebbe avuto se a quella stessa data avesse avuto la destinazione ad esso impressa dalla delibera del Consiglio comunale n. 8/2011, approvata dalla Regione con delibera della Giunta n. 2201/2013.
Il danno da mancato godimento del maggior valore pecuniario dell’immobile può essere equitativamente stimato in misura pari alla somma risultante dall’applicazione a detto valore del saggio di rendimento dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi, corrispondente ai relativi periodi.
In applicazione dei principi generali in tema di responsabilità  per fatto illecito la somma così calcolata deve essere rivalutata per effetto e nella misura della perdita di valore della moneta nel periodo compreso tra la data dell’illecito e quella dell’attribuzione della corrispondente utilità , coincidente con l’approvazione della variante da parte della Regione oltre gli interessi, da calcolarsi nella misura legale, anno per anno, sulle somme via via rivalutate (Cass. 16894/2010; 16637/2008;7891/2007; sez. un. 1712/1995).
Più nel dettaglio, e in applicazione dell’art. 34 comma 4 del c.p.a., le Amministrazioni convenute dovranno proporre al ricorrente, nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza, il pagamento della somma risultante dall’applicazione dei seguenti criteri:
a) il termine iniziale dell’illecito risarcibile decorre, come accertato da Tar Bari n. 916/2001, dal trentesimo giorno successivo all’istanza del ricorrente del 10.4.1997 di riqualificazione della sua proprietà , mentre il termine di cessazione dell’illecito coincide con l’adozione della delibera della Regione Puglia n. 2201 del 26.11.2013;
b) l’importo dovuto a titolo risarcitorio è liquidato applicando il saggio di rendimento dei titoli di Stato con scadenza non superiore a 12 mesi, corrispondente ai relativi periodi, all’importo risultante dalla differenza tra il valore che l’immobile aveva con la destinazione a verde pubblico di tipo A e quello che avrebbe avuto alla data della formazione del silenzio se avesse avuto, a quella data, la destinazione urbanistica attribuitagli dalla delibera del Consiglio comunale n. 8/2011, poi approvata dalla Regione con delibera della Giunta n. 2201/2013;
c) trattandosi di debito di valore, sulla somma annualmente rivalutata (funzione ripristinatoria del valore del credito) devono essere calcolati anno per anno gli interessi in misura legale che hanno funzione compensativa del mancato godimento (Cassazione civile, sez. I 06/10/2005 n. 19510, Cass. SS.UU. n. 1712/1995);
Le somme così liquidate vanno poste a carico del Comune dalla data di formazione del silenzio alla data di adozione della variante speciale con delibera consiliare n. 8/2011 e a carico della Regione dalla data di avvio del procedimento di propria competenza alla data di adozione della delibera di G.R. n. 2201/2013, essendo riferibile solo a tale periodo il concorso della Regione nella lesione dell’interesse del ricorrente.
Le spese sono in parte compensate nei confronti della Regione, in considerazione del contegno tenuto durante il giudizio e del limitato contributo causale che la Regione ha avuto nella vicenda, e in parte sono poste carico del Comune.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
Dichiara cessata la materia del contendere, limitatamente alla domanda di annullamento della delibera della Giunta regionale n. 1257 del 19.6.2013;
Accerta, ex art. 34, c. 3 c.p.a., l’illegittimità  della delibera della Giunta regionale n. 1257 del 19.6.2013 e, per l’effetto, condanna il Comune e la Regione al risarcimento del danno in favore di Giuseppe Dachille da liquidarsi e ripartirsi secondo i criteri indicati in motivazione;
Compensa in parte le spese nei confronti della Regione Puglia e pone la parte restante, che liquida complessivi € 2000 oltre accessori come per legge, a carico del Comune di Bari.
Contributo unificato rifuso, ai sensi dell’art. 13 comma 6 bis.1 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, con onere a carico del Comune di Bari.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Maria Colagrande, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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