p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 18.0px ‘Times New Roman’}

1. Ambiente ed ecologia – Inquinamento ambientale – Sito inquinato –  Intervento di messa in sicurezza operativa – Insufficienza – Conseguenze – Fattispecie 


2. Ambiente ed ecologia –  Principio chi inquina paga – Responsabilità  dell’inquinamento – Nesso causale – Individuazione – Applicazione  – Principio del più probabile che non – Fattispecie

3. Ambiente ed ecologia – Inquinamento ambientale – Misure di tutela ambientale – Principio di proporzionalità  e ragionevolezza – Discrezionalità  tecnica – Insindacabilità    

p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 18.0px ‘Times New Roman’}

1. Per il principio di inesauribilità  dell’onere di cura dell’interesse pubblico primario ambientale, la facoltà  di intervento spontaneo da parte del proprietario nel procedimento di bonifica prevista dall’art. 242 del d. lgs. 152/2006 e la conseguente approvazione del progetto contenente le misure di messa in sicurezza operativa dell’area oggetto di monitoraggio e controllo ambientale non assorbono i  poteri di ordinanza di  bonifica dei siti inquinati attribuiti dall’ordinamento alla Provincia: ciò implica che legittimamente l’ente esercita la sua funzione di tutela ambientale ordinando la messa in sicurezza del sito laddove le misure di sicurezza approvate soltanto a scopo preventivo non risultino sufficienti, a seguito di adeguate indagini ambientali svolte dagli enti preposti,  a garantire la tutela  ambientale dei luoghi (nella specie il progetto MISO proposto dal privato, ai sensi dell’art. 242 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152  non si era esteso anche alla falda sul presupposto di una totale assenza di ruolo e contributo diretto sulle acque sotterranee che passavano sotto il sito senza alcuna modifica o interazione, se non subendo un filtro naturale che ne abbatteva in parte le concentrazioni. Ciò ha determinato che già  in sede di conferenza di servizi per l’approvazione del “MISO suolo” la Provincia esercitasse i poteri di controllo per la bonifica del sito, ritenuto già  inquinato, chiedendo  l’approvazione del “MISO falda”). 

2. In materia di responsabilità  ambientale  il principio comunitario “chi inquina paga” comporta che la riconducibilità   della condotta determinante l’evento inquinante al responsabile obbligato alla bonifica del sito avvenga secondo  ragionevoli presunzioni e condivisibili massime di esperienza, in applicazione del principio civilistico del più probabile che non, secondo cui l’individuazione del nesso causale è determinata da un grado di probabilità  maggiore della metà  non già  dalla ragionevole certezza che informa, invece l’individuazione della responsabilità  penale. A tal fine sono considerati indizi plausibili la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate durante il monitoraggio e controllo del sito e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della sua attività , salvo che l’agente sia in grado di fornire una prova contraria inequivocabile e oggettiva (nella specie, dall’istruttoria effettuata dall’ARPA e ASL era emerso che il cessionario dello  stabilimento produttivo di fertilizzanti aveva acquistato l’impianto a basso costo assumendo l’obbligo di intervenire con la bonifica del sito, mai effettuata; il ritrovamento di acido solforico in falda non poteva che essere riconducibile alla produzione attuale incentrata su fertilizzanti ricavati dall’acido solforico come materia prima in quanto dalla documentazione emergeva che il precedente proprietario aveva dismesso  la produzione di acido solforico sin dal 1982).

3. L’ordine di  bonifica del sito inquinato a carico del proprietario di uno stabilimento che causa inquinamento non è attinto da violazione del principio di proporzionalità  e ragionevolezza se risulta emanato all’esito di un’istruttoria derivata da valutazioni tecniche dei competenti organi preposti alle indagini ambientali relative allo stato di inquinamento (ARPA e ASL), che, in quanto connotate da discrezionalità  tecnica, per un verso non sono opinabili da parte dell’autorità  che emana l’ordinanza di bonifica (la Provincia), per l’altro non sono suscettibili di sindacato giurisdizionale. 

Pubblicato il 06/04/2017
N. 00346/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01418/2015 REG.RIC.
logo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1418 del 2015, proposto da:
Timac Agro Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Bruno, Marco Giustiniani e Matteo Benozzo, con domicilio eletto presso Angelo Bracciodieta, in Bari, via Principe Amedeo 82/A;

contro
Provincia di Barletta Andria Trani, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Felice Ingravalle, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bari, Corso Vittorio Emanuele 185; 
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Puglia, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Laura Chiapperini, con domicilio eletto presso il suo ufficio, in Bari, Corso Trieste 27; 
Comune di Barletta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Caruso e Luigi D’Ambrosio, con domicilio eletto presso Luigi D’Ambrosio, in Bari, Piazza Garibaldi 23; 
Azienda Sanitaria Locale Barletta Andria Trani, non costituita in giudizio; 
Regione Puglia, non costituita in giudizio;

per l’annullamento
– dell’ordinanza n. 3 del 13 agosto 2015 (prot. n. 36989-15) emessa dalla Provincia di Barletta-Andria-Trani;
– dell’ordinanza n. 4 del 23 settembre 2015 (prot. n. 42136-15 del 24 settembre 2015) emessa dalla Provincia di Barletta-Andria-Trani;
– del parere dell’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente – Arpa Puglia, Dipartimento provinciale di BAT prot. n. 35466 del 23.6.2015;
– degli ulteriori atti meglio individuati a pag.2 del ricorso;
– nonchè di ogni altro atto, anche se allo stato non conosciuto ovvero citato, che abbia concorso a determinare i provvedimenti opposti.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Barletta Andria Trani, della Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Puglia e del Comune di Barletta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2017 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 30.10.2015 e depositato in Segreteria in data 11.11.2015, la società  Timac Agro Italia S.p.A. (d’ora in poi, “Timac”) adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere la pronuncia meglio indicata in oggetto.
La ricorrente, società  commerciale attiva nella produzione di fertilizzanti per l’agricoltura, acquistava agli inizi del 2001 per cessione di ramo d’azienda uno stabilimento sito nella Provincia di Barletta-Andria-Trani (d’ora in poi, “Provincia”) dalla Hydro Agri Italia S.p.A., a sua volta precedentemente cessionaria dalla Agricoltura S.p.A. in liquidazione.
Acquistato l’impianto, la società  veniva in possesso, inter alia, di uno studio condotto dalla Hydro Agri Italia S.p.a. atto a definire un piano di caratterizzazione del sito ai sensi della disciplina previgente il D.Lgs. n. 152/2006 che trasmetteva immediatamente al Comune di Barletta, ritenendosi soggetto interessato non responsabile.
In seguito, nell’ambito del procedimento per il rilascio della autorizzazione integrata ambientale del sito, con comunicazione del 26.2.2009, la Provincia avviava un procedimento di ricerca del responsabile del potenziale inquinamento indicato nello studio prodotto agli enti dalla Timac.
Nonostante la ritenuta estraneità  all’origine della potenziale contaminazione, la Timac si faceva carico di specifiche indagini ed analisi di laboratorio.
Predisponeva, dunque, una relazione di caratterizzazione e una proposta di analisi di rischio sito specifica (AdR) che venivano discusse in una apposita conferenza di servizi in data 20.3.2014, cui seguiva la determinazione dirigenziale della Regione Puglia n. 60 del 16.4.2014 di approvazione dei due documenti.
Nella determina in questione, la Regione dava atto dell’estraneità  di Timac agli eventi e la invitava a farsi carico di un intervento di “capping” del tutto compatibile con la prosecuzione dell’attività  industriale, che fosse configurabile come una messa in sicurezza operativa (MISO) da presentare come progetto ai sensi del Titolo V della parte quarta del Codice dell’ambiente.
L’A.R.P.A. – Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione Ambientale della Regione Puglia, dal canto suo, richiedeva una valutazione del sistema idrico sotterraneo, nonchè una relazione sulla possibile origine dei solfati presenti in falda.
In data 16.3.2015, la Società  consegnava agli organi preposti una proposta di MISO ed una relazione tecnica descrittiva di inquadramento idrogeologico del sito.
In data 19.5.2015, gli Enti pubblici approvavano in conferenza di servizi il contenuto della MISO, rilevando che la soluzione progettuale rendeva accettabile il rischio sanitario e costituiva una soluzione volta al controllo dell’eventuale rischio ambientale derivante dalla lisciviazione in falda delle sostanze contaminanti presenti nel sottosuolo.
In tale sede, la Provincia ed il Comune si esprimevano contro il progetto di MISO in assenza di intervento diretto in falda al fine di garantire almeno le concentrazioni attese al Punto di Conformità  (POC).
A tanto replicavano la Regione e l’ARPA, precisando che la richiesta del trattamento delle acque sotterranee al fine del contenimento dell’inquinamento in atto nell’ambito dei confini dello stabilimento poteva essere imposto esclusivamente al soggetto responsabile dell’inquinamento, allo stato non individuato.
Nelle more tra la conclusione della conferenza di servizi e l’emissione della determina di adozione da parte della Regione, alcuni enti presentavano note integrative:
– l’ARPA modificava la propria posizione, individuando la necessità  che la Timac attuasse il trattamento delle acque sotterranee al POC per la presenza di solfati in falda;
– la Provincia precisava che la MISO non poteva essere approvata non prevedendo nessuna misura preordinata al contenimento dell’inquinamento in atto in falda e che non condivideva l’assunto fondato su una assenza di responsabilità  in capo alla Timac;
– il Comune di Barletta esprimeva la necessità  che la Timac procedesse a sue spese allo studio idrogeologico e alle analisi chimiche sulla qualità  della falda, così fornendo anche un contributo nella ricerca dei responsabili dell’inquinamento.
In data 6.8.2015 la Regione notificava la determina n. 329 del 21.7.2015 con cui prendeva atto delle note ricevute dai predetti Enti, pur ritenendole tardive rispetto alle scelte assunte in sede di conferenza e ribadiva che, in mancanza dell’accertamento del responsabile, qualunque azione potesse essere avviata solo volontariamente.
Senonchè, in data 13.8.2015 la società  ricorrente riceveva dalla Provincia la notifica dell’ordinanza n. 3 prot. n. 36989/2015 oggetto di gravame, con cui veniva diffidata:
a) a porre in essere immediatamente ogni misura di prevenzione e messa in sicurezza di emergenza atta ad impedire la propagazione della contaminazione ambientale, in particolare per la matrice falda;
b) a presentare alla Regione Puglia, all’ARPA Puglia, alla Provincia, al Comune di Barletta e all’ASL BAT, specifica documentazione tecnica recante descrizione delle misure di prevenzione/messa in sicurezza già  adottate o da adottarsi;
c) a presentare entro 30 giorni il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’allegato 2 dalla parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006.
A seguito di un sopralluogo della polizia locale, la Provincia, rilevata l’inottemperanza della società  a quanto diffidato, emanava l’ordinanza n. 4 del 23.9.2015 prot. n. 42136/2015, con cui ordinava di eseguire la bonifica dell’area.
La società  ricorrente chiedeva alla Amec Foster Wheeler E & GmbH, società  di consulenza ambientale, di compiere una valutazione delle condizioni ambientali del sito e un’analisi dello stato della falda per verificare origini ed eventuali interazioni con le attività  industriali in corso.
La società  affermava l’assoluta neutralità  delle attività  Timac con lo stato della falda, sul presupposto di una totale assenza di ruolo e contributo diretto sulle acque sotterranee che passavano sotto il sito senza alcuna modifica o interazione, se non subendo un filtro naturale che ne abbatteva in parte le concentrazioni.
Le ordinanze della Provincia venivano impugnate con motivi di ricorso così sinteticamente riassumibili:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 240, 242, 244 e 245 dell’allegato II del D.Lgs. n. 152/2006, violazione dei principi in materia ambientale e violazione degli artt.1, 3 e 14 ss. della L. n. 241/1990. Incompetenza assoluta e nullità  ex art. 21 septies.
La Provincia avrebbe esercitato un potere non attribuitole dalla disciplina ambientale, usurpando il potere che Regione aveva già  legittimamente esercitato.
Infatti, nel porre in essere l’attività  provvedimentale oggetto di doglianza, la Provincia aveva riformato le scelte assunte dalla Regione al termine della conferenza di servizi, prevedendo il ritorno della procedura in corso alla fase della caratterizzazione da cui proseguire non con l’esecuzione del progetto di MISO, ma con una vera e propria bonifica.
I provvedimenti erano, dunque, viziati per difetto assoluto di attribuzione di poteri e mancanza di un elemento essenziale ossia l’individuazione dell’inquinatore responsabile della contaminazione stessa.
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 245 D.lgs. n. 152/2006 e artt. 7, 8, 10 e 10 bis della L. n. 241/1990, nonchè per difetto di motivazione ed illogicità , incongruenza e contraddittorietà  nell’agire, sviamento di potere, incompletezza dell’istruttoria e travisamento ed erronea valutazione dei fatti.
I provvedimenti erano giunti a valle di un procedimento investigativo mai realmente concluso e mancante di quei dati minimi nella individuazione di un soggetto quale autore dell’inquinamento.
L’imputabilità  dei costi di bonifica e il riconoscimento della responsabilità  trovavano legittimazione nel principio comunitario “chi inquina paga”.
La Provincia avrebbe dovuto provare l’incidenza causale del comportamento di Timac nell’inquinamento ed anche il grado di responsabilità , non potendo ravvisarsi una responsabilità  solidale di tutti gli operatori che avrebbero concorso all’inquinamento.
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 245 dell’allegato II del D.Lgs. n. 152/2006 e degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990 per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, del difetto di motivazione, della sua illogicità , della mancanza dei presupposti, dell’incompletezza dell’istruttoria, della incongruenza e della contraddittorietà  nell’agire, travisamento ed erronea valutazione dei fatti, nonchè della illogicità  delle scelte.
In tesi, le ordinanze risultavano, altresì, illegittime in quanto:
– l’ordinanza n. 3 difettava dei presupposti applicativi, in quanto le misure di prevenzione sulla falda (di messa in sicurezza di emergenza – MISE) erano applicabili solo in ipotesi di contaminazione repentina o minaccia imminente per la salute o l’ambiente;
– l’ordinanza n. 4 aveva determinato un sovvertimento illegittimo delle regole applicative del procedimento di risanamento ambientale ordinando la bonifica dell’area, laddove la procedura di risanamento ambientale si era già  conclusa con l’approvazione delle misure di messa in sicurezza operativa – MISO.
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 245 del D.lgs. n. 152/2006 e dell’art. 1 della L. n.241/1990 e dei principi in materia ambientale, nonchè per eccesso di potere per irragionevolezza, disparità  di trattamento e violazione del principio di proporzionalità .
La Provincia, inoltre, aveva violato il principio di proporzionalità , generando un aumento ingiustificato dei costi per la Timac che avrebbe determinato la chiusura dell’attività  industriale.
Con memorie formali del 20/11/2015, del 18/6/2016 e del 3/11/2016 si costituivano in giudizio la Provincia di Barletta Andria e Trani, il Comune di Barletta e l’ARPA – Puglia.
Con memoria del 6/12/2016, la Provincia allegava l’infondatezza delle avverse censure puntualizzando che con il contratto di cessione del ramo d’azienda stipulato con la Hidro Agri Italia S.p.A., a fronte di una corposa riduzione del prezzo d’acquisto, la Timac si era obbligata a rispondere, in luogo del proprietario cedente, della possibile non conformità , anche pregressa, dello stabilimento e dei beni con qualsiasi legge e/o regolamento relativo alla protezione dell’ambiente e risultante dalla titolarità , manutenzione, uso e operazioni dello stesso stabilimento. Contestualmente, si era, altresì, obbligata a predisporre, in luogo del proprietario, il piano di bonifica.
Tuttavia, per oltre dieci anni dall’acquisto, in assenza della effettuazione di alcuno degli adempimenti ambientali che si era contrattualmente obbligata a porre in essere, la Timac aveva svolto la sua attività , non solo senza aver previamente predisposto il previsto piano di bonifica, ma, altresì, senza preoccuparsi degli effetti sull’ambiente della produzione dei nuovi fertilizzanti e dei relativi pericolosi agenti inquinanti prodotti dallo stabilimento sotto la sua gestione.
In tesi dell’Amministrazione provinciale, sia che la contaminazione fosse ascrivibile al precedente proprietario sia che non lo fosse, la Timac avrebbe dovuto, in ogni caso, provvedere essa stessa alla risoluzione di tutte le problematiche ambientali attraverso la predisposizione di tutte le misure previste dalla legislazione italiana.
In particolare, relativamente al primo motivo di ricorso, la Provincia contestava che il provvedimento di approvazione della MISO non potesse ritenersi assorbente dei poteri provinciali di ordinanza in materia ambientale ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006 e che, ad ogni modo, la MISO inizialmente approvata concerneva solo il “suolo” e non le misure atte a scongiurare l’inquinamento della matrice “falda” che, infatti, era stata oggetto di successivo ulteriore e separato procedimento, conclusosi con l’approvazione di una separata e distinta MISO falda.
L’approvazione della MISO falda doveva essere considerata solo un primo adempimento rispetto a quanto disposto nelle ordinanze nn. 3 e 4, essendo l’integrale adempimento legato e subordinato agli esiti del monitoraggio, imposto dallo stesso provvedimento di approvazione della MISO falda, dei primi interventi di contenimento ivi previsti.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Provincia evidenziava che il precedente proprietario aveva dismesso la produzione di acido solforico nel 1982.
La Timac, dunque, aveva innovato la produzione inserendovi la realizzazione di fertilizzanti fosfatici semplici (perfosfato che era il prodotto della reazione chimica tra acido solforico e apatiti, fosforiti e solfato di calcio composto), fertilizzanti composti (azoto, fosforo, potassio ottenuti attraverso l’impiego di superfosfato, solfato di ammonio, di ammonio fosfato, cloruro di potassio, solfato di potassio, cuoio torrefatto, urea) e organo minerali NPK; fertilizzanti NPK idrosolubili, concimi.
Con memoria del 7.12.2016, l’ARPA – Puglia replicava alle censure della Timac per quanto attinente al parere reso dalla Direzione Scientifica U.O.C. Acqua e Suolo prot. n. 35466 del 23.6.2015 e alla relazione conclusiva di ARPA prot. n. 44580 del 14.8.2014, illustrando la specifica istruttoria tecnico-scientifica svolta per fornire ogni elemento utile di supporto alle decisioni della Provincia, affinchè il medesimo Ente emettesse le ordinanze oggetto di impugnativa.
Con memoria del 10.12.2016, il Comune di Barletta insisteva sull’accordo sottoscritto con la cedente Hydro Agri Italia S.p.a., che, in tesi resistente, avrebbe rappresentato piena prova della consapevolezza della Timac della situazione di grave inquinamento ambientale esistente nel sito industriale in questione.
Inoltre, si evidenziava che dagli accertamenti svolti sull’inquinamento del suolo, del sottosuolo e delle acque sotterranee – contenuti nel decreto di sequestro dello stabile – si evinceva come la Timac fosse a conoscenza sin dal 1999 della presenza di prodotti inquinanti nell’area dello stabilimento, tali da determinare l’inquinamento della falda sottostante.
Con replica del 21/12/2016, la Timac insisteva sulla propria estraneità  alla responsabilità  dell’inquinamento, rammentando che il principio “chi inquina paga” non poteva essere derogato in via convenzionale tra le parti di una cessione dell’attività  aziendale collocata su un sito inquinato.
All’udienza pubblica del 11/1/2017, la causa veniva definitivamente trattenuta in decisione.
Ciò premesso in punto di fatto, il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato.
Preliminarmente, appare necessario esaminare il primo motivo di ricorso, concernente l’asserita incompetenza della Provincia ad emanare le ordinanze oggetto di gravame.
La censura non può trovare accoglimento.
Il potere esercitato della Provincia trova le sue radici nell’art. 244 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui: “Le pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti. La provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma l, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo.”
La facoltà  di intervento spontaneo da parte del proprietario nell’ambito del procedimento di bonifica, su cui insiste parte ricorrente, non elide il dovere autonomo della Provincia di attivarsi per l’individuazione dell’autore dell’inquinamento, attraverso l’apertura del procedimento previsto dal citato art. 244.
Non è condivisibile la tesi della ricorrente per cui l’approvazione della MISO suolo avrebbe, in sostanza, “impedito” qualsiasi altra attività  amministrativa volta alla tutela del suolo e della falda.
L’adozione di una prima sistemazione provvedimentale della problematica di inquinamento non consuma il connesso potere di provvedervi ulteriormente, in coerenza con il principio di inesauribilità  dell’onere di cura dell’interesse pubblico primario ambientale, affidato, per la parte di competenza e per quel che qui rileva, alla Provincia.
Peraltro, la Provincia, che già  in sede di Conferenza Servizi aveva espresso la necessità  che il progetto di MISO suolo fosse integrato con la previsione di specifici interventi sulla falda, ha, in seguito, chiesto con nota n. 43357 del 1.10.2015 alla Regione Puglia la riapertura, con funzione di riesame, del procedimento conclusosi con l’approvazione della MISO suolo, così portando all’approvazione della MISO falda.
Ai sensi dell’art. 240, comma l, lett. n) del D.Lgs. n.152/2006, la messa in sicurezza operativa (MISO) è definita come “l’insieme degli interventi eseguiti in un sito con attività  in esercizio atti a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa in sicurezza permanente o bonifica da realizzarsi alla cessazione dell’attività . Essi comprendono altresì gli interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in via transitoria fino all’esecuzione della bonifica o della messa in sicurezza permanente, al fine di evitare la diffusione della contaminazione all’interno della stessa matrice o tra matrici differenti. In tali casi devono essere predisposti idonei piani di monitoraggio e controllo che consentano di verificare l’efficacia delle soluzioni adottate…”.
La bonifica è, invece, definita alla lett. p) come “l’insieme degli interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio”.
Appare, quindi, evidente che i provvedimenti di MISO suolo e falda adottati non possano considerarsi assorbenti della bonifica, trattandosi di attività  d’urgenza volta a garantire la sicurezza ambientale dei luoghi in attesa di ulteriori determinazioni degli organi competenti.
Ciò posto, i successivi motivi di ricorso possono essere congiuntamente trattati, vertendo essenzialmente su un unico presupposto, ovvero l’illegittimità  delle ordinanze provinciali in ragione della totale estraneità  della ricorrente all’inquinamento del sito.
La disciplina del D.Lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e ss.) si ispira al noto principio secondo cui l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa.
Si tratta, in sostanza, dell’applicazione del principio comunitario di responsabilità  “chi inquina paga”, espressamente richiamato dall’art. 239 del Codice dell’ambiente, che “impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione”. Pertanto, nessun obbligo di bonifica può essere legittimamente imposto in mancanza dell’adeguata dimostrazione della responsabilità , occorrendo invece un’istruttoria completa ed un’esauriente motivazione dell’imputabilità  soggettiva della condotta, anche se fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza (cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. II, 1.2.2016, n. 164).
In materia di accertamento del nesso causale, tra operatore e inquinamento, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, il criterio oggi maggiormente applicato è quello civilistico del “più probabile che non”, secondo cui per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità  (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità  maggiore della metà  (cioè del 50%) (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. I, 16.12.2016, n.1543; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27.1.2014, n. 998), escludendo invece la possibilità  di applicare il criterio di imputazione penalistico della responsabilità , che richiede invece una certezza al di là  di ogni ragionevole dubbio (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 30.4.2014, n. 204).
Riguardo all’individuazione del responsabile, l’odierno Collegio non intravede ragioni per discostarsi dall’orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. da ultimo, T.A.R. Marche, Ancona, Sez. I, 6.2.2017, n. 104), e aderente alla decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 9.3.2010, in causa C-378/08 (cui ha sostanzialmente aderito la successiva decisione della stessa Corte, Sez. III, del 4.3.2015, causa C-534/13), nella quale si è affermato che è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità  tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività .
Quando disponga di indizi di tal genere, l’Autorità  competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità  tra le attività  degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato.
Alla luce dei criteri sopra esposti, il Collegio ritiene che nella presente fattispecie ricorrano sufficienti elementi oggettivi, ampiamente lumeggiati nei provvedimenti impugnati, per ritenere la società  ricorrente responsabile dell’inquinamento del sito.
Dall’esame della documentazione depositata, risulta, invero, che il precedente proprietario dell’area abbia dismesso la produzione di acido solforico nel 1982 e che l’acido solforico e i solfati in generale siano stati reintrodotti nel 2011, costituendo le sostanze di maggiore interesse nella produzione dei fertilizzanti avviata dalla Timac.
In particolare, la società  ricorrente ha iniziato a produrre fertilizzanti fosfatici semplici (perfosfato che è il prodotto della reazione chimica tra acido solforico e apatiti, fosforiti e solfato di calcio composto), fertilizzanti composti (azoto, fosforo, potassio ottenuti attraverso l’impiego di superfosfato, solfato di ammonio, di ammonio fosfato, cloruro di potassio, solfato di potassio, cuoio torrefatto, urea) e organo minerali NPK; fertilizzanti NPK idrosolubili, concimi.
Le ordinanze provinciali sono state adottate a seguito dell’attività  ispettiva e istruttoria (cfr. relazione prot. n. 44580 del 14/8/2014) condotta dall’Arpa, dalla stessa Provincia BAT, dal Comune di Barletta, dalla ASL BAT, dal Chimico del Comitato tecnico provinciale che ha offerto ulteriore conferma dell’immanente stato di inquinamento del sito, e soprattutto della falda per alterazione dei parametri di solfati e cromo per il PZ. I a monte, triclorometano e tricloroetilene per il PZ. 4 a monte, solfati e tricloroetano per il PZ. 3 a valle e solfati per il Pz.2.
L’ARPA ha, inoltre, precisato che: “la presenza di solfati può essere facilmente riconducibile al processo produttivo, essendo l’acido solforico una delle materie prime storicamente utilizzate dalla TIMAC nonchè per la presenza di serbatoi di stoccaggio della stessa sostanza”.
L’informazione relativa alla presenza di serbatoi di stoccaggio di acido solforico è stata ricavata sia analizzando la documentazione dell’istruttoria AIA, sia leggendo la ricostruzione storica delle attività  svolte nel tempo che la TIMAC aveva prodotto al fine della costruzione del modello concettuale preliminare nell’ambito del procedimento di bonifica.
Inoltre, a seguito delle ulteriori attività  di indagini ambientali eseguite nel mese di febbraio 2016, l’ARPA ha peraltro rilevato superamenti anche per le concentrazioni di nuovi parametri come cromo totale, nitriti e selenio; gli ultimi due, in particolare, sono state ritenuti correlabili con le attività  di produzione di fertilizzanti.
Le risultanze delle indagini ambientali, in quanto espressione di discrezionalità  tecnica, non erano opinabili da parte della Provincia al momento dell’adozione delle ordinanze e non sono, altresì, suscettibili di sindacato giurisdizionale.
Ad ogni modo, deve rilevarsi che nessun adeguato elemento probatorio, inequivoco ed oggettivo, è stato fornito dalla ricorrente per escludere che l’inquinamento del sito possa essere derivato dall’utilizzo di solfati nella propria attività  produttiva.
Infine, quanto alla doglianza della ricorrente in merito alla scelta delle misure di tutela ambientale imposte nelle ordinanze provinciali, si ritiene trattarsi di scelte di discrezionalità  amministrativa che non possano essere sindacate nella presente Sede, derivando da valutazioni tecniche dei competenti organi preposti alle indagini relative allo stato di inquinamento.
Ad ogni modo, il complessivo esame della vicenda non consente di ritenere che le Amministrazioni intervenute abbiano agito tentando di aggravare il procedimento in danno della Timac o, comunque, con misure non proporzionate alla gravità  oggettiva della situazione ambientale in esame.
Invero, l’azione amministrativa si è protratta per diversi anni, cercando di individuare le soluzioni più idonee a tutelare la sicurezza ambientale garantendo, allo stesso tempo, finchè possibile, la prosecuzione dell’attività  d’impresa della ricorrente.
Conclusivamente, stante l’infondatezza del ricorso, la domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati non può trovare accoglimento.
Da ultimo, tenuto conto della elevata complessità  in fatto della vicenda in esame e dei suoi evidenti profili di novità , si ritengono sussistere i presupposti di legge per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2017 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Angelo Scafuri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alfredo Giuseppe Allegretta Angelo Scafuri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on whatsapp
WhatsApp

Tag

Ultimi aggiornamenti

Galleria