Leggi, decreti, regolamenti – Art. 3 DPR 480/2001 – Divieto del Prefetto – Misura precauzionale – Buona condotta – Fattispecie

Il divieto di esercizio dell’attività  di autorimessa disposto dal Prefetto ai sensi dell’art. 3 DPR 480/2001 per ragioni di buona condotta e di ordine pubblico non rappresenta la conseguenza di un addebito di responsabilità  ma una misura precauzionale, ben potendo il giudizio di inaffidabilità  del richiedente fondarsi su un quadro indiziario della personalità  del richiedente medesimo (nel caso di specie il Prefetto ha vietato l’esercizio dell’attività  di autorimessa già  autorizzata dal Comune  in ragione dell’esistenza a carico della richiedente di alcune notizie di reato nonchè di altre a carico del marito convivente, già  in precedenza condannato, ragione per la quale il TAR ha ritenuto infondato il ricorso).

Pubblicato il 06/04/2017
N. 00357/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00941/2010 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 941 del 2010, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Maddalena Merafina, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Santo Barile in Bari, via Cairoli n. 57; 

contro
U.T.G. – Prefettura di Bari, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, presso la quale è domiciliato in Bari, via Melo, n. 97; 

per l’annullamento
del decreto del Prefetto della Provincia di Bari, prot. n. 3027/SPA/2009/Area O.P. I Bis, emesso in data 3.3.2010, notificato il 25.3.2010, nonchè di ogni altro atto presupposto, consequenziale o connesso a quello impugnato;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 marzo 2017 la dott.ssa Maria Colagrande.
Uditi per le parti i difensori avv. Maddalena Merafina e avv. dello Stato Ines Sisto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La ricorrente impugna il decreto del Prefetto di Bari del 3.3.2010 di divieto di esercizio dell’attività  di autorimessa già  autorizzata dal Comune di Andria il 10.2.2009, per mancanza del requisito della buona condotta e per esigenze di pubblica sicurezza, in ragione dell’esistenza a suo carico di alcune notizie di reato e numerose altre a carico del marito convivente, già  in precedenza condannato.
Con l’unico articolato motivo deduce violazione dell’art. 11 del r.d. n. 773/1931, in combinato disposto con l’art. 2 del d.P.R. 481/2001, e dell’art. 27 Cost., nonchè eccesso di potere per illogicità , arbitrarietà  ed irragionevolezza della motivazione.
Le notizie di reato a carico della ricorrente si sarebbero rivelate tutte infondate o i relativi procedimenti sarebbero stati archiviati o si sarebbero estinti, mentre i carichi pendenti ed i precedenti del marito sarebbero irrilevanti, stante il principio della personalità  della responsabilità  penale.
Resiste l’Amministrazione intimata.
All’udienza pubblica del 7.3.2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione all’esame del Collegio è regolata dall’art. 3 del d.P.R. n. 480/2001, che dispone: Il comune trasmette, entro cinque giorni, copia della denuncia di inizio dell’attività  al prefetto. Il prefetto, entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, può sospendere o vietare l’esercizio dell’attività  nei casi previsti dall’articolo 11, comma 2, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, per motivate esigenze di pubblica sicurezza e, in ogni caso e anche successivamente a tale termine, per sopravvenute esigenze di pubblica sicurezza.
Il comma 2 dell’art. 11 del r.d. n. 773/1931 dispone: Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità  dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità , e a chi non può provare la sua buona condotta.
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il requisito della buona condotta può essere escluso anche da un quadro indiziario della personalità  del richiedente l’autorizzazione, al quale, per esigenze di prevenzione, l’Autorità  competente può interdire l’esercizio di attività  soggette alla sua vigilanza.
La verifica demandata all’Autorità  è infatti connotata da un’ampia discrezionalità  nel valutare una pluralità  di fatti – quali denunce, segnalazioni all’A.G., rapporti di polizia a carico del richiedente e di persone a lui vicine – che, nel loro insieme, concorrono a definire un quadro idoneo a fondare un giudizio prognostico negativo sulla capacità  del soggetto di assicurare la “buona condotta” nell’esercizio dell’attività  soggetta a controllo (T.A.R. Palermo 16.3.2016 n. 718; Cons. Stato, Sez. III, 27 luglio 2012 n. 4278).
Del resto l’attività  di polizia preventiva non è vincolata a ricercare la prova della commissione di reati per vietare le attività  soggette a vigilanza, ben potendo il giudizio di inaffidabilità  del richiedente fondarsi su un quadro indiziario concreto, basato su fatti certi (Tar Napoli 23.1.2014 n. 1062).
A tale riguardo è di sicuro rilievo il fatto che la ricorrente non contesta quanto emerge dalle informative della Questura, ovvero che alla data di adozione del provvedimento gravato risultava deferita all’Autorità  giudiziaria per delitti di diversa natura (ricettazione, abuso d’ufficio, falso ideologico in atto privato e danneggiamento), anche in concorso con il marito convivente, a sua volta attinto da numerosissime notizie di reato, più volte condannato e sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza di pubblica sicurezza.
La ricorrente ad un così dettagliato resoconto sulle sue condizioni personali e familiari, giudicato incompatibile con l’esercizio dell’attività  oggetto di DIA, oppone la mancanza di pregiudizi penali a suo carico e contesta il rilievo dato ai precedenti del marito.
Non considera però che, a mente dei principi sopra riferiti, il divieto in questione non è la conseguenza di un addebito di responsabilità , ma una misura precauzionale la cui adozione si è resa necessaria perchè si è ritenuto, stante la comunanza di interessi con il marito pregiudicato e il suo stesso coinvolgimento in notizie di reato, che non disponga dei requisiti di affidabilità  necessari per lo svolgimento dell’attività  soggetta a vigilanza.
Non sussiste pertanto la violazione del principio della responsabilità  personale, perchè la buona condotta non è predicabile solo perchè il soggetto, che intende avviare l’attività  soggetta a controllo, è incensurato, nè ricorrono i denunciati profili di eccesso di potere del giudizio che in concreto l’ha esclusa in presenza di numerosi e circostanziati elementi di fatto giudicati ostativi all’esito di una valutazione, per quanto detto, esente da vizi logici.
Il certificato dei carichi pendenti del 24.3.2009 prodotto dalla ricorrente, sebbene non menzioni le notizie di reato che la riguardano, acquisite agli atti del procedimento, evidentemente perchè coperte da segreto, non ne esclude l’esistenza e la rilevanza ai fini dell’adozione del divieto, soprattutto se considerate unitamente ai precedenti penali del marito convivente, nè le circostanze sopravvenute al provvedimento, prima fra tutte la riabilitazione della ricorrente, possono avere una qualche rilevanza nel giudizio di legittimità , potendo al più essere valutate in seno all’eventuale riedizione del procedimento.
La obiettiva complessità  della questione giustifica la compensazione delle spese di giudizio. 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 d. lg. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità  della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità  nonchè di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la ricorrente.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 7 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Giuseppina Adamo, Presidente
Giacinta Serlenga, Consigliere
Maria Colagrande, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maria Colagrande Giuseppina Adamo
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità  e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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