1. Pubblico impiego – Concorso  – Dottore di ricerca – Superamento prove – Ammissione in sovrannumero – Facoltà   –  Conseguenze
 

2. Pubblico impiego – Concorso – Dottore di ricerca –  Superamento prove – Ammissione in sovrannumero – Valutazione discrezionale – Requisiti soggettivi – Condanna penale non definitiva –  Esclusione – Ragioni 

111. Il superamento delle prove concorsuali è condizione necessaria ma non in sè sufficiente per l’assunzione al dottorato di ricerca in sovrannumero per il dipendente pubblico  atteso che, in tal caso, sussiste un ampio potere discrezionale della p.A. nel verificare la sussistenza delle esigenze dell’Amministrazione per la concessione del congedo ai sensi dell’art. 2 della L.n. 476/1984 (nella specie, per giunta, secondo il TAR, nel bando il conferimento del dottorato in sovrannumero era, a sua volta,  del tutto facoltativo).
 
2. In tema di valutazione in autotutela della legittimità  dell’ammissione ad una procedura concorsuale, la valutazione discrezionale sulla insussistenza dei requisiti soggettivi del concorrente/dipendente  pubblico  condannato con sentenza non definitiva (e sottoposto a procedimento disciplinare)  per reati particolarmente gravi deve ritenersi legittima se, nel rispetto del principio di razionalità  ragionevolezza e proporzionalità , sia connotata  dal contemperamento di interessi tra il buon andamento della p.A. e la promozione della cultura e della ricerca scientifica, da un lato, e il prestigio, l’onorabilità  l’immagine e la reputazione della p.A. dall’altro.

Pubblicato il 23/03/2017
N. 00277/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00109/2017 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 109 del 2017, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Enrico Guidone e Silvio Germano, con domicilio eletto presso Silvio Germano, in Bari, via Crispi, 6;

contro
Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro”, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Simona Sardone, con domicilio eletto presso Simona Sardone, in Bari, Piazza Umberto I, 1;

per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
– della nota prot. 7749 III/6 repertorio n. 13228/2016 del 10/11/2016, avete ad oggetto: “Dottorato di ricerca in Scienze Biomolecolari Farmaceutiche e mediche. XXXII ciclo – concorso emanato con D.R. n. 2249 del 21/7/2016”, notificata in data 18 novembre 2016, con cui il Magnifico Rettore dell’Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Prof. A.F. Uricchio, ha comunicato al ricorrente la non ammissione – quale soprannumerario – al corso di dottorato di ricerca in Scienze Biomolecolari, Farmaceutiche e Mediche – XXXII ciclo;
– del Decreto Rettorale n. 3573 del 9/11/2016, notificato al ricorrente unitamente alla nota prot. 77491 III/6 in data 18/11/2016, mediante cui il Magnifico Rettore, Prof. A.F. Uricchio, ha decretato la non ammissione – quale soprannumerario – al corso di dottorato di ricerca in Scienze Biomolecolari, Farmaceutiche e Mediche – XIII;
– di ogni altro atto ai predetti connessi, ancorchè non conosciuto, comunque, ivi compresa, ove occorra e nei limiti dell’interesse del presente ricorso, della nota prot. n. 75747 del 4/11/2016 conosciuta in stralcio in data 18/11/2016, mediante cui la Direzione Risorse Umane dell’Università  di Bari ha comunicato che il ricorrente, dott. -OMISSIS-, “in attuazione del dispositivo di sentenza della seconda sezione penale del Tribunale Civile e Penale di Bari, nell’ambito del giudizio penale, con il quale è stato condannato, tra l’altro, all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, è attualmente sospeso cautelarmente dal servizio per la durata di tre anni a far tempo dal 20 maggio 2016, ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, comma 3, del vigente C.C.N.L., comparto Università “;
nonchè
per l’accertamento
del diritto del ricorrente ad essere ammesso, quale soprannumerario, al corso di Dottorato di ricerca in Scienze Biomolecolari farmaceutiche e mediche, curriculum in “Neuroscienze Applicate” – XIII ciclo – concorso emanato con Decreto Rettorale n. 2249 del 21/7/2016.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2017 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;
Comunicata alle parti in forma diretta ed esplicita la possibilità  di adottare una sentenza semplificata, ricorrendone le condizioni previste;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 17/01/2017 e depositato in Segreteria il 03/02/2017, -OMISSIS- adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere le pronunce meglio indicate in oggetto.
In fatto il ricorrente esponeva che, con domanda recante protocollo n. 57242 del 18/8/2016, aveva preso parte al concorso, per titoli ed esami, per l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca di durata triennale in scienze biomolecolari farmaceutiche e mediche, curriculum in “Neuroscienze applicate”, bandito dall’Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro” con decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Concorsi n. 58 del 22 luglio 2016.
Nella domanda il medesimo dichiarava, inter alia, di essere dipendente tecnico-amministrativo dell’Università  degli Studi di Bari, sin dall’anno 2000.
All’esito delle procedure concorsuali, il ricorrente superava le relative prove, classificandosi al diciottesimo posto nella graduatoria finale di merito. 
Con decreto rettorale n. 3556 del 8/11/2016, il ricorrente veniva giudicato idoneo e veniva ammesso, ai sensi dell’art. 12 del bando, al dottorato di ricerca in qualità  di soprannumerario, subordinatamente all’accertamento dello status di dipendente pubblico per come dichiarato.
Tuttavia, con successiva nota prot. 77491 III/6 repertorio 13228/2016, veniva comunicata al ricorrente la non ammissione al corso di dottorato di ricerca in questione.
A tale nota veniva, inoltre, allegato il decreto rettorale n. 3573 del 9/11/2016, in cui venivano esplicitate le ragioni poste a base di siffatta esclusione.
In esso si evidenziava, in particolare, che “con nota prot. n. 75747 del 4/11/2016, la direzione risorse umane di questa Università  ha comunicato che il dott. -OMISSIS- è dipendente presso questa Università  a decorrere dal 3 gennaio 2006; lo stesso dott. -OMISSIS- in attuazione del dispositivo di sentenza della seconda sezione penale del Tribunale Civile e Penale di Bari, nell’ambito del giudizio penale, con il quale è stato condannato, tra l’altro, all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, è attualmente sospeso cautelarmente dal servizio per la durata di tre anni a far tempo dal 20 maggio 2016, ai sensi e per gli effetti dell’art. 48, comma 3 del vigente C.C.N.L., comparto Università .”.
In tesi di parte ricorrente, “la mancata ammissione al corso di dottorato, come soprannumerario, è stata causata dalla sospensione cautelare dai pubblici uffici comminata a seguito del giudizio penale n. 17720/2007 R.G.N.R. definitosi con sentenza del Tribunale di Bari, seconda sezione penale n. 2480/2016, resa in data 4/5/2016 con motivazione depositata in data 25/7/2016”,sentenza impugnata dal ricorrente con appello depositato in data 13/10/2017.
Emergeva, peraltro, dagli atti che con Decreto del Direttore Generale dell’Università  n. -OMISSIS- il ricorrente veniva collocato non più in regime di sospensione cautelare, ma in regime di sospensione obbligatoria.
Con detto decreto, infatti, veniva disposta la menzionata sospensione obbligatoria a far data dal 20/05/2016 e fino al 19/05/2021, prevedendosi, altresì, che per tutta la durata della sospensione dal servizio, il ricorrente avrebbe percepito “una indennità  pari al 50% della retribuzione fondamentale spettante, nonchè gli assegni del nucleo familiare, qualora spettanti.”.
Secondo il ricorrente, il regime di sospensione obbligatoria si basava esclusivamente sulle risultanze del giudizio penale proposto nei suoi confronti, i cui effetti avrebbero dovuto considerarsi sospesi, stante la pendenza dell’appello così come proposto.
A prescindere da tali circostanze collegate al caso di specie ma ad esso contigue, nel presente giudizio, parte ricorrente proponeva in via principale domanda di annullamento, previa sospensione, dei provvedimenti indicati in epigrafe, evidenziando la sussistenza di plurimi profili di illegittimità  e richiedendo, inoltre, che fosse accertato il suo diritto ad essere ammesso – quale soprannumerario – al corso di Dottorato di ricerca in Scienze Biomolecolari farmaceutiche e mediche, curriculum in “Neuroscienze Applicate” – XIII ciclo.
Con un primo motivo, parte ricorrente riteneva illegittimi gli atti impugnati per «Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 del bando di concorso, Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 476/84 e s.m.i., eccesso di potere. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/90. Violazione degli art. 9 – 27 – 34 – 97 della Costituzione. Violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali. Disparità  di trattamento.»
In tesi di parte ricorrente, dal bando di concorso non sarebbe stato possibile desumere alcuna preclusione legale, o alcun elemento ostativo, all’ammissione in soprannumero di dipendenti pubblici che si fossero trovati in una situazione analoga a quella di cui al caso di specie, ossia in stato di sospensione obbligatoria dal servizio a causa della contestuale pendenza di un procedimento penale.
Il ricorrente avvalorava la sua posizione sottolineando come, in linea con la lettura prospettata delle disposizioni in questione, il Magnifico Rettore, con decreto n. 3556/2016, aveva già  provveduto ad ammettere lo stesso al corso di dottorato, subordinando tale ammissione al semplice accertamento dello status di dipendente pubblico.
Tuttavia, successivamente, il Magnifico Rettore era, in tesi, tornato sui suoi passi, in quanto, con il decreto impugnato (n. 3573), aveva contraddittoriamente dichiarato la non ammissione del ricorrente al corso di dottorato.
Ad ulteriore sostegno della sua tesi, il ricorrente ricostruiva e analizzava i rapporti che, nel caso concreto, intercorrevano tra il procedimento disciplinare e il procedimento penale, entrambi pendenti a suo carico, sottolineando come le sanzioni disciplinari comunque “non incidono in alcun modo sulla condizione soggettiva del pubblico dipendente cui sono rivolte, che rimane tale”, per tutto il lasso di tempo occorrente per la definizione dei procedimenti in questione.
Inoltre, proseguiva il ricorrente, le sentenze penali diventano esecutive solo una volta divenute irrevocabili, “in ossequio al principio costituzionale che deriva dall’art. 27, II comma della costituzione, in base al quale l’imputato non è considerato colpevole fino a condanna definitiva (principio che, peraltro, trova riscontro anche nell’art. 588 cod. proc. pen.)”; pertanto, in tesi, ritenere che la sentenza penale potesse avere dei risvolti in tema di ammissibilità  al dottorato di ricerca in questione, avrebbe significato porsi in contrasto con siffatti principi, giungendo, difatti, alla inaccettabile conclusione di anticipare gli effetti punitivi di una sentenza penale non ancora divenuta definitiva.
Con un secondo motivo di gravame, parte ricorrente si doleva dell’illegittimità  degli atti gravati per «Violazione del principio di buon andamento ed imparzialità  della pubblica amministrazione. Violazione e falsa applicazione degli art. 11 e 12 del bando di concorso. Violazione e falsa applicazione della l. n. 476/84 e s.m.i. eccesso di potere. Difetto di motivazione. Violazione dell’art. 3 della l. n 241/1990. Violazione degli art. 9 – 27 – 34 – 97 della Costituzione. Violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali. Violazione del principio di proporzionalità , ragionevolezza, equità  gradualità  dell’azione amministrativa.».
Il ricorrente, partendo dal presupposto per cui “l’ammissione al corso di dottorato quale soprannumerario è condizionata in chiave generale all’assenso di parte datoriale, come previsto dall’art. 2 della L. n. 476/84 laddove prevede che il congedo sia concesso compatibilmente con le esigenze dell’Amministrazione”, riteneva che la mancata ammissione subita si ponesse in contrasto con l’interesse pubblico generale, nonchè in violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità  della P.A., riconosciuti e garantiti dall’art. 97 Cost..
Sempre in tesi di parte ricorrente, l’esclusione dello stesso dal dottorato di ricerca si sarebbe altresì posta in contrasto con il principio di ragionevolezza: i fatti oggetto di accertamento in sede penale sarebbero stati collocati in un “contesto spazio temporale che non ha alcuna connessione con il corso di dottorato”; da ciò sarebbe derivata l’irrilevanza degli stessi “nell’ottica formativa cui è proiettato un corso di dottorato.”.
Concludeva, pertanto, il ricorrente evidenziando l’irragionevolezza della scelta della P.A. di escludere il ricorrente dal corso in questione.
In data 16/02/2017, perveniva in Segreteria l’atto di costituzione in giudizio dell’Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro”, in persona del suo rappresentante legale p.t., deducendosi in esso la manifesta inammissibilità  e/o infondatezza del ricorso ed instando per il suo integrale rigetto, unitamente alla domanda cautelare incidentalmente avanzata.
La resistente si riservava, altresì, la facoltà  di produrre successive memorie e documenti. 
In data 20/02/2017, veniva depositata in Segreteria memoria difensiva, con cui parte resistente insisteva argomentatamente per l’integrale reiezione del ricorso.
All’udienza camerale del 22/02/2017, la causa era definitivamente trattenuta in decisione ex art. 60 c.p.a..
Tutto ciò premesso, il ricorso è infondato e pertanto deve essere respinto.
Con riguardo alla vicenda in oggetto, occorre prendere le mosse dall’art. 11 del bando di concorso per titoli ed esami, per l’ammissione ai corsi di dottorato di ricerca, di durata triennale del corso in scienze biomolecolari farmaceutiche e mediche, curriculum in “Neuroscienze applicate”, sopra citato.
La disposizione in questione, infatti, testualmente recita: “Possono essere ammessi in soprannumero, che non può superare il 50% dei posti ordinari 
1. (omissis)
2. i cittadini extracomunitari e i dipendenti pubblici che risulteranno idonei a seguito del superamento delle prove di ammissione, senza fruizione della borsa di studio.”
Dal tenore letterale della disposizione de quo, emerge che il superamento delle prove concorsuali costituisca condizione necessaria, ma non in sè sufficiente per l’ammissione quale soprannumerario al corso di dottorato di ricerca in questione.
Difatti, nella parte iniziale della disposizione il verbo “potere” deve considerarsi come espressivo di una mera facoltà  di azione riconosciuta in capo alla Pubblica Amministrazione, la quale potrebbe anche discrezionalmente decidere di non ammettere come soprannumerari i dipendenti pubblici che pur siano risultati idonei all’esito delle prove svolte, in particolare nel caso in cui si manifestino specifiche situazioni di fatto ostative da esplicitare in apposito provvedimento motivato. 
Ebbene, nel caso di specie, il Magnifico Rettore – con il provvedimento impugnato – ha deciso di non ammettere il ricorrente proprio sulla base di una legittima valutazione di tipo discrezionale sulla effettiva integrale sussistenza dei requisiti soggettivi in capo all’interessato, in perfetta coerenza con la natura di interesse legittimo pretensivo della posizione giuridico soggettiva fatta valere.
Le valutazione compiute dal Magnifico Rettore devono ritenersi congrue e coerenti con il principio di razionalità , di ragionevolezza e di proporzionalità  di cui il ricorrente lamenta, invece, apoditticamente ed infondatamente la lesione.
Infatti, nel provvedimento impugnato si è svolta una articolata valutazione comparativa, realizzando un adeguato contemperamento fra gli interessi al buon andamento della P.A. e la promozione della cultura e della ricerca scientifica, da un lato, prendendo tuttavia in adeguata considerazione altri interessi giuridici, non meno rilevanti, tra cui il prestigio, l’onorabilità , l’immagine e la reputazione della Pubblica Amministrazione, dall’altro.
Ebbene, escluso pacificamente il carattere esecutivo della sentenza di condanna in prime cure pronunciata nei confronti del ricorrente dalla seconda sezione penale del Tribunale Civile e Penale di Bari, il Collegio ritiene del tutto legittimo che il Rettore abbia voluto tenere in debita considerazione la sentenza de quo, nel valutare se ammettere o meno il ricorrente al corso di dottorato in questione.
Detta pronuncia, peraltro, oltre a comminare come pena accessoria la interdizione del ricorrente dai pubblici uffici per una durata di cinque anni, ha spiccato una condanna per reati particolarmente gravi, che, secondo quanto affermato dall’organo giudicante, sarebbero stati commessi dal Ballini proprio grazie al ruolo che lo stesso ricopriva all’interno dell’Amministrazione universitaria. 
Con il decreto rettorale impugnato si è, dunque, disposta l’esclusione del ricorrente dal corso di dottorato, non in mera esecuzione del provvedimento giurisdizionale de quo, come suggestivamente prospettato dal ricorrente, ma tenendo conto dei significativi e certo non trascurabili elementi accertati – seppur non in via definitiva – in sede penale.
Si tratta di elementi che, per la loro gravità , risultano oggettivamente idonei a far sorgere dei dubbi sull’opportunità  di un più stabile e qualificato inserimento del ricorrente nella comunità  accademica; dubbi che, in assenza dei provvedimenti disciplinari già  irrogati e di quelli odiernamente impugnati, avrebbero proiettato il loro inevitabile riflesso negativo sull’immagine e sul prestigio istituzionale dell’Università  pubblica barese.
Nè si può sostenere che i provvedimenti de quibus siano privo di motivazione, vista la notoria, riconosciuta legittimità  della prassi della motivazione per relationem (cfr. inter alia Cons. Stato, VI, 24 febbraio 2011, n. 1156; IV, 3 agosto 2010, n. 5150; IV, 23 novembre 2002, n. 6444).
Ad abundantiam, deve altresì rilevarsi come attualmente non risulti che il ricorrente abbia presentato una specifica istanza volta ad ottenere, dal Responsabile della propria Struttura di appartenenza, il nullaosta necessario per poter usufruire del congedo straordinario per motivi di studio, come richiesto dall’art. 2 della legge n. 476/1984 e s.m.i., integralmente recepito nell’art. 12 del bando.
Sul punto, la normativa di riferimento è da individuarsi proprio nella legge n. 476/1984, così come modificata dalla riforma “Gelmini” (cfr. art. 19 della legge n. 240/2010). 
Antecedentemente a detta riforma, infatti, il collocamento del dipendente pubblico in congedo straordinario per frequenza dei corsi di dottorato di ricerca, costituiva oggetto di un obbligo per le Amministrazioni, che si traduceva in concreto in un provvedimento amministrativo vincolato di mera presa d’atto della richiesta del dipendente e del sussistere delle condizioni di fatto previste.
Il dipendente pubblico vantava, in ipotesi del genere, un vero e proprio diritto soggettivo al collocamento in aspettativa retribuita.
A seguito della riforma “Gelmini”, invece, il congedo straordinario in questione è diventato oggetto di una valutazione di tipo discrezionale del dirigente funzionalmente competente sul dipendente vincitore di concorso dottorale.
Il legislatore della riforma ha riconosciuto al titolare formale del rapporto di lavoro per parte datoriale la possibilità  di valutare – in modo largamente discrezionale – se ritenere preminente il buon andamento della Pubblica Amministrazione (bene tutelato dall’art. 97 Cost.) o la promozione della cultura e della ricerca scientifica (bene tutelato dall’art. 9 Cost., cfr. Corte Cost., 18 maggio 1995, n. 201).
Conseguentemente, persino nel caso in cui si fosse giunti all’annullamento degli atti e dei provvedimenti impugnati, non vi sarebbe stata certezza alcuna che il Ballini avrebbe potuto ottenere il bene della vita cui aspirava.
Peraltro, anche volendo prescindere dall’ovvia considerazione in fatto volta ad evidenziare la chiara impossibilità  per qualunque dirigente universitario di autorizzare ad un dipendente quanto lo stesso Magnifico Rettore abbia già  espressamente vietato con proprio pregresso provvedimento, non può non evidenziarsi come, su tale profilo, il ricorrente appaia muoversi secondo una logica contraddittoria, sul filo della inammissibilità  della domanda per carenza dei presupposti.
Appare infatti amministrativamente del tutto contraddittorio, da un lato richiedere l’accertamento del diritto del ricorrente ad essere ammesso, quale soprannumerario, al corso di dottorato di ricerca in oggetto; dall’altro non presentare neanche l’istanza volta all’ottenimento del nullaosta del dirigente del proprio Ufficio, in tal modo ponendosi al confine dell’inammissibilità  della domanda per carenza di interesse concreto ed attuale.
Da ultimo, quanto alle spese di lite del presente procedimento, esse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna -OMISSIS- al pagamento delle spese di lite in favore dell’Università  degli Studi di Bari “Aldo Moro”, che liquida in complessivi € 2.500,00 (euro duemilacinquecento,00) per spese e compensi, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità  della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità  nonchè di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Angelo Scafuri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alfredo Giuseppe Allegretta Angelo Scafuri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


In caso di diffusione omettere le generalità  e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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