1. Giurisdizione – Giurisdizione del G.A. – Azione di risarcimento del danno contro l’agire illegittimo della p.a. – Criteri di riparto – Occupazione appropriativa – Dichiarazione di pubblica utilità  – Sussistenza – Esercizio del potere – Affermazione – Qualificazione della situazione giuridica soggettiva – Interesse legittimo – Devoluzione


2. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Irreversibile trasformazione del bene – Natura di illecito permanente – Conseguenze – Azione di risarcimento del danno – Imprescrittibilità 


3. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Responsabilità  solidale tra ente delegante e delegato – Configurabilità 
 

 
4. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Conseguenze

1. Nel contesto ermeneutico delle sentenze della Corte Cost. (n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006) – dichiarative della illegittimità  costituzionale di nuove ipotesi legislative di giurisdizione esclusiva del G.A. in materia urbanistico-edilizia ed espropriativa, se estese a comportamenti non riconducibili nemmeno mediatamente all’esercizio di un pubblico potere – devono ascriversi a tale giurisdizione le controversie in tema di risarcimento del danno da comportamenti, causativi di danno ingiusto, che, pur se illegittimi, costituiscano esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e che quindi siano riconducibili all’esercizio della p.a., come nel caso di irreversibile trasformazione del suolo privato, con destinazione all’opera pubblica (c.d. occupazione appropriativa), avvenuta, durante il periodo di occupazione autorizzata (nel qual caso l’illecito si consuma alla scadenza del relativo termine), ma comunque in presenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità , per effetto della quale la posizione soggettiva del proprietario è trasformata in interesse legittimo.


2. Deve escludersi che la mera trasformazione irreversibile di un suolo con la realizzazione di un’opera pubblica costituisca circostanza idonea a trasferire in capo all’Amministrazione la proprietà  delle aree in assenza di un regolare provvedimento di esproprio, e ciò sia nel caso di occupazione del terreno ab origine sine titulo sia nel caso di un’occupazione iniziata in forza di un provvedimento legittimo poi scaduto, per cui il comportamento della pubblica Amministrazione costituisce un illecito permanente, al quale consegue l’obbligo del risarcimento del danno per la perdita di possesso e l’obbligo di far cessare l’illegittima compromissione del diritto di proprietà .


3. Si configura la responsabilità  solidale tra delegante e delegato nel caso in cui la p.A. abbia non solo affidato ad altro soggetto la realizzazione dell’opera pubblica, ma anche delegato lo stesso per lo svolgimento delle procedure espropriative, in caso di danni cagionati all’espropriato per occupazione illegittima, quante volte vi siano elementi idonei a evidenziare un concorso di colpa fra di essi (anche solo per omesso controllo del primo sul secondo), e salva la diversa conclusione cui può pervenirsi sulla base di concreti e specifici elementi che escludano la responsabilità  dell’uno o dell’altro dei predetti soggetti.


 
4. Nell’attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno l’obbligo giuridico di far venir meno – in ogni caso – l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La p.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”, oppure deve attivarsi perchè vi sia un legittimo titolo di acquisto dell’area avvalendosi, per esempio, dell’istituto previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001. Quello che le Amministrazioni non possono pensare di continuare a fare è restare inerti in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni illegittime.


Pubblicato il 09/02/2017
N. 00119/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00325/2001 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 325 del 2001, proposto da: 
A. M., A. M., A. B., quest’ultimo nella qualità  di erede di B. R., rappresentati e difesi dagli avvocati Vincenzo Caputi Iambrenghi, C.F. CPTVCN41T01H645G, e Filippo Panizzolo, C.F. PNZFPP62M18A662N, con domicilio eletto presso Filippo Panizzolo, in Bari, via M. Celentano, 27;

contro
A.N.A.S. S.p.A. – Compartimento Viabilità  per la Puglia, Prefettura di Bari, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, 97;

nei confronti di
R. G. & P. S.n.c., in proprio e quale capogruppo in A.t.i. con I. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Di Cagno, C.F. DCGLSN65A27A662W, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bari, via Putignani, 47; 
Icim S.r.l., non costituita in giudizio;

per l’annullamento
della procedura ablatoria posta in essere per la costruzione dei lavori di sistemazione della S.S. 16 Adriatica – Tangenziale di Bari;
nonchè
per la condanna
delle parti intimate al risarcimento dei danni derivati alle ricorrenti dagli espropri suddetti.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’A.N.A.S S.p.A. – Compartimento Viabilità  per la Puglia, della Prefettura di Bari e dell’A.t.i. R. G. & P. S.n.c.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2016 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 9-10-12.2.2001 e depositato il 23.2.2001, le signore A.M., A.M. e R. B. adivano il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, al fine di ottenere la pronuncia meglio indicata in oggetto.
Esponevano che, con decreto 20.6.1989 prot. n. 653/1.20A.2/I SETT., successivamente all’approvazione da parte del Ministero dei lavori pubblici del progetto n. 4750 del 17.9.1988 (riguardante la sistemazione della tangenziale di Bari tra la A14 e Poggiofranco e la strada comunale Santa Caterina), il Prefetto della Provincia di Bari aveva emanato un decreto con cui disponeva l’occupazione d’urgenza dei suoli di proprietà  delle ricorrenti, allibrati alla partita 15987, foglio 57, particelle 339 (per mq 2000) e 476 (per mq 500).
L’occupazione sarebbe dovuta terminare entro il 19.6.1991, mentre il compimento delle opere e dell’intera procedura espropriativa rispettivamente in 440 e in 2500 giorni decorrenti dalla data del 2.6.1989.
Con lo stesso decreto, all’art. 3, il Prefetto conferiva alla A.T.I. Rubino G. & P. s.n.c. I.C.I.M. s.r.l., con sede in Bari, l’incarico di svolgere per conto dell’A.N.A.S., nella veste di affidataria, tutte le procedure connesse all’occupazione e alla successiva espropriazione.
In concreto, i lavori di allargamento della circonvallazione di Bari venivano solo parzialmente completati e, comunque, andando oltre la scadenza del termine fissato per l’occupazione.
Il Prefetto, con un secondo decreto in data 8.3.1990 prot. n.183/1.20A.2/I SETT., vista la variante al progetto, disponeva un’ulteriore occupazione d’urgenza del terreno di proprietà  delle istanti, in catasto alla partita 15985, foglio 57, particella 476, delegando sempre la A.T.I. concessionaria a svolgere la procedura espropriativa.
L’occupazione si sarebbe dovuta concludere entro il 7.3.1992, i lavori entro 1800 giorni e le espropriazioni entro 2160 giorni dalla data del D.M. 27.2.1990.
La particella, divenuta oramai relitto circondato da strade, era destinata a sede di uno svincolo viario, i cui lavori non venivano neppure avviati.
In data 10.2.1996 alle ricorrenti perveniva una proposta indennitaria, ai sensi dell’art. 5 bis della legge 8.8.1992 n. 359.
L’indennità , stimata £ 25.000 al mq, non veniva accettata dalle istanti.
Di fatto, i decreti di esproprio non venivano più emanati.
Le ricorrenti censuravano l’illegittimità  della procedura ablatoria posta in essere, domandando:
– in relazione alle particelle 339 e 476, la condanna dell’A.N.A.S., del Prefetto di Bari e della R. G. & P. s.n.c., in proprio e quale mandataria della A.T.I. costituita con la I. s.r.l., e la medesima mandante al ristoro del nocumento derivante dall’appropriazione contra ius (il cui valore venale veniva quantificato provvisoriamente, in tesi, in £ 120.000 al mq, con l’applicazione dell’articolo 7 bis della L. n. 359/1992), nonchè il risarcimento per l’illegittima occupazione dal 20.6.1991 (data di scadenza dell’efficacia del relativo decreto), con rivalutazione monetaria e interessi; 
– in relazione alla particella 476, poichè sulla stessa, pur occupata dal 12.3.1990, non erano state realizzate opere, le ricorrenti pretendevano il pagamento del risarcimento del danno per la perdita della proprietà  e per l’occupazione illegittima a decorrere dal giorno 8.3.1992, con le stesse modalità .
Inoltre le proprietarie lamentavano la “espropriazione larvata” subita con riferimento alla residua superficie delle particelle 339 e 476, che, pur non formalmente interessata dalle procedure ablatorie, aveva tuttavia assunto natura e consistenza di mero relitto, in quanto intersecato da una serie di strade e di fatto inutilizzabile.
Con memoria formale del 27.2.2001, si costituiva in giudizio la Prefettura di Bari, chiedendo il rigetto delle domande proposte.
Con memoria del 23.4.2011, si costituiva in giudizio l’A.T.I. R.G. & P. s.n.c ed I. s.r.l., sollevando preliminarmente eccezione di prescrizione del diritto, stante il decorso di oltre cinque anni dalla data di ultimazione dei lavori da parte dell’impresa, nonchè la carenza di legittimazione passiva della società . 
Con ordinanza presidenziale n. 30 del 15.5.2001, il Collegio disponeva adempimenti istruttori, affidati al Dirigente dell’Ufficio del Territorio di Bari (con facoltà  di delega) ai fini di verificare lo stato dei luoghi e i dati relativi all’eventuale irreversibile trasformazione dei suoli.
Tale istruttoria non veniva completata, senza che dalla documentazione processuale emergessero le motivazioni di tale inadempimento.
Con memoria formale del 14.11.2001, si costituiva in giudizio l’Ente Nazionale per le Strade – A.N.A.S.
Con ordinanza n. 566 del 19.6-18.7.2003, il Tribunale interrompeva il giudizio, per morte dell’originaria ricorrente B.R.
Successivamente, con atto notificato il 19.01.2004 e depositato il 31.1.2004, riassumevano il processo, con il patrocinio del nuovo difensore, avvocato Filippo Panizzolo, i signori A.M., A. M. e A. B., nella qualità  di erede della sig.ra B.
Con memoria del 3.6.2010, l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, in rappresentanza della Prefettura e dell’A.N.A.S., eccepiva difetto di legittimazione passiva, nonchè di prescrizione dell’azione risarcitoria.
L’Avvocatura erariale avanzava, altresì, dubbi in merito alla giurisdizione del Giudice Amministrativo a conoscere la domanda risarcitoria conseguente all’illegittima occupazione; sosteneva, in sintesi, che la competenza del Giudice Amministrativo riguardasse solo la materia urbanistica, che presupponeva interventi di trasformazione del territorio, in mancanza dei quali la sola esistenza di un decreto di occupazione non era sufficiente a radicarne la giurisdizione.
Con ordinanza istruttoria n. 208 del 1.9.2010, il Collegio, in considerazione della non chiara situazione dei luoghi e del mancato espletamento dell’istruttoria (di cui all’ordinanza presidenziale n. 30/2001), riteneva necessario acquisire, ai fini del decidere, una relazione, debitamente documentata, sui seguenti aspetti: a) stato dei luoghi, stato di completamento dei lavori stradali progettati sui suoli dei ricorrenti e su quelli vicini, comunque influenti sulla fruibilità  dei primi; b) iter della procedura espropriativa e regime attuale dei suoli oggetto delle pretese attoree, con riguardo anche alla loro natura di strade; c) modalità  di calcolo e di eventuale pagamento delle indennità ; valore attuale dei suoli.
In detta relazione l’A.N.A.S. riconosceva l’illegittimità  della occupazione e l’irreversibile trasformazione dei luoghi, attestando che la superficie occupata e trasformata ammontava a complessivi 8.836 mq; quantificava, ai sensi dell’art. 5 bis della L. n. 359/1992 in € 12,91/mq il valore venale del suolo, e, conseguentemente, in complessivi € 237.244,76 la somma riconosciuta come dovuta ai ricorrenti a titolo di indennità  e risarcimento.
I ricorrenti contestavano la relazione, sia sotto il punto di vista della quantificazione della superficie, sia in merito alla stima del valore del suolo; pertanto, chiedevano la nomina di un CTU.
A seguito di tale richiesta, l’A.N.A.S. proponeva definizione transattiva del contenzioso, motivando, su tale scorta, una lunga ed articolata serie di rinvii chiesti di comune accordo fra le parti e concessi da questo Tribunale in vista di una auspicabile soluzione negoziata della controversia.
Senonchè, dopo aver convenuto un’ipotesi transattiva, la stessa non veniva approvata dalla Direzione Generale dell’A.N.A.S. in Roma.
A seguito dell’udienza pubblica del 20.4.2016, con ordinanza n. 779 del 13.6.2016, il Collegio manifestava la necessità , al fine del decidere, di acquisire “l’accordo transattivo in corso di definizione”, citato, inter alia, nella nota A.N.A.S. S.p.A. prot. CDG-0064760-P del 21.5.2015, in atti. 
Con nota prot. CDG-0108940-P dell’11.10.2016, l’A.N.A.S. comunicava che, in considerazione della presenza di relazioni di stima contenenti valutazioni molto discordanti tra di loro in merito al valore dei beni da acquisire, non riteneva di dar seguito alla definizione transattiva della vicenda.
All’udienza del 19.10.2016, la causa veniva definitivamente trattenuta in decisione.
Preliminarmente il Collegio ritiene di precisare che non sussistono dubbi in merito alla corretta instaurazione del giudizio dinanzi questo Tribunale.
A seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004, n. 191 del 2006 e n. 140 del 2007, deve ritenersi che rientrino nella giurisdizione amministrativa tutte le controversie in tema di risarcimento del danno da comportamenti, causativi di danno ingiusto, che, pur se illegittimi, costituiscano comunque esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi e che quindi siano riconducibili all’esercizio della pubblica autorità , come nel caso di irreversibile trasformazione del suolo privato, con destinazione dell’opera pubblica (c.d. occupazione appropriativa), avvenuta in presenza di una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità  (Cassazione civile, sez. un., 20.12.2006, n.27193; Cassazione civile, sez. un., 26.3.2007, n.7256).
Può ritenersi ormai ius receptum il principio per cui la devoluzione operata dal legislatore (L. n. 205/2000 e art. 53 D.P.R. n. 327/2001) a favore della cognizione esclusiva (diritti soggettivi ed interessi legittimi) su comportamenti lesivi della P.A. in materia urbanistica-espropriativa sia immune da dubbi di costituzionalità  solo nella misura in cui tali comportamenti presentino un oggettivo criterio di collegamento con l’esercizio di una pubblica potestà  (c.d. comportamenti amministrativi).
Appartiene, invece, alla giurisdizione ordinaria la cognizione dei “comportamenti” posti in essere in carenza di potere, ovvero in via di “mero fatto”, in particolare a seguito della sentenza n. 191/2006 della Corte costituzionale (cfr. da ultimo, Cass. Civile, Sez. Unite, ordinanza del 7.12.2016, n. 25044).
Nel caso in esame il comportamento lesivo tenuto dalla P.A. è stato comunque originato da un comportamento amministrativo, posto che la procedura di esproprio era stata legittimamente avviata con la dichiarazione di pubblica utilità  e con i decreti relativi all’occupazione d’urgenza dei suoli di proprietà  dei ricorrenti, a cui, tuttavia, non sono seguiti i decreti di esproprio.
Posta la giurisdizione di questo Tribunale, occorre esaminare l’eccezione di prescrizione del risarcimento per decorso del termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., per come sollevata da tutte le parti resistenti.
L’eccezione è infondata per due ordini di ragioni. 
In primo luogo va precisato che, domandando il risarcimento dei danni patiti per l’espropriazione illegittima, i ricorrenti hanno agito a tutela del proprio diritto di proprietà , esperendo un’azione di natura petitoria.
La giurisprudenza in merito ha chiarito da tempo che la mera trasformazione del suolo con la realizzazione di un’opera pubblica non costituisce circostanza idonea a trasferire la proprietà  del bene, in assenza di un regolare provvedimento espropriativo, così abolendo l’istituto dell'”occupazione acquisitiva”; il comportamento della P.A., dunque, costituisce un illecito “permanente” al quale deve conseguire l’obbligo di far cessare la indebita compromissione del diritto di proprietà  del privato mediante la restituzione o il risarcimento del danno (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 21.6.2013, n. 1500). La qualificazione del comportamento dell’Amministrazione come un vero e proprio illecito “permanente” rende imprescrittibile l’azione per l’illegittimo impossessamento (cfr. in tal senso, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 4.2.2015, n. 391).
Peraltro, va anche considerato che, pur non tenendo conto della natura dell’illecito configuratosi, con la proposizione dell’offerta dell’indennità  di esproprio in data 10.2.1996 è stato interrotto il decorso della prescrizione.
L’invio dell’offerta contempla, infatti, una dichiarazione dell’Amministrazione nel senso di ritenersi obbligata a compensare in via pecuniaria una perdita patrimoniale patita dal destinatario del procedimento espropriativo (cfr. T.A.R. Veneto, Venezia, 10.7.2014, n. 995; Cassazione civile, Sez. I, 4.9.1999, n. 9381).
Pertanto, ad ogni modo, non può dubitarsi che l’azione sia stata tempestivamente proposta con la notifica del ricorso in data 9.2.2001.
Infine, vanno esaminate le eccezioni di difetto di legittimazione passiva sollevate dal Prefetto di Bari, dall’A.N.A.S. e dell’A.T.I. R. G. & P. s.n.c. I. s.r.l.
Il Prefetto di Bari ha argomentato a favore della propria estraneità  al giudizio posto che non era soggetto beneficiario della procedura di esproprio e tantomeno ente gestore degli atti della procedura espropriativa, atti la cui gestione per conto dell’A.N.A.S. era stata delegata alla società  appaltatrice.
L’eccezione è fondata. 
Correttamente i ricorrenti hanno sottolineato che il compito di emanare il decreto di esproprio ricadeva – stante la disciplina ratione temporis applicabile – sul Prefetto di Bari.
Tuttavia, il Collegio condivide l’approdo giurisprudenziale pacificamente sostenuto dalla Corte di Cassazione per cui “nell’ipotesi di occupazione appropriativa, il fatto che la legge attribuisca a determinate autorità  quali il Prefetto, il Presidente della Giunta regionale od il sindaco, il potere di emettere sia il decreto di occupazione temporanea, che quello di esproprio, non comporta che le stesse siano legittimate passivamente nell’azione di risarcimento del danno derivato dall’illecito, in quanto anche se sono assegnatarie in via esclusiva di tale competenza funzionale, non sono identificabili con l’espropriante e non è possibile riferirne l’attività  all’amministrazione di appartenenza in base al rapporto di immedesimazione organica” (cfr. Cassazione civile, Sez. un., 23.11.2007, n. 24397).
Occorre, pertanto, disporre l’estromissione dal giudizio del Prefetto di Bari.
Non colgono nel segno, al contrario, le eccezioni sollevate dall’A.N.A.S. e dall’A.T.I. R.G. & P. s.n.c. I.. s.r.l., che possono essere congiuntamente trattate.
L’art. 3 del decreto n. 2963 del 2.6.1989 del Ministero dei Lavori Pubblici – Presidente dell’A.N.A.S., approvando il progetto redatto dal Compartimento A.N.A.S. relativo ai lavori di sistemazione della tangenziale di Bari (dalla A/14 a Poggiofranco) e della S.C. Santa Caterina (dalla tangenziale alla S.P. Modugno – Carbonara) lungo la S.S. n.16, ha conferito all’A.T.I. l’incarico di provvedere a svolgere per l’ANAS “tutte le procedure tecniche, amministrative e finanziarie per l’espropriazione e connesse occupazioni temporanee”. 
Entrambe le parti hanno sostenuto, con percorsi argomentativi paralleli, la propria estraneità  all’illecito realizzatosi, conferendo diverse interpretazioni della “delega” a svolgere le citate procedure in favore dell’A.T.I..
In tesi dell’A.N.A.S., con la delega nei confronti dell’A.T.I. si sarebbe configurata la “formale sostituzione ex lege del concessionario-appaltatore”. 
Al contrario, l’A.T.I. ha contestato di aver agito non in proprio ma in rappresentanza dell’A.N.A.S. ed in forza di atti amministrativi emessi dalla P.A.; inoltre, l’emanazione del decreto di esproprio non era di competenza dell’A.T.I. e, pertanto, nessuna responsabilità  poteva essere addebitata all’impresa costruttrice per ritardi o inadempienze di altri soggetti.
Come preannunciato, entrambe le eccezioni vanno disattese, sussistendo responsabilità  solidale tra le due parti per il danno da occupazione illegittima verificatosi.
Sul punto, è chiara la giurisprudenza amministrativa nell’affermare che “si configura la responsabilità  solidale tra delegante e delegato nel caso in cui la P.A. abbia non solo affidato ad altro soggetto la realizzazione dell’opera pubblica, ma anche delegato lo stesso per lo svolgimento delle procedure espropriative, in caso di danni cagionati all’espropriato per occupazione illegittima, quante volte vi siano elementi idonei a evidenziare un concorso di colpa fra di essi (anche solo per omesso controllo del primo sul secondo), e salva la diversa conclusione cui può pervenirsi sulla base di concreti e specifici elementi che escludano la responsabilità  dell’uno o dell’altro dei predetti soggetti” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 28.7.2016, n. 3416, Consiglio di Stato, sez. IV, 11.12.2014, n. 6080).
A tale approdo è giunta da tempo anche la giurisprudenza di legittimità , ribadendo come l’A.N.A.S non possa invocare un contratto stipulato con l’appaltatrice per legittimare il proprio esonero da responsabilità  nei confronti dei proprietari del fondo illegittimamente occupato e trasformato (che a detto contratto sono rimasti totalmente estranei).
Ciò discende da consolidati principi civilistici (res inter alios acta tertiis neque nocet neque prodest) e dalla consolidata giurisprudenza amministrativa e civile che in materia ha configurato un possibile esonero di responsabilità  in favore dell’Ente espropriante (peraltro unicamente al ricorrere di particolari condizioni) soltanto nella (pacificamente non ravvisabile, nel caso di specie) ipotesi della c.d. “concessione traslativa” (ex aliis, Cassazione civile, Sez. I, 17.9.2015, n.18236; Consiglio di Stato, Sez. IV, 21.8.2013 n. 4229). 
Non meritano condivisione nemmeno le tesi esposte dell’A.T.I., posto che è pacifico che fosse delegata al compimento di “tutte le procedure tecniche, amministrative e finanziarie per l’espropriazione e connesse occupazioni temporanee” e che, come condiviso dal maggior orientamento della giurisprudenza, in caso di irreversibile trasformazione del fondo in assenza di decreto di esproprio, il soggetto delegato al compimento dell’opera pubblica, pur se abbia ultimato i lavori entro il termine di scadenza dell’occupazione legittima, risponde del danno da occupazione appropriativa ove la delega fosse estesa al compimento delle procedure amministrative preordinate all’esproprio, poichè, anche se di fatto, nel rapporto con i soggetti proprietari dei terreni assoggettati a procedura ablatoria, non si sia manifestato come incaricato della conduzione del procedimento (come nel caso in cui risulti aver sempre agito in nome e per conto del delegante), l’onere di promuovere e sollecitare la tempestiva emissione del decreto di esproprio da parte del titolare del potere espropriativo rientra tra i compiti del delegato, che è dunque da ritenere compartecipe, attraverso la propria condotta omissiva, dell’illecito in cui si concreta la trasformazione del fondo in assenza di titolo, in applicazione del principio per cui chiunque abbia dato un contributo causale al danno ingiusto ne deve rispondere (cfr. Cassazione civile, Sez. I, 17.9.2015, n. 18236; Cassazione civile, Sez. I, 9.11.2004, n. 21351).
La tesi della mancanza di alcuna responsabilità  in capo all’appaltatrice dei lavori sarebbe stata condivisibile solo qualora la stessa fosse stata incaricata unicamente di eseguire i lavori e non di occuparsi delle pratiche connesse all’espropriazione.
Nei propri scritti difensivi l’A.N.A.S. ha sostenuto inoltre che l’onere di provare il presunto inadempimento della stessa nel controllo sull’operato dell’A.T.I. sarebbe ricaduto sui ricorrenti, sicchè, non avendo fornito tale prova, nessuna responsabilità  sarebbe addebitabile all’Amministrazione. 
Tuttavia, anche alla luce del principio processuale generale della “vicinanza alla prova” (cfr., da ultimo, Cass. n. 6511/2016; Cass. n. 17923/2016), il Collegio ritiene che risulterebbe del tutto irrazionale e sproporzionato far ricadere sui proprietari dei suoli l’onere di essere a conoscenza di circostanze attinenti al rapporto tra A.N.A.S. e società  appaltatrice.
Come chiarito nella citata sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 3416 del 28.7.2016, è possibile pervenire a diversa conclusione in merito alla responsabilità  solidale solo sulla base di concreti e specifici elementi che escludano la responsabilità  dell’uno o dell’altro dei predetti soggetti.
Nessuna delle due parti resistenti ha, tuttavia, in alcun modo allegato prove della propria incolpevolezza nei danni arrecati, se non attribuendo la responsabilità  all’altra con diverse interpretazioni della natura della delega intercorsa.
Nel merito, dunque, il ricorso è fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento nei termini che seguono.
Il Collegio rinviene nel comportamento tenuto dall’A.N.A.S. e dall’A.T.I. tutti gli elementi costitutivi della responsabilità  aquiliana per danno ingiusto, sia per quanto concerne il compimento di un atto illecito, derivante da un’occupazione sine titulo dei terreni in proprietà  della parte ricorrente, sia l’elemento psicologico della colpa, per la negligenza dimostrata nella mancata conclusione della procedura espropriativa, sia il nesso causale tra l’azione appropriativa e il danno patito per effetto della sottrazione del bene e la trasformazione dei luoghi. 
Non appare che possa essere posto in discussione che le parti resistenti abbiano proceduto ad un’occupazione illegittima dei terreni delle ricorrenti siccome indicati in narrativa.
Del resto, tanto è stato ammesso dalla stessa Amministrazione nella relazione depositata agli atti a seguito dell’ordinanza istruttoria n. 208/2010 disposta da questo Collegio, laddove vengono riportati i “termini di occupazione illegittima”, con conseguente determinazione dell’indennità  da versare “nel caso di occupazione divenuta illegittima per scadenza del termine”.
àˆ, altresì, incontestato che l’A.N.A.S. stia possedendo tutt’ora contra legem il bene dei ricorrenti e che lo abbia modificato a seguito della realizzazione dei lavori eseguiti dall’A.T.I. 
Occorre premettere, in linea di principio, che “le Amministrazioni hanno infatti l’obbligo giuridico di far venir meno – in ogni caso – l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto. La P.A. ha due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”, oppure deve attivarsi perchè vi sia un legittimo titolo di acquisto dell’area. Quello che le amministrazioni non possono pensare di continuare a fare è restare inerti in situazioni di illecito permanente connesso con le occupazioni usurpative” (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 21.4.2016, n. 491; Consiglio di Stato, Sez. IV, 26.3.2013, n. 1713).
Sulle conseguenze della realizzazione senza titolo di un’opera pubblica su un fondo di proprietà  altrui, è nota la conclusione alla quale la giurisprudenza è ormai giunta, al termine di un lungo e complesso dibattito, che ha visto l’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), volto a contestare l’istituto di origine pretoria della c.d. accessione invertita (o occupazione acquisitiva), che consentiva alla PA di acquistare la proprietà  di un fondo occupato senza titolo, in forza della definitiva realizzazione dell’opera pubblica e della irreversibile trasformazione del fondo stesso (si veda sull’accessione invertita, la nota sentenza della Corte di Cassazione, 26.2.1983, n.1464).
L’istituto dell’occupazione acquisitiva succitato è ormai superato (anche perchè ritenuto dalla CEDU in insanabile contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo), e sul punto la giurisprudenza amministrativa è oggi pacifica (si vedano, fra le tante, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29.4.2005, n. 2; Consiglio di Stato, Sez. IV, 2.9.2011, n. 4970).
Di conseguenza, per la stessa giurisprudenza sopra menzionata, il proprietario del fondo occupato -senza titolo – dall’opera pubblica ha diritto alla restituzione del bene e tale effetto restitutorio può essere paralizzato soltanto da un contratto traslativo fra le parti oppure qualora l’Amministrazione si avvalga dell’istituto previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001 (articolo la cui conformità  alla Costituzione è stata statuita dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 71 del 30.4.2015).
Anche se la fattispecie in esame è disciplinata non dal T.U. in materia di espropriazione per pubblica utilità  (D.P.R. n. 327/2001), bensì dalla previgente disciplina L. n. 2359/1865, l’inequivoco tenore di cui al comma 8 del predetto articolo 42 bis (“le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già  stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità  e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione; in tal caso, le somme già  erogate al proprietario, maggiorate dell’interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo”) e le consolidate affermazioni della pacifica giurisprudenza consentono di affermare che la norma in questione si applichi ai processi in corso, ed anche ove essi concernano procedure espropriative pregresse.
Va in proposito rilevato che il potere di disporre l’acquisizione ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, dell’area abusivamente occupata dall’Amministrazione è espressione del più generale potere di amministrazione attiva che compete agli enti pubblici, cui il Giudice Amministrativo non può sostituirsi al di fuori dei casi di giurisdizione estesa al merito; la valutazione comparativa degli interessi in gioco e la conseguente decisione in ordine all’acquisizione o alla restituzione del bene costituisce quindi scelta riservata alla discrezionalità  dell’Amministrazione (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 7.7.2016, n. 894; Consiglio di Stato, Sez. IV, 15.9.2014, n. 4696).
Spetta dunque all’Amministrazione valutare se disporre, in alternativa alla sua restituzione, l’acquisizione sanante alla mano pubblica del bene illecitamente occupato, alle condizioni e con le modalità  prescritte dall’art. 42 bis citato.
Ad ogni modo, apparirebbe del tutto contrario all’interesse pubblico e manifestamente irrazionale disporre la rimozione delle opere costruite spendendo denaro pubblico, anche in considerazione del fatto che tanto non è mai stato domandato dai ricorrenti, nè risulta essere stato oggetto di trattative con la P.A.; trattative che, al contrario, hanno mostrato il chiaro intento di tutte le parti di giungere ad un componimento bonario a livello di risarcimento del danno; sicchè, in assenza di una transazione, l’unica via al fine di attribuire legittimità  all’azione amministrativa apparirebbe quella di procedere ai sensi dell’art. 42 bis del T.U. con l’emanazione da parte dell’A.N.A.S. di un provvedimento che disponga che i suoli occupati siano acquisiti, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e prevedendo la corresponsione in favore dei proprietari di un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale.
Ai ricorrenti dovrà  essere riconosciuto il risarcimento del danno derivante dalla illegittima occupazione del terreno di loro proprietà  (cui risponderanno solidalmente l’A.N.A.S. e l’A.T.I. resistente per le ragioni sopra esposte), a decorrere dalla data in cui è scaduto il periodo di legittima occupazione del bene fino alla definitiva acquisizione in proprietà  dell’immobile da parte della Pubblica Amministrazione, ovvero, in alternativa, fino alla data di restituzione dello stesso ai legittimi proprietari, nella misura dell’interesse del 5% annuo del valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, come prescritto dal comma 3 del cit. art. 42 bis.
Al fine di non paralizzare a tempo indeterminato l’efficacia della domanda risarcitoria, deve essere fissato il termine di giorni 30, decorrente dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, entro il quale l’Amministrazione resistente dovrà  adottare il provvedimento definitivo al riguardo.
Successivamente alla scadenza di tale termine, questo Tribunale potrà  accertare la corretta esecuzione, da parte dell’Amministrazione resistente, del presente capo della sentenza, previa proposizione di ricorso per ottemperanza da parte dei ricorrenti.
In tale sede, avvalendosi dei poteri tipici del giudizio di ottemperanza, il Tribunale potrà  anche sostituirsi alla Pubblica Amministrazione inerte, mediante la nomina di un commissario ad acta.
Da ultimo, come è noto, eventuali controversie aventi ad oggetto la determinazione e la corresponsione dell’indennizzo dovranno essere devolute alla giurisdizione del Giudice Ordinario.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’A.N.A.S. nei termini indicati in dispositivo, anche in considerazione del comportamento processuale dell’Ente e della mancata risoluzione transattiva della controversia.
A tal proposito, appare altresì opportuno disporre l’invio di copia della presente sentenza alla Procura della Repubblica presso la Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione di competenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, estromesso dal giudizio il Prefetto di Bari, ordina all’A.N.A.S. S.p.a. di adottare il provvedimento di acquisizione sanante previsto dall’art. 42 bis del D.P.R. n.327/2001, ovvero, in alternativa, di determinarsi a restituire il bene ai proprietari, entro 30 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.
Condanna l’A.N.A.S. e l’A.T.I. resistente a risarcire i ricorrenti per il danno da illegittima occupazione, determinato ai sensi dell’art. 42 bis nei termini precisati in motivazione.
Condanna l’A.N.A.S. al pagamento delle spese del giudizio in favore delle parti ricorrenti, che si liquidano in € 5.000,00 (euro cinquemila,00), oltre accessori come per legge.
Dispone l’invio di copia della presente sentenza alla Procura della Repubblica presso la Corte dei Conti, per ogni eventuale valutazione di competenza.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Angelo Scafuri, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alfredo Giuseppe Allegretta Angelo Scafuri
 
 
 
 
 

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