Accesso agli atti della p.A. – Trattamento lavorativo- Denunzia del dipendente presso il Ministero del Lavoro – Atto di accertamento – Istanza di accesso del datore di lavoro – Diniego – Legittimità  – Ragioni 

à‰ legittimo il diniego di ostensione  degli atti attraverso i quali il dipendente ha denunziato la società  datrice di lavoro per violazioni nell’ambito del rapporto contrattuale, violazioni che, a seguito di un’ispezione,  hanno dato origine ad un verbale  di accertamento del Ministero del Lavoro. Infatti tra l’esigenza  di accedere agli atti della p.A. per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio  e quella  di tutelare la privacy del dipendente/denunziante, deve ritenersi la prevalenza di quest’ultima, sia perchè il dipendente deve essere preservato dalle eventuali ritorsioni del datore di lavoro, sia perchè le notizie essenziali  per esercitare cognita causa il diritto di difesa sono comunque contenute nel verbale di accertamento.

Pubblicato il 25/11/2016
N. 01314/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00637/2016 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 637 del 2016, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Rosanna De Leo C.F. DLERNN65D70L109O, domiciliato ex art. 25 cpa presso . Segreteria Del T.A.R. Puglia in Bari, piazza Massari, 6; 

contro
Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, in persona del Ministro legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata in Bari, via Melo, 97; 

nei confronti di
Filippo Giardinelli non costituito in giudizio; 

per l’annullamento della nota prot.0033767 del 20.04.2016, comunicata a mezzo PEC in pari data, con la quale il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha rigettato l’istanza di accesso agli atti presentata dal ricorrente in data 14.03.2016, e di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali; nonchè
per l’accertamento e la declaratoria
del diritto di accesso e l’emanazione dell’ordine di esibizione dei documenti ex art. l16,comma 4 C.p.A..
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 il dott. Francesco Gaudieri e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1.- Con il ricorso in esame, notificato il 18.5.2016, depositato il 30.5.2016, il nominato in epigrafe, in proprio e nella qualità  di -OMISSIS-s.r.l. con sede in Putignano, premesso di aver ricevuto, in data 1.3.2016, da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Territoriale di Bari, Servizio Ispezione del Lavoro di Bari, verbale unico di accertamento nonchè verbale di -OMISSIS-, recante una sanzione amministrativa di euro 50.085,00, afferenti ad una serie di violazioni rilevate dall’organo periferico del citato Ministero in sede di verifica della richiesta d’intervento presentata dal sig. F. G., intesa ad evidenziare che, nell’arco lavorativo dal 2012 al 2015 in cui il predetto avrebbe lavorato alle dipendenze della citata società  (circostanza da quest’ultima recisamente negata), la stessa sarebbe incorsa in numerose violazioni accertate tramite “dichiarazioni testimoniali, proposta di conciliazione, dossier di email e messaggistica telefonica”, impugna il diniego di accesso agli atti, opposto alla propria istanza mirata ad acquisire gli atti necessari alla difesa in giudizio, motivato dall’intimata amministrazione con la circostanza che l’accesso alle dichiarazioni rese agli ispettori “non è esercitabile, perchè dalla loro divulgazione possono derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi (D.M. 4/11/1994 n. 757)”.
Affida le proprie doglianze ad un articolato motivo di ricorso, con il quale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 24 comma 7 l. n. 241/90, in relazione all’art. 2 D.M. 757/1994 ed eccesso di potere sotto concorrenti e plurimi profili, dal momento che, nella fattispecie, l’esercizio del diritto di difesa del diritto soggettivo a contestare e contrastare l’accertamento ispettivo sarebbe assolutamente prevalente rispetto all’esigenza di riservatezza prevista dall’art. 2 del citato D.,M.
Per contestare l’accertamento ispettivo, fondato sull’asserita sussistenza di un presunto rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della società -OMISSIS-il ricorrente afferma di avere necessità  di accedere agli atti per visionare i documenti ed estrarre copia, senza che gli possa essere opposto il diritto alla riservatezza che, notoriamente, recede di fronte al diritto di difesa.
Le previsioni del citato D.M., inoltre, dovrebbero essere disapplicate a fronte della chiara previsione legislativa, atteso che nel conflitto tra due norme di rango diverso, occorre dare prevalenza a quella legislativa. La stessa giurisprudenza amministrativa è consolidata nel ritenere che se le dichiarazioni costituiscono il supporto di un provvedimento sanzionatorio adottato nei confronti del datore di lavoro, il diritto di difesa del datore di lavoro include l’accesso alle dichiarazioni rese dai dipendenti e dai terzi nel corso del procedimento ispettivo. Per poter sottrarre all’accesso gli atti dell’attività  ispettiva, occorre che vi sia un pericolo effettivo di pregiudizio per i lavoratori o per i terzi sulla base di elementi concreti e non per presunzione assoluta.
2.- Resiste in giudizio, con mero atto di stile e deposito documenti, l’intimata amministrazione ministeriale chiedendo il rigetto della domanda perchè inammissibile ed infondata. 
3.- Alla camera di consiglio del 20 ottobre 2016, sulla conclusione delle parti presenti come da verbale di udienza, il Collegio si è riservata la decisione.
4.- Il ricorso è infondato, alla stregua delle considerazioni che seguono.
4.1.- E’ controversa nel presente giudizio la legittimità  del provvedimento, in epigrafe meglio specificato, con il quale la Direzione Territoriale del Lavoro di Bari ha negativamente esitato l’istanza con la quale l’interessato ha chiesto di accedere agli atti degli accertamenti ispettivi, attivati nei confronti della propria azienda-OMISSIS-dalla segnalazione/denunzia di terzi, chiedendo di “estrarre copia degli atti (dichiarazioni testimoniali, scambio mail e messaggi) su cui si sarebbero formati gli accertamenti effettuati”.
4.2.- L’amministrazione interessata ha denegato l’ostensione, confermando le motivazioni rese in sede di comunicazione ex art. 10 bis l. n. 241/90, per l’assorbente considerazione che il diritto di accesso alla documentazione ispettiva ed in particolare alle dichiarazioni rese agli ispettori non è esercitabile “perchè dalla loro divulgazione possono derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”, giusta previsione di cui al D.M. /757/1994.
4.3.- Parte ricorrente ha impugnato il diniego asserendo che, per giurisprudenza costante, il diritto alla riservatezza è recessivo a fronte del diritto alla difesa.
4.4.- Non sfugge al Collegio che la questione oggetto di scrutinio rappresenta una vexata quaestio e che la giurisprudenza in subiecta materia si è determinata con orientamento non univoco asserendo, in alcuni casi, che nel bilanciamento dei contrapposti interessi doveva ritenersi prevalente quello alla tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori al fine di proteggerli da eventuali ritorsioni o indebite pressioni che il datore di lavoro, con cui avevano un rapporto di diretta dipendenza, avrebbe potuto svolgere nei loro confronti (Cons. di Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2009, n. 7678; 9 febbraio 2009, n. 736; 22 aprile 2008, n. 1842; 27 gennaio 1999 n. 65; 4 luglio 1997, n. 1066; 19 novembre 1996, n. 1604); in altri casi, si è invece, orientata ad affermare che il tema del corretto bilanciamento fra i precitati diritti costituzionalmente garantiti si potrebbe risolvere, procedendo ad una valutazione “caso per caso” delle richieste di accesso agli atti, in modo che si possa tener conto degli elementi di fatto e di diritto concretamente posti a fondamento delle richieste medesime, in quanto non potrebbe “affermarsi in modo aprioristico una generalizzata recessività  dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità  di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa” (Cons. di Stato, Sez. VI, 11 luglio 2013, n. 4035). In questo ambito trova logica collocazione – in ossequio al disposto dell’art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 e come specificazione del precitato divieto legislativo – il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757 del 4 novembre 1994 che, all’art. 2, comma 1, lettere b) e c), stabilisce che siano sottratti al diritto d’accesso i “documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro” nonchè quelli “contenenti notizie acquisite nel corso delle attività  ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”.
4.5.- In un’ottica di sfavore alla soluzione giurisprudenziale dell’accesso prevalente sul diritto alla riservatezza si colloca la sentenza del Consiglio di Stato n. 863 del 2014 che, rivisitando il precedente indirizzo della VI Sezione, giunge a conclusioni negative per le tesi attoree qui esposte, nei termini che seguono : “Ritiene, pertanto, la Sezione che – alla luce del quadro normativo sopra esposto e nell’ottica di un corretto bilanciamento fra contrapposte esigenze costituzionalmente e legislativamente garantite – non può ritenersi sussistente una recessività  generalizzata della tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva rispetto alle esigenze di tutela degli interessi giuridicamente rilevanti delle società  che richiedono l’accesso, ma deve al contrario ritenersi in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall’ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni. Ciò, in primo luogo, alla luce della considerazione, rispondente ad esigenze di giustizia sostanziale, che i lavoratori risultano la “parte debole” del rapporto contrattuale esistente fra loro e le società  istanti: è, infatti, lo stesso art. 24, comma 6, lettera d) della legge n. 241 del 1990 che impone di prendere atto delle realtà  dei singoli settori della vita sociale e di riconoscere rilevanza alle esigenze di riservatezza delle “persone fisiche”, e ciò a maggior ragione quando le medesime siano potenzialmente esposte ad un danno o ad un pericolo di danno connesso all’ostensione di dati a loro riferibili.
4.6.- Le riferite conclusioni risultano confermate anche dalla successiva giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 5779 del 24 novembre 2014 (riformando in parte Tar Bari sez. III 4 febbraio 2014 n. 160), si è così espresso : 
“Al riguardo questo Consiglio, all’esito di un approfondimento in materia, ha definito un indirizzo (Cons. Stato, Sez. VI, n. 863 del 2014), che si condivide, per cui l’esigenza della tutela della riservatezza dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva: 
a) assume una particolare rilevanza “volta sia a prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte del datore di lavoro, sia a preservare, in un contesto più ampio, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro”; 
b) ciò alla luce della normativa costituzionale ed europea (art. 4, 32 e 36 Cost. e art. 8 CEDU), nonchè in base all’art. 8 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), per cui si deve ritenere “in via generale prevalente, se non assorbente, la tutela apprestata dall’ordinamento alle esigenze di riservatezza delle suddette dichiarazioni, contenenti dati sensibili la cui divulgazione potrebbe comportare, nei confronti dei lavoratori, azioni discriminatorie o indebite pressioni”; 
c) non essendo peraltro l’ostensione dei detti documenti indispensabile per curare o difendere gli interessi giuridicamente rilevanti dei datori di lavoro, considerato che la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni loro contestati risulta di norma assicurata dal verbale di accertamento relativo alle dette dichiarazioni, ferma la possibilità , in ultima istanza, di ottenere accertamenti istruttori in giudizio; 
d) costituendo “la prevalenza del diritto alla riservatezza dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni rispetto alla tutela garantita dall’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990¦un principio generale che, come tale, opera a prescindere dalla circostanza che l’istante sia o meno il datore di lavoro dei soggetti che hanno reso le dichiarazioni”.
In altri termini, i lavoratori devono essere posti in grado di collaborare con le autorità  amministrative e giudiziarie, di presentare esposti e denunce, senza temere possibili ritorsioni nell’ambiente di lavoro nel quale vivono quotidianamente.”
4.7.-L’indirizzo in questione appare ormai consolidato, anche alla luce delle successive pronunce della Sezione che possono ritenersi compendiate nella pronuncia n. 714 del 2015 che di seguito si riporta :
” La più recente giurisprudenza di questa Sezione (sentenze n. 2555 del 20 maggio 2014 e n. 3128 del 24 febbraio 2014), modificando il proprio precedente orientamento, ha ritenuto, alla luce di un più maturo esame della questione relativa al corretto bilanciamento fra i contrapposti diritti entrambi costituzionalmente garantiti ( quello alla tutela degli interessi giuridici e quello alla riservatezza dei lavoratori e delle dichiarazioni da loro rese in sede ispettiva) che il diritto di difesa, per quanto privilegiato in ragione della previsione di cui all’articolo 24, comma 7, della legge n. 241/90, debba essere contemperato con la tutela di altri diritti tra cui quello alla riservatezza, anche dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva (art. 2, comma 1, lett. c) D.M. 4 novembre 1994 n. 757).
Ciò allo scopo di prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte delle società  datrici di lavoro o di quelle obbligate in solido con le medesime e per preservare, in tal modo, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro.
Nel quadro giurisprudenziale esposto e da cui questo Collegio non intende discostarsi, è stata pertanto ritenuta, in via generale, prevalente la tutela alla necessità  di riservatezza delle suddette dichiarazioni contenenti dati sensibili, la cui divulgazione potrebbe, come innanzi rilevato, comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei lavoratori, i quali devono essere posti in grado di collaborare con le autorità  amministrative e giudiziarie, nonchè di presentare esposti e denunce, senza temere negative conseguenze nell’ambiente di lavoro in cui vivono.
Tale tutela è sembrata quindi fondativa dell’intero sistema dei diritti fondamentali, ove la riservatezza riguardi coloro che risulterebbero ragionevolmente i più deboli nell’ambito del rapporto di lavoro, considerato peraltro che, anche in assenza dell’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, la tutela degli interessi giuridici vantati dalle predette società  risulta comunque pienamente garantita dall’ordinamento. 
Nè la questione è diversa, quando il diritto di difesa riguarda un altro lavoratore ugualmente in una posizione di debolezza rispetto al datore di lavoro. Ciò in quanto la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestate risulta, di norma, assicurata dal contenuto del verbale di accertamento relativo alle dichiarazioni dei lavoratori e che, comunque, vi è la possibilità  di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria. Il che peraltro dimostra come la documentazione a cui si richiede di accedere e che contiene dati sensibili, non risulti strettamente indispensabile, come del resto previsto dallo stesso articolo 24, comma 7 della legge n. 241/90, per curare o difendere i propri interessi giuridici. 
Peraltro, il diritto di accesso non è stato configurato dal legislatore con carattere meramente strumentale rispetto alla difesa in giudizio, avendo un carattere autonomo, nel senso che il collegamento tra l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso e la documentazione oggetto della relativa istanza va inteso in senso ampio, poichè la documentazione richiesta deve essere considerata mezzo utile per la difesa e non come strumento di prova diretta della lesione dell’interesse tutelato (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, decisione n. 3309/2010), e comunque il lavoratore che ha chiesto l’accesso ha la possibilità  di chiamare a deporre in altra sede giudiziale i colleghi che ritiene abbiano rilasciato dichiarazioni in sede ispettiva.”
4.8.- D’altronde, anche a voler delibare la questione in esame, alla luce del diverso orientamento giurisprudenziale che ritiene illegittima – e, quindi, da disapplicare – la norma regolamentare, siccome in contrasto con l’art. 24 della l. n. 241/90 (ex multis Tar Lombardia, Milano, Sez. III n. 803 del 2008), residua quale possibile percorso orientativo quello tracciato (ex multis) da Cons St. n. 736 del 2009, a mente delle cui indicazioni, le questioni dell’accesso ai verbali dell’attività  ispettiva e, quindi, il giudizio di prevalenza dell’uno o dell’altro interesse, deve essere oggetto di una valutazione “caso per caso”. Orbene, molte delle pronunce che hanno condiviso il perimetro esegetico in questione, hanno favorevolmente delibato la questione dell’accesso ai verbali ispettivi, in ragione dell’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro dei soggetti potenzialmente compromessi (ex multis Cons. St. n. 6341 del 2003; Tar Lazio n. 2866 del 2013; Tar Lombardia Brescia n. 161 del 2006; Cons. St. n. 2500 del 2016).
Circostanza quest’ultima che, nella specie, non risulta rappresentata.
4.9.- Tirando le file delle riferite traiettorie ermeneutiche, deve convenirsi che il ricorso in esame è infondato, atteso che, contrariamente a quanto dedotto, l’accesso agli atti non appare strettamente necessario e funzionale alla predisposizione della difesa attorea, dal momento :
– che la compiuta conoscenza dei fatti e delle allegazioni contestate risulta, di norma, assicurata dal contenuto del verbale di accertamento relativo alle dichiarazioni dei lavoratori;
– che, comunque, vi è la possibilità  di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
4.9.1.- Nella specie, parte ricorrente afferma in ricorso di aver avuto notifica del verbale unico di accertamento della D.T.L. di Bari dal quale risulta che tutta l’attività  ispettiva è scaturita dalla richiesta di intervento di F.G. “¦che avrebbe denunciato di aver lavorato alle dipendenze della Jordan &Co s.r.l. dal maggio 2012 sino alla fine di giugno 2015” : siffatte circostanze già  evidenziano che il percorso difensivo di parte ricorrente non può ritenersi “al buio” e che le successive iniziative da intraprendere (anche avverso gli ulteriori verbali di accertamento INPS e INAIL) ben possono essere caratterizzate da richieste di accertamenti istruttori in sede giudiziaria.
Alla luce di quanto sopra, le rappresentate esigenze di difesa devono stimarsi, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, recessive a fronte delle esigenze di tutela della riservatezza delle dichiarazioni rese dai lavoratori nell’ottica della necessaria protezione da eventuali ritorsioni o indebite pressioni del datore di lavoro, così come esattamente opposto dall’amministrazione ministeriale nell’atto impugnato. 
Può concludersi per la reiezione del ricorso in esame.
5.- La particolarità  della fattispecie in esame e le oscillazioni giurisprudenziali giustificano la compensazione delle spese. 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Francesco Gaudieri, Presidente, Estensore
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Francesco Gaudieri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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