1. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Ricorso incidentale – Lesione attuale – Insussistenza – Conseguenze


2. Edilizia ed urbanistica – Piani esecutivi – P.d.L. – Scadenza dell’efficacia  – Previsioni edilizie dello strumento attuativo – Ultrattività  –  Ragioni 


3. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Disciplina delle distanze dalle strade e dalle piazze – Art. 879 c.c. – Rinvio alle leggi urbanistico-edilizie – Ragioni 

1. L’azione promossa con il ricorso incidentale è caratterizzata dall’assenza di una lesione attuale che, ove esistente, richiederebbe la proposizione di un’azione automa, e dalla presenza di una lesione virtuale, che potrebbe attualizzarsi a seguito dell’accoglimento del ricorso principale, sicchè costituisce un’azione proposta in via accessoria a quella principale, atteso che non è autonoma rispetto a quest’ultima, ma in rapporto di derivazione causale, essendo indirizzata alla conservazione dell’assetto sostanziale di interessi che con il ricorso principale si vuole mettere in discussione.
 

2. Nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, debbono continuare ad osservarsi gli allineamenti e le altre prescrizioni di zona, stabilite dal piano di lottizzazione, giacchè, con il compirsi del termine decennale di efficacia, decadono le disposizioni di contenuto espropriativo, ma non anche le previsioni dello strumento attuativo che, costituendo le regole determinative del contenuto della proprietà  delle aree incluse nel piano di lottizzazione, rimangono operative e vincolanti, senza limiti di tempo, fino all’eventuale approvazione di un nuovo piano esecutivo.
 

3. La disposizione di cui all’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”, sta a significare che  che, in presenza di una strada pubblica, non si fa questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali il D.M. 1444/1968. Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968), cioè soltanto se previste – a loro volta – in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario (cioè, che contempli la contestuale edificazione degli edifici antistanti) di determinate zone del territorio.

Pubblicato il 03/10/2016
N. 01166/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01215/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1215 del 2014, proposto da: 
Serafini Azzolini e Rosa Andriani, rappresentata e difesa dagli avvocati Sandro Coppola C.F. CPPSDR63P07A662Z, Nicola Di Modugno C.F. DMDNCL61T24A662S, con domicilio eletto presso Nicola Di Modugno in Bari alla via Manzoni n. 5; 

contro
Comune di Giovinazzo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Massimo Vernola C.F. VRNMSM65R23A662Q, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari alla via Dante n. 97; 

nei confronti di
Teresa Caccavo, rappresentata e difesa dall’avvocato Saverio Profeta C.F. PRFSVR65H02A662Q, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari alla via Cognetti n. 25; 

per l’annullamento
(richiesto con ricorso principale e con ricorso incidentale)
della nota prot. n. 5167 del 12.03.2014, notificata in data 13.03.2014, del Comune di Giovinazzo avente ad oggetto: “Provvedimento conclusivo, ex L. 241/90 e s.m.i., del procedimento avviato in autotutela finalizzato alla verifica della legittimità  della denuncia di inizio attività  reg. al n. 275/2012, relativa ai lavori di ampliamento straordinario ex art. 3 della L.R. 14/2009 e s.m.i. dell’immobile residenziale esistente alla Via De Turcolis n. 12/B, identificato catastalmente al fg 3, mappa le 812 subb. da 1 a 7”; di tutti gli atti comunque connessi, presupposti e conseguenziali.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Giovinazzo e di Teresa Caccavo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2016 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1. Giunge in decisione il ricorso proposto da Azzolini Serafina e Andriani Rosa avverso la nota comunale n. 5167 del 12/3/14 (recante annullamento in autotutela della d.i.a. n. 272/12), già  oggetto di ricorso straordinario al Capo dello Stato, trasposto in sede giurisdizionale con atto notificato alle controparti in data 18/19 settembre 2014, per effetto dell’opposizione spiegata dal Comune di Giovinazzo. 
Parte ricorrente, destinataria del predetto annullamento in autotutela della D.I.A. n. 275/12 relativa a lavori di ampliamento straordinario ex art. 3 l.r. 14/09 di un immobile residenziale sito in Giovinazzo alla via de Turcolis (rectius: vico I de Turcolis), deduce con separati motivi di ricorso:
– violazione e falsa applicazione dell’art. 19 co. 3 l. 241/90 in relazione al successivo art. 21 nonies ed eccesso di potere per contraddittorietà  con precedente atto: il Comune ha leso l’affidamento ingenerato nelle ricorrenti, dal momento che contesta – nell’atto gravato – l’allineamento riscontrato, benchè esso sia quello realizzato in base a piano di lottizzazione (di seguito anche solo “pdl”) approvato e le opere di urbanizzazione – comprese le strade – siano state “consegnate” al Comune nel 2008, senza che a ciò abbia fatto seguito alcun tipo di rilievo;
– violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/90, per l’omessa considerazione degli interessi delle odierne ricorrenti e per non aver dato conto delle deduzioni da queste fornite in risposta alla comunicazione ex art. 10 bis l. 241/90.
2. Ha proposto ricorso incidentale Caccavo Teresa (proprietaria di un immobile prospiciente quello delle ricorrenti ed autrice della segnalazione da cui ha avuto origine il procedimento di autotutela), deducendo che l’annullamento comunale violerebbe:
– l’art. 9 DM 1444/68, nella parte in cui esclude che l’ampliamento progettato dalla ricorrente comporti violazione della distanza minima tra edifici ivi prevista, precisando che nel caso in esame il regime delle distanze applicabile è quello ricavabile – invece – dagli artt. 47 e 49 delle n.t.a. del vigente P.R.G.C.; 
– l’art. 52 delle n.t.a. del vigente P.R.G.C. che prevede una distanza minima dal ciglio stradale di mt. 3, che l’ampliamento in esame non rispetterebbe. 
Tanto premesso, ha chiesto che, per effetto dell’accoglimento del ricorso incidentale, quello principale sia dichiarato improcedibile. 
3. Rinunziata l’istanza cautelare, espletati gli incombenti disposti con l’ordinanza collegiale n. 34/2016, all’udienza del 22/9/16 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 
4. Il ricorso incidentale va delibato per primo, stante l’incidenza di un suo eventuale accoglimento sull’interesse a ricorrere in capo alle signore Azzolini e Andriani. 
4.1 Va, preliminarmente, sancita la tempestività  di tale ricorso, a fronte della eccezione di tardività  formulata da parte ricorrente fin dalla memoria del 12/11/15. 
Ed invero, “Il ricorso incidentale è uno strumento offerto al controinteressato per insorgere contro lo stesso provvedimento impugnato, o atti ad esso connessi perchè appartenenti al medesimo assetto di interessi, con il ricorso principale, ma per profili diversi da quelli dedotti con quest’ultimo e tali da ampliare il thema decidendum originario, al fine di neutralizzare o almeno limitare l’incidenza di un eventuale accoglimento del ricorso principale sulla posizione di vantaggio derivante al medesimo controinteressato dal provvedimento oggetto di impugnativa in via principale.
La proposizione del ricorso incidentale da parte di un controinteressato, quindi, è finalizzata alla conservazione della posizione di vantaggio derivante dal provvedimento impugnato in via principale.
L’art. 42 c.p.a., infatti, stabilisce che le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale.
L’azione incidentale, pertanto, è caratterizzata dall’assenza di una lesione attuale, che, ove esistente, richiederebbe la proposizione di un’azione automa, e dalla presenza di una lesione virtuale, che potrebbe attualizzarsi a seguito dell’accoglimento del ricorso principale, sicchè costituisce un’azione proposta in via accessoria a quella principale, atteso che non è autonoma rispetto a quest’ultima, ma in rapporto di derivazione causale, essendo indirizzata alla conservazione dell’assetto sostanziale di interessi che con il ricorso principale si vuole mettere in discussione”, (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II ter, sent. 13/3/14 n. 2802). 
Nel caso di specie, a seguito della segnalazione del 23/1/14, la ricorrente incidentale ha comunque visto soddisfatto il proprio interesse sostanziale (e, cioè, quello a paralizzare l’intervento edilizio delle ricorrenti) a mezzo dell’atto di autoannullamento, benchè fondato su ragioni giuridiche diverse da quelle da lei poste a fondamento della sua segnalazione. Un eventuale gravame proposto in via principale avverso l’atto di annullamento sarebbe stato, pertanto, dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Al contrario, l’interesse della Caccavo si è riespanso per effetto del gravame proposto dalle Azzolini – Andriani avverso il provvedimento di autotutela che, se accolto, consentirebbe loro di intraprendere l’intervento edilizio (asseritamene) lesivo della posizione giuridica della Caccavo.
4.2 Nel merito, il ricorso incidentale si palesa fondato.
In diritto, va evidenziato che ai sensi dell’art. 9 D.M. 1444/68 (Limiti di distanza tra i fabbricati): 
“1. Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:
1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. 
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml 12.
2. Le distanze minime tra fabbricati – tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità  a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) – debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:
– ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.
– ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
– ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15. 
3. Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Come di recente sostenuto da questa Sezione, “Le previsioni di tale norma costituiscono un principio assoluto ed inderogabile che prevale – ad un tempo – sia sulla potestà  legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (C. Cost., 16.6.2005, n. 232), sia sulla potestà  regolamentare e pianificatoria dei Comuni (Cons. di St., IV, 2.11.2010, n. 7731), in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata, sia, infine, sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che, per loro natura, non sono nella disponibilità  delle parti. Ne consegue che, per giurisprudenza consolidata, le previsioni di cui all’art. 9 DM 1444/68, riguardanti la distanza minima da osservarsi tra edifici, essendo funzionali a garantire non tanto la riservatezza, quanto piuttosto l’igiene e la salubrità  dei luoghi e la formazione di intercapedini dannose (tra le più recenti, Cass. Civ., sez. II, 03/03/2008, Cons. Stato, sez. V, 26/10/2006, n. 6399), debbono considerarsi assolutamente inderogabili da parte dei comuni, che si debbono attenere ad esse in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici; inoltre, traendo le norme del DM 1444/68 la propria efficacia dall’art. 41 quinquies, comma 8, L. 1150/42 – in tale parte non abrogato dal D.P.R. 380/01 – le relative previsioni debbono considerarsi avere una efficacia immediatamente precettiva e tale da potersi sostituire alle eventuali norme di piano regolatore ad esse non conformi (tra le tante, Cass. Civ. 22495/2007 e 20574/2007; Cons. Stato, sez. IV, 2094/2007; 1206/2007) – sent. 9/6/16 n. 719.
Nel caso di specie, gli immobili frontistanti delle ricorrenti (principali ed incidentale) ricadono nel comparto B2.1 del piano di lottizzazione approvato con D.C.C. n. 29 del 10/8/1997.
L’attuale distanza tra gli edifici è pari a mt. 12,50, mentre con l’ampliamento progettato dalle ricorrenti principali tale distanza si ridurrebbe a mt. 8 (circostanze affermate dalla Caccavo e non contestate dalla controparte).
Risulta, dunque, che gli immobili delle parti in causa – tra cui è interposta una strada pubblica – sono (già ) situati ad una distanza inferiore rispetto a quella prevista dal predetto co. 2 dell’art. 9 cit. (considerata la larghezza della strada di circa mt. 9, risultante dalle cartografie in atti), ciò che è stato evidentemente reso possibile – in conformità  al disposto dell’art. 9 co. 3 cit. – dal fatto che l’ubicazione di tali immobili deriva dal pdl approvato nel 1997. 
Lo strumento urbanistico nel caso di specie, quindi, esiste e, nonostante la sua scadenza per il decorso del decennio dalla sua approvazione, “nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti, debbono continuare ad osservarsi gli allineamenti e le altre prescrizioni di zona, stabilite dal piano di lottizzazione, giacchè, con il compirsi del termine decennale di efficacia, decadono le disposizioni di contenuto espropriativo, ma non anche le previsioni dello strumento attuativo che, costituendo le regole determinative del contenuto della proprietà  delle aree incluse nel piano di lottizzazione, rimangono operative e vincolanti, senza limiti di tempo, fino all’eventuale approvazione di un nuovo piano esecutivo (Cons. Stato, sez. IV 4 dicembre 2007, n. 6170; 28 luglio 2005, n. 4018, e 2 giugno 2000, n. 3172) – così questa Sezione, con sent. 9/3/09 n. 474. 
Le prescrizioni del pdl non risultano superate, infatti, da alcun successivo strumento di pianificazione generale o di zona. Il piano, corredato da svariati elaborati contenenti anche la planovolumetria dell’intervento (come risulta dalla delibera di C.C. – all. 2 produzione Caccavo) ed attuato a mezzo di successiva convenzione risulta pienamente conforme alle previsioni di cui all’ultimo periodo dell’ultimo comma dell’art. 9 cit.
E’quella prevista dallo strumento attuativo, pertanto, la distanza minima da rispettare anche in caso di ampliamento, secondo quanto disposto dall’art. 3 co. 1 lett. b della l.r. 14/09, secondi cui “l’ampliamento deve essere realizzato in contiguità  fisica rispetto al fabbricato esistente, nel rispetto delle altezze massime e delle distanze minime previste dagli strumenti urbanistici. In mancanza di specifica previsione in detti strumenti, si applicano altezze massime e distanze minime previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici, di concerto con il Ministro per l’interno, 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità  edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività  collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765)”.
Risultano, pertanto, fallaci le asserzioni di parte ricorrente, secondo cui l’art. 9 D.M. cit. non sarebbe applicabile stante la deroga contemplata dall’art. 879 co. 2 c.c.: “è evidente come la disposizione di cui all’art. 879 c.c., nel disporre che “alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano”, intenda significare che, in presenza di una strada pubblica, non si fa tanto questione di tutelare un diritto soggettivo privato (tutelato dalla normativa codicistica sulle distanze, rinunciabile e negoziabile), ma di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico intorno alla strade ed alle piazze, ordinato sviluppo che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e regolamenti urbanistico-edilizi, tra i quali – per l’appunto – il D.M. 1444/1968. Tanto ciò è vero che distanze inferiori sono ammesse, in deroga, “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche” (art. 9 u.c. D.M. 1444/1968), cioè soltanto se previste – a loro volta – in strumenti urbanistici funzionali a un assetto complessivo e unitario (cioè, che contempli la contestuale edificazione degli edifici antistanti) di determinate zone del territorio (cfr.: Cons. di Stato, IV, 12.3.2007, n. 1206)” – T.A.R. Molise, sez. I, sent. – 11/9/15 n. 332. 
Nè sembra revocabile in dubbio che la possibilità  di deroga alle distanze minime sia riferibile anche agli edifici ricadenti in zona B, in quanto la disposizione richiama i “precedenti commi” (in termini, T.A.R. Trentino Alto Adige Sez. aut. Bolzano – sent. 17/12/14 n. 285).
5. Conclusivamente va condivisa l’asserzione della ricorrente incidentale Caccavo, nella parte in cui lamenta che erroneamente il Comune (pur annullando la D.I.A. per ragioni diverse) abbia ritenuto assentibile l’ampliamento per il quale è causa, considerando non applicabile il regime delle distanze previsto dall’art. 9 D.M. cit. 
6. Entro tali limiti (e con assorbimento dell’ulteriore motivo proposto) va, pertanto, accolto il ricorso incidentale, con conseguente declaratoria di improcedibilità  per sopravvenuta carenza di interesse di quello principale. 
7. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti, attesa la controvertibilità  delle questioni. 
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti, accoglie il ricorso incidentale nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto dichiara improcedibile il ricorso principale.
Compensa le spese di lite. 
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Francesco Gaudieri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Viviana Lenzi Francesco Gaudieri
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO

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