1. Procedimento amministrativo – Autotutela – Annullamento d’ufficio – Onere della motivazione e tutela dell’affidamento
2. Procedimento amministrativo – Autotutela – Annullamento d’ufficio – Comunicazione di avvio del procedimento – Obbligo – Sussiste 
3. Risarcimento del danno – Annullamento per vizi procedimentali – Permanenza esercizio poteri discrezionali – Domanda risarcitoria – Non può essere accolta
4. Risarcimento del danno – Prova del danno – Onere della prova – Grava sul danneggiato – Ragioni 
5. Risarcimento del danno – Prova del danno – Interessi pretensivi – Risarcibilità  – Condizioni

1. Ai sensi dell’art. 21 nonies L.n. 241/1990 il provvedimento con il quale l’amministrazione dispone l’annullamento d’ufficio di una precedente determinazione, da essa adottata, non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità , ma deve dare conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto e, in ogni caso, incontra il limite insuperabile costituito dall’esigenza di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità  dell’atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da quest’ultimo.
 2. La preventiva comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall’art. 7 L.n. 241/1990, costituisce una regola generale dell’azione amministrativa, soprattutto quando l’amministrazione eserciti il potere d’annullamento d’ufficio per il quale occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto o alla cessazione dei suoi effetti.
 3. La domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento amministrativo annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione e per vizio del procedimento, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità  in sede di riesercizio del potere. All’esito del rinnovato potere, ove dovesse sopravvenire un provvedimento negativo, sarebbe esclusa la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento.
4. La domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., sicchè grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa). Il risarcimento del danno, infatti, non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito.
5. Il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità , evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l’aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorchè fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere consentito allorchè detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà .

N. 01504/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01569/2013 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1569 del 2013, proposto da Palazzo Joss, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi d’Ambrosio, con domicilio eletto in Bari, piazza Garibaldi, 23;

contro
Comune di Gioia del Colle;
Sportello Unico del Patto Territoriale Sistema Murgiano Murgia – Murgia Sviluppo s.c.a.r.l.;
Regione Puglia;

per l’annullamento,
previa concessione di misure cautelari,
– del provvedimento prot. n. 26936 del 14.10.2013 dello Sportello Unico del Patto Territoriale Sistema Murgiano, a firma del RUP del SUAP nonchè dirigente dell’UTC del Comune di Gioia del Colle e del direttore esecutivo di Murgia Sviluppo s.c.a.r.l., recante annullamento in autotutela dell’autorizzazione unica n. 50 del 2.4.2012, rilasciato all’azienda agricola Palazzo Joss per la realizzazione “di un’azienda agricola-zootecnica per l’allevamento di bovini da latte e da ingrasso, con annesso caseificio aziendale per la trasformazione dei prodotti propri, da ubicare in Gioia del Colle (BA) in Contrada Ortensia Nuova s.c.”;
– della determinazione del responsabile del procedimento n. 833/248 del 25.9.2013, comunicata a mezzo raccomandata del 27.9.2013, pervenuta il successivo 1.10.2013, recante annullamento in autotutela della determinazione n. 469/2012 del 30.5.2011 ad oggetto “autorizzazione paesaggistica rilasciata in favore del sig. Palazzo Joss”;
– di ogni altro atto specificamente indicato in ricorso;
– nonchè di ogni altro atto a questi presupposto, connesso e /o conseguente, ancorchè non conosciuto;
e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patito;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e udito nell’udienza pubblica del giorno 4 novembre 2015 per la parte ricorrente il difensore avv. Luigi D’Ambrosio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO e DIRITTO
L’odierno ricorrente Palazzo Joss (imprenditore agricolo professionale) è proprietario di suoli in agro del Comune di Gioia del Colle, località  Ortensia Nuova identificati in catasto al foglio 56, p.lle 208-209. 
Il Palazzo inoltrava al Comune di Gioia del Colle istanza di permesso di costruire per la realizzazione di opere di miglioramento fondiario sull’area in precedenza indicata.
Il medesimo Palazzo, con istanza pervenuta in data 5.1.2011 al prot. n. 247/37 faceva richiesta di nullaosta paesaggistico ai sensi dell’art. 5.01 del PUTT/p, ricadendo l’intervento nell’ambito esteso di valore distinguibile D del PUTT/p. 
Con determina del Responsabile del Settore del Comune di Gioia del Colle n. 469/162 del 30.5.2011 veniva concessa all’istante l’autorizzazione paesaggistica richiesta. 
Con domanda di provvedimento autorizzativo unico n. 3758 presentata in data 6.12.2011 presso il SUAP locale del Comune di Gioia del Colle, Palazzo Joss chiedeva il rilascio dell’autorizzazione per la realizzazione di una azienda agricola-zootecnica per l’allevamento di bovini da latte e da ingrasso, con annesso caseificio aziendale per la trasformazione di prodotti propri da ubicare in agro del Comune di Gioia del Colle, località  Ortensia Nuova identificati in catasto al foglio 56, p.lle 208-209. 
Con provvedimento autorizzativo unico n. 50 del 2.4.2012 l’Amministrazione autorizzava la realizzazione dell’azienda agricola-zootecnica per l’allevamento di bovini da latte e da ingrasso.
Con nota n. 5095 del 31.5.2013 la Regione Puglia Area politiche per la mobilità  e la qualità  urbana – Servizio assetto del territorio riteneva che le opere in esame non fossero autorizzabili con la seguente motivazione:
«In merito alla nota in oggetto lo scrivente ufficio ha richiesto con nota 1878 del 11.03.2013 copia degli elaborati progettuali al fine di verificare la compatibilità  delle opere alle NTA del PUTT/P della Regione Puglia.
Con nota n. 843 del 20.03.2013 l’Ufficio Tecnico Urbanistica del Comune di Gioia del Colle ha trasmesso gli elaborati richiesti.
Le opere di progetto consistono nella realizzazione ex novo di strutture edilizie quali complesso aziendale – zootecnico per l’allevamento di bovini da latte e da ingrasso con annesso caseificio. Le varie infrastrutture a farsi secondo il progetto hanno le seguenti dimensioni:
Volumi alloggi mc 759,43
Volumi altre costruzioni mc 3.239,76
Volume tecnico mc 43
Totale mc 4042,19
Superficie coperta mq. 1040,96
mq. 8848, 36
mq. 12,36
Totale mq. 9902,94
L’intervento rientra completamente nell’area annessa, ad un bosco, area nella quale ai sensi delle NTA del PUTT/P punto 4.2 del Capo III – Componenti Botanico Vegetazionali – Art 3.10, si prevede, accanto ad alcune opere non autorizzabili, alcune opere autorizzabili.
In particolare non sono autorizzabili:
a. piani e/o progetti comportanti nuovi insediamenti residenziali o produttivi;
b. piani e/o progetti e interventi comportanti trasformazioni che compromettano la morfologia ed i caratteri colturali e d’uso del suolo con riferimento al rapporto paesistico-ambientale esistente tra il bosco/macchia ed il suo intorno diretto;
mentre sono autorizzabili:
a. piani e/o progetti e interventi connessi con le attività  produttive primarie per:
– l’ordinaria utilizzazione agricola del suolo e l’attività  di allevamento non intensiva, nonchè la realizzazione di strade poderali, di annessi rustici e di altre strutture strettamente funzionali alla conduzione del fondo;
La realizzazione ex novo di nuovi insediamenti residenziali e produttivi, come le opere in progetto, non sono autorizzabili; esse, inoltre, comportano una sicura alterazione dei caratteri colturali e d’uso del suolo con riferimento al rapporto paesistico-ambientale esistente tra il bosco/macchia ed il suo intorno, dette opere si vanno, infatti a posizionare ai margini del bosco e ne alterano la visuale. Si rileva, ad es., come l’edifico adibito ad abitazione raggiunge in altezza 973 cm, quasi 10 metri di altezza.
Le attività  autorizzabili previste dal PUTT/P riguardano interventi finalizzati ad allevamento non intensivo, ma nel caso in oggetto, trattandosi di stalle per allevamento di bovini da latte e da ingrasso con annesso caseificio, si tratta di allevamento intensivo e non brado o semibrado.
Si ritiene, inoltre, che la realizzazione ex novo di edifici, con cambio di uso del suolo non possa rientrare nella casistica di attività  di ordinaria utilizzazione agricola del suolo; per ordinaria utilizzazione sono da intendersi, infatti, le attività  assimilabili alle normali pratiche agricole, aratura, potatura, ecc.
La realizzazione di un centro aziendale comprensivo di caseificio sembra rientrare nella definizione di attività  connesse all’agricoltura, più che di ordinaria utilizzazione, come definite dall’art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228, cioè:
«Si intendono comunque connesse le attività , esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano, ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonchè le attività  dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività  agricola esercitata, ivi comprese le attività  di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità  come definite dalla legge».
Si ritiene, pertanto, che l’autorizzazione a realizzare ex novo un centro aziendale agricolo non possa rientrare nella casistica prevista dalla lettera e) del punto 4.2 del Capo III – Componenti Botanico Vegetazionali – Art. 3.10 Boschi e Macchie.
In tale area si ritiene, come previsto dalle NTA che possono essere autorizzati / esclusivamente attività  finalizzate ad allevamento non intensivo, come possono essere recinti con o senza tettoie, abbeveratoi, ecc., e comunque opere amovibili.».
Con la gravata determinazione n. 833/248 del 25.9.2013 il Responsabile del Procedimento, nel richiamare la predetta nota regionale del 31.5.2013, disponeva l’annullamento in autotutela della determinazione n. 469/162 del 3.5.2011 relativa all’autorizzazione paesaggistica rilasciata a favore del Palazzo.
Con il successivo provvedimento prot. n. 26936 del 14.10.2013 il SUAP del Sistema Murgiano del Comune di Gioia del Colle disponeva l’annullamento in autotutela del provvedimento autorizzativo unico n. 50/2012 “in quanto è venuto meno un atto integrante e sostanziale di detto provvedimento, quale l’autorizzazione paesaggistica n. 469 del 30.5.2011”. 
L’interessato impugnava con l’atto introduttivo del presente giudizio i provvedimenti in epigrafe indicati con cui si era pervenuti all’annullamento in autotutela dei precedenti atti favorevoli.
Contestava, altresì, la nota regionale del 31/5/2013 e formulava domanda risarcitoria.
Deduceva censure così sinteticamente riassumibili:
A.1.) Illegittimità  del provvedimento del Comune di Gioia del Colle n. 833/248 del 25.9.2013 di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica per violazione ed erronea applicazione dell’art. 3.10.4.2 lett. e) delle NTA del PUTT/p, anche in relazione all’art. 9 Legge Regione Puglia n. 6/1979 e dell’art. 2135 c.c.; difetto assoluto di motivazione; eccesso di potere per erronea istruttoria, erronea presupposizione, difetto di motivazione, abnormità  procedimentale, contraddittorietà  con precedenti determinazioni, ingiustizia manifesta; 
A.2.) Illegittimità  del provvedimento del Comune di Gioia del Colle n. 833/248 del 25.9.2013 di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica per violazione delle norme sul procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui agli artt. 5.10 e 6.04 delle NTA al PUTT/p anche con riferimento all’art. 146, comma 5, d.lgs. 42/2004 e agli artt. 7, 8 e 9 della Legge regionale n. 20/2009; violazione del principio di tipicità  del procedimento e del provvedimento amministrativo, incompetenza, eccesso di potere per erronea istruttoria, erronea presupposizione, difetto di motivazione, abnormità  procedimentale, contraddittorietà  con precedenti determinazioni, ingiustizia manifesta;
A.3.) Omessa comunicazione di avvio del procedimento;
B) Illegittimità  del provvedimento del SUAP del Sistema Murgiano prot. n. 26936 del 14.10.2013 di annullamento del provvedimento autorizzativo unico n. 50/2012 per illegittimità  derivata dai vizi dedotti a carico del provvedimento presupposto; 
C.1.) Nullità  della nota regionale prot. n. 5095 del 31.5.2013 per difetto assoluto di attribuzione; incompetenza; 
C.2.) Illegittimità  della nota regionale prot. n. 5095 del 31.5.2013 per violazione ed erronea applicazione dell’art. 3.10.4.2. lett. e) delle NTA del PUTT/p, anche in relazione all’art. 9, commi 5 e 6, Legge Regione Puglia n. 6/1979 e dell’art. 2135 c.c.; eccesso di potere per difetto di istruttoria, erronea presupposizione, difetto di motivazione, abnormità  procedimentale, contraddittorietà  con precedenti determinazioni, illogicità , ingiustizia manifesta.
Nessuno si costituiva per le Amministrazioni evocate in giudizio.
Con ordinanza n. 24/2014 questo T.A.R. accoglieva, ai fini del riesame nei sensi di cui in motivazione, l’istanza cautelare formulata dal Palazzo e, per l’effetto, sospendeva il provvedimento prot. n. 26936 del 14.10.2013 e la determinazione comunale n. 833/248 del 25.9.2013.
Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che la domanda impugnatoria di cui al ricorso introduttivo sia fondata nei sensi e nei limiti di seguito esposti.
Quanto al motivo di ricorso di cui al punto A.1. (i.e. difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà  con precedenti determinazioni), lo stesso è fondato poichè sia il gravato provvedimento prot. n. 26936 del 14.10.2013, sia la gravata determinazione comunale n. 833/248 del 25.9.2013 sono privi di motivazione in ordine ai profili richiesti dall’art. 21 nonieslegge n. 241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela (“Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità  connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”).
Come rimarcato da Cons. Stato, Sez. IV, 14 febbraio 2006, n. 564 “Ai sensi dell’art. 21 nonies l. 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005 n. 15, il provvedimento con il quale l’amministrazione dispone l’annullamento d’ufficio di una precedente determinazione, da essa adottata, non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità , ma deve dare conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto e, in ogni caso, incontra il limite insuperabile costituito dall’esigenza di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità  dell’atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da quest’ultimo.”.
In particolare, gli atti impugnati non esplicitano in alcun modo quale sia l’interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dei precedenti provvedimenti favorevoli e non motivano in ordine alla incidenza negativa degli stessi sull’affidamento dei destinatari (nel caso di specie il Palazzo), limitandosi a far riferimento a generici “motivi di autotutela” (cfr. in particolare provvedimento del 25.9.2013).
Peraltro, il contrasto tra l’attività  amministrativa di primo grado (che si concludeva con il provvedimento autorizzatorio favorevole al Palazzo) e quella di secondo grado (di cui ai contestati provvedimento di annullamento in autotutela) appare ancora più evidente se si considera che nel corso della seduta del 19.5.2011 (a seguito della quale veniva rilasciata l’autorizzazione paesaggistica di cui al provvedimento n. 469 del 30.5.2011) la Commissione Locale per il Paesaggio aveva verificato la compatibilità  del progetto presentato dal Palazzo rispetto alla normativa del PUTT/p ed in particolare era stata valutata positivamente l’ammissibilità  dell’intervento in quanto rientrante nelle previsioni dell’art. 3.10, punto 4.2, lett. e) delle NTA del PUTT/p secondo cui nell’area annessa “sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi connessi con attività  produttive primarie per l’ordinaria utilizzazione agricola del suolo e l’attività  di allevamento non intensiva, nonchè la realizzazione di strade ponderali, di annessi rustici e di altre strutture strettamente funzionali alla conduzione del fondo”.
Peraltro, dal censurato provvedimento prot. n. 833/248 del 25.9.2013 di annullamento della autorizzazione paesaggistica n. 469/2011, emerge con tutta evidenza che la Commissione Locale per il Paesaggio, in sede di riesame del progetto presentato dal ricorrente, aveva ribadito le valutazioni già  espresse in sede di rilascio del precedente parere favorevole, evidenziando (nel verbale del 30.7.2013 richiamato dal provvedimento del 25.9.2013) “a giustificazione dell’operato della Commissione” che “i motivi alla base del proprio parere favorevole erano quelli riferiti alla lettera “e” – punto 4.2 – art. 3.10 del Capo III delle NTA al PUTT/P (e. sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi connessi con attività  produttive primarie per l’ordinaria utilizzazione agricola del suolo e l’attività  di allevamento non intensiva, nonchè la realizzazione di strade poderali, di annessi rustici e di altre strutture strettamente funzionali alla conduzione del fondo (…)” e più specificatamente la Commissione ha inteso l’attività  di allevamento, prevista dall’intervento, di tipo non intensivo (rifacendosi al carico U.B.A. [unità  di bovino adulto] per ettaro, in sintonia con quanto riportato al punto 4.1 – punto 2 – dell’art. 3.10.4 del capo III delle precitate NTA al PUTT/p” – 2. l’allevamento zootecnico di tipo intensivo (carico massimo per ettaro di 0,5 unità  bovina adulta per più di sei mesi/anno)”.
Inoltre, “la Commissione, parimenti per il caseificio aziendale, ha inteso lo stesso come attività  connessa nell’ambito della “filiera corta” aziendale e facente parte di struttura strettamente funzionale alla conduzione del fondo”.
Tuttavia, una volta evidenziate e meglio chiarite le motivazioni poste alla base dell’autorizzazione paesaggistica n. 469/162 del 30.5.2011, la Commissione locale per il paesaggio nel censurato provvedimento del 25.9.2013 si è limitata a prendere atto “delle interpretazioni e delle argomentazioni del competente servizio della Regione Puglia di cui alla nota prot. 5095 del 31.5.2013” ed ha annullato, “per motivi di autotutela” il precedente parere favorevole espresso nella seduta del 19.5.2011, posto a base dell’autorizzazione paesaggistica.
Conseguentemente, l’Amministrazione comunale ha annullato sempre “per motivi di autotutela” l’autorizzazione paesaggistica n. 469/162 del 30.5.2011.
Nell’impugnato provvedimento del 25.9.2013 di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, come detto, non vi è traccia dell’attività  valutativa svolta da parte dell’Amministrazione comunale.
Sussiste, quindi, il profilo di illegittimità  per difetto di motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica ad opera del Comune di Gioia del Colle.
Nè può ritenersi che la motivazione del provvedimento di annullamento possa essere rintracciata nelle valutazioni espresse in sede di riesame del progetto da parte della Commissione Locale per il Paesaggio, nelle sedute del 16-23 e 30 luglio 2013.
Anzi, proprio dall’analisi del verbale del 30.7.2013 (come riportato nella gravata determinazione di annullamento del 25.9.2013) appare rafforzata la convinzione della Commissione stessa di aver agito correttamente in sede di esame del progetto presentato dal ricorrente, e di aver motivatamente concluso, nella seduta del 19.5.2011, per la compatibilità  dell’intervento con la normativa di tutela prescritta dal PUTT/p.
Non emerge, pertanto, alcun profilo patologico a carico del precedente parere favorevole, nè è accertata la sussistenza di vizi di legittimità  che inficerebbero l’autorizzazione paesaggistica rilasciata in precedenza.
Neppure risultano esternate le ragioni per le quali la diversa interpretazione delle prescrizioni del PUTT/p, fornita dalla Regione Puglia con nota del 31.5.2013, sarebbe preferibile a quella fatta propria dalla Commissione Locale per il Paesaggio, che anzi viene ribadita, in sede di riesame, con conseguente insanabile contrasto tra gli elementi di valutazione posti a base della decisione conclusiva del 25.9.2013.
La censura di cui al punto A.2 del ricorso introduttivo relativa alla asserita incompetenza dell’Ufficio Regionale che ha rilasciato il parere del 31.5.2013 su richiesta del Comune di Gioia del Colle (doglianza ripresa al punto C.1 dell’atto introduttivo sub specie di nullità  della nota regionale del 31.5.2013 per difetto assoluto di attribuzione) non può essere accolta poichè nulla esclude che un parere siffatto possa essere richiesto da una Amministrazione locale delegata al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nei confronti di un ufficio tecnico dell’Ente delegante.
àˆ, all’opposto, censurabile – come evidenziato in precedenza – il totale recepimento di detto parere regionale del 31.5.2013 da parte della Amministrazione comunale con il provvedimento del 25.9.2013 senza alcuna motivazione sul punto.
E’, altresì, fondato il motivo di ricorso sub A.3. (omessa comunicazione di avvio del procedimento).
Risulta, infatti, violata la disposizione di cui all’art. 7 legge n. 241/1990, essendo stata omessa – come evidenziato da parte ricorrente – la comunicazione di avvio del procedimento volto all’annullamento in autotutela delle precedenti autorizzazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. I, 25 maggio 2012, n. 3060: “La preventiva comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, costituisce una regola generale dell’azione amministrativa, soprattutto quando l’amministrazione eserciti il potere d’annullamento d’ufficio (nella specie, di un permesso di costruire) per il quale occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto o alla cessazione dei suoi effetti.”).
Va parimenti accolto il motivo di gravame sub B.
Le censure, articolate in relazione al provvedimento del 25.9.2013 di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, riverberano effetti invalidanti sul provvedimento del SUAP prot. n. 26936 del 14.10.2013, recante annullamento dell’autorizzazione unica n. 50/2013, che assume quale unico presupposto, a fondamento dell’esercizio del potere di autotutela, il ritiro dell’autorizzazione paesaggistica.
Pertanto, il provvedimento prot. n. 26936 del 14.10.2013 è affetto in via derivata dagli stessi vizi già  che inficiano il provvedimento di ritiro dell’autorizzazione paesaggistica.
Quanto al punto sub C.2 (contenente censure rivolte avverso la nota regionale del 31.5.2013, costituente la motivazione per relationem del censurato provvedimento di annullamento in autotutela del 25.9.2013) va evidenziato quanto segue.
L’Amministrazione regionale nella gravata nota regionale del 31.5.2013 – come condivisibilmente rilevato dalla difesa del ricorrente a pag. 21 dell’atto introduttivo – ha errato nel considerare l’altezza del manufatto pari a 10 metri, anzichè 3 metri (risultanti dalla planimetria di cui alla tavola 3 bis).
Detta affermazione induce l’Amministrazione regionale ad una valutazione di fatto evidentemente errata.
Infatti, da tale constatazione (altezza di 10 metri) ne discende una valutazione, operata dalla Amministrazione regionale, in termini di alterazione della visuale e quindi una qualificazione dell’intervento per cui è causa quale “nuovo insediamento residenziale e produttivo” in quanto tale non autorizzabile ai sensi della punto 4.2 dell’art. 3.10 delle NTA del PUTT.
E’ altresì non condivisibile – come sottolineato a pag. 23 del ricorso – l’operato dell’Ufficio regionale laddove ancora, nel corpo della citata nota del 31.5.2013, il carattere “intensivo” dell’allevamento al criterio (privo di fondamento giuridico) dello stato non brado o semibrado del bestiame (venendo in rilievo nel caso di specie stalle per allevamento di bovini da latte e da ingrasso con annesso caseificio), in luogo della doverosa applicazione del criterio normativo “numerico” di cui al Punto 4.1 del Capo III – Componenti Botanico Vegetazionali – art. 3.10 delle NTA del PUTT/P (“a. non sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi comportanti: – 2. l’allevamento zootecnico di tipo intensivo (carico massimo per ettaro di 0,5 unità  bovina adulta per più di sei mesi/anno)”, da cui si desume a contrario che sono autorizzabili piani e/o progetti e interventi comportanti l’allevamento zootecnico di tipo non intensivo (carico massimo per ettaro inferiore a 0,5 unità  bovina adulta per più di sei mesi/anno).
In conclusione, l’Amministrazione in sede di attività  conformativa alla presente sentenza dovrà  valutare alla luce dei criteri normativi desumibili dall’art. 3.10, punto 4.1, lett. a.2) delle NTA del PUTT/p se in base al criterio “numerico” del carico massimo per ettaro di unità  bovina adulta l’iniziativa del Palazzo sia qualificabile come attività  di allevamento non intensivo di per sè autorizzabile ai sensi della lett. e) ovvero come attività  di allevamento zootecnico di tipo intensivo non autorizzabile.
Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende l’accoglimento della domanda impugnatoria di cui al ricorso introduttivo nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Ogni altra censura formulata da parte ricorrente resta assorbita.
Sono fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Autorità  amministrativa che in sede di riesercizio del potere dovrà  conformarsi ai principi di diritto in precedenza esposti.
Quanto alla domanda risarcitoria, la stessa va respinta poichè la riespansione della sfera giuridica del ricorrente è subordinata alle determinazioni che la P.A. assumerà  in sede di riesercizio del potere.
Depongono in senso sfavorevole all’accoglimento della domanda risarcitoria azionata da parte ricorrente le considerazioni espresse da Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439 secondo cui la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento amministrativo (i.e. nella vicenda in esame i provvedimenti del 25.9.2013 e del 14.10.2013), annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione e per vizio del procedimento, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità  (come nel caso di specie in virtù della espressa salvezza del potere della P.A.) in sede di riesercizio del potere (nel caso di specie residuano ampi margini di discrezionalità  in capo alla P.A. per cui è ben possibile che un procedimento supportato da adeguata istruttoria possa ragionevolmente condurre ad un esito identico rispetto a quello di cui ai censurati provvedimenti).
Si può, quindi, immaginare in astratto (o quantomeno non si può escludere la futura adozione di) un provvedimento sfavorevole nei confronti del Palazzo, fornito di congrua motivazione ed emendato dai vizi del procedimento, e, conseguentemente, al riparo dalle doglianze di cui al ricorso accolte con la presente sentenza.
Sul punto si è così espresso Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860:
“La domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità  in sede di riesercizio del potere e, in tale particolare contesto il privato ha titolo al risarcimento solo ove, sussistendo gli altri requisiti dell’illecito, riesca a dimostrare, e in questo caso proprio lui, che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità , ad un esito favorevole.”.
Giova, altresì, rammentare quanto condivisibilmente affermato da Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2006, n. 4231 (su ipotesi analoga [i.e. annullamento di un atto amministrativo per vizio di istruttoria e di motivazione]):
«¦ L’annullamento di un atto amministrativo per vizi di forma o per difetto di istruttoria e di motivazione, come nella specie, consente il nuovo esercizio del potere e permette la valutazione della domanda di risarcimento del danno soltanto all’esito del nuovo esercizio del potere. Ove dovesse sopravvenire un provvedimento negativo, sarebbe esclusa la sussistenza di un danno risarcibile derivante dal primo provvedimento, salva la verifica degli estremi del danno in caso di annullamento giurisdizionale anche del secondo provvedimento (C. Stato, IV, 4.9.2002, n. 4435).
La domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento negativo (di esclusione) annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo alla pubblica amministrazione significativi spazi di discrezionalità  amministrativa pura in sede di riesercizio del potere e la parte istante non si sia limitata a chiedere il mero danno subito per effetto di una illegittimità  procedimentale, ma abbia richiesto l’intero pregiudizio derivante dal mancato conseguimento del bene della vita, costituito dalla positiva aggiudicazione rispetto alla gara dalla quale era stata esclusa.
Rispetto al danno richiesto effettivamente, rapportato al mancato conseguimento finale del bene finale, l’accoglimento della domanda presuppone la valutazione circa la spettanza sostanziale della utilità  finale cui aspira il ricorrente, che nella specie non è accertata al di fuori di ogni ragionevole dubbio.
D’altronde, l’accoglimento della domanda demolitoria limitatamente a motivi di censura procedimentale (difetto di motivazione) da un lato non è in grado di consentire una conclusione circa la spettanza “au fond” (secondo la dottrina d’oltralpe) del “bene della vita”; dall’altro grado, sotto altro punto di vista, l’assorbimento dei motivi diversi – non affrontati per l’accoglimento del solo motivo procedimentale – pone l’onere di impugnazione a carico di chi abbia visto respinte o comunque non accolte alcune delle proprie domande. ¦».
Questo principio è stato riaffermato da Cons. Stato, Sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854:
«¦ Osserva la Sezione che la domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., sicchè grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).
Il risarcimento del danno non è quindi una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito.
Il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità , evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l’aspirazione al provvedimento fosse destinata nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorchè fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere consentito allorchè detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà  (Consiglio di Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797).
Deve quindi escludersi che l’annullamento di un atto illegittimo per difetto di motivazione possa ex se comportare il diritto al risarcimento dei danni subiti, in quanto tale vizio non esclude (ma, anzi, consente) il riesercizio del potere, con la conseguenza che la domanda di risarcimento non può essere valutata che all’esito nel nuovo eventuale esercizio del potere.
Va dunque respinta la domanda di risarcimento del danno nel caso di accertamento giudiziale dell’illegittimità  di un provvedimento, come nel caso che occupa, per difetto di motivazione, nulla potendo evincersi da detta statuizione riguardo alla fondatezza della pretesa fatta valere dall’interessato ed al nesso di causalità  tra il danno e la condotta dell’amministrazione.
Comunque sarebbe da escludere la responsabilità  della pubblica Amministrazione nel particolare caso di specie, poichè sussistono gli estremi per il riconoscimento della scusabilità  dell’errore di diritto, in ragione della novità  della questione e della complessità  della situazione di fatto. ¦».
Nella vicenda in esame il ricorrente non è riuscito a dimostrare che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità , ad un esito favorevole.
Secondo quanto evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854, pertanto, la domanda di risarcimento proposta dal Palazzo non può essere valutata che all’esito nel nuovo eventuale esercizio del potere (che allo stato non risulta esservi stato).
Da ultimo, non si può non rammentare un recente arresto giurisprudenziale del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 23 gennaio 2015, n. 302) perfettamente pertinente rispetto alla fattispecie per cui è causa, la cui applicazione implica, in uno alle considerazioni in precedenza svolte, la reiezione della domanda risarcitoria:
«¦ Come ripetutamente affermato in giurisprudenza, l’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo per vizi formali, tra i quali si può annoverare non solo il difetto di motivazione, ma anche e soprattutto i vizi del procedimento, non reca di per sè alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis e non può, pertanto, costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno (tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 14/10/2014, n. 5115).
In altri termini, l’annullamento che non reca alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento caducato ope iudicis, non può costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, posto che soltanto qualora sia stata accertata la spettanza del c.d. “bene della vita”, che costituisce il presupposto indispensabile in materia di risarcimento degli interessi legittimi di tipo pretensivo, si può configurare una condanna dell’Amministrazione al risarcimento del relativo danno (cfr. sul punto, ex plurimis, Cass. Civ., Sez. I, 28 febbraio 2014 n. 4804 e Sez. III, 14 febbraio 2014 n. 3431; Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2014 n. 318 e 4 settembre 2013 n. 4452 e 8 maggio 2013 n. 2899, nonchè Sez. V, 22 gennaio 2014 n. 318, Sez. IV, 4 settembre 2013 n. 4439 e Cons. Stato, A.P. 3 dicembre 2008 n. 13). ¦».
E’, quindi, evidente che l’annullamento giurisdizionale operato con la presente sentenza dei gravati atti per un vizio formale, quale il difetto di motivazione e l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, non reca di per sè alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dai provvedimenti caducati ope iudicis e non può, pertanto, costituire il presupposto per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.
Infine, deve essere valutato negativamente ai sensi dell’art. 30, comma 3, ultimo periodo cod. proc. amm. (“Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.”) il comportamento del Palazzo che non ha portato ad esecuzione l’ordinanza cautelare favorevole n. 24 del 16.1.2014 ed in precedenza non ha utilizzato gli strumenti di tutela cautelare monocratica offerti dall’art. 56 cod. proc. amm.
Come evidenziato da Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3, “La regola della non risarcibilità  dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento – oggi sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a. – deve ritenersi ricognitiva di principi già  evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva dell’art. 1227, comma 2, c.c. Pertanto l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà , ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza e perciò un fatto da considerare in sede di merito, ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.”.
Nel caso in esame non risulta che nell’ambito del presente giudizio sia stata richiesta dal Palazzo la tutela cautelare provvisoria monocratica di cui all’art. 56 cod. proc. amm.
A tal proposito, Cons. Stato, Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2708 ha rimarcato la rilevanza, ai fini di cui all’art. 30, comma 3, secondo inciso cod. proc. amm. (e cioè nel senso di escludere o limitare il danno risarcibile), del comportamento del soggetto danneggiato che ha omesso di attivare, tra i vari mezzi di tutela giurisdizionale contemplati dall’ordinamento, quelli di tipo cautelare:
«I provvedimenti cautelari adottati dal giudice amministrativo hanno la funzione di escludere o, comunque, di mitigare il danno insito nel provvedimento amministrativo impugnato, posto che la tutela cautelare è diretta alla temporanea salvaguardia della posizione del deducente onde consentirgli, qualora risultasse vincitore nel merito, di trarre l’utilità  sostanziale offerta dalla decisione, producendo in via temporalmente anticipata nella sua sfera giuridica benefici omogenei e comunque non superiori rispetto a quelli che la sentenza potrà  procurare; in dipendenza di ciò, e anche a prescindere dall’espressa statuizione al riguardo contenuta nell’art. 30 c.p.a., già  dai principi contenuti dall’art. 1227, comma 2, c.c., emergeva la regola della possibile non risarcibilità  dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela cautelare previsti dall’ordinamento.».
In conclusione, non può non valutarsi in senso negativo il comportamento del ricorrente che, pur potendo avvalersi degli strumenti di tutela cautelare esecutiva e monocratica menzionati al fine di limitare se non proprio escludere il pregiudizio lamentato, ha scelto di non usufruirne in violazione del canone di buona fede e dell’obbligo di cooperazione.
In considerazione della natura, della peculiarità  e della complessità  della presente controversia, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità  per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, così provvede:
1) accoglie la domanda impugnatoria di cui al ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti della Amministrazione;
2) respinge la domanda risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Francesco Cocomile, Presidente FF, Estensore
Maria Grazia D’Alterio, Referendario
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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