1. Pubblica sicurezza – Extracomunitari – Stranieri – Permesso di soggiorno — Condanna indice di pericolosità  sociale – Automatismo del diniego
2. Pubblica sicurezza – Extracomunitari –  Permesso di soggiorno – Diniego di rinnovo – Condanna per reati gravi  
 

 
1. Ai sensi dell’art. 4, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 sussistono una serie di condotte integratici di fattispecie criminali considerate dalle legge indici di pericolosità  sociale, integranti requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità  nazionale; in tali casi sussiste un automatico impedimento al rinnovo del permesso di soggiorno senza necessità  di valutazione della concreta pericolosità  sociale.
2. Ai sensi dell’art. 5, comma 5, d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, la condanna per determinati reati, come è ostativa per l’ingresso nel territorio dello Stato e la concessione del permesso di soggiorno, ugualmente preclude la possibilità  di rinnovo dello stesso ovvero ne giustifica la revoca.

 

N. 01481/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00292/2009 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 292 del 2009, proposto da: 
Ringo Husovic, rappresentato e difeso dall’avv. Uljana Gazidede, con domicilio eletto presso Uljana Gazidede in Bari, Via Calefati, 269; 

contro
Questura di Bari in Persona del Questore, Ministero dell’Interno in Persona del Ministro, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distr.le dello Stato di Bari, domiciliata in Bari, Via Melo, 97; 

per l’annullamento
del provvedimento Cat A 1l/2008/Imm n 74/P.S. del Questore di Bari adottato il 16.09.2008 e notificato in data 22.12.2008, con cui è stato rifiutato al ricorrente il rinnovo del permesso di soggiorno;.di ogni altro atto ad esso presupposto, connesso e consequenziale.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura di Bari in Persona del Questore e di Ministero dell’Interno in Persona del Ministro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2015 il dott. Sergio Conti e uditi per le parti i difensori Uljana Gazidede e Isabella Piracci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso all’esame, il cittadino extracomunitario Ringo Husovic impugna il decreto del Questore di Bari con cui è stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, risultando ostativa, ex art. 4 c. e D.lgs. n. 286/98, la sussistenza di condanna penale – emessa in data 5.11.2007 dal Tribunale di Pescara – ad anni 1 di reclusione ed € 309 di multa per il reato di cui all’art. 624 bis c.p. (furto in abitazione).
Il ricorrente contesta la legittimità  dell’opposto diniego, lamentando che questo, che non è stato preceduto dal preavviso di diniego, si fonda, da un lato, sul ritardo nella presentazione della domanda e, dall’altro, sull’esistenza di un’unica sentenza di condanna senza considerare che egli, durante la sua permanenza sul territorio nazionale, ha sempre lavorato (come dimostrerebbero le dichiarazioni fiscali e le fatture prodotte) e senza tenere conto del principio dell’unità  familiare.
Il ricorso non risulta fondato.
Sotto un profilo d’ordine generale, va rilevato (cfr. TRGA Trento 27.3.2006 n. 101, 3.4.2006 n. 107 e 19.2.2007 n. 25) che l’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286 del 1998 (come modificato dall’art. 4 comma 1 lett. b della legge 30.7.2002 n. 189 c.d. Bossi-Fini), nel prevedere la non ammissione e l’impossibilità  di continuare il soggiorno in Italia per quei cittadini di origine extracomunitaria che siano stati condannati (anche con sentenza c.d. patteggiata”) per determinate categorie di reati oggettivamente gravi e che comunque destano particolare allarme sociale, introduce un automatismo che opera solo nel caso in cui la responsabilità  del cittadino straniero risulta essere stata accertata dall’Autorità  Giudiziaria a seguito di procedimento penale e conclusiva sentenza di condanna nei suoi confronti.
In altri termini, il citato art. 4 D. Lgs, n. 189/2002, individua una serie di condotte, quelle integratrici delle fattispecie criminali menzionate dalla norma, e le considera come oggettivi indici di pericolosità  sociale. Esse, dunque, vengono considerate dalla legge come requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità  nazionale.
Il riferimento legislativo alle inerenti condanne deve quindi ritenersi come volto ad individuare i fatti probanti (cioè le condanne) la sussistenza di quei requisiti negativi.
Si tratta, in definitiva, di una valutazione di pericolosità  sociale già  effettuata dal legislatore che ha ritenuto, del tutto ragionevolmente e nell’ambito della discrezionalità  che gli compete, la sussistenza di tale elemento nella responsabilità  del soggetto, accertata giudizialmente, per la commissione di reati di particolare gravità  (cfr., sul punto, TAR Parma 7.4.2005 n. 207).
Può condivisibilmente affermarsi (cfr. TAR Parma 26 gennaio 2006 n. 21) che in tal caso sussiste un automatico impedimento al rinnovo del permesso di soggiorno, senza necessità  di un’autonoma valutazione della concreta pericolosità  sociale, in quanto si tratta di una preclusione che non costituisce un effetto penale, ovvero una sanzione accessoria alla condanna, bensì un effetto amministrativo che la legge fa derivare dal fatto storico consistente nell’avere riportato una condanna per determinati reati, quale indice presuntivo di pericolosità  sociale o, quanto meno, di riprovevolezza (non meritevolezza, ai fini della permanenza in Italia) del comportamento tenuto nel Paese dallo straniero.
In merito all’applicazione della norma in questione in relazione a condanne intervenute, come nella fattispecie all’esame, dopo l’entrata in vigore della legge Bossi-Fini, occorre porre in rilievo che, alla stregua dell’art. 5, 5 comma D.Lgs. n. 286/1998, il permesso di soggiorno è revocato, ovvero il rinnovo dello stesso è rifiutato quando vengano a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato.
In altri termini, i requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno sono sempre i medesimi, sia che si tratti di prima richiesta del permesso che di rinnovo dello stesso.
Dal che consegue che la condanna per determinati reati (tra cui rientra quello attribuito all’odierno ricorrente), come è ostativa per l’ingresso nel territorio dello Stato e la concessione del permesso di soggiorno, ugualmente preclude la possibilità  di ottenere il rinnovo dello stesso .
La norma in questione non consente all’Amministrazione alcuna autonoma valutazione in ordine ai fatti oggetto del giudizio penale derivando in modo del tutto automatico dalla sentenza penale la preclusione al rinnovo del permesso di soggiorno (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 2866 del 17.5.2006).
Va poi posto in luce che la disposizione così come sopra interpretata non suscita dubbi di costituzionalità , poichè non appare irragionevole una norma che limita l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale degli stranieri a seconda che questi abbiano commesso reati sanzionati con pene superiori a determinate soglie o comunque ritenuti di particolare pericolosità  sociale nell’attuale momento storico (cfr. TAR Parma 21 febbraio 2006 n. 60 e TAR Umbria 28 dicembre 2005 n. 638).
Con la sentenza n. 148 del 2008, la Corte costituzionale ha osservato che: “la principale norma concernente la condizione giuridica dello straniero – attualmente, extracomunitario – è quella dell’art. 10, comma secondo, Cost., la quale stabilisce che essa «è regolata dalla legge in conformità  delle norme e dei trattati internazionali», rilevando quindi che: “Da tale disposizione si può desumere che, per quanto concerne l’ingresso e la circolazione nel territorio nazionale (art. 16 Cost.), la situazione dello straniero non è uguale a quella dei cittadini, dall’altro, che il legislatore, nelle sue scelte, incontra anzitutto i limiti derivanti dalle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute ed eventualmente dei trattati internazionali applicabili ai singoli casi”.
Inoltre, la Corte ha ritenuto che non sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, osservando che la condanna per un delitto punito con la pena detentiva, la cui configurazione è diretta a tutelare beni giuridici di rilevante valore sociale – quali sono le fattispecie incriminatrici prese in considerazione dalla normativa censurata – non può, di per sè, essere considerata circostanza ininfluente ai fini di cui trattasi. E ciò in quanto il rifiuto del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno non costituisce sanzione penale, sicchè il legislatore ben può stabilirlo per fatti che, sotto il profilo penale, hanno una diversa gravità , valutandolo misura idonea alla realizzazione dell’interesse pubblico alla sicurezza e tranquillità , anche se ai fini penali i fatti stessi hanno ricevuto una diversa valutazione.
Venendo alla fattispecie all’esame, va rilevato che quand’anche il diniego si fondasse anche sulla tardività  (diciotto mesi) della domanda di rinnovo rispetto alla scadenza del precedente permesso di soggiorno, la circostanza sarebbe comunque irrilevante alla stregua del generale principio secondo cui in presenza di un atto plurimotivato, anche la legittimità  di una delle motivazioni è da sola idonea a sorreggerlo.
Trattandosi di atto vincolato (alla verifica della sussistenza dei presupposti) la mancata emissione del cd. preavviso di rigetto ex art. 10-bis L. n. 241/90 è di per sè inidonea a giustificare l’annullamento del provvedimento, dato che il suo contenuto non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Infine, del tutto fuori luogo sono le doglianze con le quali si contesta la violazione del diritto all’unità  familiare, posto che – come evidenziato nella relazione dell’Amministrazione – nè il ricorrente nè i suoi familiari risultano aver ottenuto il ricongiungimento familiare.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore della resistente Amministrazione, che liquida in € 1000 oltre ad accessori di legge ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente, Estensore
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Viviana Lenzi, Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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