1. Leggi, decreti, regolamenti – Regolamento regionale – Ius superveniens – Regime transitorio – Applicabilità  –  Fattispecie 
2. Procedimento amministrativo – Istruttoria – Valutazione della p.a. 
3. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Provvedimento con motivazione plurima – Accertamento di legittimità  di uno dei motivi – Sufficienza  – Conseguenze
4. Risarcimento del danno – Danno da ritardo – Oneri del danneggiato – Allegazione elementi costitutivi 
5. Risarcimento del danno – Onere della prova – Mancato assolvimento – Irrilevanza c.d. metodo acquisitivo 

1. Secondo l’univoca giurisprudenza, la p.A. è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell’adozione del provvedimento definitivo, anche se sopravvenuta, e non quella in vigore al momento dell’avvio del procedimento, salvo che espresse disposizioni normative stabiliscano diversamente; la legittimità  del provvedimento conclusivo del procedimento, quindi, deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato e non al tempo della presentazione dell’istanza del privato. (Nel caso di specie, è stato ritenuto legittimo il diniego di autorizzazione unica relativo alla costruzione di un impianto fotovoltaico, in quanto è stata accertata la necessità  di completare l’istruttoria alla data di entrata in vigore del regolamento regionale n. 24/2010, con conseguente superamento dello sbarramento temporale stabilito nell’art. 5 del suddetto regolamento per l’applicazione della disciplina transitoria).
2. Rientra nella disponibilità  dell’Amministrazione procedente la valutazione in ordine alla sufficienza degli elementi acquisiti al fine di supportare la determinazione conclusiva ovvero alla necessità  di disporre ulteriori approfondimenti istruttori, al fine della completa valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti nell’azione amministrativa.
3. Ove il provvedimento impugnato sia fondato su una motivazione plurima, l’accertata legittimità  anche di uno solo dei motivi posti a suo fondamento, comporta la superfluità  dell’esame delle ulteriori censure  dedotte avverso i motivi ulteriori, atteso che lo stesso non potrebbe essere annullato.
4. Ai fini dell’autonoma risarcibilità  del danno da ritardo è necessario, in sede giudiziale, il rigoroso accertamento di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, in prevalenza ricondotta nell’alveo della responsabilità  precontrattuale ex art. 2043 c.c., con la conseguenza che il danneggiato deve provare sia i presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) sia quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiato) in quanto il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo ma non piena prova del danno.
5. Nei giudizi risarcitori, la consulenza tecnica di ufficio non può supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova, non potendo trovare ingresso, secondo il  il c.d. metodo acquisitivo.

N. 00939/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01148/2012 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1148 del 2012, proposto da: 
Firma s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Storzieri, con domicilio eletto in Bari presso il dott. Gennaro Durante, alla via Amendola, 219; 

contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Nino Sebastiano Matassa, con domicilio eletto in Bari, Via Andrea da Bari, 35; 

per l’annullamento
– del provvedimento di cui alla nota prot. n. 4174 del 4 maggio 2015 del Dirigente del Servizio Energia, Reti e Infrastrutture materiali per lo sviluppo della Regione Puglia, con cui si comunica la conclusione negativa del procedimento con il diniego dell’A.U. per la costruzione di un impianto fotovoltaico da realizzarsi nel comune di Sannicandro Garganico denominato “il Casone” e delle opere ed infrastrutture connesse;
– di ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e consequenziale, compresa la nota prot. n. 7292 del 16 settembre 2011 del Servizio Assetto del Territorio – Ufficio Attuazione Pianificazione Paesaggistica della Regione; nonchè, ove occorra, il regolamento regionale n. 24 del 30 dicembre 2010;
nonchè per il risarcimento danni subiti e subendi, derivanti sia dalla condotta dilatoria tenuta dalla Regione Puglia sia dall’illegittimo provvedimento impugnato.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore la dott.ssa Maria Grazia D’Alterio;
Uditi nell’udienza pubblica del giorno 25 marzo 2015 per le parti i difensori avv.ti Giuseppe Storzieri; Nino Sebastiano Matassa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
1. Con ricorso passato per la notifica in data 17 luglio 2012, pervenuto in Segreteria il successivo 28 luglio 2012, l’odierna ricorrente Firma s.r.l. ha impugnato l’epigrafato provvedimento regionale di diniego di autorizzazione unica, relativo alla costruzione di un impianto fotovoltaico di 11,3 MWe per la produzione di energia elettrica nel Comune di San Nicandro Garganico denominato “il Casone”, di cui all’istanza presentata in data 6 maggio 2008.
Ha dedotto censure così sinteticamente riassumibili:
I) violazione dell’art. 97 Cost. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 10 bis, 14 ter, 14 quater, comma 7, della legge n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell’art. 12 D.lgs. n. 387/2003. Secondo la ricorrente, il gravato provvedimento sarebbe illegittimo in quanto, oltre ad essere stato adottato quando era ormai decorso il termine massimo di conclusione del procedimento (fissato dalla legge in complessivi 180 giorni, poi ridotti a 90 giorni dal D.L. 78/2010), non avrebbe tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse nella competente sede della Conferenza dei Servizi, conclusasi in data 8 giugno 2010, ancorando le ragioni del diniego esclusivamente ai pareri negativi inammissibilmente espressi al di fuori del contesto conferenziale, obliterando la necessaria contestuale analisi delle criticità  progettuali. Inoltre l’Amministrazione procedente non avrebbe svolto alcuna disamina, pur necessaria, in ordine alle osservazioni svolte dalla società  ricorrente in riscontro al preavviso di rigetto.
II) Falsa applicazione dell’art. 7 della D.G.R.P. n. 3029 del 2010 e dell’art. 5 del r.r. n. 24/2010 in relazione agli artt. 14 ter e 14 quater, comma 7, della Legge 241/90 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990; erroneità ; aggravamento del procedimento, difetto assoluto di motivazione; sviamento dell’azione amministrativa. In sintesi, secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, al procedimento in esame non avrebbe dovuto applicarsi il regolamento regionale n. 24/2010, atteso che, in conformità  alle previsioni di cui alla disposizione transitoria contenuta all’art. 5, prima della sua entrata in vigore, il progetto della ricorrente aveva già  conseguito sia tutti i prescritti pareri ambientali (dovendo ritenersi inammissibili i pareri conseguiti successivamente alla conclusione dei lavori conferenziali), sia la soluzione di connessione a Terna.
III) Violazione degli artt. 1, 3 e 14 ter e quater legge n. 241/1990; violazione dell’art. 12 D.lgs n. 387/2003 e dell’art. 5.02 del PUTT/P; violazione del D.M. 10 settembre 2010; erroneità  manifesta e omessa istruttoria. Parte ricorrente si duole della illegittimità  del regolamento regionale n. 24/2010 nella parte in cui avrebbe esteso, in maniera irragionevole ed eccessiva, generici divieti ad aree classificate come non idonee, in violazione dei criteri fissati dalle linee guida nazionali.
IV) violazione dell’art. 2909 c.c.; violazione degli artt. 2, e 14 bis e ter della legge n. 241/1990; violazione dell’art. 12 D.lgs n. 387/2003: la ricorrente società  lamenta l’elusione della sentenza T.A.R. Puglia Bari, n. 770/2012, resa all’esito del giudizio avverso il silenzio sull’istanza di autorizzazione unica, da parte della Regione Puglia, per non aver provveduto all’adozione della determinazione conclusiva favorevole.
La ricorrente ha invocato, altresì, la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento del danno patito in conseguenza della adozione dell’illegittimo provvedimento di diniego e del ritardo nel provvedere.
2. Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, resistendo al gravame ed eccependo in particolare la non applicabilità  alla fattispecie in esame della disciplina transitoria di cui all’art. 5 del regolamento n. 24/2010, atteso che, alla data dell’entrata in vigore di questo, non risultavano ancora intervenuti alcuni imprescindibili pareri procedimentali, senza che gli stessi potessero dirsi acquisiti per silentium. La Regione ha anche evidenziato, più nel dettaglio, come il progetto completo e definitivo, corredato del nulla osta di connessione di rete, trasmesso solo in data 7 dicembre 2010, avrebbe comunque richiesto un nuovo esame da parte della Conferenza dei Servizi in ragione della significativa modifica apportata con la previsione, da ultimo, di una nuova cabina di connessione in un’area boscata, necessitante, pertanto, ex novo dei pareri delle autorità  preposte alla loro tutela.
3. Le parti hanno svolto difese in vista dell’udienza pubblica del 25 marzo 2015, all’esito della quale la causa è stata definitivamente trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, risultando i motivi dedotti, per quanto suggestivamente ed abilmente formulati, non condivisibili alla stregua delle motivazioni che seguono.
2. La società  ricorrente contesta, sotto vari profili, il diniego opposto dalla Regione sull’istanza di autorizzazione alla realizzazione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica nel Comune di San Nicandro Garganico.
2.1 L’Autorità  decidente motiva il provvedimento negativo, in primo luogo, in ragione della non idoneità  del sito prescelto dalla società  Firma per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico in esame, alla luce del regolamento regionale n. 24 del 30 dicembre 2010 (attuativo delle “Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al D.M. dello Sviluppo economico del 10 settembre 2010), recante la individuazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Puglia, in quanto dotati di elevato pregio ambientale. Infatti, in forza di tale sopravvenuta normativa regionale, il sito prescelto dalla Firma sarebbe divenuto non eleggibile per la realizzazione di impianti fotovoltaici ed escluso, pertanto, dalla possibilità  di realizzazione dell’intervento proposto.
2.2 Secondo la prospettazione difensiva articolata dalla ricorrente, invece, il procedimento autorizzatorio in questione, in quanto concluso prima del 31 dicembre 2010, avrebbe dovuto essere escluso dal campo di applicazione del citato regolamento, atteso che questo, per sua espressa previsione (cfr. art. 5) “non si applica ai procedimenti in corso alla data della sua pubblicazione, qualora riferiti a progetti completi della soluzione di connessione di cui al punto 13,1 lett. f) della parte III delle Linee guida emanate con D.M. 10 settembre 2010 e per i quali a tale data siano intervenuti i prescritti pareri ambientali”.
2.3 Sotto tale profilo, il punto nodale della controversia attiene allora all’individuazione dello stato di fatto in cui poteva dirsi giunto l’iter procedimentale alla predetta data, al fine di individuarne la disciplina conseguentemente applicabile.
Il Collegio ritiene sul punto di evidenziare, con ciò anticipando le conclusioni cui è giunto sulla base delle argomentazioni esposte in seguito, che se è vero che il progetto, prima della data di entrata in vigore della più restrittiva normativa regionale (31 dicembre 2010), risultava completo della soluzione di connessione a Terna (rilasciata l’11 novembre 2010), lo stesso non poteva dirsi per i pareri ambientali prescritti. Ne è conseguita, pertanto, la non applicabilità  al procedimento in esame della citata disciplina transitoria e la riespansione del pacifico principio tempus regit actum (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5249; 4 luglio 2013, n. 3577). Sul punto giova richiamare l’univoca giurisprudenza secondo la quale la P.A. è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell’adozione del provvedimento definitivo, ancorchè sopravvenuta, e non già  quella in vigore al momento dell’avvio del procedimento, salvo che espresse disposizioni normative stabiliscano diversamente (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2012 n. 4669).
Ne consegue che la legittimità  del provvedimento conclusivo impugnato, adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte, deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui esso è stato adottato, e non al tempo della presentazione dell’istanza del privato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 10 gennaio 2012 n. 34), dovendo, per l’appunto, ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo ius superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 31 gennaio 2007 n. 382).
2.3.1 Onde applicare le superiori premesse alla fattispecie concreta all’esame del Collegio, occorre brevemente procedere ad alcune puntualizzazioni in fatto, così come ricavabili dalla corposa documentazione depositata dalle parti.
Giova mettere in luce che nel corso della Conferenza dei servizi svoltasi in data 8 giugno 2010 (alla quale peraltro risultano aver personalmente partecipato unicamente il rappresentante dell’Area Politiche dello Sviluppo, Lavoro ed Innovazione – Servizio Energia, Reti ed Infrastrutture della Regione, oltre che il rappresentante della Società  Firma) il RUP aveva dato atto dei numerosi pareri pervenuti, ma anche aveva evidenziato la necessità  di completamento dell’istruttoria, elencando la documentazione ancora occorrente, da trasmettersi a cura della società , invitata peraltro ad attenersi alle prescrizioni poste dagli enti partecipanti (evidentemente attraverso le note e i pareri fatti pervenire alla seduta) con particolare riferimento alle prescrizioni poste dall’Autorità  di Bacino. Quest’ultima, avendo rilevato l’insufficienza della documentazione pervenuta, aveva chiesto la trasmissione di elaborati integrativi, poi effettivamente trasmessi dalla società  proponente solo in data 17 maggio 2011 (cfr. parere dell’Autorità  di Bacino del 20 giugno 2011).
Nel verbale si dava atto, inoltre, della nota pervenuta via fax in data 8 giugno 2010, con cui il Servizio Foreste, dopo aver chiarito che la pratica in questione era stata in precedenza archiviata per carenza di documentazione, aveva evidenziato che sulla nuova istanza del 12 maggio 2010 non era stato possibile rilasciare alcun parere, in mancanza dell’indispensabile sopralluogo di rito. Va anche evidenziato che in seguito, con nota del 22 dicembre 2010, il Servizio Foreste ha anche invitato il Servizio energia a non emettere alcun parere conclusivo prima dell’acquisizione del parere di propria competenza, invitando nel contempo la società  Firma a concordare tempi e modi per effettuare il sopralluogo.
2.3.2 Da quanto evidenziato emerge che i lavori della Conferenza non potevano dirsi conclusi alla data dell’8 giugno 2010, essendo emersa la necessità  di acquisire diversi pareri (in particolare dell’Autorità  di Bacino e del Servizio Foreste, quest’ultimo prescritto in forza del vincolo idrogeologico ex R.D.L. n. 3267/1923, interessante l’area d’impianto). Lo stesso responsabile del procedimento, dichiarando conclusivamente a verbale: “In attesa di quanto richiesto nonchè del parere dell’Arpa DAP di Foggia, il RUP chiude la sessione odierna della Conferenza e si riserva le proprie determinazioni”, lascia intendere la necessità  di svolgere ulteriori valutazioni, anche in relazione all’integrazione documentale richiesta, senza escludere la possibilità  di riconvocare altra sessione della Conferenza, alla luce degli approfondimenti dell’attività  istruttoria ancora da compiersi.
Del resto, sia pure con l’osservanza doverosa dei tempi procedimentali, non vi è dubbio che, a prescindere dalle modalità  di svolgimento del procedimento, competa comunque all’autorità  procedente valutare la completezza dell’attività  istruttoria ai fini della determinazione finale, che resta rimessa alla sua responsabile valutazione, anche qualora sia imposto dalla legge il metodo conferenziale. Come chiarito dal Consiglio di Stato, sez. VI, 1 agosto 2012, n. 4400 “La conferenza di servizi è, quindi, innanzitutto un procedimento, nel quale si inseriscono valutazioni, pareri, determinazioni proprie di diverse Amministrazioni, preposte alla cura di differenti interessi pubblici, all’evidente scopo di snellire i tempi e le scansioni della procedura al fine di concentrarne l’esito in un unico provvedimento. (¦) Deriva da quanto sopra che la conferenza di servizi trova il proprio senso nella partecipazione integrata di tutti i componenti necessari in tutte le fasi dei propri lavori, fino al provvedimento finale, di spettanza dell’amministrazione che ha indetto la conferenza e ne ha assunto la conduzione, alla quale è rimessa la responsabilità  di rendere la decisione finale derivante dalla valutazione collegiale (Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2378)”, precisando, in particolare, che “essendo, appunto, un procedimento, i lavori della conferenza si chiudono quando finisce il procedimento, che, nella fattispecie in esame, è continuato ben oltre la pretesa chiusura.”.
Va pertanto rimarcato come continui a rientrare nella disponibilità  dell’Amministrazione procedente, alla luce del principio di buon andamento e completezza dell’istruttoria, sia pure coniugati con quelli di semplificazione e rispetto dei tempi procedimentali, la valutazione in ordine alla sufficienza degli elementi acquisiti al fine di supportare la susseguente determinazione conclusiva e, viceversa, il giudizio di necessità  di ulteriori approfondimenti, da svolgersi in ulteriori sessioni d’incontri conferenziali, al fine della completa valutazione degli interessi pubblici e privati, primari e secondari, coinvolti dall’agere dei pubblici poteri. Esigenza senz’altro ragionevole ove, come nella specie, diverse amministrazioni partecipanti abbiano manifestato l’imprescindibilità  dello svolgimento degli adempimenti prodomici all’espressione del parere di competenza. Ciò del resto risulta coerente con la considerazione di base per cui “l’azione amministrativa, quando è ripartita tra varie competenze, specie in ragione dell’autonomia locale, necessita dell’applicazione effettiva dell’immanente principio fondamentale di leale cooperazione, che esige – a compensazione della ripartizione di competenze – che le amministrazioni implicate collaborino realmente nella salvaguardia dell’esercizio reciproco delle funzioni, acquisendo così una congrua e completa conoscenza e dei fatti e la possibilità  di una considerazione adeguata e proporzionata degli interessi coinvolti di rispettiva competenza, vagliando se gli assunti presi a base sono corretti o possono essere corretti e modificati pur senza venir meno alla cura dell’interesse pubblico di loro attribuzione¦” (cfr. Cons. Stato, VI, 5 marzo 2014, n.1059; 15 gennaio 2013, n. 220).
In linea con le superiori coordinate, pertanto, con nota del 18 gennaio 2011, il Dirigente del Servizio Energia, facendo il punto dell’attività  procedimentale fino a quel momento svolta, ha chiaramente evidenziato la necessità  di svolgere ulteriori incombenze prodomiche alla decisione conclusiva, tra cui, in particolare, il sopralluogo del Servizio Foreste nell’area oggetto di intervento, così sollecitando la Società  a provvedere, onde consentire i necessari accertamenti tecnici da svolgere in loco.
2.3.3 Pare pertanto al Collegio evidente che non potendosi ritenere manifestato per silentium quantomeno l’assenso del Servizio Foreste, nè dell’Autorità  di Bacino, ed essendo i predetti pareri intervenuti solo successivamente alla data del 31 dicembre 2010, risulta certamente superato lo sbarramento temporale posto dall’art. 5 del Regolamento Regionale n. 24/2010 per l’applicazione della disciplina transitoria. Conseguentemente, come fondatamente eccepito dalla difesa dell’Amministrazione regionale, risulta correttamente valutata la natura preclusiva del Regolamento rispetto all’intervento proposto, non essendo il sito prescelto più eleggibile per tale tipologia di intervento.
2.4 Alla luce di tali conclusioni, gli ulteriori rilievi dedotti dalla ricorrente, pure afferenti a censure di carattere procedimentale, perdono consistenza, dovendosi concordare con la notazione di fondo espressa al riguardo dalla difesa della Regione, secondo la quale, in considerazione del carattere vincolato della decisione, conseguente all’applicazione del sopravvenuto regolamento regionale n. 24/2010, il contenuto dispositivo del provvedimento finale non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello in concreto adottato, ex art. 21 octies, comma 2, L. 241/90
2.4.1 Risulta incontestato, infatti, che una traslazione del progetto non ne avrebbe comunque consentito l’assentibilità  (cfr. pag. 21 memoria Regione Puglia del 20 febbraio 2015), atteso che le aree interessate dal progetto ricadono in area non idonea ai sensi del R.R. n. 24/2010, Allegati 2 e 3, in quanto classificate in parte come zone IBA (Important Bird Area), in parte come aree boscate e area buffer di 100 metri ed in parte come ambiti di “Valore rilevante” (B) del PUTT/Paesaggio; così come evidenziato sia con comunicazione ex art. 10 bis del Servizio energia del 14 luglio 2011 prot. 9070 che con il conclusivo provvedimento di diniego del 4 maggio 2012, prot. 4174.
2.4.2 Nè la legittimità  del provvedimento finale poteva essere inficiata dalla denunciata violazione dei termini massimi di conclusione del procedimento. Infatti, detta violazione non può comportare senz’altro l’invalidità  del provvedimento conclusivo, atteso che il decorso di termini aventi pacificamente natura dilatoria, non essendo diversamente disposto, non comporta la perdita del potere di provvedere.
2.5 Firma si duole, inoltre, delle ulteriori ragioni poste dalla Regione alla base del provvedimento di diniego e già  enucleate chiaramente con il secondo preavviso di rigetto, evidenziando l’avvenuta acquisizione per silentium del parere paesaggistico-territoriale reso dal servizio Assetto del Territorio, con conseguente inammissibilità  del tardivo parere negativo espresso solo in data 16 settembre 2011, al di fuori della sede conferenziale. Sennonchè detti rilievi risultano senz’altro superabili atteso che, per pacifica giurisprudenza ove il provvedimento impugnato sia fondato su una motivazione plurima, l’accertata legittimità  anche solo di uno dei motivi posti a suo fondamento, comporta la superfluità  dell’esame della fondatezza delle censure dedotte avverso gli ulteriori motivi addotti a supporto del provvedimento impugnato, atteso che lo stesso non potrebbe essere annullato qualora anche uno solo dei motivi posti a suo fondamento fornisca autonomamente la legittima e congrua giustificazione della determinazione adottata (ex multis Cons. di Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n.2882).
2.6 Con il terzo motivo di ricorso si contesta in via diretta la legittimità  del regolamento della Regione Puglia n. 24/2010 ed in via derivata del provvedimento conclusivo di diniego di A.U. (cfr. pag. 33 ricorso introduttivo) per aver previsto generici divieti, peraltro in maniera irragionevole. Come già  chiarito da questa Sezione in un significativo precedente, dal quale il Collegio non ha ragioni per discostarsi, è consentito alle Regioni “apporre una volta per tutte divieti preventivi, assoluti e non derogabili” allo scopo di semplificare ed accelerare le procedure autorizzatorie, individuando nell’ambito del proprio territorio “aree non idonee” alla localizzazione di determinate tipologie di impianti (cfr. sent. Tar Bari, sez. I, 20 agosto 2012, n. 1580). A ciò non osta la normativa nazionale citata (ex plurimis cfr. sent. Tar Bari, sez. I, nn. 675 – 681 del 2013). Gli argomenti sui quali si è ritenuto di poter fondare la conclusione attinta, possono essere sinteticamente enucleati come di seguito:
“a) il significato letterale della “non idoneità “, riferita alle trasformazioni del territorio. Diversamente intesa, la complessa procedura di zonizzazione rimessa alle Regioni avrebbe ben poca utilità  pratica, poichè le imprese interessate sarebbero ugualmente indotte a richiedere l’autorizzazione all’insediamento di nuovi impianti all’interno di tali aree, previa valutazione in concreto della loro compatibilità  ambientale, restando immutata l’incertezza sulla fattibilità  tecnica e giuridica degli interventi, in danno sia degli operatori economici che delle Amministrazioni competenti ad esprimersi, a causa della complessità  delle valutazioni istruttorie da compiersi sui singoli progetti e della riconosciuta ampiezza della discrezionalità  tecnico-amministrativa esercitabile in sede di valutazione di impatto ambientale;
b) il tenore dei precetti contenuti in una serie di disposizioni del decreto del Ministero dello Sviluppo economico del 10 settembre 2010:
– il paragrafo 1.2., ove si stabilisce che le Regioni e le Province autonome possono “porre limitazioni e divieti in atti di tipo programmatorio o pianificatorio”, per specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili, con le modalità  di cui al successivo paragrafo 17;
– il paragrafo 17.1, intitolato “aree non idonee” ove, proprio in nome della richiamata esigenza di semplificazione e di certezza, si ribadisce che le Regioni e le Province autonome possono “procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”, secondo il chiaro dettato dell’art. 12, decimo comma, del d.lgs. n. 387 del 2003, sia pure mediante apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione dei vincoli e degli strumenti di tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della biodiversità , delle tradizioni agroalimentari e del paesaggio rurale, che identificano obiettivi di protezione ritenuti ex ante non compatibili con nuovi impianti e per i quali, pertanto, vi sarebbe una “elevata probabilità  di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione” (elevata probabilità  che è destinata a divenire certezza del divieto, con la scelta pianificatoria della Regione);
– l’allegato 3, intitolato “criteri per l’individuazione di aree non idonee”, ove si chiarisce che la loro individuazione “mira non già  a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti”, pur con la precisazione che essa deve obbedire a criteri di oggettività  (lett. a) e differenziazione (lett. b), non può riguardare le zone agricole nella loro interezza (lett. c), non può riguardare “porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”;
c) un’interpretazione che consenta di attribuire all’ultimo periodo della lett. d) dell’allegato 3 un significato compatibile con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e con la complessiva disciplina contenuta nelle linee guida ministeriali (in specie con il paragrafo 1.2., nel quale è sancito in modo affatto chiaro il potere delle Regioni di stabilire limitazioni e divieti in via preventiva). La predetta disposizione secondo cui “l’individuazione delle aree e dei siti non idonei non deve, dunque, configurarsi come divieto preliminare, ma come atto di accelerazione e semplificazione dell’iter di autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio, anche in termini di opportunità  localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio”, secondo la suggerita chiave di lettura, si porrebbe quindi solo apparentemente in contrasto con le altre disposizioni già  riportate, tutte univoche nell’assegnare carattere assoluto ai divieti introdotti dalle Regioni. Ciò sulla scorta di un’interpretazione logico-sistematica della nozione di “aree non idonee”, della formulazione del periodo in termini descrittivi (della ratio e dell’obiettivo perseguito) anzichè prescrittivi, dell’utilizzo della congiunzione conclusiva “dunque” (che toglie contenuto innovativo alle parole che seguono, risolvendosi in mero riepilogo delle precedenti disposizioni dell’allegato 3, tra le quali viceversa non vi è traccia della pretesa attenuazione del regime dei divieti)” (cfr. sentenza T.A.R. Bari, sez. I, 24 luglio 2013, n. 1182).
2.7 Con un quarto motivo si sostiene che il provvedimento sarebbe elusivo della sentenza di questo Tribunale n. 770 del 26 aprile 2012.
Ebbene il motivo non coglie nel segno.
La sentenza in questione ha solo ordinato alla Regione Puglia di provvedere, nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione o notifica della sentenza, «all’adozione delle proprie determinazioni finali in ordine all’istanza presentata dalla ricorrente per la costruzione ed esercizio di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica nel Comune di San Nicandro Garganico denominato “il Casone”», sulla base della pacifica valutazione di superamento dei termini di legge previsti in subiecta materia, senza nulla statuire in relazione alla spettanza del bene della vita, nè tantomeno ha posto limitazioni in relazione al contenuto dispositivo dell’adottando provvedimento.
3. Resta solo da valutare, attesa la legittimità  del provvedimento sfavorevole impugnato, se possano essere imputati all’Amministrazione, a titolo di responsabilità  per colpevole violazione dei termini procedimentali ex art. 2 bis L. 241/90, i danni (quantificati in € 4.524.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria) che la ricorrente asserisce di aver subito, in conseguenza della tardiva indizione e conclusione del procedimento. Sul punto la società  Firma rimarca che, a fronte dell’obbligo di conclusione del procedimento entro il termine massimo di 180 giorni (ridotti a 90 dal D.L. 78/2010) la determinazione finale è stata adottata a quasi quattro anni dalla richiesta, lamentando, in conseguenza di detta violazione, la perdita della chance concretizzatasi nel contratto di opzione stipulato il 4 ottobre 2010 con la società  inglese Foresight Group. Detto accordo, prevedeva, infatti, un’opzione in favore di quest’ultima per l’acquisto del progetto di Firma, purchè l’Autorizzazione unica fosse rilasciata entro il 31 dicembre 2010.
3.1 In merito al risarcimento del danno da ritardo, slegato dalle coordinate ermeneutiche enucleate dal sistema con l’Adunanza Plenaria n. 7 del 2015 (che, come noto, lo aveva riconnesso alla sola spettanza del bene della vita sotteso all’interesse legittimo pretensivo, leso dall’azione amministrativa illegittima), va osservato quanto segue.
3.1.1 Giova innanzitutto premettere che a seguito della introduzione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 ad opera dell’art. 7 legge 18 giugno 2009, n. 69, secondo cui “Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, sono affiorate, sia pure in maniera non incontrastata, sempre più ampie aperture giurisprudenziali protese al riconoscimento delle istanze risarcitorie legate dalla tardiva emanazione di un provvedimento autoritativo, a prescindere dal suo contenuto favorevole (cfr. Cons. Stato, sez. III, 31 gennaio 2014, n. 468, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3405; Tar Puglia Bari, sez. I, 19 luglio 2013, n. 1148; – contra Cons. Stato sez. IV 7 marzo 2013, n. 1406; Tar Lazio, Roma, sez. II, 19 luglio 2013, n. 7386; Tar Campania Napoli, sez. II, 12 luglio 2013).
Viene così lumeggiata una concezione del tempo quale autonomo bene della vita su cui il privato deve poter fare ragionevole affidamento al fine di orientare la propria libertà  economica, indipendentemente dall’acquisizione del bene della vita reclamato (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 23 aprile 2015 n. 2040; sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182, Cons. Stato, 21 giugno 2013, n. 3405).
3.1.2 I richiamati precedenti, pur ponendosi da tale innovativa prospettiva, hanno anche pacificamente rimarcato la necessità  del rigoroso accertamento in sede giudiziale di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, in prevalenza ricondotta nell’alveo della responsabilità  extracontrattuale ex art. 2043 c.c. sicchè il danno da ritardo risulta autonomamente risarcibile, a condizione ovviamente che tale danno sussista, sia ingiusto (ovvero incida su un interesse materiale sottostante), venga provato e sia escluso che vi sia stato il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c..
Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi “iuris tantum”, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, ovvero, sia i presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante): in sostanza, il mero “superamento” del termine fissato “ex lege” o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra piena prova del danno.
Si è peraltro evidenziato che la valutazione che il giudice è sollecitato a svolgere, è di natura relativistica, e deve quindi tenere conto della specifica complessità  procedimentale, ma anche – in senso negativo per le ragioni dell’amministrazione intimata – di eventuali condotte dilatorie (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406, Cons. Stato, Sez. III, 30 aprile 2014, n. 2279).
3.2 Facendo applicazione dei principi innanzi espressi ai fini dello scrutinio della domanda risarcitoria, va rilevato che nella specie non risulta accertata nè la colpa dell’Amministrazione, nè risulta fornita prova del nesso causale tra ritardo e danni subiti.
All’uopo giova porre mente, innanzitutto alla cronologia del procedimento, dalla quale emerge con chiarezza che sulla procrastinazione dei tempi di conclusione del procedimento risulta aver influito in termini determinanti il ritardo della stessa società  istante nell’evadere le richieste di integrazione tecnico – progettuale, così dilatando i tempi procedimentali fino a far scattare l’applicazione del R.R. 24/2010, e precludendo, in via definitiva, la realizzazione dell’impianto.
In particolare, risulta in atti che pur a seguito di puntuale e tempestiva richiesta di integrazione documentale da parte della Regione (cfr. nota prot. n. 5737 del 29 maggio 2008), solo in data 25 marzo 2010 la ricorrente ha comunicato di aver completato la trasmissione dei documenti di progetto a tutti gli enti partecipanti, indispensabili per consentirgli di esprimere una informata valutazione sulla assentibilità  dell’intervento (sia pure ancora senza documentazione attestante l’assegnazione del punto di connessione alla rete elettrica, con relativo nulla osta).
Risulta ancore che in data 7 dicembre 2010 la società  ha trasmesso il progetto delle opere elettriche di connessione vidimato da Terna s.p.a. in data 11 novembre 2010 (peraltro con una significativa modifica progettuale in relazione al posizionamento in area boscata di una cabina elettrica), mentre solo in data successiva al 31 dicembre 2010 ha soddisfatto le richieste di integrazione documentale dell’Autorità  di Bacino e di sopralluogo del Servizio Foreste.
3.3 Nè per la complessità  dei risvolti procedimentali, così come innanzi delineati, risulta altrimenti acclarata la colpa dell’amministrazione nella causazione dei danni lamentati. Infatti, va rilevato come le incombenze procedimentali collegate alle verifiche rimesse alle varie amministrazioni intervenute nel procedimento conferenziale, oltre a risultare aggravate dalla tardiva trasmissione delle integrazioni documentali richieste, sono state rese ancor più complesse ove si ponga mente ai ragionevoli dubbi sorti sulla valenza anche paesaggistica del parere reso dal Comune di Sannicandro Garganico; dubbi chiariti solo con nota comunale del 4 ottobre 2011.
Quanto evidenziato converge con i più recenti approdi giurisprudenziali, secondo cui ai fini dell’ammissibilità  dell’azione risarcitoria da ritardo occorre accertarsi se l’adozione o la mancata o ritardata adozione del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle regole di imparzialità , correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio della funzione, e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’Amministrazione ovvero se, al contrario, la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità  della situazione fattuale (Cons. di Stato, sez. III, 15 maggio 2015, n. 2410).
3.4 Del pari va disattesa l’istanza risarcitoria per gli ulteriori danni patiti a titolo di perdite, investimenti e spese affrontate nelle più disparate sedi giudiziarie e stragiudiziali, in quanto, a tacer d’altro, risultano solo genericamente dedotti. Nè può supplire al mancato assolvimento dell’onere della prova la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, non potendo avere ingresso nei giudizi risarcitori il c.d. metodo acquisitivo tipico del processo impugnatorio; pertanto, il ricorrente che chiede il risarcimento del danno da cattivo (o omesso) esercizio della funzione pubblica, deve fornire la prova dei fatti base costitutivi della domanda. La giurisprudenza ha ben chiarito, infine, che se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici per fornire la prova dell’esistenza del danno e della sua entità , è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise senza che possa darsi ingresso, in mancanza, alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 c.c. perchè tale norma presuppone l’impossibilità  di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito (cfr. Cons. Stato 21 giugno 2013, n. 3405).
4. Dalle argomentazioni espresse in precedenza discende, dunque, l’integrale reiezione del ricorso introduttivo, in uno alla ulteriore domanda risarcitoria.
5. In ragione della complessità  e peculiarità  delle questioni trattate, sussistono eccezionali motivi per disporre l’integrale composizione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Maria Grazia D’Alterio, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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