Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Permesso di costruire – Distanze – Vedute e luci – Distinzione – Fattispecie

Nell’accertamento del rispetto delle prescrizioni in materia di distanze, occorre distinguere tra ‘veduta’ e ‘luce’, in quanto solo per la prima – caratterizzata dalla possibilità  di comoda e agevole possibilità  di affaccio con sporgenza del capo per poter guardare di fronte, lateralmente e obliquamente, senza pericolo e senza l’ausilio di alcun mezzo artificiale, col petto protetto dal parapetto – trova applicazione l’art. 907 c.c. (Nel caso di specie, onde valutare la legittimità  dell’atto impugnato, il G.A. ha accertato in via incidentale la natura di ‘luce’ e non di ‘veduta’ dell’apertura, posto che il lastrico solare sul quale affaccia è sprovvisto di ringhiera per espressa disposizione del Tribunale che ne ha ordinato la rimozione, trattandosi di opera finalizzata alla realizzazione di una servitù di affaccio non preesistente).

N. 00641/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00036/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 36 del 2014, proposto da: 
Maria Amodio, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Albanese, con domicilio eletto presso Giovanni Albanese in Bari, Via Abate Gimma, n.94; 

contro
Comune di Rutigliano, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Didonna, con domicilio eletto presso Michele Didonna in Bari, Via Cognetti, n.58; 

nei confronti di
Giuseppe D’Alessandro e Angela Cassano, rappresentati e difesi dall’avv. Domenico Damato, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, Pza Massari; 

per l’annullamento
del Permesso di costruire n. 52/2012 del 13 novembre 2012 rilasciato ai coniugi D’Alessandro e Cassano dal Comune di Rutigliano in data 15 novembre 2012 per la realizzazione di un nuovo edificio, previa demolizione di parte di quello preesistente, in Rutigliano, alla via Spalato, conosciuto in data 8 gennaio 2014 a seguito di comunicazione d’inizio lavori per il giorno 13 gennaio 2014;
nonchè di ogni atto preparatorio, presupposto, consequenziale e/o connesso.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Rutigliano e di Giuseppe D’Alessandro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2015 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori Giovanni Albanese e Domenico Damato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La ricorrente è comproprietaria di una unità  immobiliare sita in Rutigliano, alla via Zara n.14, composta da piano terra, primo piano e lastrici solari (per una ottimale comprensione dello stato dei luoghi, utile al fine di seguire più agevolmente il percorso motivazionale della sentenza, risulta di grande ausilio la consultazione del c.d.rendering allegato da parte ricorrente alla produzione documentale del 13.2.2015).
L’immobile de quo le è pervenuto per successione mortis causa della genitrice sig.ra Antonia Poli in data 16.3.2012.
Su tale immobile si è costituita una comunione ereditaria con il genitore sig. Nicola Amodio e con i germani Francesco e Giuseppe Amodio.
Al primo piano del compendio immobiliare è allocato un vano abitabile munito di una porta- finestra che si apre su di un lastrico a livello (del manufatto di proprietà  dei controinteressati di seguito meglio descritto).
I coniugi D’Alessandro – Cassano (odierni controinteressati) hanno acquistato nell’anno 2012, dai vari comproprietari, tra cui la odierna ricorrente ed i suoi parenti, un immobile posto a confine con l’abitazione dei signori Amodio, nonchè il vano terra al quale il citato lastrico funge da copertura.
A seguito dell’acquisto fatto, gli odierni controinteressati hanno ottenuto dal Comune di Rutigliano il Permesso di Costruire (d’ora in poi PdC) n. 52/2012, per la realizzazione di un nuovo immobile, previa demolizione del vano terra il cui solaio costituisce la terrazza su cui si apre la porta finestra della ricorrente.
La sig.ra Amodio impugna il predetto PdC denunziando, con unico articolato motivo di ricorso:
la violazione e falsa applicazione degli artt.905 e 907 del codice civile e dell’art 11 DPR 380/01 T.U. Edilizia; la violazione e falsa applicazione dell’art.32 del N.T.A. del Piano Regolatore Generale vigente nel Comune di Rutigliano; la violazione e falsa applicazione dell’art.9 del D.M. n.1444/1968; l’eccesso di potere: carenza di motivazione e di istruttoria (violazione dell’art.3 della Legge n.241/1990); il travisamento.
In estrema e doverosa sintesi, si lamenta che l’erigendo edificio violerebbe le prescrizioni materia di distanze sotto un triplice profilo.
Allo stato, come si evince dalla documentazione fotografica depositata in atti, non vi è alcun dislivello tra la quota della porta- finestra e la quota del lastrico su cui essa si apre. Le planimetrie allegate al PdC evidenziano, invece, che, in sede di ricostruzione, il lastrico del nuovo edificio si troverà  ad un livello inferiore, rispetto all’attuale, di circa 70 cm, sicchè la porta-finestra si troverà  ad aprire su di un solaio-pavimento più basso dell’attuale e, da essa non sarà  più possibile accedervi (in ragione del dislivello di circa 70 cm.). Atteso l’incontestato diritto a mantenere la suddetta porta-finestra, la ricorrente reclama che, qualora venga demolito il solaio su cui apre tale varco (la porta-finestra), la nuova costruzione, se difforme dalla precedente, dovrebbe essere allocata, ex art. 907, ultimo comma, c.c., a mt. 3 sotto la soglia dell’apertura de qua. Inoltre, come evidenziato nella planimetria posta a corredo del PdC impugnato, la nuova costruzione (per la parte perpendicolare alla parete su cui è inserita la porta- finestra) verrebbe posta a mt. 2,20, anzichè a mt. 3 dalla porta-finestra veduta (obliqua) .
Sarebbe anche violato l’art. 32 delle Norme Tecniche di Attuazione a corredo al Piano Regolatore Generale vigente nel Comune di Rutigliano – che prescrive per le zone omogenee Bl, come quella in esame, un distacco minimo dai confini di mt. 5, salvo aderenza, e un distacco minimo tra pareti finestrate non divise da strade di mt. 10. La nuova costruzione verrebbe allocata in parte in aderenza ai confini laterali ed in parte a soli mt.4,60, in lamentata violazione dell’invocata norma regolamentare
Sarebbe, inoltre, prevista la realizzazione – a piano rialzato e al primo piano- di due terrazze, poste entrambe a soli mq. 4,60 al fabbricato frontista, anzichè a mt. 10 come prescrive l’art.9, D.M. n.1444/1968, in tema di distanze tra pareti finestrate.
Respingono le avverse doglianze sia il Comune sia i controiteressati che, nel costituirsi hanno, in primo luogo, eccepito l’irricevibilità  del gravame per tardività .
Nel merito hanno svolto dettagliati argomenti difensivi più compiutamente esaminati nel prosieguo.
All’udienza del 26.3.2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
Va in primo luogo respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dal Comune.
Le parti controvertono sulla legittimità  del titolo edilizio, ovverosia in merito al corretto esercizio del relativo potere autoritativo.
Le questioni relative al rispetto delle distanze, che il G.A. può accertare incidentalmente, rilevano, nella presente controversia, solo al fine di valutare la legittimità  del titolo controverso.
Parimenti infondata è l’eccezione di tardività  sollevata dei resistenti.
Essa si fonda sulla circostanza che, a partire quantomeno dal giugno 2013 (v. nota dell’11.6.2013 versata nel fascicolo contro interessati come allegato 10 alla memoria di costituzione), i comproprietari dell’immobile erano a conoscenza dell’intervento assentito con il PdC impugnato, in quanto hanno rivolto al Comune un’istanza volta ad evidenziarne profili di illegittimità .
A tale circostanza si aggiungerebbe l’altra, rappresentata dalla missiva del 7.6.2013, con cui, in risposta ad altra missiva del 3.6.2013 dei sig.ri D’alessandro -Cassano, la odierna proprietà  intimava ai controinteressati di non procedere alla demolizione del manufatto da ricostruirsi.
Sennonchè emerge chiaramente dalla lettura dei citati atti, che nessuno di essi è stato posto in essere dalla odierna ricorrente, bensì da altri comproprietari (rispettivamente i sig.ri Nicola e Giuseppe Amodio ovvero il solo Nicola).
Ne consegue che non possa escludersi che tali iniziative siano state adottate all’insaputa dell’odierna ricorrente.
Analogamente è a dirsi per la indicazione quale persona informata sui fatti della sig.ra Amodio Maria nell’ambito di uno dei tanti giudizi possessori intercorsi tra le parti, poichè, secondo un criterio di ragionevolezza, non può escludersi che ciò (cioè la indicazione quale teste) sia avvenuto a sua insaputa.
Superata l’eccezione di tardività , il ricorso va esaminato nel merito.
Esso è infondato.
Con la prima doglianza la ricorrente lamenta che il nuovo solaio su cui aprirebbe la sua porta-finestra sarebbe a quota inferiore rispetto a quella attuale, così impedendole di accedervi. Deduce l’illegittimità  del PdC impugnato perchè non assicurerebbe, in sede di ricostruzione, il rispetto delle distanze di cui all’art. 907 c.c. che impone, in presenza di vedute dirette ed oblique (quale sarebbe, a dire della ricorrente, la sua porta-finestra) che la nuova costruzione si arresti ad almeno 3 mt. al di sotto della loro soglia.
Stretta ortodossia processuale imporrebbe di dichiarare la doglianza inammissibile per contraddittorietà  degli argomenti usati, facendo applicazione del divieto di abuso del diritto.
Non sfugge al Collegio, infatti, che il bene della vita reclamato dalla ricorrente è il mantenimento del lastrico/solaio alla stessa quota di quello già  esistente (cioè a livello con il piano di calpestio della porta- finestra). Pur tuttavia, deducendo la violazione dell’art. 907 c.c., ella pretende il rispetto della distanza sottostante di 3 mt.
Conclusivamente, per ottenere che la quota della terrazza non venga abbassata, deduce l’illegittimità  del PdC perchè non sarebbe rispettata la prescrizione che impone di costruire al di sotto della soglia di almeno 3 mt. Delle due l’una: o si vuole che la quota di calpestio resti immutata (contestandosi l’abbassamento anche di 70 cm) ovvero si pretende l’abbassamento della quota di 3 mt.
Le due pretese sono tra loro del tutto incompatibili, sicchè non resta che concludere che la prescrizione, il cui rispetto si reclama, viene invocata in modo del tutto strumentale.
Tuttavia, l’infondatezza nel merito della doglianza impone di tralasciare la pronuncia di inammissibilità .
E’ necessario porre, ai fini del decidere, due premesse essenziali: l’una in merito alla consistenza dell’edificio da realizzarsi, l’altra in ordine alla natura della porta finestra.
Quanto al primo profilo evidenziato, giova chiarire che il progetto presentato, per come emerge inconfutabilmente dagli allegati progettuali, prevede la realizzazione del nuovo solaio, in sostituzione del preesistente a quota inferiore (di 70 cm, secondo misura allegata e non contestata da controparte, che può ritenersi, pertanto, provata in base al principio di non contestazione).
Pertanto, in questa sede non possono essere condivise le argomentazioni esposte dal Tribunale di Bari con il provvedimento reso nel giudizio civile ex artt. 1170, c.c.; 703 e ss, 669 bis e ss c.p.c. recante n. RG 13684/2013, introdotto da Nicola e Giuseppe Amodio (in cui l’odierna ricorrente è interveniente), secondo cui la relazione di accompagnamento all’istanza di PdC prevede la realizzazione dell’intervento “conservando la stessa quota di calpestio del lastrico solare”, sicchè non vi sarebbe abbassamento dello stesso.
Infatti, benchè la relazione tanto affermi (v. pag. 2 relazione tecnica, paragr. “Dati dell’immobile e oggetto dell’intervento”), da un lato non è ben chiaro se tale affermazione si riferisca al lastrico solare oggetto di controversia ovvero a quello di altro piano, dall’altro, nel contrasto tra tale affermazione e gli allegati progettuali, non possono che preferirsi questi ultimi, attesa la specifica puntualità  in merito alla rappresentazione dell’intervento.
Da tanto consegue, da un lato, che non possa escludersi un profilo di interesse all’impugnativa, dall’altro, che non possa ritenersi la doglianza infondata, perchè non vi sarebbe variazione della quota di calpestio dei due pavimenti (quello del vano di comproprietà  della ricorrente e quello del lastrico). Le ragioni di infondatezza, infatti, sono in realtà  diverse.
Quanto al secondo profilo, occorre indagare ed accertare la natura della porta- finestra ed in particolare se essa possa definirsi “veduta” (come sostiene la ricorrente, dedicando a tale qualificazione ampia parte del motivo di ricorso) ovvero “luce”, atteso che solo in ipotesi di veduta è applicabile l’invocato art. 907 c.c.
In punto di fatto, l’apertura in questione dà  attualmente accesso ad un solaio che non risulta munito, su tutti i lati, di parapetto. Infatti, a seguito dell’ordinanza collegiale del Tribunale di Bari del 28.11.2009, alla originaria proprietaria dell’immobile dotato di porta-finestra (dante causa dell’odierna ricorrente) è stato ordinato di rimuovere la ringhiera apposta sul lastrico (originariamente sprovvisto di parapetto su tutti i lati) che, pertanto, è praticabile, dalla porta-finestra, in totale mancanza di protezioni e presidi di sicurezza per chi via acceda.
L’ordinanza in questione, peraltro, ha anche affermato che l’apposizione della ringhiera ha determinato la realizzazione di un’opera finalizzata all’esercizio di una servitù di affaccio non preesistente e tale da turbare il possesso della proprietà  del lastrico.
Così ricostruita in fatto la situazione, deve escludersi, per la porta- finestra, la natura di veduta atteso che essa è sfornita di alcun parapetto che consenta di affacciare in sicurezza sul lastrico altrui.
(“Si ha veduta quando è consentita non solo una comoda “inspectio” – senza l’uso di mezzi artificiali – sul fondo del vicino ma anche una comoda, agevole e sicura “prospectio”, cioè la possibilità  di affaccio – con sporgenza del capo – per poter guardare di fronte, lateralmente e obliquamente. Affacciarsi, nell’uso corrente recepito dal legislatore nella definizione delle vedute, è il porsi l’osservatore di normale altezza, comodamente, senza pericolo e senza l’ausilio di alcun mezzo artificiale, col petto, protetto dall’opera, a livello superiore a quello massimo dell’opera stessa nel punto di osservazione, in modo da poter sporgere oltre tale livello il capo e vedere, anche obliquamente e lateralmente, l’immobile altrui e, nello stesso tempo, da poter esser visto dall’esterno. Per poter distinguere una veduta prospettica da una finestra lucifera, bisogna accertare, avuto riguardo non all’intenzione del proprietario, ma alle caratteristiche oggettive ed alla destinazione dei luoghi, se essa adempie alla funzione, normale e permanente non esclusiva, di dare aria e luce all’ambiente e di permettere la “inspectio” e la “prospectio” sul contiguo fondo altrui, in modo da determinare un inequivoco e durevole assoggettamento di quel fondo a tale peso. Non può sussistere veduta quando, pur essendo possibile l’affaccio attraverso un’apertura, non possa attuarsi normalmente, e cioè agevolmente e senza pericoli, la sporgenza del capo per guardare di fronte, obliquamente e lateralmente sul fondo del vicino.” Tribunale Bari, sez. I,
del 18/01/2012, n. 201; “Secondo l’uso corrente, che deve ritenersi recepito dal legislatore nella definizione delle vedute (art. 900 c.c.), l’espressione “affacciarsi” denota la posizione che l’osservatore assume per potere, comodamente, senza pericolo e senza l’ausilio di alcun mezzo artificiale, vedere obliquamente e lateralmente sul fondo altrui, tenendo il petto, protetto dall’opera, a livello superiore a quello massimo dell’opera stessa, sicchè l’esistenza di un parapetto alto soltanto cinquantacinque centimetri esclude che un’apertura possa considerarsi veduta.” (Cassazione civile sez. II, del 12/12/1980, n. 6403). Ed ancora: “la “porta-finestra” che consenta la “inspectio”, ma non la “prospectio”, ossia lo sguardo frontale sul fondo del vicino, ma non lo sguardo obliquo e laterale, non integra veduta, sebbene permetta occasionalmente e fugacemente, nel momento dell’uscita, la visione globale e mobile del fondo alieno.” Cassazione civile, sez. VI, del 13/08/2014, n. 17950;).
Esclusa la natura di veduta per l’apertura in esame, deve escludersi conseguentemente, l’applicabilità  dell’art. 907 c.c. e della distanza legale di mt. 3 prescritta sia in obliquo sia al di sotto delle vedute.
Parimenti infondate sono le ulteriori doglianze articolate nell’unico motivo di ricorso.
Non risulta sussistente la violazione dell’art. 32 NTA (che prescrive il distacco minimo dai confini di mt.5) in quanto tale disposizione, non vale, per sua espressa deroga, in ipotesi di costruzione in aderenza (recita testualmente l’art. 32 NTA : “distacco minimo dai confini (Dc)= 5 mt, salvo aderenza”); ipotesi ricorrente nel caso in esame.
Parimenti è a dirsi per l’invocato rispetto dell’art. 9 D.M. n. 1444/1968.
Deve rilevarsi, infatti, che l’edificio da realizzarsi non ha alcuna parete frontistante con quella della ricorrente su cui insiste la porta-finestra, pertanto, non può trovare applicazione la disposizione invocata che riguarda le costruzioni antistanti (“L’art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, che impone la distanza minima di dieci metri deve osservarsi solo tra edifici contrapposti ed anche se solo su uno di essi sono aperte le finestre, essendo tale norma volta a stabilire nell’interesse pubblico un’idonea intercapedine tra gli edifici e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza; mentre in caso di una parete finestrata perpendicolare, la distanza va computata sulla base dell’art. 907 c.c., che impone una distanza minima di tre metri dalle vedute esistenti sul fondo del vicino.” (Consiglio di Stato, sez. V, del 18/02/2003, n. 871 e T.A.R. Genova (Liguria) sez. I , 16/02/2005 n. 221).
E’ ben vero che, come ammettono gli stessi resistenti, esiste una parete frontistante a quella della ricorrente posta a distanza inferiore rispetto ai 10 mt. prescritti, ma tale parete non è di proprietà  dei controinteressati, appartenendo ad altri soggetti.
Per le ragioni suesposte il ricorso non può trovare accoglimento.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente Amodio Maria al pagamento delle spese processuali in favore dei resistenti che liquida in euro 1.500,00, oltre IVA, CAP e spese generali in misura del 15% per il Comune di Rutigliano ed euro 1.500,00, oltre IVA, CAP e spese generali in misura del 15% per Giuseppe D’Alessandro e Angela Cassano (questi ultimi in solido).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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