1. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Acquisizione sanante – Competenza
2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Provvedimento di acquisizione sanante – Incompetenza – Divieto del giudice di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati – Non sussiste 
3.Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Edilizia residenziale pubblica – Esclusione della retrocessione – Applicazione ratione temporis al procedimento 
4. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Acquisizione sanante – Motivazione rafforzata
5. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Acquisizione sanante  – Indennità  – Natura  – Quantificazione 
6. Espropriazione per pubblica utilità  – Occupazione illegittima – Realizzazione opera pubblica – Trasferimento del diritto di proprietà  in capo all’amministrazione – Irrilevanza
7. Risarcimento del danno – Occupazione illegittima – Mancato utilizzo del bene – Prova – Necessità  

1. La competenza all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante è riservata al Consiglio comunale, in quanto rientrante nel novero dei provvedimenti da adottarsi con deliberazione di consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 comma , d. lgs. 18 sosto 2000, n. 267.
2. La declaratoria di incompetenza dell’organo che ha emesso il provvedimento di acquisizione sanante non esclude che il giudice amministrativo possa esaminare anche i motivi di ricorso che possano condurre alla riedizione del potere amministrativo esercitato dopo aver chiarito la res dubia su aspetti anche sostanziali del provvedimento gravato ed annullato per incompetenza. 
3. Sebbene debba ritenersi applicabile l’articolo 3 della l. 27 ottobre 1988, n. 458  – nel frattempo abrogato dall’art. 58 comma 1 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – secondo cui i proprietari dei suoli illegittimamente occupati per la realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica   d.P.R., non abbiano diritto alla retrocessione, a tutti i procedimenti con dichiarazione di pubblica utilità  anteriore alla data di entrata in vigore del d.P.R. 327/2001 (30 giugno 2001), non può non considerarsi che la corretta applicazione del principio generale tempus regit actum implichi che l’amministrazione debba tener conto delle evoluzioni normative intervenute durante il procedimento di occupazione, non potendo considerarsi cristallizzato l’assetto normativo al momento in cui il procedimento ha avuto inizio. Ne consegue che si debba  escludere l’impossibilità , ai sensi dell’art. 3 della l. 458/1988, per il proprietario del fondo illegittimamente occupato di chiedere la restituzione del bene.
4.  L’illegittimità  del procedimento die espropriazione comporta per la pubblica amministrazione che non intenda restituire il bene o la sottoscrizione di un accordo di cessione del bene stesso o la riedizione del procedimento espropriativo. Il ricorso all’emanazione dei provvedimenti di acquisizione sanante costituisce una terza possibilità  alla quale la p.a. accede qualora non siano percorribili le due ipotesi precedenti ed in tal caso deve darne adeguata motivazione del provvedimento di acquisizione (Ciò al fine di tutelare l’interesse del proprietario di ottenere un corrispettivo doc cessione più cospicuo dell’indennizzo preciso per legge come corrispettivo dell’acquisizione sanante).
5. L’indennizzo corrisposto a seguito di emanazione del provvedimento di acquisizione sanante costituisce un risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della p.A. tanto da comprendere il ristoro non soltanto del danno patrimoniale, ma anche non patrimoniale, commisurato non al valore venale del bene non alla data di trasformazione dello stesso, bensì a quella di adozione del provvedimento di acquisizione.
6. La realizzazione dell’opera pubblica sul bene illegittimamente occupato dalla p.a. costituisce in sè un mero fatto non idoneo  – in assenza di un atto formale di acquisizione -a determinare il trasferimento della titolarità  della proprietà  del bene dal privato all’amministrazione stessa, con l’effetto che il privato ha interesse a proporre la domanda restitutoria del bene. 
7. In applicazione del principio secondo cui non sussiste nessun automatismo tra l’indisponibilità  fisica di un bene ed un detrimento patrimoniale derivante da tale evento, deve sere rigettata la domanda risarcitoria del privato che abbia subito un’occupazione illegittima di un bene di sua proprietà  qualora non abbia provato in giudizio  l’uso effettivo che avrebbe potuto fare dei suoli e l’utilità  in concreto ricavabile da detta utilizzazione. 

N. 00586/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01652/2012 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1652 del 2012, proposto da: 
Fondazione Pia Michelina ed Eugenia Gravina Onlus, rappresentata e difesa dall’avv. Giacinto Lombardi, con domicilio eletto presso l’Avv. Giandonato Uva in Bari alla via Giand. Petroni n.3; 

contro
Comune di San Marco in Lamis, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Ernesto Cerisano, con domicilio eletto presso l’Avv. Antonio Caterino in Bari alla via Capruzzi n.184; 

nei confronti di
Società  Cooperativa Edilizia “San Michele”; 

per l’annullamento
del decreto dirigenziale di acquisizione sanante suolo ex art. 42 bis D.P.R. 327/2001 e per il risarcimento danni.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di San Marco in Lamis;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2015 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Giacinto Lombardi, Ernesto Giovanni Cerisano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La Fondazione Pia Michelina ed Eugenia Gravina ONLUS (di seguito, “la Fondazione”) ha chiesto l’annullamento del decreto emesso dal Responsabile del Servizio urbanistica e LL.PP. del Comune di S. Marco in Lamis notificato il 26/9/2012, recante acquisizione ex art. 42 bis D.P.R. 327/2001 del terreno riportato in catasto fabbricati al fg. 91 p.lla 429, occupato a far data dal 14/12/1993 e mai definitivamente espropriato, benchè ormai vi insistano tre palazzine di edilizia residenziale pubblica.
La ricorrente ha impugnato il provvedimento (unitamente agli atti presupposti) per i seguenti motivi:
1) incompetenza: il provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. 327/01 deve essere adottato con delibera del Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 42 d.lg. 267/00;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis D.P.R. 327/01, eccesso di potere per sviamento: il bene acquisito non è destinato ad entrare a far parte del patrimonio indisponibile del Comune, ma ad essere ceduto alla cooperativa S. Michele che vi ha già  realizzato alloggi ERP;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis D.P.R. 327/01, eccesso di potere per difetto di motivazione, irragionevolezza manifesta, difetto di istruttoria: nel provvedimento gravato non vi è menzione delle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che giustificano l’emanazione del decreto di acquisizione, nè dell’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 42 bis D.P.R. 327/01, per avere il Comune determinato l’indennizzo dovuto tenendo conto del valore al mq. dell’area all’epoca dell’avvio della procedura espropriativa e non di quello attuale.
Tanto premesso, la ricorrente chiede:
– in via principale l’annullamento del decreto di esproprio, la restituzione del bene e il danno derivante dall’occupazione sine titulo protrattasi a far data dal 14/12/93;
– in via subordinata, il risarcimento del danno ex art. 42 bis, parametrato sul valore attuale del bene come calcolato nella perizia giurata versata in atti, oltre al danno da illegittima occupazione a partire dal 1993 e a quello non patrimoniale.
Il Comune di S. Marco in Lamis resiste alla domanda, deducendo che:
– trattandosi di fondi trasformati per la realizzazione di interventi di ERP, la possibilità  della retrocessione è esclusa ai sensi della l. 458/1988; di talchè nessuna discrezionalità  residua all’ente locale, tenuto necessariamente all’acquisizione dei suoli, con provvedimento (vincolato) di competenza dirigenziale;
– in ogni caso sarebbe applicabile l’art. 21 octies l. 241/90 che non consentirebbe l’annullamento del provvedimento anche in caso di acclarata incompetenza del dirigente;
– sussisterebbe la giurisdizione del G.O. sulle questioni relative all’indennizzo spettante ai sensi dell’art. 42 bis, ex art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., che esclude dall’ambito della giurisdizione esclusiva “le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità  in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”, come statuito dall’adito Tribunale con sentenza 1524/2013.
All’udienza del 12/3/2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è parzialmente fondato.
“La competenza all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante è riservata, per giurisprudenza costante, al Consiglio comunale perchè riconducibile al novero dei provvedimenti di acquisizione di cui alla lett. l) dell’art. 42, comma 2, d. lg. 18 agosto 2000, n. 267 che dispone doversi adottare con delibera consiliare gli: “acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del Consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della Giunta, del segretario o di altri funzionari”, così ricomprendendo anche l’ipotesi di acquisto di immobili disciplinata dall’art. 42 bis del d.P.R. 327/01 (C.d.S., sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7472, e sez. III, 31 agosto 2010, n. 775)”, TAR Puglia, sez. 3, sent. 18/6/14 n. 750.
Erra, peraltro, il Comune nel sostenere la natura vincolata del potere esercitato, invocando quanto disposto dall’art. 3 l. 458/88: “Il proprietario del terreno utilizzato per finalità  di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata, ha diritto al risarcimento del danno causato da provvedimento espropriativo dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato, con esclusione della retrocessione del bene”.
Trattasi, infatti, di disposizione abrogata dall’art. 58 co. 1 n. 127 D.P.R. n.327/2001. Non ignora il Collegio la recente statuizione delle SS.UU. della S.C. (sent. n. 735 del 19/1/2015) secondo cui il predetto art. 3 sarebbe ancora applicabile alle espropriazioni con dichiarazione di pubblica utilità  anteriore al 30/06/2003 (data di entrata in vigore del D.P.R. 327/2001), ma non ravvisa argomenti per discostarsi dall’orientamento, consolidatosi nella giurisprudenza amministrativa, per il quale “la corretta applicazione del principio del tempus regit actumimplica che l’amministrazione tenga conto anche delle modifiche normative intervenute durante l’iter procedimentale, non potendo considerarsi, invece, l’assetto cristallizzato una volta per tutte alla data dell’atto che allo stesso ha dato inizio” (Consiglio di Stato, sez. 4, sent. 22/9/14 n. 4727).
Nè potrebbe condividersi l’assunto del Comune anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 42 bis co. 5 che consente il ricorso all’acquisizione sanante anche nel caso che “un terreno sia stato utilizzato per finalità  di edilizia residenziale pubblica” e del successivo comma 8 che prevede l’applicabilità  della norma anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore. .
Ne consegue che il provvedimento impugnato, siccome adottato dal responsabile del settore urbanistica del Comune deve essere annullato.
“Anche le altre censure meritano di essere vagliate, in considerazione del fatto che la presente decisione è resa a contraddittorio integro anche nei confronti del Comune che eventualmente darà  nuovo impulso al procedimento, disponendone la rimessione all’organo competente. Pertanto nel quadro di un processo amministrativo che continuamente elabora modelli di effettiva tutela della situazione sostanziale, il Collegio aderisce alla giurisprudenza che ritiene lo scrutinio di altri motivi di ricorso, dopo la declaratoria di incompetenza, compatibile con il divieto ex art. 34 c.p.a. del g.a. di pronunciarsi su poteri non ancora esercitati. Da un lato infatti l’esame degli ulteriori motivi di ricorso, ha ad oggetto un’attività  amministrativa già  compiuta, dall’altro ha l’indubbio valore di chiarire la res dubia su aspetti anche sostanziali del provvedimento gravato, suscettibile di essere adottato nuovamente, di guisa che è interesse di entrambe le parti, ferma restando la rispettiva sfera di autonomia e competenza, che la successiva azione amministrativa non incorra negli stessi altri vizi che potrebbero affliggere l’atto viziato da incompetenza” (TAR Puglia, Bari, sez. 3 sent. 18/6/14 n. 750.).
Orbene, anche le doglianze relative alla carenze motivazionali appaiono fondate.
Infatti, “in linea di principio, è opportuno rammentare che l’illegittimità  del procedimento di espropriazione comporta per la pubblica amministrazione che non intenda procedere alla restituzione, ai sensi dell’art. 936 c.c., l’obbligo di acquisire il bene occupato o consensualmente, promovendo una transazione o la riedizione del procedimento espropriativo.
A questi possibili esiti si aggiunge il procedimento ex art. 42 bis d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 che postula non praticabili le altre ipotesi, tant’è che, come detto, è richiesta una motivazione rafforzata della decisione di procedere con l’acquisizione sanante” (TAR Puglia cit.).
Ebbene, per quanto di rilievo alla luce delle doglianze della ricorrente, si osserva che a parte un accenno all’ormai avvenuta acquisizione al patrimonio comunale delle opere di urbanizzazione primaria realizzate dalla cooperativa concessionaria ed alla irreversibile trasformazione del suolo, in concreto non risulta dal provvedimento impugnato che il Comune abbia vagliato la possibilità  di percorrere ragionevoli alternative all’acquisizione d’autorità , come prescritto dall’art. 42 bis citato, cui corrisponde il tangibile interesse del proprietario di conseguire un corrispettivo di cessione eventualmente più cospicuo dell’indennizzo previsto dalla legge; non senza considerare i ripetuti “inviti” che la Fondazione ha rivolto all’ente finalizzati alla formulazione di una “seria offerta economica di vendita per il suo valore venale attuale”.
Nè va trascurato che il decreto di acquisizione sanante si palesa viziato anche per quanto concerne la quantificazione dell’indennizzo di cui al co. 3, risultando questo parametrato al valore venale del suolo all’epoca dell’occupazione (1992).
Giova premettere che “al di là  del nomen iuris adoperato, l’ “indennizzo” costituisce un “risarcimento del danno cagionato da fatto illecito della PA”, in quanto “la circostanza che sia il legislatore a dettare espressamente ed analiticamente i criteri per la liquidazione del risarcimento non può valere a tramutare l’obbligazione risarcitoria in obbligazione indennitaria (ossia in obbligazione da atto lecito), valendo piuttosto ad evidenziare il carattere pregnante dell’illecito pregresso, tanto da reclamare non solo un integrale ristoro patrimoniale (costituito dalla corresponsione di una somma pari al valore venale, e tale anche da elidere i danni da sottrazione del possesso in forza dell’illecita occupazione) ma anche il ristoro del pregiudizio non patrimoniale” (TAR Puglia, Lecce, sez. 1, sent. 4/2/15 n. 434).
Ne deriva che la entità  del risarcimento del danno dovrà  essere commisurata al valore venale del bene, come del resto nello stesso articolato espressamente previsto e non già  alla data di trasformazione dello stesso, bensì alla data in cui sarà  adottato il citato atto di acquisizione (così Tar Salerno, sez. II, sent n. 1606 del 03.10.2011, sent. n. 1066 del 30.05.2012, ma in questo senso anche la giurisprudenza CEDU, nei casi Scordino/Italia, Belvedere Alberghiera c/Italia, Prena c/Italia).
Per le suesposte ragioni il decreto di acquisizione va, pertanto, annullato.
Alla caducazione dell’atto gravato consegue la condanna del Comune alla restituzione del fondo, espressamente richiesta dalla ricorrente.
Ed invero, “la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970) ha più volte chiarito che l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica non fa venire meno l’obbligo dell’amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell’interpretazione, precedentemente seguita, che riconnetteva alla costruzione dell’opera pubblica e all’irreversibile trasformazione del suolo effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Partendo dall’esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società  Belvedere Alberghiera). La realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è, dunque, in sè un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà , per cui solo il formale atto di acquisizione dell’Amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà  in altri comportamenti, fatti o contegni. [¦ omissis ¦] Ne deriva che la ricorrente è tuttora legittima proprietaria degli immobili occupati dalla PA, non essendosi mai perfezionata la costituzione del diritto di proprietà  pubblica sugli stessi, dal che consegue la fondatezza della domanda restitutoria” (TAR Sicilia, sez. 3, sent. 25/3/13 n. 676).
Giova puntualizzare, inoltre, che la Suprema Corte (Sez. I, 23 agosto 2012, n. 14609) ha espressamente escluso che la domanda restitutoria possa trovare ostacolo nell’art. 2058, comma 2, del codice civile, in quanto tale disposizione, che si ascrive alla disciplina del risarcimento del danno, non risulta applicabile alla tutela restitutoria dei diritti reali, che trova la propria speciale (ed autonoma) regolamentazione negli artt. 948 – 951 del codice civile.
Quanto all’art. 2933, comma 2, ha precisato che si tratta di norma comunque eccezionale e come tale da interpretare in modo rigorosamente restrittivo, con esclusivo riferimento a beni realmente insostituibili e di eccezionale importanza per l’economia nazionale, con relativa prova a carico dell’Amministrazione resistente (che nel caso di specie non è stata offerta).
In esecuzione della presente sentenza, il Conservatore dei pubblici registri immobiliari è tenuto a trascrivere la presente statuizione di accoglimento del ricorso ai sensi dell’art. 2645 c.c.
Il Collegio evidenzia che nel caso in esame, poi, la restituzione dovrebbe essere preceduta dalla riduzione in pristino mediante abbattimento delle opere pubbliche illegittimamente realizzate, che nel caso di specie consistono, secondo quanto risulta dallo stesso provvedimento annullato, in opere di urbanizzazione primaria. Anche alla luce di tali criticità  (e delle conseguenti implicazioni in termini di esborsi per l’ente pubblico e di efficienza dei servizi pubblici assicurati a mezzo delle predette opere), va sottolineato che rientra, pur sempre, nella valutazione discrezionale dell’Amministrazione titolare della funzione espropriativa la facoltà  di paralizzare gli effetti della condanna alla restituzione degli immobili previa loro rimessione in pristino, riconducendo a legittimità  il proprio operato, procedendo alla stipulazione di un negozio consensuale di acquisizione dei fondi ovvero, ancora, laddove il consenso della controparte non venisse acquisito, avvalendosi nuovamente dell’attuale art. 42 bis, emendato dai vizi riscontrati in questa sede.
In linea teorica, spetterebbe in ogni caso alla ricorrente il risarcimento del danno da illegittima occupazione del suolo a far data dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra e fino al momento del rilascio del fondo ovvero della acquisizione legittima (consensuale o unilaterale) da parte della Pubblica amministrazione.
Nel caso di specie, tuttavia, in assenza di qualsiasi allegazione e prova da parte della ricorrente circa l’uso effettivo che avrebbe potuto fare dei suoli e l’utilità  in concreto ricavabile, la domanda risarcitoria va rigettata, in linea con l’orientamento già  espresso dalla sezione, secondo cui “non sussiste alcun automatismo tra l’indisponibilità  fisica di un bene (derivante dall’occupazione – benchè senza titolo – da parte della mano pubblica) ed un detrimento patrimoniale derivante da tale evento” (ex multis, da ultimo, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, sent. 350 del 24.02.2015)” – TAR Puglia, sez. 3, sent. 12/3/15 n. 405.
Il riconoscimento solo parziale della fondatezza delle pretese della ricorrente induce a compensare per metà  le spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– annulla il decreto di acquisizione ex art. 42 bis DPR 327/2001;
– ordina al Comune di S. Marco in Lamis la restituzione alla ricorrente degli immobili illegittimamente detenuti, previa necessaria riduzione in pristino, con salvezza degli ulteriori provvedimenti;
– autorizza, per l’effetto, il competente conservatore dei Registri Immobiliari alle relative annotazioni e trascrizioni, esonerandolo da qualsiasi responsabilità ;
– rigetta la domanda di risarcimento del danno da illegittima occupazione;
– compensa per metà  le spese di lite e condanna il Comune resistente alla rifusione in favore della ricorrente della residua parte che liquida in euro 1.500,00 oltre IVA, C.P.A. e rimborso spese generali.
Contributo unificato rifuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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