1. Procedimento amministrativo – Autotutela- Annullamento d’ufficio – Motivazione – Termine ragionevole


2. Procedimento amministrativo – Autotutela- Avvio del procedimento- Comunicazione


3. Risarcimento del danno – Domanda risarcitoria- Elemento soggettivo della colpa

1. In virtù del potere discrezionale che la legge riconosce ex art. 21 nonies della L. n. 241/1990, l’Amministrazione può annullare d’ufficio un provvedimento amministrativo illegittimo; è, però, necessario che tale determinazione in autotutela sia adeguatamente motivata con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, tenendo altresì conto di una valutazione comparativa dell’interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e di un eventuale affidamento sorto in capo ai medesimi.


2. Il provvedimento in autotutela si rivela illegittimo quando non è preceduto dalla doverosa comunicazione ex art. 7 della L. n. 241/1990 (nella specie il TAR ha ritenuto che non poteva essere qualificata come “comunicazione di avvio del procedimento” la nota con cui il Comune, disponendo la riduzione in autotutela della volumetria non residenziale, si limita ad invitare la cooperativa assegnataria ad adeguare la progettazione alle nuove cubature previste, perchè il contenuto dell’atto non lascia alcuno spazio per un successivo apporto partecipativo in sede procedimentale).


3. Il riconoscimento della pretesa risarcitoria del privato nei confronti della pubblica Amministrazione non può prescindere dall’accertamento delle condizioni contemplate dall’art. 2043 c.c.; occorre quindi che siano provati, sotto il profilo oggettivo, il danno ed il nesso causale tra l’illecito e l’evento dannoso che ne è derivato, nonchè sotto il profilo soggettivo, la colpa della Pubblica Amministrazione. Il privato può assolvere all’onere probatorio relativo all’elemento soggettivo anche servendosi delle regole di comune esperienza e, in particolare, della presunzione semplice di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalle singole fattispecie; il danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità  del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile, mentre spetterà  all’Amministrazione dimostrare il contrario.

N. 00152/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01270/2013 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1270 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Dolce Casa Soc. Coop. Edilizia a r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Giacomo Valla, presso il cui studio elett.te domicilia in Bari alla via Q. Sella n. 36; 

contro
Comune di Barletta, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Caruso, Domenico Cuocci Martorano, con domicilio eletto presso l’Avv. Raffaele De Robertis in Bari alla via Davanzati n. 33; 

nei confronti di
Bella Veduta Soc. Coop. Edilizia a r.l.; 

per l’annullamento
quanto al ricorso introduttivo:
– della determina dirigenziale n. 574 del 23.4.2013 (pubblicata all’Albo pretorio dal 12 al 26 giugno 2013), comunicata con nota dirigenziale del 13.6.2013, notificata il successivo 20 giugno, di riduzione in autotutela della volumetria non residenziale assegnata alla ricorrente nell’ambito del PEEP;
– della citata nota di trasmissione del 13.6.2013 (notificata il 20 giugno), con cui, tra l’altro, la cooperativa ricorrente è stata invitata “a voler adeguare la progettazione alle nuove cubature assegnate”;
– della nota del dirigente del 25.7.2013 (prot. n. 45860 del 20.8.2013), con cui si è precisato che la nota del 13.6.2013 “deve intendersi come comunicazione ex art. 7 della legge 241/90, così come modificata ed integrata dalla legge 15/2005”, con assegnazione del termine di dieci giorni per presentazione di osservazioni e/o controdeduzioni;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, compresa la nota dirigenziale prot. n. 80951 del 6.12.2012.
 

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti depositato il 24.10.2013:
per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia, oltre ai provvedimenti già  impugnati con il ricorso introduttivo, dell’ordinanza di sospensione dei lavori del 23.9.2013, notificata il successivo 2 ottobre;
per il risarcimento del danno ingiusto arrecato alla ricorrente dai provvedimenti impugnati;
 

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti depositato il 26.11.2013:
per l’annullamento previa sospensione dell’efficacia, “del provvedimento dirigenziale del 15.11.2013, successivamente notificato, di annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 826 PEEP/2012 del 29.11.2012;
e per il risarcimento del danno ingiusto arrecato alla ricorrente dai provvedimenti impugnati.”
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Barletta;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 la dott.ssa Viviana Lenzi e uditi per le parti i difensori Libera Valla e Domenico Cuocci Martorano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso principale, la Società  Cooperativa Edilizia a r.l. Dolce Casa (di seguito, anche solo “la Cooperativa”) ha gravato la determina 574 del 23/4/2013 con la quale il Comune, preso atto delle difficoltà  tecnico-amministrative insorte in sede di realizzazione dell’intervento edificatorio da parte di sei diverse cooperative e della circostanza che le volumetrie residenziali e non residenziali assegnate ai soggetti attuatori superavano complessivamente i limiti previsti dal piano di zona (con particolare riferimento alle volumetrie non residenziali previste per le torri E ed F), provvedeva, in autotutela, alla riduzione a mc. 2.646,00 della volumetria non residenziale realizzabile dalla cooperativa ricorrente nell’edificio A1 dell’intersettore.
A sostegno del gravame la ricorrente ha dedotto:
– violazione dell’art. 21 nonies l. 241/90, per essere stato il provvedimento adottato a circa tre anni di distanza dall’assegnazione delle aree da edificare e per avere il Comune del tutto pretermesso la valutazione degli interressi della ricorrente pregiudicati dalla determina;
– violazione dell’art. 7 l. 241/90, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento;
– violazione delle N.T.A. del P.E.E.P.: la determina ha ridotto la volumetria già  riconosciuta in base ad un (presunto) errore materiale contenuto nella scheda tecnica inserita nelle n.t.a. della variante al piano di zona relativa alla due torri da realizzare, “risultando le cubature calcolate su un’altezza di m. 4,50 invece che su quella effettiva di m. 9”;
– illogicità  del provvedimento nella parte in cui prevede la possibilità  dello “spostamento” in altra area della volumetria erroneamente assegnata in eccesso.
Con il ricorso per motivi aggiunti la Cooperativa ha, poi, impugnato l’atto con cui il Comune ha disposto la sospensione dei lavori (ordinanza del 23/9/2013), lamentando sia vizi propri (eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità  dei presupposti) sia vizi derivati dal precedente atto comunale di autotutela già  dedotti con il ricorso principale e formulando contestualmente domanda risarcitoria.
Con il secondo ricorso per motivi aggiunti, infine, la ricorrente ha impugnato il provvedimento del 15/11/2013 recante annullamento del permesso di costruire n. 826 del 29/11/2012, lamentando:
– violazione dell’art. 10 l. 241/90 per omessa motivazione sulle deduzioni difensive svolte dalla cooperativa durante l’incontro del 16/10/2013;
– difetto di istruttoria e violazione dell’affidamento del privato;
– violazione dell’art. 191 TUEL per mancata previsione dell’impegno di spesa, a fronte della futura restituzione delle somme spettanti alla cooperativa;
– invalidità  derivata dagli atti presupposti già  gravati.
Ha reiterato, infine, la richiesta di risarcimento del danno.
Il Comune di Barletta ha resistito alla domanda, argomentando sui diversi motivi di doglianza esposti dalla ricorrente e contestando specificamente la quantificazione del danno effettuata dalla cooperativa sulla scorta della nota redatta dalla società  appaltatrice, recante il computo degli oneri conseguenti alla sospensione dei lavori (nota versata in atti dalla ricorrente il 6/11/14).
All’udienza del 18/12/2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Va preliminarmente disattesa la richiesta di riunione (formulata dal Comune di Barletta) del presente giudizio a quello recante n. r.g. 1676/2012: in tale ultimo ricorso risulta impugnata la determinazione dirigenziale n. 1894 del 23.09.2010 di assegnazione di un lotto edificatorio in favore della cooperativa edilizia Dolce Casa: lo stato del processo – “fermo” alla trattazione dell’istanza cautelare nell’udienza del 18/4/2013 e per il quale non è stata depositata istanza di prelievo per la fissazione della discussione del merito – sconsiglia, per evidenti ragioni di celerità  e di economia processuale, di procrastinare la conclusione del presente giudizio, ormai maturo per la definizione.
Nel merito, il ricorso principale è fondato.
Merita condivisione il primo motivo enunciato nell’atto introduttivo, ovvero la violazione dell’art. 21 nonies l. 241/90.
Tale norma “ha codificato il principio, già  affermato da risalente giurisprudenza, per cui un provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Si tratta, quindi, dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, rispetto al quale l’amministrazione è tenuta a motivare sulle ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, ciò in particolare quando sia trascorso un lungo lasso temporale dalla sua adozione ¦ La giurisprudenza è, infatti, costante nel ritenere che il provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento nonchè alla valutazione comparativa dell’interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell’affidamento insorto in capo ai medesimi (Consiglio di Stato n. 2468 del 2014; n.2567 del 2012)” – così, da ultimo, TAR Lazio, sez. II quater, sent. 9/1/15 n. 263.
Nel caso in esame, la determina con la quale è stata disposta la riduzione della volumetria non residenziale assegnata fin dall’anno 2010 alla ricorrente, muove dal riscontrato errore materiale nel conteggio delle cubature non residenziali, senza tenere in alcuna considerazione gli interessi della ricorrente inevitabilmente pregiudicati dalla “rettifica” (anche in considerazione dell’attività  edificatoria già  espletata) e senza specificamente motivare sull’interesse pubblico attuale all’esercizio dell’autotutela. La lettura del provvedimento rivela, in sostanza, che l’ente si è determinato alla rettifica della precedente assegnazione dei volumi al dichiarato (ed esclusivo) fine del ripristino della legalità , violata – secondo la prospettazione comunale – a causa della commissione di un errore di calcolo; prova ne sia il richiamo – nella parte motiva dell’atto – al contenzioso in corso instaurato da altra cooperativa proprio in relazione alle cubature assegnate (anche) all’odierna ricorrente.
Il Comune, in definitiva, ha del tutto tralasciato di effettuare la doverosa comparazione e valutazione degli interessi della ricorrente, facente affidamento in buona fede sulla validità  dell’atto; a tal proposito va osservato che:
– fin dall’ottobre 2010 la cooperativa aveva segnalato al Comune che “il volume non residenziale viene computato per un’altezza di ml. 9 mentre nelle NTA si precisa che fatta salva la possibilità  di arrivare a 9 ml di altezza massima, ai fini dei calcoli urbanistici si considera comunque un’altezza di 4,5 ml.”: segnalazione a cui non era seguito alcun chiarimento da parte del comune (cfr. doc. 20 in allegato al secondo ricorso per motivi aggiunti);
– con delibera di G.M. n. 121 del 12/5/2011, il Comune procedeva alla “discretizzazione” delle due torri originariamente previste, sostituite da sei edifici in linea, con conferma delle volumetrie già  assegnate;
– in data 26/3/2013 (solo un mese prima dell’adozione della gravata rettifica), le parti procedevano alla determinazione dei punti fissi di quota e di allineamento, come da verbale in atti (cfr. doc. 21 in allegato al secondo ricorso per motivi aggiunti).
Va conclusivamente ritenuto che nell’atto gravato non è dato riscontrare la compresenza di tutti i requisiti richiesti dall’art. 21 nonies cit.
Inoltre, di fronte all’ampio potere discrezionale esercitato dall’amministrazione, rispetto al quale devono essere valutati, in base alla previsione dell’articolo 21 nonies, gli interessi dei destinatari, è evidente la necessità  di assicurare la partecipazione al procedimento.
Anche sotto questo profilo, l’atto di rettifica delle volumetrie si rivela illegittimo, non essendo stato preceduto dalla doverosa comunicazione ex art. 7 l. 241/90: nel caso in esame, l’ente, in considerazione della complessità  dell’intervento già  assentito e delle modifiche progettuali che la “rettifica” avrebbe imposto all’attuatore, non avrebbe potuto in alcun modo esimersi dal consentire all’interessato, anche in una ottica collaborativa, di proporre osservazioni e deduzioni onde pervenire, eventualmente, ad una diversa determinazione. Erra, certamente, il Comune nel qualificare “comunicazione di avvio del procedimento” la nota (anch’essa gravata) del 13/6/2013, come ha fatto a posteriori, a mezzo dell’impugnata nota del 25/7/2013 prot. n. 45860. Ed invero, nella prima nota, sul presupposto della già  disposta riduzione della volumetria non residenziale assegnata alla ricorrente, l’ente invita la Cooperativa “a voler adeguare la presentata progettazione alle nuove cubature assegnate”. Il contenuto dell’atto, pertanto, non lascia alcuno spazio per un successivo apporto partecipativo in sede procedimentale, ma anzi:
– presuppone (dandone atto) la riduzione della volumetria disponibile già  deliberata due mesi addietro (senza il coinvolgimento dell’interessata), con una determinazione (quella del 23/4/13) il cui portato ha certamente un carattere di definitività ;
– preannuncia l’adozione di un futuro provvedimento di sospensione dei lavori, propedeutico al rilascio di un nuovo titolo edilizio conforme alla nuove (ridotte) volumetrie.
àˆ evidente che la qualificazione “postuma” della nota del 13/6/13 in termini di comunicazione ex art. 7 l. 241/90 appare null’altro che un “aggiustamento” in itinere, finalizzato al rispetto – solo formale – delle prerogative di partecipazione che la norma riserva al destinatario dell’azione amministrativa, laddove – evidentemente – il Comune ha già  adottato le determinazioni del caso, pretermettendo qualsiasi apporto esterno.
Nè, rispetto ai vizi denunciati da parte ricorrente, può valere la regola sanante di cui all’art. 21 octies comma 2 l. 241/90 (pure invocata dal Comune resistente), non potendo ritenersi che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato: correttamente il Comune sostiene, a tal fine, che l’apporto della ricorrente non avrebbe in ogni caso “emendato l’errore sull’assegnazione” dei volumi, ma tralascia di considerare che tale apporto non avrebbe dovuto (nè potuto) “emendare l’errore”; per contro, proprio sul presupposto di tale errore determinante l’illegittimità  del provvedimento (conditio sine qua nonper l’intervento in autotutela), con il contributo della cooperativa, il Comune avrebbe potuto elaborare soluzioni alternative a quella adottata o, al limite, persuadersi dell’impossibilità  di modificare la precedente assegnazione proprio alla luce dei contrapposti interessi privati ormai consolidatisi.
Tanto basta, a parere del Collegio, per concludere nel senso della illegittimità  dell’atto gravato e del conseguente suo annullamento. Nè – evidentemente – diversa sorte avrebbe il ricorso principale se, in adesione alla tesi prospettata dalla ricorrente, si ritenesse corretta l’assegnazione dei volumi effettuata a monte dal Comune (sulla scorta di una diversa interpretazione della specificazione recata nelle n.t.a. in relazione al rapporto tra volumi e altezze della piastra della torre E): in tal caso, la “rettifica” in autotutela, infatti, avrebbe colpito un atto legittimo, risultando a sua volta illegittima per carenza del presupposto fondamentale ex art. 21 nonies.
Alla luce dei riscontrati vizi procedimentali e del difetto motivazionale, l’atto gravato con il ricorso principale si palesa illegittimo e meritevole di annullamento: la sua illegittimità  si ripercuote anche sugli atti comunali gravati con il primo e secondo ricorso per motivi aggiunti, presupponesti – infatti – la rettifica in diminuzione delle volumetrie non residenziali recata dalla determina 574/13 e il mancato adeguamento del progetto della cooperativa ai nuovi parametri volumetrici imposti. Anche tali atti meritano, dunque, di essere annullati, con assorbimento delle residue censure non esaminate.
Quanto alla pretesa risarcitoria, si osserva che il suo riconoscimento non può prescindere anche dall’accertamento delle condizioni contemplate dall’art. 2043 c.c., da compiersi “secondo le regole ordinarie di distribuzione dell’onere della prova, atteso che il giudizio per il risarcimento dei danni attivato innanzi al giudice amministrativo si atteggia come giudizio sul rapporto e non sull’atto, con applicazione piena del principio dispositivo di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.” (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, n. 3705/2009).
Occorre, in altri termini, che siano provati, sotto il profilo oggettivo, il danno ed il nesso causale tra l’illecito e il danno che ne è derivato, nonchè sotto il profilo soggettivo la colpa della P.A.
Partendo da quest’ultimo elemento, “occorre stabilire se la condotta amministrativa, a prescindere dall’elemento estrinseco rappresentato dall’illegittimità  degli atti che, di per sè solo, non è sufficiente a determinare l’imputabilità  all’Amministrazione della responsabilità  per le conseguenze dannose della propria azione, è stata caratterizzata da un atteggiamento soggettivo doloso o colposo, tale quindi da fare apprezzare la presenza di un danno risarcibile”, (Tar Bari, sez. 2, sent. 1/4/14 n. 407).
L’onere del privato di provare la colpa dell’amministrazione può essere assolto anche mediante la semplice prova dell’illegittimità  dell’atto amministrativo, a tal fine ritenuta sufficiente. “Il giudice amministrativo, sul punto, ha precisato che: “non è comunque richiesto al privato, danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo, un particolare sforzo probatorio sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di un’espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell’amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono, invece, operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità  del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà , di contro, all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità  del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità  derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità  della norma applicata”. (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981; Consiglio di Stato, sentenza 10 gennaio 2012 n. 14)”, – Consiglio di Stato, sez. 3, sent. 10/7/14 n. 3526.
Sotto tale profilo va registrata la totale mancanza di argomentazioni difensive da parte del Comune.
àˆ certa, poi, la verificazione del danno lamentato dalla ricorrente, da qualificarsi come non iure, siccome derivante da provvedimenti illegittimi e come contra ius, ovvero lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quali quello all’integrità  del patrimonio della ricorrente (quanto meno sotto forma dei maggiori oneri sostenuti per effetto per l’interruzione dei lavori). Nè può fondatamente dubitarsi dell’esistenza di un nesso eziologico tra l’ageredell’Amministrazione e tale danno.
Va, tuttavia, osservato che parte resistente ha espressamente contestato la valenza probatoria della nota redatta dall’impresa “Lanotte Costruzioni s.r.l.” (ditta appaltatrice), avente ad oggetto i maggiori oneri gravanti sulla cooperativa in conseguenza della sospensione dei lavori. Di talchè, ai fini della quantificazione del danno patito, il Collegio (anche alla luce della non chiara formulazione del conteggio prodotto dalla cooperativa), ritiene di utilizzare la previsione di cui all’art. 34 comma 4 del c.p.a., in forza della quale l’Amministrazione in contraddittorio con la ricorrente dovrà  determinare una somma da erogare a quest’ultima a titolo di danno emergente, calcolata – quanto alle voci di spesa – sulla scorta di idonea documentazione che sarà  onere della Cooperativa fornire al Comune e tenendo in considerazione l’effettiva durata della sospensione dei lavori.
Trattandosi di debito di valore, la somma dovrà  essere rivalutata alla data della presente sentenza e sulla stessa dovranno essere riconosciuti gli interessi al tasso legale sino all’effettivo soddisfo; gli interessi andranno calcolati sull’importo “concordato”, svalutato all’epoca dell’illecito (data di inizio della sospensione dei lavori) e di anno in anno rivalutato a partire da tale data (Cass. SS.UU. sent. n. 1712/1995), con applicazione degli indici di rivalutazione dei prezzi al consumo.
Il Comune, a tal fine, dovrà  formulare una proposta alla ricorrente entro sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione – se anteriore – della presente sentenza.
Pertanto, va assegnato il termine di 120 giorni per il raggiungimento di un accordo. Ove non giungano a un’intesa, le parti potranno proporre, ai sensi del cit. art. 34, IV comma, c.p.a., il ricorso in ottemperanza ex artt. 112 c.p.a..
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando:
– accoglie il ricorso principale e i due ricorsi per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla tutti gli atti impugnati;
– in accoglimento della domanda risarcitoria, ordina al Comune di Barletta di presentare alla ricorrente, entro gg. 60 dalla data di pubblicazione/notificazione della presente sentenza, una proposta di risarcimento dei danni per cui è causa, sulla base dei criteri descritti in motivazione.
Condanna il Comune di Barletta al rimborso delle spese di lite sostenute dalla ricorrente, che si liquidano in complessivi € 3.000,00 per diritti e onorari, oltre contributo unificato, CAP e IVA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Viviana Lenzi, Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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