1. Risarcimento del danno – Pubblico impiego – Responsabilità  di cui all’art. 2087 c.c. – Di tipo contrattuale 


2. Risarcimento del danno – Pubblico impiego – Responsabilità  di cui all’art. 2087 c.c. – Prescrizione – Decennale ex art. 2946 c.c. 


3. Risarcimento del danno – Pubblico impiego – Danno Biologico – Presupposti – Nesso causale tra danno e prestazione lavorativa – Colpa della P.A. 


4. Risarcimento del danno – Pubblico impiego – Danno Biologico – Prova – Giudizio medico-legale espresso dalla CMO in sede di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle patologie sofferte – Insufficienza 


5. Risarcimento del danno – Equo indennizzo – Differenze 


6. Risarcimento del danno – Pubblico impiego – Infondatezza della domanda per prescrizione e carenza di prova – Eccezione di difetto di legittimazione passiva – Necessità  di delibazione – Non sussiste

1. La responsabilità  conseguente all’inosservanza dei precetti dettati dall’art. 2087 c.c. da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro è di tipo contrattuale, essendo legata alla violazione di specifici obblighi contrattuali derivanti dal principio di protezione delle condizioni di lavoro. 


2. Le inosservanze dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. possono esser fatte valere nell’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dal momento in cui la patologia si è manifestamente esplicitata. 


3. L’art. 2087 c.c., pur prevedendo un obbligo di protezione in capo al datore di lavoro ed un’inversione dell’onere probatorio a carico dello stesso – tenuto a dimostrare ex art. 1218 c.c. l’assenza di colpa – non contempla tuttavia un’ipotesi di responsabilità  oggettiva, essendo necessario che l’evento dannoso sia imputabile anche sotto il profilo della colpa datoriale, in forza della violazione comprovata di obblighi concretamente individuabili e concernenti la tutela dell’integrità  fisica del lavoratore. 


4. Il giudizio medico espresso dalla CMO in sede di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle patologie sofferte dal dipendente di una ASL addetto al servizio di portierato notturno non è sufficiente a sostenere la domanda risarcitoria poichè tale accertamento non implica necessariamente che tutti gli eventi dannosi siano derivati da condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro. 


5. L’istituto del risarcimento del danno si differenzia da quello dell’equo indennizzo poichè quest’ultimo si fonda sul riconoscimento della causa di servizio – che ha natura oggettiva e medico legale – mentre l’istituto giuridico, del tutto distinto, del risarcimento del danno si fonda specificamente sulla violazione dei singoli obblighi datoriali di assicurare adeguate condizioni di sicurezza. 


6. L’accertata prescrizione del diritto nonchè l’assoluta carenza probatoria comportano il rigetto della domanda ed esonerano il giudice dall’esame dell’eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione resistente (nella specie si trattava di un’Azienda Sanitaria Locale).

N. 01318/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00986/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 986 del 2011, proposto da: 
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Delle Foglie e Domenico Campanaro, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Bari-Carbonara, via Ospedale di Venere, 81; 
contro
Azienda Ospedaliera “Di Venere – Giovanni XXIII”; Azienda Sanitaria Locale di Bari, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Grimaldi, con domicilio eletto presso l’ufficio legale dell’ente in Bari, Lungomare Starita, 6; 
per la condanna
al risarcimento del danno biologico subito;
 
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale di Bari;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’Udienza Pubblica del giorno 9 ottobre 2014 la dott.ssa Paola Patatini;
Uditi per le parti i difensori, avv.ti Domenico Campanaro e Giuseppe Delle Foglie, per il ricorrente e avv. Carmine Cagnazzo, su delega dell’avv. Maria Grimaldi, per l’azienda sanitaria;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO e DIRITTO
Col presente gravame, il ricorrente ha riassunto dinanzi al TAR Puglia il ricorso originariamente proposto al Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, inteso ad ottenere la condanna dell’ASL di Bari e dell’Azienda Ospedaliera di Venere Giovanni XXIII, al risarcimento del danno biologico subito a causa delle disagiate condizioni di lavoro svolto in qualità  di portiere notturno.
La riassunzione consegue alla Sentenza n. 1082 del 3.2.2011 con cui il suddetto Tribunale di Bari ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, trattandosi di controversia per responsabilità  contrattuale inerente un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione, anteriore al 1998.
Nel gravame qui riproposto, il ricorrente ha depositato certificazione medica e perizia medico-legale di parte, attestante una serie di patologie sofferte dallo stesso e riconducibili al servizio prestato.
Con atto di costituzione dell’11.12.2013, l’ASL di Bari, – cui la parte ha notificato il presente ricorso quale ente incorporante l’azienda ospedaliera Di Venere – ha insistito nel rigetto del gravame in quanto infondato, eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva e l’avvenuta prescrizione delle pretese azionate.
Con Ordinanza n. 148 del 30.1.2014, il Collegio, impregiudicata ogni valutazione anche con riferimento alle dedotte eccezioni di inammissibilità  dell’azione, ha ritenuto necessario disporre incombenti istruttori a carico dell’Amministrazione, la quale vi ha dato esecuzione depositando in data 27.2.2014 la relazione a firma del Direttore dell’Area Gestione Risorse Umane con ulteriore documentazione.
In data 23.7.2014, il ricorrente ha infine depositato un’ultima memoria difensiva, rinviando alle argomentazioni svolte in precedenza e alla perizia medica di parte, nonchè quantificando da ultimo il risarcimento del danno subito nella misura di €149.714,00, da aumentarsi del 25% in ragione del ruolo di anzianità  dell’intera vicenda processuale.
La causa è passata in decisione all’Udienza Pubblica del 9.10.2014.
Il ricorso è infondato.
Il ricorrente chiede invero la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno biologico, in ragione della lesione alla salute subita in costanza di rapporto di lavoro svolto alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Di Venere di Bari quale portiere con turni di notte.
A sostegno della propria pretesa, la parte ha depositato certificazione medica attestante le patologie sofferte e la dipendenza da causa di servizio di alcune di dette patologie, come anche in parte emerso dalla documentazione depositata dalla ASL in esecuzione dell’istruttoria disposta (vedasi parere CMO di Bari, n.102 del 2.11.1984, e Deliberazione del Comitato di Gestione USL n. 353 del 18.3.1996).
L’Amministrazione intimata ha preliminarmente eccepito l’intervenuta prescrizione dell’eventuale diritto al risarcimento del danno, ai sensi degli artt. 2946, 2947 e 2948 c.c.
Tale preliminare eccezione deve essere condivisa, seppur con la seguente precisazione.
Come già  riconosciuto dal Giudice del Lavoro, il ricorso proposto ha per oggetto la responsabilità  contrattuale dell’Amministrazione, non già  quella extracontrattuale.
La pretesa azionata fonda infatti sull’asserito disagio delle condizioni ambientali e lavorative in cui si è svolto il rapporto di lavoro, disagio da ricondursi – seppur in assenza di un’adeguata ricostruzione giuridica operata dalla parte – all’inosservanza dei precetti dettati dall’art. 2087 c.c. da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro.
Secondo giurisprudenza consolidata, la responsabilità  di cui alla detta disposizione codicistica è di tipo contrattuale, essendo legata alla violazione di specifici obblighi contrattuali derivanti dal principio di protezione delle condizioni di lavoro.
Tale articolo costituisce invero norma di chiusura del sistema infortunistico, obbligando il datore di lavoro a tutelare l’integrità  psico-fisica dei propri dipendenti attraverso l’adozione di tutte le misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene alla salute nell’ambiente e in costanza di lavoro, anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure previste dalla normativa speciale.
Eventuali inosservanze dell’obbligo, laddove siano state causa di danno, possono perciò esser fatte valere nell’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., decorrente dal momento in cui la patologia si è manifestamente esplicitata.
Applicando tali coordinate alla presente controversia, non può che rilevarsi l’avvenuta prescrizione della pretesa avanzata, atteso che le patologie sofferte sono emerse sin dagli anni Settanta dello scorso secolo, più precisamente, 1979 e 1980, come riconosciuto dallo stesso ricorrente (pag. 3 memoria del 9.11.2013) ed accertato dalla CMO di Bari (parere n. 102 citato).
Il ricorrente ha tuttavia agito per il risarcimento dei danni solo nel 1998, con il ricorso al Giudice del Lavoro.
Essendo dunque ampiamente decorso il termine decennale dalla prima manifestazione delle patologie, va conseguentemente dichiarata l’avvenuta prescrizione della pretesa azionata.
Il ricorso è comunque anche infondato nel merito.
Non sono stati infatti provati nè la nocività  dell’ambiente di lavoro nè l’inadempimento dell’Amministrazione – datrice di lavoro, sotto il profilo della violazione dell’obbligo di sicurezza.
Invero, l’art.2087 c.c., pur prevedendo un obbligo di protezione in capo al datore di lavoro ed un’inversione dell’onere probatorio a carico dello stesso – tenuto a dimostrare ex art. 1218 c.c. l’assenza di colpa – non contempla tuttavia un’ipotesi di responsabilità  oggettiva (Tribunale del Lavoro di Trieste, 21.5.2013, n. 120).
Occorre infatti che l’evento dannoso sia imputabile anche sotto il profilo della colpa datoriale, in forza della violazione comprovata di obblighi concretamente individuabili e concernenti la tutela dell’integrità  fisica del lavoratore.
Pertanto, il lavoratore che assume di aver subito un infortunio o una malattia riconducibili all’attività  lavorativa svolta, deve allegare e dimostrare non solo l’esistenza del danno, ma anche la violazione da parte del datore di lavoro delle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o delle norme inderogabili o delle regole generali di correttezza e buona fede o, ancora, delle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità  psicofisica dei prestatori (Cass. Sez. Lavoro, 13863, 18.6.2014).
Nella specie, se può dirsi provato il danno, lo stesso non può valere per il nesso causale tra il danno e la prestazione lavorativa, nè per la negligenza dell’Azienda ospedaliera nel garantire un ambiente di lavoro salubre.
Come è stato già  affermato in giurisprudenza, la semplice esistenza del menzionato dovere di protezione non può risultare sempre e comunque sufficiente a sostenere la domanda risarcitoria, ove il danno di cui si chiede il ristoro non risulti diretta e provata conseguenza di una condotta del datore di lavoro, tenuta in violazione dei propri doveri.
A tale dimostrazione, dunque, non può condurre un giudizio medico espresso dalla CMO in sede di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle patologie sofferte, poichè tale accertamento non implica necessariamente che tutti gli eventi dannosi siano derivati da condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro.
Questo profilo altro non evidenzia che la differenza esistente tra la causa di servizio – che avendo natura oggettiva e medico legale determina un beneficio quale l’equo indennizzo – e l’istituto giuridico, del tutto distinto, del risarcimento del danno – che si fonda specificamente sulla violazione dei singoli obblighi datoriali di assicurare adeguate condizioni di sicurezza.
In sostanza, il nesso eziologico oggettivo, per dare luogo a conseguenze ristoratrici, deve essere presente sia nella causa di servizio, che nel meccanismo risarcitorio. Tuttavia, il risarcimento costituisce una forma di tutela autonoma offerta dall’ordinamento, basandosi non semplicemente sul rapporto oggettivamente accertabile tra causa (o concausa) ed effetto patologico, bensì sulla dimostrazione di una specifica e diretta relazione tra responsabilità  organizzativa del servizio da parte del soggetto datore di lavoro e l’evento dannoso insorto a carico del dipendente (Cons. St., Sezione IV, 641, del 4.2.2013).
Dagli atti di causa invece non emerge alcuna negligenza da parte dell’Amministrazione intimata, nè circostanze tali da evidenziare ritmi di lavoro gravosi e insostenibili.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, attesa l’avvenuta prescrizione del diritto nonchè l’assoluta carenza probatoria come sopra evidenziata, la domanda proposta non merita accoglimento ed esonera il Collegio dall’esame dell’eccezione preliminare di difetto di legittimazione passiva della ASL di Bari.
Vista la peculiarità  della vicenda, sussistono tuttavia giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità  nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute della parte.
Così deciso in Bari nella Camera di Consiglio del giorno 9 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
Paola Patatini, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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