1. Pubblico impiego   – Equo indennizzo – Rivalutazione monetaria – Non spetta – Ragioni


2. Pubblico impiego – Equo indennizzo – Interessi legali da ritardo – Spettanza


3. Pubblico impiego – Rapporto di servizio – Responsabilità  datore di lavoro ex art. 2087 c.c. –  Natura – art. 1218 c.c. – Applicabilità 

1. L’equo indennizzo non è soggetto alla rivalutazione monetaria, per la natura indennitaria e non risarcitoria del credito.


2. Sul credito dovuto a titolo di equo indennizzo vanno riconosciuti gli interessi legali per il ritardo nel pagamento dello stesso, a far data dal decreto di concessione del medesimo e fino alla data dell’avvenuto versamento delle relative somme.


3. La responsabilità  del datore di lavoro ex art. 2087 ha natura contrattuale pertanto il lavoratore, il quale agisca per il risarcimento di tali danni, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno e il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro ai sensi dell’art. 1218 deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ossia da caso fortuito o forza maggiore, e di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

N. 01049/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01806/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1806 del 2012, proposto da: 
-OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. Davide D’Ippolito, con domicilio eletto presso Davide D’Ippolito, in Bari, via Principe Amedeo, n. 50; 

contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria in Bari, via Melo, n. 97; 

per l’annullamento
del decreto n. 272 del 14.3.2012, concessivo di equo indennizzo nei confronti degli eredi di -OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, Ufficio trattamento economico personale in quiescenza, notificato in data 27.9.2012, nella parte in cui non sono stati riconosciuti gli interessi legali e la rivalutazione sull’equo indennizzo per infermità  dipendente da causa di servizio;
nonchè per la condanna
al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Comando Generale della Guardia di Finanza e del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22, comma 8, D.Lgs. n. 196 del 30.6.2003;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 giugno 2014 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta;
Uditi per le parti i difensori avv.ti Davide D’Ippolito e Donatella Testini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso pervenuto in Segreteria in data 21 dicembre 2012, -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS- impugnavano dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe il provvedimento meglio indicato in oggetto.
Esponevano in fatto di essere rispettivamente moglie e figli di -OMISSIS-, già  luogotenente in servizio presso il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza di Bari.
In data 28.9.2006, il predetto presentava istanza al Reparto Tecnico Logistico della Guardia di Finanza di Bari tesa ad ottenere: 1) il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di determinate infermità  meglio elencate nella relativa domanda; 2) il riconoscimento dell’aggravamento di altre infermità  già  riconosciute come dipendenti da causa di servizio; 3) il riconoscimento dell’interdipendenza fra le infermità  di cui al punto 1) e i relativi aggravamenti già  riconosciuti come causa di servizio ai fini dell’attribuzione di un equo indennizzo.
In data 31.10.2006, all’esito di “carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico, arresto cardio circolatorio ed exitus”, -OMISSIS- decedeva.
Con istanza del 10.11.2006, -OMISSIS-, in qualità  di vedova del predetto, chiedeva la concessione di un equo indennizzo per la dipendenza da causa di servizio dell’infermità  che aveva condotto alla morte il proprio marito.
La Commissione Medica Ospedaliera, 1^ Sezione, presso l’Ospedale Militare di Bari, riunitasi in data 25.10.2006, a seguito degli accertamenti sanitari svolti, riconosceva la detta dipendenza da causa di servizio di una serie di patologie accusate dal -OMISSIS- altresì riconoscendo l’avvenuto aggravamento di altre patologie già  riconosciute come dipendenti da causa di servizio a decorrere dal 23.11.2003.
Con ricorso del 15.11.2008, gli eredi del -OMISSIS-impugnavano tali provvedimenti nella parte in cui non avevano riconosciuto l’intero assetto dell’aggravamento delle patologie dipendenti da causa di servizio per come richiesto.
Con sentenza n. 1113/2010, il Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe annullava il provvedimento in questione nella parte in cui configurava un diniego al riconoscimento dell’equo indennizzo sull’aggravamento delle patologie già  riconosciute come dipendenti da causa di servizio, in particolare per l’infermità  “stato precacchettico da carcinoma gastrico metastatico”.
Con il provvedimento impugnato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, sulla scorta del parere reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, concedeva equo indennizzo, venendo accertata la correlazione e l’interdipendenza fra lo “stato precacchettico da carcinoma gastrico metastatico” e il “carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico, arresto cardio circolatorio ed exitus”.
Avverso detto provvedimento, i ricorrenti promuovevano impugnazione sollevando plurimi motivi di gravame.
Evidenziavano, in particolare, la violazione di legge, l’eccesso di potere, il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 97 Cost. sotto il profilo del giusto provvedimento, nella parte in cui non aveva riconosciuto in favore dei ricorrenti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sull’importo determinato a titolo di equo indennizzo, a far data dal giorno del decesso del dipendente fino al momento del pagamento.
Instavano, altresì, per la condanna dell’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis, per violazione degli artt. 24 e 32 Cost., oltre che dell’art. 2087 c.c..
Con atto di costituzione in giudizio pervenuto in Segreteria in data 22 dicembre 2012, si costituivano in giudizio, a mezzo dell’Avvocatura erariale, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Comando Generale della Guardia di Finanza e il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza.
In particolare, con produzione del 22 maggio 2014, veniva depositata in atti nota della Guardia di Finanza del 15 maggio 2014, recante relazione degli Uffici e documenti inerenti al caso in esame.
All’udienza pubblica del 25.6.2014, il ricorso era definitivamente riservato per la decisione.
Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, può essere accolto nei limiti delle considerazioni che seguono.
In via preliminare, va precisato che la pretesa al riconoscimento economico dell’equo indennizzo, oltre che degli accessori del relativo credito, va qualificata non come impugnazione di un atto amministrativo, ma come pretesa attinente al riconoscimento di un autonomo diritto soggettivo, la cui tutela è affidata alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo mediante un giudizio sul rapporto teso all’accertamento di detto diritto.
Nel merito della questione sottoposta a scrutinio, per il tramite dell’annullamento del provvedimento impugnato, il ricorso introduttivo mira all’accoglimento di tre specifiche domande: 1) riconoscimento in favore dei ricorrenti degli interessi legali sull’importo determinato a titolo di equo indennizzo; 2) riconoscimento in favore dei ricorrenti della rivalutazione monetaria sul medesimo importo; 3) risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis, per violazione degli artt. 24 e 32 Cost., oltre che dell’art. 2087 c.c..
Quanto alla prima e alla seconda domanda, esse possono essere trattate e decise unitariamente, vertendo entrambe su obbligazioni accessorie di un medesimo credito indennitario.
Come correttamente messo in evidenza dall’Amministrazione resistente, il Consiglio di Stato ha fornito una motivata e condivisibile lettura delle problematiche in esame nella decisione n. 1399/2009, laddove ha evidenziato che “nei casi di concessione di equo indennizzo non si fa luogo a rivalutazione monetaria, perchè tale istituto non ha natura retributiva ed è già  assistito da un autonomo meccanismo di rivalutazione, in quanto nella determinazione del quantum la p.a. tiene conto del trattamento retributivo del dipendente al momento della definizione del procedimento, laddove spettano, invece, gli interessi compensativi dalla data dell’atto concessorio dell’equo indennizzo a quello dell’effettivo pagamento e, dunque, da quando il relativo credito sia divenuto liquido ed esigibile (cfr. C.d.S., sez. V, dec. 9 marzo 2006 n. 1597; sez. IV, dec. 1° marzo 2006 n. 971; dec. 7 giugno 2005 n. 2999) (¦)”.In senso conforme si veda, altresì, Cons. Stato, Sez. III in sede consultiva, Parere n. 397/2001, Pres. Catallozzi, Est. Monticelli.
Malgrado il meccanismo autonomo di rivalutazione dell’equo indennizzo sia venuto meno per effetto dell’art. 1, comma 27, della Legge 2 dicembre 1994, n. 724, la rivalutazione monetaria resta comunque esclusa dal novero delle obbligazioni accessorie che assistono detto credito, in considerazione della natura indennitaria e non risarcitoria del medesimo.
Essa, in altri termini, costituisce l’attribuzione di una utilità  autonoma in considerazione della peculiare meritevolezza degli interessi in gioco, non la riparazione di un fatto illecito causativo di un danno civilisticamente risarcibile.
Invece, sia in base ai noti principi civilistici (cfr. art. 1282, primo comma, c.c.) che in base alla citata decisione del Consiglio di Stato del 2009, sussiste in capo ai ricorrenti il diritto a vedersi riconoscere gli interessi legali per il ritardo nel pagamento dell’equo indennizzo, a far data dal decreto di concessione del medesimo (nel caso di specie, 14.3.2012) e fino alla data dell’avvenuto versamento delle relative somme.
Quanto, poi, alla terza domanda svolta in ricorso, in via preliminare, sul punto, deve osservarsi che l’equo indennizzo da causa di servizio, per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è istituto da tenersi completamente distinto dal risarcimento del danno.
L’equo indennizzo e il risarcimento del danno (sia esso patrimoniale o non patrimoniale) sono tra loro compatibili e cumulabili, senza che l’importo eventualmente liquidato a titolo di equo indennizzo possa essere detratto da quanto spettante a titolo di risarcimento del danno da responsabilità  contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2011, n. 365; Cons. Stato, Sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2009; Cons. Stato, Ad. Plen., 8 ottobre 2009, n. 5; Cass. Civ., Sez. III, 27 luglio 2001, n. 10291; Cass. Civ., Sez. III, 5 settembre 2005, n. 17764).
Premesso che l’azione esperita dagli odierni ricorrenti va dunque qualificata come azione di risarcimento del danno non patrimoniale nell’ambito di una fattispecie di responsabilità  contrattuale, avendo gli stessi sin dall’atto introduttivo del giudizio dedotto la violazione dell’art. 2087 c.c., si osserva che secondo un consolidato orientamento giuslavoristico, condiviso da questo Collegio, la responsabilità  del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. ha natura contrattuale e che la citata disposizione codicistica costituisce una tipica norma di chiusura, la quale obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità  psicofisica dei propri dipendenti imponendogli l’adozione di tutte le misure atte, secondo la migliore scienza ed esperienza in materia di tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione del bene della salute nell’ambiente e in costanza di lavoro anche quando faccia difetto la previsione normativa di una specifica misura preventiva o risultino insufficienti o inadeguate le misure già  previste dalla normativa speciale (v., per tutte, Cass. Civ. 20 aprile 1998, n.4012; Cass. Civ. 9 maggio 1998, n.4721).
Sul piano processuale, la natura contrattuale dell’obbligo in esame comporta che il riparto degli oneri probatori nella domanda di risarcimento dei danni da malattia contratta sul luogo di lavoro si ponga negli stessi termini dell’art. 1218 c.c. circa l’adempimento delle obbligazioni, sicchè il lavoratore, il quale agisca per il risarcimento di tali danni, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno e il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile, ossia da caso fortuito o forza maggiore, e di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno (v. sul punto, per tutte, Cass. Civ., Sez. lav., 3 agosto 2008, n. 21590).
Nel caso di specie manca la prova del nesso di causalità  fra mansioni lavorative espletate dal -OMISSIS-nel corso della sua vita lavorativa e l’insorgenza della patologia “carcinoma pancreatico con metastasi multiple e conseguente coma metabolico” che lo condusse a susseguente “exitus”.
L’adibizione del predetto dal 1986 presso una Sezione Meccanografica e, successivamente, presso una Sezione Matricola, nel disimpegno di mansioni essenzialmente di concetto, non appare aver potuto costituire di per sè un assetto lavorativo tale da potersi ricollegare, sia pure con nesso di occasionalità  necessaria, all’insorgenza della menzionata patologia o ad alcuna altra infermità  successivamente accusata dal -OMISSIS-
Ad ogni modo, non è stata fornita prova alcuna di una diversa ricostruzione dei fatti, dimostrativa della sussistenza del detto nesso causale.
Da tanto consegue l’infondatezza della domanda risarcitoria così come spiegata.
Tenuto conto della natura della controversia in esame e della condizione finale di accoglimento solo parziale della domanda, sussistono i gravi ed eccezionali motivi di legge per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente, per l’effetto annullando il provvedimento impugnato nella parte in cui non riconosce gli interessi legali sulle somme liquidate a far data dal 14.3.2012.
Respinge il ricorso quanto alle ulteriori domande.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità  nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Corrado Allegretta, Presidente
Francesco Cocomile, Primo Referendario
Alfredo Giuseppe Allegretta, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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