1. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Ricorso – Provvedimento impugnabile – Sospensione lavori – Decadenza del permesso di costruire –  Improcedibilità 

2. Edilizia ed urbanistica – Attività  edilizia privata – Permesso di costruire – Decadenza – Principi generali – Applicabilità 

3. Procedimento amministrativo – Permesso di costruire – Prescrizioni – Parere preventivo – Atto sostitutivo di notorietà  – Condizioni e limiti

1. L’impugnazione della decadenza dal permesso di costruire rende improcedibile la contestuale impugnazione della precedente sospensione del lavori, superata, sia sul piano logico che giuridico, dalla successiva decadenza, tanto più che l’esclusione della pregiudiziale demolitori prevista dal comma 3 dell’art. 34 del c.p.a. consente di pronunciarsi sull’eventuale domanda risarcitoria anche indipendentemente dalla pronuncia demolitoria.

2. Ai fini della definizione dei presupposti in cui sia da considerare legittima la pronuncia di decadenza del permesso di costruire, si devono ritenente applicabili i principi generali dell’ordinamento secondo cui la sanzione della decadenza può legittimamente essere irrogata non soltanto nei casi previsti dall’art.15 del d.p.R. 6 giugno 2001, n. 380 (mancato rispetto del termine  di esecuzione dei lavori e mutamento delle previsioni urbanistiche)  – che ha natura di norma speciale ma non esclusiva in materia – ma ogni qualvolta si configuri un inadempimento degli obblighi, oneri o prescrizioni  da parte del  destinatario dell’atto avente natura ampliativa della sfera giuridica di interesse ( come è qualificato il permesso di costruire): in caso contrario, non prevedere la sanzione per la mancata ottemperanza a detti obblighi equivarrebbe a ridurre la previsione di dette prescrizioni a mero artifizio formale.  

3. In materia di prescrizioni contenute in un permesso di costruire, deve escludersi, in ossequio al principio di legalità ,  che la natura sostitutiva di un atto di notorietà , come configurata dall’art. 19 della l. 7 agosto 1990, n. 241, possa essere estesa anche alle prescrizioni contenute nel titolo abilitativo rilasciato espressamente dall’amministrazione, tanto più se esse attengono ad un’attività  a contenuto tecnico discrezionale  tale da non poter essere ricondotta nella definizione di “stati, qualità  personali o fatti” individuati dall’art. 19 come presupposti per l’atto di notorietà (nel caso di specie la prescrizione consisteva nell’acquisire il parere preventivo del PAI).

N. 00955/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00594/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 594 del 2013, proposto da: 
Agnolo S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Cesare Zonca, Arlette Cavalleri, Michele Didonna, Luca Raffaello Perfetti, con domicilio eletto presso Michele Didonna in Bari, via Cognetti, n.58; 

contro
Comune di Lucera, rappresentato e difeso dall’avv. Ignazio Lagrotta, con domicilio eletto presso Ignazio Lagrotta in Bari, via Prospero Petroni, n.15; 

per l’annullamento
– del provvedimenti 19.3.2013 prot. n. 0014206 e
– del provvedimento 11.4.2013 prot. n. 0017605.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Lucera;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2014 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori Michele Didonna, Luca Raffaello Perfetti e Paolo Clemente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La società  odierna ricorrente si è resa cessionaria (a seguito di una articolata serie di passaggi negoziali e “volture” amministrative sulle quali si sorvola per esigenze di sintesi) del permesso di costruire n. 141 del 3.11.2008 – relativo alla realizzazione di un impianto eolico di potenza sino 1 MW – cui è seguita, in data 27.3.2012, una convenzione intercorsa tra il Comune e la società  stessa in cui venivano dettagliati i reciproci obblighi, in relazione alla costruzione dell’impianto in questione (che, come emerge inequivocabilmente dal tenore complessivo della convenzione, non risultava, a quella data, ancora realizzato).
Dopo comunicazione di avvio del procedimento ed un primo ordine di sospensione dei lavori
(adottati con atto contestuale del 16.1.2013 prot. n. 2665), il Comune odierno intimato ha proceduto, con atto del 19.3.2013, prot. n. 0014206 (impugnato in questa sede), a rinnovare l’ordine di sospensione, fino al 15.4.2013.
Con successiva determina dirigenziale del 11.4.2013, prot. n. 0017605 (anch’essa impugnata in questa sede), ha dichiarato la decadenza del suddetto permesso di costruire e relativa convenzione.
Benchè il provvedimento in questione non si segnali per la tecnica di redazione, in quanto la copiosità  della premesse elencate (talune delle quali decisamente superflue) rende difficoltoso, persino ad un interprete esperto, di individuare il cuore della motivazione, deve ritenersi che essa possa essere riassunta nel difetto del prescritto parere preventivo (rispetto all’inizio dei lavori) dell’Autorità  di bacino in ordine alla compatibilità  dell’intervento con le norme del PAI (Piano per l’Assetto Idrogeologico).
In altri termini, difformemente da quanto prescritto esplicitamente nel permesso di costruire n. 141/2008, il parere (peraltro, favorevole) veniva ottenuto solo dopo l’avvio dei lavori, mentre gli stessi venivano iniziati sulla base di un’autocertificazione della compatibilità  del progetto con i vincoli del PAI.
Contro tali atti (il rinnovo della sospensione dei lavori e poi la decadenza) insorge la società  destinataria.
Dopo l’iniziale accoglimento in fase cautelare (con ordinanza della Sezione n. 345/2013, riformata in appello con ordinanza del CdS 3785/2013), la causa è stata decisa all’udienza del 4.6.2014.
Il ricorso è in parte improcedibile ed in parte infondato.
La complessità  delle questioni proposte impone di procedere per successive approssimazioni a circoscrivere il nodo fondamentale della presente controversia, sgomberando preventivamente il campo da tutte le questioni che distolgono da tale obiettivo.
Seguendo tale metodo espositivo, in primo luogo vanno dichiarate improcedibili le censure sub 1) e 5), con cui la ricorrente lamenta vizi propri del provvedimento di sospensione, deducendo la violazione della relativa normativa e delle garanzie partecipative.
Deve, infatti, rilevarsi che il provvedimento in questione ha esaurito in modo definitivo i propri effetti, sia dal punto di vista temporale sia dal punto di vista giuridico, in quanto superato dal successivo provvedimento di decadenza (parimenti impugnato in questa sede).
Ne consegue che ogni questione, anche di carattere risarcitorio (elemento questo evidenziato dalla difesa di parte ricorrente per chiarire la sussistenza dell’interesse alla decisione), non può che essere assorbita dalle statuizioni inerenti la definitiva decadenza successivamente dichiarata dal Comune, senza considerare che la ormai acquisita esclusione della c.d. pregiudiziale di annullamento ai fini risarcitori, consente di pronunciare la eventuale condanna per responsabilità  aquiliana (in questa sede non formulata) indipendentemente dalla pronuncia demolitoria, aderendo la Sezione all’indirizzo giurisprudenziale che interpreta l’art. 34 c.3 del c.p.a. nel senso che l’interesse all’accertamento giudiziale dell’illegittimità  dell’atto postuli la già  avvenuta proposizione della domanda risarcitoria.
Con il che si viene all’esame delle censure propriamente riguardanti il secondo provvedimento.
Con il II motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 15 dpr 380/2001.
Sostiene la Agnolo srl che la disposizione appena citata sarebbe stata violata, in quanto la decadenza sarebbe stata dichiarata al di fuori delle ipotesi ivi contemplate, riassumibili nel mancato rispetto del termine di esecuzione dei lavori ovvero nel mutamento delle previsioni urbanistiche.
Le norme ivi contenute prevederebbero, in sostanza le uniche ipotesi di decadenza del permesso di costruire contemplate dall’ordinamento, sicchè al di fuori di tali casi, essa non sarebbe ammissibile.
La doglianza è infondata.
Il tema della decadenza del titolo edilizio in ipotesi diverse da quelle normativamente previste dal dpr 380/2001 ovvero dalla normativa previgente non risulta dettagliatamente scandagliato dalla dottrina o dalla giurisprudenza, sicchè la difesa di parte ricorrente sottopone al Collegio una questione da risolvere alla stregua dei principi generali dell’ordinamento e della teoria generale del provvedimento amministrativo.
Il punto nodale della questione risiede, sostanzialmente nella portata esaustiva (come ritiene la difesa di parte ricorrente) o meno delle ipotesi di decadenza contemplate dall’art. 15 cit.
Orbene, facendo governo delle premesse appena poste in ordine al metodo di risoluzione della tematica controversa, ritiene il la Sezione che non possa seguirsi la tesi prospettata.
La decadenza, infatti, è istituto generale del diritto amministrativo che incide su di un precedente atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario o, secondo alcuni, sul rapporto che da questo scaturisce, determinandone la cessazione ex nunc degli effetti (volutamente la Sezione non lo qualifica, in questa sede, atto di ritiro, in quanto non tutta la dottrina concorda su tale definizione, evidenziando che l’istituto non implica un riesame dell’atto c.d. di primo grado, bensì un esame del rapporto che da questo è scaturito).
Tra le ipotesi cui pacificamente consegue la decadenza rientra l’inadempimento degli obblighi, oneri o prescrizioni incombenti sul destinatario dell’atto ampliativo.
Se questi sono i principi di teoria generale comunemente condivisi dalla comunità  scientifica, ad essi deve ulteriormente aggiungersi, per completare le coordinate ermeneutiche, che l’istituto del permesso di costruire viene pacificamente ritenuto compatibile con la indicazione di prescrizioni (di volta in volta individuate dall’ufficio tecnico e specifiche per la particolare opera realizzanda).
Se a tali prescrizioni non si vuole attribuire il valore di mero esercizio di stile per gli uffici che le appongono, così privandole di qualsivoglia valore, deve evidentemente concludersi che il mancato rispetto delle stesse non possa che determinare la decadenza del permesso di costruire.
Deve allora concludersi che l’art. 15, contemplando solo alcuni dei casi in cui è configurabile la decadenza, non esclude che essa sia pronunciata in ipotesi di inadempimento delle prescrizioni contenute nel permesso di costruire.
Esso, per ciò, ha portata di norma speciale ma non esclusiva in materia.
Conclusivamente, per ciò, posto che il permesso di costruire n.141/2008 contemplava quale espressa prescrizione (o clausola o condizione come la si voglia chiamare) l’acquisizione preventiva, rispetto all’inizio dei lavori, del parere dell’Autorità  di bacino e posto che la motivazione si fonda sul difetto di quest’ultimo, non può che concludersi che il Comune abbia inteso ricondurre al mancato rispetto della prescrizione imposta (se correttamente o meno è questione che verrà  esaminata nel prosieguo), la decadenza, facendo buon governo del tipo di provvedimento adottato, nel senso che ha adottato l’atto di decadenza in un’ipotesi consentita dall’ordinamento, salvo poi a verificare – come in seguito si farà  – se ne sussistano in concreto i presupposti.
In altri termini, l’ente ha correttamente ritenuto che fosse dichiarabile la decadenza del titolo autorizzatorio, anche in ipotesi non contemplate espressamente dall’art. 15 cit.
Poste queste premesse, deve concludersi per la reiezione anche della successiva censura sub 3).
Essa muove, dal punto di vista logico, dalla riqualificazione della decadenza come revoca.
Infatti, esclusa, nell’assunto difensivo, la possibilità  che sia pronunciabile in casi diversi da quelli contemplati dall’art. 15 cit., la difesa assume che il provvedimento in questione sia in realtà  una revoca in autotutela del permesso di costruire e, pertanto, debba rispondere ai requisiti di cui all’art. 21 nonies L. n.241/90 , nella specie mancanti.
Venuto meno, per le ragioni sopraindicate, il presupposto logico della tesi prospettata da parte ricorrente e ritenuto, pertanto, che il provvedimento censurato vada correttamente qualificato come decadenza, non può che escludersi la fondatezza della censura che muove da una diversa qualificazione giuridica dello stesso.
Le ulteriori doglianze sub 4) e 6) vengono esaminate congiuntamente, stante la stretta connessione tra di esse.
Con le suddette censure la società  ricorrente denuncia, in primo luogo, la violazione del dovere di imparzialità  dell’agire amministrativo e del principio di buona amministrazione perchè il Comune, atteso che il parere, pur se sopravvenuto, era favorevole, ed atteso, inoltre, che la compatibilità  con il PAI era stata, comunque, attestata con atto sostitutivo di notorietà , si sarebbe dovuto astenere dal pronunciare la decadenza.
Il provvedimento, infatti, sarebbe frutto, in sintesi, in un’ottica puramente formalistica, mentre nella sostanza tutte le prescrizioni sarebbero state rispettate.
D’altro canto – ed in questo l’ ubi consistam dell’altra doglianza – il parere dell’Autorità  di bacino non sarebbe stato neppure necessario, perchè sostituito dalla autocertificazione, in ossequio a quanto consentito dall’art. 19 L. n. 241/90.
E’ da tale ultima censura che il Collegio intende prendere le mosse, stante la sua evidente antecedenza logica, poichè se il parere fosse sostituibile dalla documentazione privata, non potrebbe che concludersi per l’illegittimità  del provvedimento di decadenza.
Senonchè, la questione è in realtà  non correttamente posta, perchè l’accurato esame della documentazione processuale ha fatto emergere una circostanza temporale tutt’altro che irrilevante, ma sapientemente trascurata nell’esposizione in fatto della ricorrente.
L’autocertificazione de qua, infatti, è datata 8.10.2012 e depositata l’11.10.2012.
I lavori risultano essere stati materialmente iniziati, a voler accedere alla più benevola ricostruzione in fatto, nel Luglio 2012 (diversamente, infatti, non sarebbe stato rispettato il termine contemplato nella convenzione).
La conclusione è che, comunque, l’autocertificazione è sopraggiunta rispetto all’attività  di inizio dei lavori, sicchè, in ogni caso, non è stata rispettata la prescrizione indicata nel permesso di costruire.
Tanto sarebbe sufficiente a non indugiare oltre sulla censura, ma per dare attuazione piena al principio di effettività  della tutela, cui il Collegio non intende sottrarsi, la doglianza viene scandagliata anche sotto gli ulteriori profili.
Si reclama che il parere dell’Autorità  di bacino sia sostituibile da c.d. autocertificazione.
Lo strumento giuridico sostitutivo sarebbe rappresentato dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà .
A tal fine si cita il testo novellato dell’art. 19 della legge sul procedimento.
Ritiene il Collegio che la tesi non sia condivisibile.
La motivazione viene resa, sul punto, in estrema sintesi, atteso che il motivo di rigetto principale già  indicato è sufficiente a tal fine.
La natura della disposizione di cui all’art. 19 cit. emerge chiaramente dall’indicazione del suo ambito oggettivo e dei presupposti applicativi.
Essi possono essere sinteticamente identificati in ipotesi in cui difetti, nell’amministrazione, alcun profilo di discrezionalità , sicchè la sua attività  può essere agevolmente semplificata e sostituitita dalle dichiarazioni private.
Analogo principio vale per le c.d. autocertificazioni, per le quali l’ammissibilità  è, in buona sostanza, consentita quando difettino profili di discrezionalità .
Così individuati i principi generali in materia, deve rilevarsi che l’atto di cui si pretende la sostituzione con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà  è un parere in ordine alla compatibilità  dei lavori di installazione di un impianto eolico con le norme PAI.
In difetto di una puntuale dimostrazione (il cui onere gravava su parte ricorrente) che il parere in questione sia esente da qualsivoglia profilo discrezionale (amministrativo o anche solo tecnico), deve ritenersi che esso sia manifestazione di una valutazione (e non di un accertamento tecnico).
Anche laddove la valutazione dovesse ritenersi di carattere tecnico, essa, proprio per il suo profilo valutativo, esprime un profilo di discrezionalità  che esclude la sostituibilità  con la c.d. autocertificazione.
D’altronde, è ben noto alla difesa di parte ricorrente che l’art. 47 dpr n.445/2000 prevede che “L’atto di notorietà  concernente stati, qualità  personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità  di cui all’articolo 38”.
Escluso che nel caso di specie possa parlarsi di stati o qualità  personali, deve parimenti escludersi che l’oggetto della dichiarazione sia un “fatto”, perchè la compatibilità  con il PAI non è un “fatto”, ma un apprezzamento, frutto di valutazione scientifica.
La doglianza, per ciò, risulta infondata anche sotto tale profilo.
Analoga sorte merita l’ulteriore censura con cui si reclama che il Comune, atteso, comunque, l’intervenuto parere positivo, avrebbe dovuto, comunque, esimersi dal dichiarare la decadenza, in ossequio al principio di buona amministrazione.
La tesi non è condivisibile.
E’ il principio di legalità  che esclude di accedere alla suggestiva prospettazione.
Se il parere è richiesto in via preventiva rispetto all’inizio dei lavori, in assenza di disposizioni che contemplino la sanabilità  a posteriori, il modulo procedimentale imposto dalla normativa di settore ovvero da un atto amministrativo (come nel caso di specie), va rispettato.
L’affermazione non ha natura puramente formalistica, laddove per un attimo si ponga mente alla rilevanza dei valori (ambientali e di sicurezza pubblica) tutelati dal prescritto parere di compatibilità .
Il ricorso, dunque, nel suo complesso non può trovare accoglimento.
Le spese, considerato l’andamento complessivo della controversia (che ha visto accolta, in primo grado, la richiesta di tutela cautelare), derogano al principio della soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile, ed in parte lo respinge, per come precisato in parte motiva.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sergio Conti, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Cesira Casalanguida, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/07/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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