1. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Schema  di accordo contrattuale – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Potenziali contraenti – Difetto di interesse – Non sussiste 


2. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Tetti di spesa  – Determinazione – Valorizzazione del tasso di utilizzo del posto letto – Effetti 


3. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Assegnazione di risorse – Compensazioni tra discipline – Limiti e condizioni 


4. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Ricoveri in numero superiore all’indice occupazionale del 100% pro die – Ricoveri provenienti dal servizio 118 – Deroga – Non ammissibilità 


5. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Tetto mensile di 1/12 dell’intera erogazione annuale – Continuità  della prestazione – Necessità  – Deroghe –  Ammissibilità  – Impugnazione della clausola -Difetto di interesse attuale e concreto 


6. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Impiego a pagamento dei posti letto – Limiti e condizioni 


7. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Trasferimento del paziente tra unità  operative della stessa casa di cura  – Modalità  


8. Sanità  e farmacie – Servizio sanitario regionale – Strutture accreditate – Erogazione di prestazioni sanitarie in regime di ricovero – Risoluzione non contenziosa delle contestazioni – Termini – Irragionevole durata  – Mancanza di prova

1. In sede di regolamentazione pattizia della spesa sanitaria, hanno interesse ad impugnare lo schema di accordo quadro previsto dall’art. 8 quinquies del D.Lgs. 502/1992 anche i soggetti (nella specie case di cura accreditate) che, pur non avendo sottoscritto alcun accordo, siano configurabili come potenziali contraenti dello stesso all’esito dell’impugnazione: rileva, infatti, che la mancata qualità  di contraenti in capo ad essi discende dalla pendenza del giudizio all’esito del quale verranno sottoscritti gli accordi contrattuali ex art. 8 quinquies del D.Lgs. n. 502/1992.
 
2. Rimane insindacabile in sede giurisdizionale, – ai fini della determinazione del tetto di spesa da assegnare per ogni singola disciplina –  la previsione, contenuta nello schema di contratto – tipo,  della quantificazione della prestazione sanitaria erogata dalla casa di cura privata  in base ad indici di valorizzazione del posto letto, atteso che detti indici sono stati fissati all’esito di un’adeguata istruttoria compiuta dalla ASL competente già  in fase di approvazione della delibera annuale di badget, rientrando, pertanto, in un’attività  vincolata ai parametri di legittimità  della discrezionalità  tecnico – amministrativa.  


3. In materia di definizione dei tetti di spesa per le prestazioni sanitarie erogate dalle case di cura private, è legittima la clausola dello schema di contratto – tipo che, ai sensi dell’art. 8 quinquies comma II lett. b) del D.Lgs. 502/1992, preveda il divieto (salvo il limite del 10%) di ˜travasabilità ‘ del budget fra discipline ed imponga di stabilire il volume massimo delle prestazioni erogande, distinto per tipologia e modalità  di assistenza, al fine di soddisfare l’esigenza di  puntuale e specifica programmazione della spesa sanitaria.


4. In materia di definizione dei tetti di spesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie da parte delle case di cura private, lo schema tipo di accordo contrattuale non è affetto da vizi di illogicità  nella parte in cui prevede che l’attività  effettiva delle strutture erogatrici debba commisurarsi alle discipline e posti letto accreditati ed esclude la liquidazione di ulteriori somme in favore del soggetto erogatore dei ricoveri che superino il totale dell’indice occupazionale pro die, (oltre a prospettare la sanzionabilità  di tale condotta  nel rispetto delle prescrizioni di cui al comma 2 dell’art. 27 L.R. n. 8/2004 e s.m.i.). Altrettanto legittima deve considerarsi la mancata previsione di deroghe al regime previsto nello schema di accordo – tipo  anche in presenza di ricoveri di emergenza (derivanti dal servizio 118) che si registrino sempre oltre  la soglia massima dell’indice occupazionale di posti letto pro die fissato in convenzione, laddove la casa di cura non operi espressamente in regime di pronto soccorso, rilevando in tal caso, viceversa, proprio la disponibilità  del posto letto.   


5. E’ inammissibile, per assenza di interesse attuale e concreto, la censura rivolta avverso la clausola dello schema di contratto tipo che obbliga l’erogatore a garantire la regolare e continua erogazione delle prestazioni per tutti i mesi dell’anno e l’utilizzazione del tetto annuale di spesa suddiviso per dodicesimi, atteso che detta clausola non costituisce un limite rigido ed invalicabile, contestualmente consentendo, nell’ambito della pur sempre garantita erogazione mensile, oscillazioni ragionevoli affidate al comportamento contrattuale delle parti assunto durante l’esecuzione della convenzione (la concreta lesione, pertanto, potrà  subentrare soltanto qualora la ASL  non consentirà  l’erogazione della prestazione esorbitante il 12% della prestazione annuale complessiva). 


6. In tema di prestazioni di ricovero delle strutture sanitarie accreditate, il divieto di utilizzare i posti letto oggetto di accreditamento per cittadini solventi a titolo privato è applicabile al solo caso in cui il budget annuale non sia ancora stato esaurito, mentre, laddove il tetto di spesa sia stato integralmente fruito dalla struttura accreditata, il posto letto (definitivamente fuoriuscito, per l’anno in questione, dalla programmazione sanitaria pubblica) può essere utilizzato per i pazienti privati: detta previsione, infatti, ha una funzione poichè rappresenta l’unico modo per evitare che il posto letto accreditato (istituito per il fabbisogno della sanità  pubblica) libero, reso fruibile  da pazienti paganti privatamente, una volta occupato da questi, si renda successivamente indisponibile per il paziente del SSN.


7. In materia di definizione della erogazione delle prestazione dei servizi sanitari da parte delle case di cura private e di determinazione dei relativi tetti di spesa, la previsione del contratto tipo che imponga  all’erogatore di assicurare  il trasferimento del paziente da una unità  operativa ad altra dello stesso istituto di cura senza soluzione di continuità , restando, quindi,  invariato per tutta la durata del ricovero il numero identificativo della cartella clinica e relativa SDO, è immune da vizi,  in quanto esso rimane funzionale a garantire la tracciabilità  dell’intero percorso clinico del paziente all’interno della stessa struttura, anche al fine di evitare elusioni delle disposizioni pattizie o normative, oltre che la correttezza del percorso diagnostico e terapeutico. 


8. In materia di definizione della erogazione delle prestazione dei servizi sanitari da parte delle case di cura private e di determinazione dei relativi tetti di spesa, in mancanza di prova contraria, deve ritenersi congrua la durata della procedura prevista dal contratto tipo per la risoluzione non contenziosa delle contestazioni insorte in sede di liquidazione delle prestazioni erogate sarebbe affetta da irragionevole durata, attesa la complessità  delle operazioni di controllo, mole  di cartelle cliniche da esaminare, ed in particolare l’esiguità  delle risorse umane a disposizione.

N. 01442/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01688/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1688 del 2012, proposto da: 
Casa di Cura San Camillo S.r.l., Casa di Cura Bernardini S.r.l., Casa di Cura Villa Verde, Clinica San Francesco S.r.l., rappresentate e difese dagli avv.ti Ernesto Sticchi Damiani e Giulio V. Petruzzi, con domicilio eletto presso l’avv. Ugo Patroni Griffi in Bari, piazza Luigi di Savoia, n. 41/A;

contro
Regione Puglia, Azienda Sanitaria Locale Lecce; 
Azienda Sanitaria Locale Taranto, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Caricato, con domicilio eletto presso l’avv. Vito Aurelio Pappalepore in Bari, via Pizzoli, n.8;

nei confronti di
Casa di Cura Villa Bianca; 

per l’annullamento
– della deliberazione di G.R. n. 1773 del 7.9.2012 (pubblicata sul B.U.R.P. n. 138 del 25.9.2012), avente ad oggetto: “DGR n. 1494/2009-Approvazione schema tipo accordo contrattuale-strutture istituzionalmente accreditate attività  in regime di ricovero-ex art. 8-quinquies del D.lgs. n. 502/92 così come modificato dalla Legge 6.8.2008 n. 133”, e dell’allegato testo dello schema di contratto per l’acquisto e l’erogazione di prestazioni in regime di ricovero, che costituisce parte integrante e sostanziale della delibera medesima, nella parte in cui:
a) all’art. 1, comma 2, nella parte in cui indistintamente riporta la dizione “indice di valorizzazione del posto letto”, senza tuttavia univocamente specificare il relativo criterio di valorizzazione;
b) all’art. 1, commi 5, 6, e 7 – quest’ultimo anche in combinato disposto con l’art. 5, lettera q) – 9 per come illegittimamente ed irragionevolmente strutturati;
c) all’art. 2, comma 5, totalmente illegittimo per le determinazioni ivi contenute;
d) all’art. 5, lettera f), per come complessivamente articolato;
e) all’art. 5, lettera n), anche in combinato disposto con l’art. 7, in considerazione delle illegittime ed irragionevoli procedure e delle relative tempistiche ivi previste;
– nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale e, in particolare, ma solo tuzioristicamente ed ove occorra:
a) della nota dell’ASL TA n. 3760/P del 27.9.2012, con cui l’Amministrazione sanitaria si è limitata successivamente a trasmettere per opportuna conoscenza l’impugnata delibera di G.R. n. 1773/12;
b) la nota della Regione Puglia prot. n. AOO-151/9937 del 21.9.2012 (meramente richiamata nella suddetta nota uslina del 27/9 u.s.).
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria Locale Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 luglio 2013 la dott.ssa Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori, avv.ti Giulio Petruzzi, Raffaele Pinto e Francesco Caricato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con delibera di Giunta n. 1773 del 7.9.2012, la Regione Puglia ha approvato lo schema di accordo contrattuale per l’erogazione e l’acquisto di prestazioni sanitarie in regime di ricovero.
Le società  ricorrenti, tutte titolari di strutture accreditate, operanti rispettivamente nel territorio di Taranto ed in quello di Lecce, nel campo dell’erogazione di prestazioni di ricovero, censurano, con il presente ricorso, alcune disposizioni contenute nello schema – tipo di accordo contrattuale, recepito nella delibera impugnata.
Prima di esaminare nel merito le doglianze proposte, va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità  per difetto di interesse formulata dall’ASL Taranto che ha dedotto che le strutture in questione non risultano, allo stato aver sottoscritto alcun accordo.
Deve, infatti, rilevarsi che, su espressa richiesta di chiarimenti formulata d’ufficio nel corso della pubblica udienza di trattazione, la difesa dell’ASL ha dichiarato che le strutture ricorrenti risultano essere tutte potenziali contraenti per l’anno 2013.
La mancata “contrattualizzazione” dipende, allo stato, dalla pendenza del presente giudizio, all’esito del quale verranno sottoscritti gli accordi contrattuali, ex art. 8 quinquies del d.lgs. n. 502/1992.
Venendo al merito dell’impugnativa, con il primo motivo di ricorso si censura il contenuto dell’art. 1 dello schema di contratto nella parte in cui, ai fini della determinazione del tetto di spesa da assegnare per ogni singola disciplina, si prevede l’indicazione dell’indice di valorizzazione del posto letto, senza specificazione, nel suddetto schema, del metodo seguito per la determinazione dello stesso.
Si assume che, in tal modo (cioè in assenza di una clausola contrattuale che imponga l’indicazione del metodo seguito), l’indice di valorizzazione del posto letto sia rimesso alla discrezionalità  mera dell’ASL stipulante, senza garanzia alcuna di applicazione di un criterio uniforme, valevole per l’intero territorio regionale.
Denunciano il rischio dell’individuazione del tutto arbitraria di tale indice di valorizzazione e reclamano, al contrario, l’applicazione del criterio del c.d. posto letto pesato (frutto della moltiplicazione dei fattori: numero di p.l. accreditati; tasso di occupazione degli stessi rilevato negli anni precedenti; peso medio dei DRG effettuati).
In altri termini le ricorrenti pretendono che sia la Regione a fornire specifiche indicazioni in ordine al criterio per determinare lo “indice di valorizzazione del posto letto”, senza rimettere tale punto alla discrezionalità  dell’ASL.
Citano, a sostegno delle proprie tesi, la sentenza del Tar Puglia, Sez. staccata di Lecce, n.1701/2012.
La doglianza non può trovare accoglimento.
Va chiarito che lo schema contrattuale, nella parte impugnata, si limita a prescrivere, l’indicazione, in un’apposita tabella, dell’indice di valorizzazione del posto letto.
La tabella inserita nella relativa clausola, dunque, ha una funzione meramente ricognitiva del risultato delle operazioni istruttorie compiute dall’ASL per l’individuazione di uno dei fattori (il c.d. “indice di valorizzazione”, appunto) incidenti sull’ammontare del budget assegnato per singola disciplina.
Tale natura ricognitiva non implica, pertanto, che l’ASL, nella determinazione del budget sia svincolata dai parametri di legittimità  della discrezionalità  tecnico-amministrativa.
In altri termini, la tabella in esame si limita a prescrivere un’operazione meramente trascrittiva dei risultati cui è giunta l’ASL a seguito della necessaria istruttoria funzionale a determinare il budget assegnato.
Resta fermo, pertanto, che la delibera dell’ASL di quantificazione del budget risulta assoggettata agli ordinari criteri che devono ispirare l’azione amministrativa con i conseguenti rimedi giurisdizionali.
Nè può ritenersi, come sostenuto dalle strutture ricorrenti, che la Regione sia tenuta a vincolare l’attività  dell’ASL attraverso l’individuazione del criterio per la valorizzazione del posto letto.
Non è rinvenibile, infatti, una disposizione normativa che tanto imponga, nè a tale conclusione può giungersi interpretativamente sul presupposto della possibile arbitrarietà  delle scelte dell’ASL, attesi i vincoli derivanti dall’ordinamento per le scelte discrezionali (che, pertanto, non possono trasmodare nell’arbitrio).
Resta fermo che in sede giurisdizionale, dunque, potranno farsi valere le eventuali doglianze in relazione ai criteri di individuazione del budget che si rifletteranno, “a cascata” , sul contratto stipulato, anche in ordine all’indice di valorizzazione.
Pertanto, data la natura meramente ricognitiva della voce della tabella in questione, non è in sede di predisposizione del contratto tipo che può richiedersi l’indicazione del metodo da seguirsi, risultando a ciò deputata, invece, la prodromica delibera di determinazione del budget.
Non a caso, la sentenza citata in ricorso a sostegno della propria tesi (peraltro, impugnata e sospesa con ordinanza del Consiglio di Stato. n. 469/2013 in ragione del prevalente interesse dell’ASL alla corretta programmazione della spesa sanitaria ed all’equilibrio finanziario) inerisce solo in via derivata all’accordo ex art. 8quinquies del d.lgs. n. 502/92, concretamente stipulato, riguardando prioritariamente la delibera di determinazione del tetto di spesa.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la disposizione contenuta nell’art. 1, comma V, dello schema contrattuale, nella parte in cui consente – a dire delle ricorrenti in modo del tutto irragionevole – la facoltà  di trasferimento delle risorse assegnate per una specifica disciplina ad altra disciplina, nel limite massimo del 10%.
Si pretende una maggiore flessibilità  della possibilità  del c.d. “travaso” dei budget assegnati per singola disciplina.
Si contesta essenzialmente il sostanziale divieto (salvo il limite del 10%) d’interscambio tra le somme destinate a remunerazione delle varie tipologie assistenziali, lamentandosene l’irragionevolezza.
La censura è manifestamente infondata, in quanto la contestata preclusione trova il suo fondamento nell’esigenza di puntuale e specifica programmazione della spesa sanitaria, nonchè nella disposizione contenuta nell’art. 8 quinquies, comma II, lett. b), del d.lgs. n. 502/1992, che rinvia alla distinzione, per gruppi, delle prestazioni sanitarie, così fondando la ragione di un distinto e separato acquisto delle stesse dagli operatori accreditati, anche senza possibilità  di interscambio dei relativi volumi di acquisto, tanto che legittimo sarebbe anche il divieto tassativo di compensazione.
Oggetto del terzo motivo (rubricato sub 2.3) è la previsione di cui all’art. 1, comma VII, dello schema contrattuale che stabilisce: “l’attività  dell’Erogatore deve essere necessariamente commisurata in relazione alle discipline e posti letto accreditati , nonchè nel rispetto dell’indice occupazionale di ogni singola disciplina.
Pertanto, i ricoveri che superano il 100% dell’indice occupazionale pro die, non saranno ammessi alle procedure di liquidazione e costituiranno valutazione non positiva per l’erogatore, sanzionabile nel rispetto delle prescrizioni di cui al co 2 dell’art. 27 della L.R. n. 8/2004 e s.m.i.”.
Di tale clausola si deduce l’illogicità  nella misura in cui non prevede alcuna ipotesi derogatoria, neppure nel caso dei ricoveri eseguiti in emergenza-urgenza, provenienti dal 118 ovvero dagli ospedali viciniori con comprovata motivazione ed urgenza, in quanto tali non rifiutabili dalla Casa di Cura privata.
Sul punto deve osservarsi quanto segue.
Non risulta che gli operatori sanitari ricorrenti eroghino prestazioni sanitarie in regime di pronto soccorso (a tal fine non soccorrono neppure i dati di comune esperienza o il fatto notorio).
Dunque, le uniche prestazioni di urgenza cui le ricorrenti possono riferirsi sono quelle provenienti da 118, ma non destinate a pronto soccorso.
Tanto premesso, non risulta dimostrato (ed anche qui non possono che riproporsi le considerazioni già  fatte in tema di dati probatori desumibili dalla comune esperienza ovvero dal notorio) che gli operatori in questione abbiano l’obbligo di accettare pazienti, benchè provenienti da 118, al di fuori della capienza dei posti.
Al contrario il dato di comune esperienza porta a ritenere che il ricovero di pazienti trasportati a seguito di intervento del 118, avvenga solo se la struttura (pubblica o privata inserita nel circuito delle cliniche che concorrono a fornire tale servizio) abbia la disponibilità  del p.l.
La censura, pertanto, non è fondata.
Con il sesto motivo (rubricato sub 2.4) si contesta la previsione contenuta nell’art. 1, comma IX, dell’accordo-tipo, con la quale, a detta delle ricorrenti, si imporrebbe all’erogatore la rigida suddivisione del tetto di spesa assegnato in dodicesimi (uno per ciascun mese dell’anno), senza possibilità  di deroga alcuna rispetto ad una rigida erogazione delle prestazioni in funzione di un tetto mensile pari ad 1/12 di quello annuale (“L’erogatore si impegna a garantire la regolare e continua erogazione delle prestazioni per tutti i mesi dell’anno e conseguentemente l’equità  dell’accesso al SSR da parte di tutti i cittadini, nonchè la corretta gestione delle liste d’attesa, e l’utilizzazione del tetto annuale suddiviso per dodicesimi”).
In altri termini, secondo la prospettazione delle parti ricorrenti, l’accordo imporrebbe alla struttura accreditata di erogare le prestazioni suddividendole rigidamente in dodicesimi (uno per ciascun mese), ricevendone così la relativa remunerazione.
Come la Sezione ha già  avuto modo di chiarire in altra controversia (ricorso n. 1665/2012), la censura è inammissibile per difetto di interesse.
Deve, infatti, rilevarsi che picchi patologici che sfuggano ad un’ordinaria ed ordinata programmazione mensile sono registrabili, presuntivamente, solo in alcune patologie stagionali, restando per il resto esclusi da ordinari criteri statistici.
Tanto premesso, le ricorrenti non solo non hanno dimostrato di essere erogatori che potrebbero (quantomeno in via presuntiva) subire una lesione a causa degli allegati picchi patologici che non consentono un’erogazione uniforme nel corso dell’anno, ma tale qualità  non è neppure desumibile in via presuntiva dalla loro denominazione che non lascia presumere in alcun modo che esse registrino picchi stagionali (come può ad esempio avvenire per patologie pneumologiche o allergiche).
Tanto si rileva a prescindere da ogni considerazione in merito alla portata delle clausole complessive dello schema tipo che, a dire dei ricorrenti, imporrebbero una rigida suddivisione mensile del tetto di spesa.
Sul punto, infatti, valgono le seguenti osservazioni.
In primo luogo il riferimento fatto alla clausola contrattuale di cui all’art. 1, comma IX, va integrato con quelle contenute negli artt. 2, punto 1, lett. a), e 6, lett. n.
Tanto chiarito, deve, comunque, rilevarsi che la lettura complessiva dello schema contrattuale rende edotti che l’erogatore è tenuto alla continuità  delle prestazioni in tutti i mesi dell’anno (in sostanza si tende a prevenire la non infrequente prassi che la struttura accreditata, raggiunto il limite annuale, sospenda la propria attività  negli ultimi mesi dell’anno, così lasciando i pazienti privi delle necessarie prestazioni sanitarie).
Ma è tutt’altro che scontato l’assunto, su cui poggia la tesi difensiva, che venga stabilito un tetto di prestazioni mensili erogabili, essendo il portato testuale delle disposizioni in questione anche compatibile con altra interpretazione che imponga alla struttura di garantire l’erogazione mensile delle prestazioni (con conseguente divieto di sospensione in corso di anno o per alcuni mesi), senza però predeterminare un limite rigido ed invalicabile, contestualmente consentendo, nell’ambito della pur sempre garantita erogazione mensile, oscillazioni ragionevoli.
Conclusivamente, ferme restando le considerazioni in ordine al rilevato difetto di interesse, in questa sede non può che affermarsi che, comunque, l’interpretazione proposta dalle ricorrenti è tutt’altro che pacifica, richiedendo la verifica della prassi applicativa da parte delle ASL stipulanti.
Ne consegue che, solo all’esito del reciproco comportamento delle parti (così come d’altro canto imposto dalla regola interpretativa di cui all’art. 1362, comma II, c.c.), potrà  verificarsi l’effettiva portata lesiva delle clausole denunciate.
Il che esclude ulteriormente la sussistenza di una lesione attuale e concreta.
Per il resto l’assetto complessivo dello schema contrattuale risponde all’esigenza (e trova in ciò, dunque, la sua ragionevole giustificazione) di garantire, attraverso un’adeguata ed uniforme suddivisione del tetto complessivo, la continuità  delle prestazioni assistenziali per conto del SSN, prevenendo la possibilità , non infrequentemente verificatasi nella prassi, di chiusura della struttura in corso di anno, per raggiungimento del tetto massimo.
Con il quinto motivo (rubricato sub II. 1) si contesta il divieto, contenuto nell’art. 2, comma V, di utilizzare a pagamento privato i posti letto accreditati, anche una volta superato il budget massimo annuale.
La doglianza non è fondata.
La previsione in questione è funzionale alla corretta gestione del servizio sanitario concesso ai privati in regime di accreditamento.
Essa mira ad evitare che, attraverso la fungibilità  tra posti letto accreditati con costi a carico del SSN e posti letto fruibili privatamente (o meglio attraverso un utilizzo promiscuo degli stessi posti letto), l’erogatore possa prediligere l’uso a titolo privato ovvero concentrare i ricoveri a carico del SSN in una sola parte del mese, offrendo quella residuale (magari più cospicua temporalmente e più remunerativa economicamente) al libero e più redditizio mercato della attività  professionale libera.
Ben vero è che, laddove il posto letto accreditato sia libero e non occupato da paziente del SSN, può apparire inutile (e per ciò irragionevole) mantenerne la disponibilità  senza renderlo fruibile da pazienti paganti.
Tuttavia, questo rappresenta l’unico sistema per scongiurare l’eventualità  che il posto letto accreditato (che è istituito per soddisfare il fabbisogno della sanità  pubblica), una volta occupato da un paziente pagante privatamente, sia indisponibile per il paziente del SSN.
In altri termini la previsione rappresenta l’unico modo per evitare che i posti letto accreditati sfuggano alla funzione che è loro propria.
La previsione ha, dunque, una funzione precauzionale che la salva da censure di irragionevolezza, risultando giustificata da esigenze di tutela della collettività .
Resta, tuttavia, ragionevole ritenere, in via interpretativa, che tale clausola, proprio in virtù della funzione che le è propria, vada ritenuta applicabile al solo caso che il budget non sia stato ancora esaurito.
Laddove, infatti, il tetto spesa sia ormai già  stato integralmente fruito dalla struttura accreditata, la funzione precauzionale viene meno e il posto letto, ormai definitivamente fuoriuscito – per l’anno in questione – dalla programmazione sanitaria pubblica, potrà  essere utilizzato per i pazienti solventi a titolo privato.
Dunque, non è corretto il presupposto su cui si fonda l’assunto delle parti ricorrenti, ovverosia che, superato il budget annuale, il posto letto rimanga indisponibile.
Esso, infatti, superato tale limite annuale, va ritenuto, interpretativamente, “fuoriuscito” dal circuito del SSN e, per ciò disponibile per i pazienti paganti privatamente.
Con il sesto motivo (rubricato sub III.1) si contesta la previsione contenuta nell’art.5, lett. f), dell’accordo-tipo, con la quale si impone all’erogatore di “assicurare che l’eventuale trasferimento del paziente da una unità  operativa all’altra dello stesso istituto di cura non deve importare la sua dimissione e successiva riammissione. Il numero identificativo caratteristico di ciascuna cartella clinica e della relativa SDO deve, pertanto, essere il medesimo per tutta la durata del ricovero indipendentemente dai trasferimenti interni allo stesso istituto di cura”.
L’infondatezza nel merito esime il Collegio dal rilevare l’inammissibilità  della stessa, non rinvenendosi, nella prospettazione di parte, quale sia l’interesse leso ed il relativo sottostante bene della vita che non fruirebbe della dovuta garanzia.
La previsione, com’è agevole rilevare, è funzionale a garantire la tracciabilità  dell’intero percorso clinico del paziente, anche al fine di evitare elusioni delle disposizioni pattizie o normative, oltre che la correttezza del percorso diagnostico e terapeutico.
Ciò ne costituisce la ragione giustificativa ed esclude la sussistenza dei vizi denunziati.
Con il settimo motivo (rubricato sub IV) si contesta la previsione contenuta nell’art.5, lett. n), in combinato disposto con l’art 7 dell’accordo-tipo, con la quale si dilaterebbero, a dire delle ricorrenti, in modo del tutto irragionevole, i termini per l’espletamento della procedura per la risoluzione non contenziosa (cioè inter partes) delle contestazioni insorte in sede di liquidazione delle prestazioni erogate. Se ne deduce genericamente l’irragionevole durata.
La censura, tuttavia, non può trovare accoglimento in assenza di una puntuale e comprovata deduzione delle ragioni per cui, tenuto conto della complessità  delle operazioni di controllo, della moltitudine delle cartelle cliniche da esaminare (in relazione a ciascun operatore accreditato), della struttura organizzativa a disposizione dell’amministrazione regionale ed in particolare delle risorse umane (certamente non eccessive), il termine non apparirebbe congruo.
Trattasi, infatti, di procedura la cui irragionevole durata viene solo asserita dalle ricorrenti, ma non dimostrata.
Stante la novità  delle questioni esaminate, trova giustificazione la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara inammissibile per come precisato in parte motiva.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 25 luglio e 3 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Giuseppina Adamo, Presidente FF
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Oscar Marongiu, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on whatsapp
WhatsApp

Tag

Ultimi aggiornamenti

Galleria