1. Edilizia e urbanistica – Variante allo strumento urbanistico e vincolo preordinato all’esproprio –   Assenza di aspettative qualificate del proprietario – Ampia discrezionalità  e ridotto onere motivazionale della p.A. 


2. Espropriazione per pubblica utilità  – Demanio marittimo – Spiaggia privata – Interesse pubblico a realizzare accessi alla battigia – Sussistenza – Fattispecie


3. Edilizia e urbanistica – Piano urbanistico generale – Approvazione sopravvenuta – Effetti 


4. Edilizia e urbanistica – Variante particolare allo strumento urbanistico generale e vincolo preordinato all’esproprio – Sopravvenienza nuovo strumento urbanistico – Opera pubblica non più contemplata – Caducazione procedura ablatoria già  iniziata – Esclusione 

1. In tema di motivazione degli strumenti urbanistici generali, la p.A. ha l’obbligo di motivare in maniera più specifica la scelta di tipizzare un’area in modo difforme da quanto previsto da uno strumento urbanistico precedentemente in vigore solo in presenza di un aspettativa qualificata in capo al proprietario, risultando – in caso contrario (come nella specie) – legittima l’adozione di una variante urbanistica puntuale  con vincolo preordinato all’esproprio che non incida su alcuna posizione ‘differenziata’ fonte di aspettativa “qualificata” del ricorrente. 


2. E’ legittima l’espropriazione di aree private effettuata dalla p.A per la realizzazione di opere utili a garantire l’accesso e l’utilizzo delle spiagge pubbliche, a nulla rilevando che l’accesso a realizzarsi possa servire al raggiungimento di un lido privato anzichè la spiaggia pubblica – atteso che, consentendo l’accesso alle spiagge private, si permette  comunque quello alle parti pubbliche della stessa (ad es., la battigia) – nè che il concessionario del lido privato in questione consenta già  l’accesso all’area demaniale attraverso strada privata di sua proprietà . 


3. La sopravvenienza di uno strumento urbanistico non determina retroattivamente l’illegittimità  di quello antecedente sulla scorta del pacifico principio di diritto secondo cui  la legittimità  degli atti va valutata con riferimento alle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione.


4. La procedura espropriativa iniziata legittimamente in conformità  con le previsioni urbanistiche vigenti non può ritenersi inficiata da un nuovo strumento urbanistico – nel frattempo approvato – che non contempli più l’opera pubblica,  risultando quindi legittimi i decreti di esproprio che risultino coerenti allo strumento urbanistico vigente al momento dell’inizio della procedura ablatoria, a nulla rilevando, quindi, le eventuali variazioni delle previsioni urbanistiche intervenute, anche se precedenti all’adozione del decreto di esproprio. Inoltre, la natura meramente esecutiva di scelte decisionali già  adottate in ordine alla pubblica utilità  dell’opera oggetto dei decreti di esproprio, esclude tout court la necessità  di una nuova valutazione di utilità  dell’opera, a meno che non risulti che la p.A. con l’adozione del nuovo strumento urbanistico abbia implicitamente revocato la dichiarazione di pubblica utilità  (ad es. allorquando il nuovo strumento urbanistico individui nell’area prima destinata ad opera pubblica un insediamento residenziale).
*
Vedi Cons. St., sez. IV, sentenza 7 novembre 2014, n. 5496 – 2014ric. n. 8110 – 2013, udienza pubblica 8 luglio 2014. 

N. 00963/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01628/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1628 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Vincenzo Saponaro, Margherita Saponaro, Maria Addolorata Sumerano, Leone Spinosa, Nicolò Alba, Domenico Alba, Rita Rizzello, rappresentati e difesi dall’avv. Saverio Profeta, con domicilio eletto presso Saverio Profeta in Bari, via Cognetti, n. 25; 

contro
Comune di Monopoli, rappresentato e difeso dall’avv. Lorenzo Dibello, con domicilio eletto presso Francesco Semeraro in Bari, via Abate Gimma n.73; 

per l’annullamento
– della deliberazione di c.c. n. 62 del 21/9/2010, recante l’approvazione del progetto definitivo/esecutivo dei lavori riassetto dei liberi accessi al mare in Monopoli, c.da losciale/capitolo;
nonchè con i motivi aggiunti per l’annullamento, previa misura cautelare:
– decreto di esproprio n. 5 del 6 marzo 2012 emesso nei confronti dei sigg. nicolò e domenico del alba;
– decreto di esproprio n. 8 del 30 marzo 2012 emesso nei confronti della sig.ra margherita saponaro;
– decreto di esproprio n. 9 del 30 marzo 2012 emesso nei confronti del sig. vincenzo saponaro;
– decreto di esproprio n. 10 del 30 marzo 2012 emesso nei confronti dei sigg.ri rita rizzello, filippo spinosa, raffaella spinosa e rosangela spinosa;
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Monopoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2013 il dott. Desirèe Zonno e uditi per le parti i difensori avv. Saverio Profeta e avv. Lorenzo Di Bello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La controversia verte in ordine all’espropriazione dei terreni dei ricorrenti, espropriati per realizzare, in località  balneare sita in Monopoli, un accesso al mare, attraversando, perpendicolarmente alla viabilità  litoranea che costeggia la battigia, il suolo che separa la spiaggia stessa dalla strada.
In altri termini i terreni dei ricorrenti sono stati espropriati per consentire l’accesso, da parte della collettività , alla spiaggia libera, attraverso una piccola stradina di larghezza e lunghezza contenute.
Con il ricorso principale si contesta il provvedimento del consiglio comunale (del. n. 62/2010) di approvazione del progetto esecutivo.
In particolare, con la delibera di Consiglio Comunale n. 62 del 21 settembre 2010 il Comune di Monopoli approvava in via definitiva il progetto esecutivo per la realizzazione del progetto di cui sopra, dando atto che tale approvazione implicava variante semplificata al piano urbanistico generale e che esso non necessitava, secondo quanto previsto dall’art. 12 della L.R. 3/05, di approvazione da parte della Regione.
Nella delibera medesima si dava, altresì, atto del fatto che l’approvazione del progetto equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità  ai sensi dell’art. 12 comma 1 D.P.R. 327/01 e che comportava, in quanto variante semplificata allo strumento urbanistico, l’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio.
Con il ricorso principale la si censura perchè:
1) comprimerebbe inutilmente ed irragionevolmente le facoltà  dominicali, senza alcuna apprezzabile utilità  per la collettività , posto che consentirebbe l’accesso non alla spiaggia c.d. libera, ma ad un lido privato (perchè dato in concessione), sicchè non vi sarebbe alcun serio beneficio pubblica. Si deduce, in altri termini che la delibera poggi su di un presupposto in fatto erroneo, perchè l’accesso 25 – come denominata la strada realizzanda – non conduce alla spiaggia libera e cioè fruibile dalla collettività .
2) La strada realizzanda, peraltro, sarebbe priva di apprezzabile utilità  sotto altro profilo.
Infatti, l’accesso al mare sarebbe già  garantito dalla disponibilità  del titolare del vicinissimo lido privato (Porto Giardino) a fare accedere tutti i bagnanti (della spiaggia privata nonchè di quella libera) attraverso la propria parallela (nel tratto finale) strada privata (accesso 23). Pertanto, l’espropriazione dei suoli comprimerebbe le facoltà  dominicali inutilmente, perchè il risultato cui sarebbe volto lo strumento ablatorio è già  garantito dall’accesso n.23.
3) Inoltre, i suoli espropriati non sarebbero più contemplati dal nuovo strumento urbanistico sopraggiunto (PUG) che, nel sostituire il precedente PRG, non prevederebbe più l’accesso al mare in questione (accesso n. 25).
4) Si contesta, poi un vizio procedimentale, attinente l’approvazione semplificata della variante.
5) Si deduce, infine, il difetto di adeguata motivazione nell’atto di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio.
Con il ricorso per motivi aggiunti vengono impugnati i quattro decreti di esproprio, riproponendo nei confronti degli stessi, da un lato le prime due censure (fatte valere in via di invalidità  derivata) già  proposte contro la delibera consiliare n. 62/2010; dall’altro vizi propri (ma le censure hanno, in realtà , natura ripropositiva di argomentazioni e contestazioni già  esposte nel ricorso principale): il PUG sopravvenuto non contemplerebbe più l’accesso n.25 come opera viaria realizzanda per fini pubblici, pertanto, vi sarebbe un contrasto tra lo strumento ablatorio e la(sopravvenuta) pianificazione vigente.
Le doglianze proposte con il ricorso principale e con quello per motivi aggiunti possono essere esaminate congiuntamente, in quanto con quest’ultimo si propongono argomenti e motivi di censura già  illustrati con il ricorso principale (anche se alcuni motivi di doglianza vengono definititi autonomi nel ricorso per motivi aggiunti).
Giova premettere che la Sezione si è già  occupata della vicenda in esame- nello specifico dell’espropriazione dei suoli per la realizzazione del varco n. 25, oggetto anche della presente controversia – con la sentenza n. 463/2012, pienamente confermata in appello con decisione n. 893/2013 del Consiglio di Stato.
Dunque, la posizione già  espressa non può che rappresentare il punto di partenza dell’odierna decisione.
Tanto premesso, va subito sgomberato il campo dalle doglianze inerenti l’inappropriata ed inadeguata motivazione del vincolo espropriativo apposto con la del. n. 62/2010.
Come già  chiarito dalla Sezione con la citata sentenza, “solo in presenza di aspettative qualificate l’Amministrazione ha l’obbligo di motivare in maniera più specifica la scelta di tipizzare un’area in maniera difforme da quanto previsto da uno strumento urbanistico precedentemente in vigore” e, nel caso in esame, “vi è da dire che non risulta che nella specie l’Amministrazione sia andata ad incidere su una posizione “differenziata”, sulla quale i ricorrenti causa possano vantare una aspettativa qualificata.”
Inoltre, deve ulteriormente chiarirsi che non può trovare applicazione nella presente controversia la giurisprudenza citata dalle parti ricorrenti in ordine all’obbligo di motivare la reiterazione del vincolo espropriativo.
Non risulta, infatti, che si versi in tale ipotesi (reiterazione del vincolo), emergendo, al contrario, dalla delibera impugnata, che il vincolo sia stato apposto per la prima volta con il provvedimento consiliare del 2010.
In secondo luogo va respinto l’argomento, tradotto nei vari motivi di doglianza, con cui si sostiene che il vicino ed ulteriore accesso al mare garantito dal lido Porto giardino già  soddisferebbe la finalità  pubblica cui è preordinata l’opera.
Ancora una volta, sul punto non può che rinviarsi al precedente della Sezione (sent. n. 463/2012) che bene ha chiarito che la procedura espropriativa sia stata proseguita sol perchè la Porto Giardino s.p.a. in concreto non ha tradotto in un atto d’obbligo vincolante l’impegno a garantire l’utilizzabilità  della strada e dei servizi igienici da parte di tutti gli utenti (limitandosi ad una non vincolante dichiarazione d’impegno): è quindi evidente che l’Amministrazione, non solo si è correttamente rappresentata tutte le circostanze del caso, ma altresì che sin dove ha potuto ha cercato di venire incontro alle esigenze dei proprietari espropriati, ricercando soluzioni alternative ma efficaci.
Quanto al fatto che le opere che la Amministrazione comunale intende realizzare sarebbero già  tutte esistenti, osserva il Collegio come, in mancanza di un atto d’obbligo da parte dei proprietari, esse non siano liberamente fruibili da tutti gli utenti: legittimamente, pertanto, il Comune ha ritenuto di dover procedere all’esproprio delle aree necessarie ed alla autonoma realizzazione delle opere utili a garantire un confortevole e disciplinato utilizzo delle spiagge pubbliche.
In replica all’ulteriore argomento di parte ricorrente, secondo cui l’accesso servirebbe a raggiungere un lido privato, anzichè la spiaggia pubblica (con il che sarebbe smentita la finalità  pubblica della strada da realizzarsi), si deve rilevare che la concessione di una porzione dell’arenile demaniale al lido privato, da un lato non esaurisce e non esclude la necessità  di consentire l’accesso a quelle parti della stessa spiaggia data in concessione che restano di libera fruizione (a titolo esemplificativo la battigia), dall’altro che gli utenti ben possono, utilizzando le parti assoggettate al libero accesso anche all’interno del lido privato, raggiungere la c.d. spiaggia libera.
D’altro canto deve tenersi conto che l’ente comunale non può escludere gli accessi pubblici sol perchè questi conducono ad un “lido privato”, in quanto l’estensione territoriale e temporale delle concessioni demaniali è soggetta a mutamento, sicchè non può incidere, precludendole, sulle opere stabili che consentano l’accesso alla spiaggia agli utenti che non intendono fruire dei servizi privati.
Analoga sorte merita la censurata illegittimità , per vizi procedurali, dell’atto di adozione della variante urbanistica derivante dall’adozione della delibera consiliare adottata (motivo sub IV del ricorso principale).
Sul punto non può che rinviarsi a quanto già  statuito con la sentenza n. 463/2012 in ordine al secondo motivo del relativo ricorso.
Con il che si viene ad esaminare il vero punto nodale della presente controversia con cui si contesta la difformità  della procedura ablatoria rispetto al nuovo PUG.
In altri termini si sostiene che il sopravvenuto strumento urbanistico, definitivamente adottato dal Comune con la delibera consiliare n. 68/2010, cioè dopo l’adozione della del. n. 62/2010, non contemplerebbe più l’accesso in questione.
Sul punto va precisato, invero, che la difesa comunale contesta che le due previsioni urbanistiche (il PRG come variato dalla del. 62/2010, nonchè il sopravvenuto PUG) siano incompatibili, sostenendo che le previsioni urbanistiche su cui si fondano le allegazioni di parte ricorrente riguardino in realtà , la diversa zona ad ovest della viabilità  litoranea (mentre l’accesso 25 attraversa la parte ad est della suddetta strada).
Aggiunge, peraltro, che il nuovo PUG è stato adottato in prima battuta il 22.12.2007 (e solo successivamente ed in via definitiva, con la del. n.68 del 2010), cioè prima della delibera n.62/2010 che, pertanto, avrebbe modificato anche tale strumento urbanistico.
Deve, però, rilevarsi che , a fronte della perizia giurata deposita da parte ricorrente che esclude categoricamente che il nuovo PUG contempli ancora l’accesso 25, si imporrebbe un accertamento istruttorio.
Senonchè questo risulta superfluo, in quanto, anche a voler ritenere accertato, in punto di fatto, quanto sostenuto dai ricorrenti (ovverosia che il nuovo PUG non prevede più l’accesso 25), comunque, non è fondata la doglianza formulata.
Giova muovere da quanto inconfutabile in punto di fatto:
– con la del. n. 62 del 21.9.2010 (di approvazione del progetto esecutivo) è si è disposta la variante particolare allo strumento urbanistico (previgente PRG), con contestuale l’apposizione del vincolo e dichiarazione di P.U.;
– con la del. n. 68 del 22.10.2010 è stato adottato definitivamente il PUG (che ha così superato la prima approvazione nel 2007, rispetto alla quale è rimasta ignota la ragione della successiva approvazione definitiva che, comunque, resta un punto fermo nella vicenda),
– poi approvato in sede regionale il 4.11.2010 (data indicata dalla perizia giurata con allegazione in fatto non smentita dalla controparte).
Il PUG (nuovo strumento urbanistico che si assume non contemplare più l’accesso al mare n. 25) è, dunque, sopravvenuto rispetto alla variante. Non può pertanto, accogliersi, sotto tale profilo, la tesi prospettata dal Comune che muove dall’assunto contrario (basato sulla data di iniziale adozione nel 2007).
Esso è, tuttavia, precedente ai decreti di esproprio, tutti adottati nel Marzo 2012.
Da questa ricostruzione in fatto può trarsi una prima conseguenza rilevante in punto di diritto.
La procedura espropriativa è iniziata, con la del. n.62/2010, prima dell’adozione e dell’approvazione del nuovo PUG.
In base al principio di diritto secondo cui non può predicarsi l’illegittimità  sopravvenuta degli atti amministrativi (salva l’ipotesi di illegittimità  costituzionale della norma di legge di riferimento che, invero, non solo non ricorre nel caso di specie, ma non configura – secondo la migliore dottrina – neppure un’ipotesi di illegittimità  sopravvenuta, in quanto la declaratoria di illegittimità  costituzionale espunge la norma con efficacia retroattiva), la sopravvenienza del PUG non può determinare retroattivamente l’illegittimità  della delibera n. 62/2010 ad esso antecedente.
In altri termini , a ben guardare, con la suggestiva tesi proposta da parte ricorrente, si pretenderebbe, in ultima analisi, di predicare l’illegittimità  dell’atto di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, nonchè di contestuale dichiarazione di P.U., in ragione di una sopravvenienza, cioè di un atto successivo (il nuovo strumento urbanistico, successivamente adottato ed approvato).
Il che non può sostenersi, in base al pacifico principio di diritto secondo cui la legittimità  degli atti va valutata con riferimento alle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione, irrilevanti essendo le sopravvenienze.
Tali considerazioni refluiscono necessariamente anche sullo scrutinio di legittimità  dei successivi decreti di esproprio, i quali si pongono, quali atti sostanzialmente esecutivi e attuativi di scelte programmatorie già  delibate nella fase di apposizione del vincolo e di dichiarazione della pubblica utilità  dell’opera, senza che sia contemplata normativamente la necessità  di una rivalutazione della già  scrutinata pubblica utilità  dell’opera.
Della natura sostanzialmente attuativa delle scelte già  effettuate a monte ed ab initio nella procedura ablatoria si ha conferma, laddove si pensi che gli obblighi procedimentali posti a tutela delle garanzie partecipative sono contemplati nella fase iniziale della procedura (che nel caso di specie è da individuarsi nella delibera n. 62/2010), sicchè, una volta assunte le determinazioni in ordine alla utilità  dell’opera, i decreti di esproprio ne rappresentano la fase meramente esecutiva, sotto il profilo delle scelte, in cui nessuna valutazione di utilità  è più richiesta.
Da tanto consegue che se legittima, in relazione alle previsioni dello strumento urbanistico, è l’apposizione del vincolo nonchè la dichiarazione di P.U. (e tale essa è, come si è già  affermato) ed i decreti di esproprio sono coerenti e conformi ai suddetti atti della procedura espropriativa ed allo strumento urbanistico vigente al momento dell’inizio della procedura espropriativa, le eventuali variazioni delle previsioni urbanistiche, anche se precedenti all’adozione del decreto di esproprio, non rilevano.
L’affermazione di principio appena fatta è, in sostanza, il precipitato logico del carattere meramente esecutivo, rispetto alle scelte programmatorie degli interventi di pubblica utilità , dei provvedimenti che dispongono l’ablazione del bene in favore della mano pubblica.
Con il che trova giustificazione la reiezione della censura formulata nel ricorso per motivi aggiunti con cui si censurano i decreti di esproprio per contrasto con il sopravvenuto strumento urbanistico generale.
La doglianza mira a reclamare, di fatto, un non previsto obbligo dell’amministrazione di rivalutare, in sede di adozione dei decreti di esproprio, la pubblica utilità  dell’opera.
Conclusivamente, deve affermarsi che non si può predicare un obbligo dell’amministrazione di rivedere le determinazioni ablatorie adottate prima del’adozione di un nuovo strumento urbanistico.
Ed, infatti, è indubbio che l’adozione di un nuovo strumento urbanistico non determini di per sè la caducazione della procedura espropriativa già  iniziata in esecuzione dello strumento urbanistico previgente, in primis perchè nessuna disposizione tanto prevede.
In secondo luogo di tanto si ha conferma a mezzo del ragionamento apagogico.
Se, infatti, la sopravvenienza di una previsione urbanistica comportasse l’obbligo di uniformare ad essa le opere pubbliche già  in passato delibate ed approvate in conformità  al previgente strumento urbanistico, dovrebbe sostenersi che un’opera pubblica eventualmente anche già  quasi completamente realizzata, venga rimossa in virtù della necessità  di adeguamento al nuovo strumento urbanistico.
Conclusivamente va affermato che la procedura espropriativa iniziata legittimamente in conformità  con le previsioni urbanistiche vigenti (di cui importi, eventualmente la contestuale modifica) non è automaticamente inficiata, nella sua legittimità , dalla sopravvenienza di uno strumento urbanistico generale che l’opera pubblica più non contempli.
Inoltre, i decreti di esproprio, data la natura meramente esecutiva di scelte decisionali già  adottate in ordine alla pubblica utilità  dell’opera, non richiedono una nuova valutazione di utilità  dell’opera, in relazione alla sopravvenienza di strumenti urbanistici generali.
Invero, la tesi sostenuta da parte ricorrente potrebbe condividersi, solo laddove fosse predicabile che l’ente comunale, con l’adozione del nuovo strumento urbanistico abbia (implicitamente) revocato la dichiarazione di pubblica utilità , in considerazione di un “ripensamento” circa la opportunità  dell’opera, prima riconosciuta e poi disconosciuta ed anzi negata.
Tanto non è escluso in linea di principio, nell’ipotesi in cui le nuove previsioni urbanistiche siano del tutto incompatibili ed antitetiche rispetto alla precedente valutazione di P.U. (si pensi al caso di un sopravvenuto strumento urbanistico che individui nell’area prima destinata ad un opera pubblica un insediamento residenziale o, comunque, del tutto incompatibile con il precedente progetto).
Ma l’ipotesi appena contemplata senz’altro non ricorre nel caso di specie, in cui il nuovo PUG, ben lungi dall’adottare, nella zona in esame, un assetto del territorio antitetico con quello precedente, ripropone, nella sostanza, i già  previsti oneri conformativi nei confronti dei proprietari dei fondi limitrofi alla fascia costiera, benchè senza esplicitamente indicare il tracciato della strada in precedenza prevista come accesso n.25.
La realizzazione della stradina non si pone in contrasto con i vincoli conformativi derivanti dal PUG, poichè opera priva di volumetria, a ridottissimo impatto ambientale (con relativo parere favorevole della soprintendenza) e coerente – ed anzi funzionale – al fine pubblico per la tutela del quale i vincoli conformativi sono stati imposti.
Resta da esaminare l’ultima censura con cui si deduce la discrasia tra il piano particellare e l’estensione della porzione delle singole particelle da espropriare, anche alla luce dei verbali di immissione in possesso versati in atti.
Anche essa è infondata.
Sul punto si rinvia alle convincenti difese comunali.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso principale nonchè su quello per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Monopoli che liquida in Euro 5000,00 omnicomprensivi per diritti ed onorari, oltre accessori, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2013 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Desirèe Zonno, Primo Referendario, Estensore
Oscar Marongiu, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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