1. Pubblica sicurezza – Autorizzazioni di polizia – Porto d’armi – Revoca – Condizioni – Inaffidabilità  del titolare – Giudizio – Caratteri 
 
2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio –  Autorizzazioni di polizia –  Porto d’armi – Revoca – Proposta della Questura – Atto endoprocedimentale – Conseguenze
 
3. Risarcimento del danno – Domanda risarcitoria – Accoglimento – Condizioni e presupposti
 
4. Risarcimento del danno – Danno patrimoniale – Sospensione attività  lavorativa – Quantificazione del danno – Criteri
 
5. Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Danno biologico – Domanda risarcitoria – Accoglimento –  Condizioni
 
6. Risarcimento del danno – Danno non patrimoniale – Danno esistenziale – Voce autonoma di danno – Esclusione – Conseguenze

1. La verifica dell’interesse pubblico alla prevenzione dell’uso improprio delle armi, pur se caratterizzata da ampia discrezionalità , non può prescindere dalla comparazione con la tutela dell’affidamento del cittadino nella validità  dell’autorizzazione rilasciatagli per il soddisfacimento di esigenze fondamentali (quale l’esercizio di una professione). Pertanto, il giudizio prognostico sulla potenziale inaffidabilità  dell’interessato, da valutarsi sul piano della personalità  del soggetto e non alla luce del singolo episodio, richiede un adeguato accertamento istruttorio ed una congrua motivazione (nella specie, è stata dichiarata illegittima la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto d’armi motivata sulla base della mera denuncia all’Autorità  giudiziaria, senza che fosse espressa una autonoma valutazione da parte della Prefettura).
 
2. La proposta avanzata dalla Questura per la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto d’armi deve qualificarsi quale atto endoprocedimentale. Pertanto, essa non risulta autonomamente impugnabile.
 
3. Il risarcimento del danno non discende automaticamente dall’annullamento dell’atto impugnato, richiedendo, invece, la verifica delle condizioni del nesso eziologico, del profilo soggettivo, ravvisabile ogniqualvolta vi siano gli estremi di una condotta improntata a dolo, negligenza o imperizia della p.A. (in base ad un comportamento non scusabile), e della sussistenza del danno effettivo subito dal ricorrente.
 
4. In base ai principi enucleati dalla giurisprudenza civilistica in materia di risarcimento per licenziamento illegittimo, grava sulla p.A. che voglia ottenere il ridimensionamento del danno per sospensione dell’attività  lavorativa causata da atto illegittimo l’onere di dimostrare che il ricorrente abbia percepito retribuzioni per attività  lavorativa prestata altrove.
 
5. La domanda di risarcimento del danno biologico non può esser formulata in modo generico, richiedendo, al contrario, l’accertamento medico  della concreta lesione dell’integrità  psico-fisica subita dal ricorrente.
 
6. Oltre al ristoro patrimoniale accordato per risarcire tutti i danni causati dalla sospensione dell’attività  lavorativa derivante da atto illegittimo, al ricorrente, salvo che questi non offra prova specifica a riguardo, non può riconoscersi alcun risarcimento per i pregiudizi arrecati alla vita di relazione, quali il danno all’immagine e, più in generale, il danno esistenziale, in quanto questi, a differenza delle violazioni gravi dei diritti inviolabili della persona, non rappresentano voci autonome di danno.

N. 00052/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00347/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 347 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
G.A., rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefania Miccoli e Massimo Malena, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Bari, via Amendola, n. 170/5; 

contro
Ministero dell’Interno – U.T.G. – Prefettura della Provincia di Foggia – Questura di Foggia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliato per legge in Bari, via Melo, n. 97; 

per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
quanto al ricorso introduttivo:
“- del provvedimento prot. 487/05/Area I Bis del 16.1.12, notificato il 31.1.2012 con il quale l’Ufficio del Governo di Foggia ha disposto la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola al ricorrente;
– della nota prot.n. Cat. 16.B/Div. PASI del 16.1.2012 a firma del Questore di Foggia, ancorchè sconosciuta al ricorrente;
– ove occorra della circolare telegrafica del Ministero dell’interno n. 557/PAS49O1.1017 del 19.4.2004 (ove differente da quella che viene esibita agli atti, e quand’anche sconosciuta al ricorrente);
– di tutti gli atti che fanno parte del predetto procedimento ancorchè sconosciuti al ricorrente;
– di ogni provvedimento consequenziale, presupposto e connesso ai precedenti, ancorchè sconosciuti al ricorrente;
e per il risarcimento del danno”
 

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositati il 15 marzo 2012:
“- della nota prot. n.16.B/DIV:PASI del 16.12.2012 a firma del Questore Maiorano con la quale la Questura proponeva alla Prefettura di Foggia la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola;
– di ogni provvedimento consequenziale, presupposto e connesso ai precedenti, ancorchè sconosciuti al ricorrente.”
 

Visto il ricorso introduttivo, con i relativi allegati;
Visto il ricorso per motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 298 del 19 aprile 2012 di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione cautelare e di fissazione dell’udienza pubblica del 29 novembre 2012 per la discussione del ricorso nel merito;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2012 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori, l’avv. Stefania Miccoli e l’avv. dello Stato Francesco Massimo Manzari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato il 5 marzo 2012 e depositato il 13 marzo 2012, il sig. G. A., nominato guardia particolare giurata con provvedimento del 21 febbraio 2005 e autorizzato al porto di pistola con provvedimento del 3 marzo 2005, ha chiesto l’annullamento del provvedimento prot. 487/05/Area I Bis del 16 gennaio 2012, notificato il 31 gennaio 2012, con il quale il Prefetto della Provincia di Foggia l’Ufficio ha disposto la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola, nonchè della nota prot. n. Cat. 16.B/Div. PASI del 16 gennaio 2012 del Questore di Foggia, ancorchè sconosciuta; ha chiesto altresì l’annullamento, ove occorra, della circolare telegrafica del Ministero dell’Interno n. 557/PAS49O1.1017 del 19.4.2004 (ove differente da quella che viene esibita agli atti, ancorchè sconosciuta) ed il risarcimento del danno subito.
A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure: 1. violazione di legge: art. 3 della legge n. 241 del 1990, omessa ed insufficiente motivazione; 2. eccesso di potere: difetto assoluto di istruttoria in quanto il provvedimento non espliciterebbe le circostanze di fatto in base alle quali il Prefetto avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti per la revoca di entrambi i titoli di polizia revocati, limitandosi ad un mero richiamo alla nota del 16 gennaio 2012, ad esso ricorrente sconosciuta, con cui il Questore di Foggia avrebbe segnalato alla Prefettura un suo presunto deferimento “all’Autorità  Giudiziaria per fatti che rientrano nella fattispecie astratta dei reati di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falso ideologico nella funzione di incaricato a pubblico servizio”; parte ricorrente lamenta altresì che, se da un lato l’amministrazione si sarebbe limitata a motivare il provvedimento per relationem,dall’altro avrebbe inibito l’accesso agli atti rendendo indisponibile la nota richiamata per relationem; nè sarebbe stata effettuata alcuna attività  istruttoria o valutazione autonoma su quanto riferito dalla Questura.
3. Violazione degli artt. 22 e 24, ultimo comma, della legge n. 241 del 1990 in quanto l’amministrazione avrebbe negato il diritto di accesso alla nota della Questura, benchè tale atto non rientrerebbe tra quelli per i quali la legge esclude il diritto di accesso stesso e il citato art. 24 all’ultimo comma dispone: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile¦”.
4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11, 43 e 138 del T.U.L.P.S.; 5. violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del T.U.L.P.S.; 6. violazione del principio generale di proporzionalità  e adeguatezza della misura restrittiva, violazione del principio generale di non colpevolezza; 7. eccesso di potere: carenza dei presupposti di fatto e di diritto, omessa o carente motivazione su elementi decisivi, illogicità  e contraddittorietà  della motivazione, carenza di istruttoria, irragionevolezza; parte ricorrente lamenta che non sussisterebbero a suo carico procedimenti penali pendenti, come risulterebbe dal certificato dei carichi pendenti versato in atti; inoltre sarebbe improprio il riferimento nel provvedimento impugnato agli artt. 11, 43 e 138 del T.U.L.P.S. che prescriverebbero la revoca della licenza di polizia solo a fronte di sentenze di condanna; peraltro, posto che nella fattispecie oggetto di gravame la revoca coinvolgerebbe il diritto al lavoro di guardia giurata, l’amministrazione avrebbe dovuto effettuare un accertamento particolarmente rigoroso dell’effettivo venire meno del requisito della buona condotta; parte ricorrente ha altresì richiamato la giurisprudenza di questo Tribunale ai fini della inidoneità  del solo deferimento all’Autorità  Giudiziaria a giustificazione dell’adozione del provvedimento di revoca dei titoli di polizia.
8. Violazione di legge: artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990, omesso avvio del procedimento, illogicità  manifesta, difetto di motivazione; 9. Violazione della circolare del Ministero dell’Interno n. 557/PAS 4901.10171 del 19 aprile 2004 (rectuis 2 aprile 2004), contraddittorietà , illogicità , assenza dei presupposti; 10. eccesso di potere: difetto assoluto di istruttoria in quanto il provvedimento non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento; parte ricorrente si duole del fatto che il procedimento di revoca si sarebbe concluso contestualmente all’avvio e specificatamente in data 16 gennaio 2012, la stessa data della nota della Questura, senza consentirgli di esplicitare le proprie difese e senza comunicargli l’imminente privazione della sua professione; inoltre nel provvedimento sarebbe richiamata una circolare, in riferimento alla quale sarebbe stato negato il diritto di accesso, che sosterrebbe il contrario di quello che la circolare aventi pari protocollo, ma solo la data diversa, 2 aprile 2004 e non 19 aprile 2004, data della circolare indicata nel provvedimento impugnato; con la suddetta circolare (del 2 aprile 2004), versata in atti, il Ministero dell’Interno aveva invitato l’autorità  di P.S. a motivare congruamente i loro provvedimenti “non ritenendosi sufficiente il mero richiamo a denunce o querele o altri analoghi atti nei confronti del destinatario del provvedimento stesso, a “motivare” di per sè il divieto di detenere armi o munizioni”.
11. Risarcimento del danno; il sig. A. chiede la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno causato con il provvedimento impugnato sia nella sfera personale che nella sfera professionale, lavorativa e familiare in quanto ricorrerebbero tutti i presupposti di cui all’art. 2043 c.c.; in particolare il danno patrimoniale subito deriverebbe dalla mancata percezione della retribuzione per l’attività  lavorativa di guardia giurata per effetto della illegittima revoca prefettizia del decreto di approvazione della relativa nomina; chiede inoltre il risarcimento del danno biologico derivante dalla menomazione della sua integrità  psicofisica ed in particolare dal deterioramento dei rapporti nell’ambito lavorativo, sentimentale e familiare.
Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 14 marzo 2012 e depositato il 15 marzo 2012, il sig. Antonucci, ha chiesto l’annullamento della nota prot. n.16.B/DIV:PASI del 16 dicembre 2012 con la quale il Questore di Foggia aveva proposto alla Prefettura di Foggia la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola, impugnati con il ricorso introduttivo, nota rilasciata in data 16 febbraio 2012 a seguito di istanza di accesso agli atti presentata in data 15 febbraio 2012.
Avverso l’atto impugnato con il ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha riproposto le censure già  dedotte con il ricorso introduttivo ed ha altresì dedotto, nel secondo motivo di ricorso, l’illegittimità  del provvedimento per abuso di potere; considerato che la suddetta nota del Questore si limiterebbe a richiamare articoli del codice penale ed a riportare la descrizione delle fattispecie di reato alle quali i predetti articoli farebbero riferimento, senza alcuna altra indicazione, parte ricorrente sostiene che la motivazione del provvedimento di diniego non potrebbe ritenersi integrata con il richiamo per relationem, visto che neppure tale nota sarebbe idonea a sanare il vizio eccepito nel ricorso introduttivo; conclude, quindi, che la nota del Questore non aggiungerebbe nulla al provvedimento di revoca che sarebbe viziato dai vizi censure già  dedotti con il ricorso introduttivo, che parte ricorrente ha ritrascritto pedissequamente nel ricorso per motivi aggiunti.
Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero dell’Interno, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, chiedendo il rigetto del gravame.
L’Avvocatura Distrettuale dello Stato, rispettivamente in data 31 marzo e 3 aprile 2012, ha depositato le relazioni illustrative della Prefettura di Foggia prot. n. 487/2012/Area I^ Bis con la relativa documentazione allegata tra cui la circolare del Ministero dell’Interno avente lo stesso protocollo di quella prodotta da parte ricorrente, n. 557/PAS49O1.1017, ma adottata in data 19 aprile 2004, richiamata nel provvedimento impugnato.
Parte ricorrente ha prodotto documentazione e presentato una memoria per la camera di consiglio.
Alla camera di consiglio del 19 aprile 2012, con ordinanza n. 289, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare ed è stata disposta la fissazione dell’udienza pubblica del 29 novembre 2012 per la discussione del ricorso nel merito.
Entrambe le parti hanno depositato una memoria per l’udienza di discussione ed il sig. A. ha prodotto note di replica.
L’Avvocatura Distrettuale dello Stato nella memoria depositata in data 27 ottobre 2012 ha rappresentato, tra l’altro, che a carico del sig. Antonucci non vi sarebbe solo una mera denuncia, ma sarebbe pendente il procedimento penale n. 14112/11 ed ha concluso insistendo per il rigetto del ricorso.
Parte ricorrente nella memoria depositata in data 29 ottobre 2012, in riferimento al procedimento penale n. 14112/11, ha rappresentato che il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Foggia, con provvedimento del 20 giugno 2012, versato in atti, ne aveva disposto l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato; ha inoltre rappresentato che dal 16 febbraio 2012 al 19 aprile 2012, data della pubblicazione dell’ordinanza n. 289 con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare, non aveva percepito lo stipendio; che la Prefettura di Foggia successivamente alla suddetta ordinanza non aveva provveduto a restituirgli i titoli, restituzione avvenuta solo in data 16 maggio 2012 da parte della Questura di Foggia, a seguito di diffida da parte dei difensori; che a causa del ritiro coatto esso ricorrente non aveva potuto ricominciare la propria attività  lavorativa di guardia giurata in quanto medio tempore i titoli erano scaduti, con la conseguenza che dopo la riconsegna aveva dovuto attivare il procedimento di rinnovo usufruendo di altre ferie, fino al 29 giugno 2012, data in cui aveva ripreso servizio; alla luce di quanto sopra ha concluso chiedendo la condanna dell’amministrazione resistente, a titolo di risarcimento danni, alla refusione a suo favore delle due mensilità  di stipendio non percepito, pari a circa € 2.000,00 mensili, nonchè il danno patito anche sotto il profilo psicologico e del discredito familiare, sociale e di quello sopportato nel proprio ambiente di lavoro, da determinarsi anche eventualmente in via equitativa.
Nelle note di replica parte ricorrente ha contestato che solo in sede di giudizio parte resistente avrebbe cercato di motivare le ragioni dell’adozione del provvedimento di revoca dei titoli di polizia per cui è causa, entrando nel merito del procedimento penale di cui al provvedimento impugnato, truffa aggravata ai danni degli Ospedali Riuniti di Foggia; ha chiesto, inoltre, ove ritenuto utile dal Collegio, di disporre, in via istruttoria, l’acquisizione presso la Questura di Foggia, dei mattinali contenenti i turni giornalieri di tutti i dipendenti Metropol che ogni giorno vengono inviati ex lege alla suddetta Questura, al fine di comprovare ulteriormente la sua assoluta estraneità  rispetto agli OO.RR., presso i quali non avrebbe mai lavorato.
All’udienza pubblica del 29 novembre 2012 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Il ricorso introduttivo è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Colgono nel segno le seguenti censure dedotte nel primo, secondo e settimo motivo di ricorso, che il Collegio ritiene opportuno esaminare congiuntamente al fine di una completa più esaustiva analisi della vicenda dedotta nel presente giudizio.
Con il primo e secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce le seguenti censure: 1. violazione di legge: art. 3 della legge n. 241 del 1990, omessa ed insufficiente motivazione; 2. eccesso di potere: difetto assoluto di istruttoria in quanto il provvedimento non espliciterebbe le circostanze di fatto in base alle quali il Prefetto avrebbe ritenuto sussistenti i presupposti per la revoca di entrambi i titoli di polizia revocati, limitandosi ad un mero richiamo alla nota del 16 gennaio 2012, ad esso ricorrente sconosciuta, con cui il Questore di Foggia avrebbe segnalato alla Prefettura un suo presunto deferimento “all’Autorità  Giudiziaria per fatti che rientrano nella fattispecie astratta dei reati di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falso ideologico nella funzione di incaricato a pubblico servizio”, nè sarebbe stata effettuata alcuna attività  istruttoria o valutazione autonoma su quanto riferito dalla Questura.
Con il settimo motivo di ricorso parte ricorrente deduce altresì l’illegittimità  del provvedimento impugnato in quanto viziato per eccesso di potere: carenza dei presupposti di fatto e di diritto, omessa o carente motivazione su elementi decisivi, illogicità  e contraddittorietà  della motivazione, carenza di istruttoria, irragionevolezza in quanto non sussisterebbero a suo carico procedimenti penali pendenti, come risulterebbe dal certificato dei carichi pendenti versato in atti.
Il Collegio, premesso che nella fattispecie oggetto di gravame il provvedimento impugnato incide direttamente sulla posizione professionale del ricorrente, che lavora sulla base della sua nomina a guardia giurata, ritiene che, pur nella prevalenza dell’interesse pubblico alla prevenzione di uso improprio delle armi, nella specie deve evidenziarsi anche l’affidamento del ricorrente stesso nella validità  del titolo rilasciatogli dall’Autorità  amministrativa per il soddisfacimento di esigenze fondamentali (cfr. Consiglio di Stato, SezioneVI, n. 1890 del 2 aprile 2010) affidamento che richiede, pertanto, che nel caso concreto la potenziale inaffidabilità  dell’interessato debba essere adeguatamente accertata.
Al riguardo si ritiene che tale inaffidabilità  non sia stata adeguatamente accertata in capo al sig. A. in quanto, come sostenuto da parte ricorrente, il provvedimento oggetto di gravame si fonda esclusivamente e sostanzialmente sul presupposto del mero deferimento “all’Autorità  giudiziaria per fatti che rientrano nella fattispecie astratta dei reati di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e falso ideologico nella funzione di incaricato a pubblico servizio”, deferimento segnalato dalla Questura di Foggia con la nota Cat. 16B/Div.PASI del 16 gennaio 2012.
Il Collegio ritiene, infatti, che la mera denuncia all’Autorità  giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare in generale l’adozione di provvedimenti di divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti e, quindi, a maggior ragione nella fattispecie oggetto di gravame in quanto, come detto, il provvedimento di revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola incide direttamente sulla posizione professionale del ricorrente; nè a seguito della segnalazione del citato deferimento da parte della Questura di Foggia con la nota Cat. 16B/Div.PASI del 16 gennaio 2012, la Prefettura ha provveduto ad una autonoma valutazione dei fatti accertati dalla quale trarre il convincimento che fosse venuto meno il requisito dell’affidabilità .
L’atto impugnato, limitandosi ad un generico richiamo alla normativa di riferimento, ed adagiandosi su una motivazione per relationem con riferimento alla predetta nota della Questura, non individua alcun elemento da cui possa pervenirsi alla conclusione del venir meno nel ricorrente dei requisiti di buona condotta e di affidabilità  (da ritenersi sussistenti, fino a prova contraria) il quale soltanto potrebbe giustificare l’adozione del decreto di revoca del decreto di approvazione della nomina a guardia giurata particolare, avente come immediata e grave conseguenza la perdita del posto di lavoro (cfr. T.A.R. Napoli, Sezione V, n. 27140 del 7 dicembre 2010).
Aderendo all’orientamento della giurisprudenza amministrativa già  fatto proprio non solo da questo Tribunale ma anche da questa Sezione e dal quale non si ha motivo di discostarsi, si ritiene che ancorchè nella materia in esame ricorra ampia discrezionalità  dell’Amministrazione nella valutazione relativa all’affidabilità  di un soggetto al porto delle armi, è necessario che siffatta discrezionalità  venga esercitata correttamente, con adeguata istruttoria e valutazione dei presupposti e con idonea logica motivazione, atteso che “il pericolo di abuso delle armi, che costituisce giusta e responsabile preoccupazione per le autorità  incaricate del rispetto dell’ordine pubblico e delle incolumità  delle persone, non solo deve essere comprovato ma richiede una adeguata valutazione non del singolo episodio ma anche della personalità  del soggetto sospettato che possa giustificare un giudizio necessariamente prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità , atteso che la mera denuncia all’Autorità  giudiziaria non è circostanza che da sola possa giustificare la revoca ovvero il diniego del porto d’armi” (cfr. da ultimo sentenza Sezione III n. 2147 del 12 dicembre 2012, n. 432 del 10 marzo 2011 e n. 3888 del 10 novembre 2010).
Conclusivamente, il Collegio ritiene che i profili di illegittimità  dedotti con le sopra illustrate censure abbiano una indubbia valenza assorbente rispetto agli altri motivi di gravame, sicchè la fondatezza delle dedotte censure comporta l’accoglimento del ricorso stesso e, conseguentemente, l’annullamento del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo, senza necessità  di pronunziarsi sugli ulteriori motivi d’impugnazione.
Passando al ricorso per motivi aggiunti, con il quale parte ricorrente ha chiesto l’annullamento della nota prot. n.16.B/DIV:PASI del 16 dicembre 2012 con cui la Questura aveva proposto alla Prefettura di Foggia la revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola, il Collegio ritiene che, trattandosi di atto endoprocedimentale, essa deve ritenersi non autonomamente impugnabile; devesi, conseguentemente, dichiarare l’inammissibilità  del ricorso per motivi aggiunti.
Il Collegio, ritenuto fondato il giudizio impugnatorio avverso il provvedimento di revoca dell’approvazione della nomina a guardia giurata e dell’autorizzazione al porto di pistola, passa quindi ad esaminare la domanda risarcitoria.
Parte ricorrente ha chiesto la condanna dell’amministrazione resistente, a titolo di risarcimento danni, alla refusione a suo favore delle due mensilità  di stipendio non percepito, pari a circa € 2.000,00 mensili, nonchè del danno patito anche sotto il profilo psicologico e del discredito familiare, sociale e di quello sopportato nel proprio ambiente di lavoro, da determinarsi anche eventualmente in via equitativa.
Iniziando dal danno patrimoniale occorre premettere che l’annullamento del citato provvedimento non determina ex se ed in via automatica la sussistenza di un danno ingiusto risarcibile ai sensi del paradigma normativo di cui all’art. 2043 c.c.; la delibazione sul petitum risarcitorio postula invece che ci si soffermi sulla ricorrenza di tre ulteriori condizioni: l’esistenza di un nesso eziologico tra provvedimento illegittimo ed evento dannoso, la sussistenza di una condotta dolosa o colposa imputabile all’amministrazione, la ricorrenza di un danno risarcibile.
Quanto al nesso eziologico è pacifico che per effetto del provvedimento di revoca emesso dal Prefetto in data 16 gennaio 2012 il ricorrente non ha prestato la propria attività  lavorativa di guardia giurata.
Circa l’aspetto dell’elemento soggettivo il giudice deve formulare il giudizio sulla “colpevolezza” dell’amministrazione, affermandola quando la violazione risulta commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile ravvisabile in presenza di circostanze che rendono la decisione oggettivamente incerta, anche per le difficoltà  di interpretazione delle norme o delle clausole da applicare.
Nella fattispecie oggetto di gravame, alla luce delle conclusioni cui è giunto il Collegio nel giudizio impugnatorio, si ritiene che il comportamento dell’Amministrazione non possa essere ritenuto giustificabile, non ricorrendo alcun elemento, nè di fatto nè di diritto, che possa rendere giustificabile l’adozione da parte dell’amministrazione dell’atto illegittimo per cui è causa.
Quanto alla ricorrenza di un danno risarcibile, esso è senz’altro ravvisabile sotto il profilo del danno patrimoniale subito dal ricorrente per la mancata percezione della retribuzione per l’attività  lavorativa di “guardia giurata” presso l’Istituto di Vigilanza “METROPOL” per effetto della illegittima revoca prefettizia del decreto di approvazione della nomina.
Più precisamente, il provvedimento di revoca impugnato in questa sede ha impedito al ricorrente l’esercizio dell’attività  lavorativa e gli ha arrecato un danno, in termini di mancato guadagno, per tutto il periodo in cui tale attività  avrebbe potuto essere svolta se l’Amministrazione avesse legittimamente operato.
Invero il ricorrente risulta essere stato sospeso dal servizio, con conseguente mancata percezione della connessa retribuzione, dal 16 febbraio 2012 al 19 aprile 2012, data della pubblicazione dell’ordinanza n. 289 con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare, mentre nel periodo che va dalla notifica dell’impugnato provvedimento di revoca dei titoli di polizia, 31 gennaio 2012, al 15 febbraio 2012, risulta avere usufruito di un periodo di ferie retribuite.
Circa la quantificazione del danno in parola, la giurisprudenza civilistica in materia di risarcimento del danno per mancata prestazione dell’attività  lavorativa a seguito di licenziamenti illegittimi – e che può applicarsi al caso in esame – ha statuito che, ai fini della liquidazione del danno sulla base delle retribuzioni non percepite dal lavoratore, non è necessaria la dimostrazione da parte dello stesso della permanenza dello stato di disoccupazione per tutto il periodo successivo al licenziamento, poichè grava sul datore di lavoro l’onere di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l'”aliunde perceptum” o l'”aliunde percipiendum”, allo scopo di conseguire il ridimensionamento della quantificazione del danno (cfr. T.A.R. Lazio Sezione I Ter, n. 799 del 2 febbraio 2007, T.A.R. Napoli, Sezione IV, n. 18312 del 2 novembre 2005 e Cass. Sez. Lavoro, n. 5662 del 08/06/1999; n. 1610 del 24/02/1999, ivi richiamate).
Al ricorrente va pertanto riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale subito per effetto della mancata percezione della retribuzione per l’intero periodo di sospensione dal servizio, commisurato sotto tale profilo all’effettivo importo mensile della retribuzione moltiplicato per i mesi in cui il lavoratore è stato sospeso, eccettuate le componenti stipendiali presupponenti l’effettiva prestazione dell’attività  lavorativa.
Trattandosi di credito di valore spettano al ricorrente gli interessi legali dalla data di consumazione del fatto illecito e la rivalutazione monetaria.
Va invece respinta la richiesta di risarcimento del danno biologico derivante dalla menomazione della sua integrità  psicofisica, pure formulata con il ricorso introduttivo, in quanto genericamente formulata e non provata; per giurisprudenza pacifica, sia amministrativa che della Corte di Cassazione, infatti, il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità  psico-fisica medicalmente accertabile, circostanza questa che non risulta provata nella fattispecie oggetto di gravame (cfr. T.A.R. Bari Sez. III, n. 2146 del 12 dicembre 2012).
Quanto alla richiesta di risarcimento del danno che parte ricorrente assume patito sotto il profilo psicologico ed in particolare dal deterioramento dei rapporti nell’ambito lavorativo, sentimentale e familiare, del discredito familiare, sociale e di quello sopportato nel proprio ambiente di lavoro, da determinarsi anche eventualmente in via equitativa, essa va respinta per mancanza di prova.
La giurisprudenza, infatti, ha riconosciuto al lavoratore che provi il nesso causale tra la condotta lesiva del datore di lavoro ed una serie di conseguenze pregiudizievoli a lui occorse -quali, ad esempio, oltre al danno patrimoniale ed al danno biologico, il danno all’immagine, il danno da demansionamento, le sofferenze per le mortificazioni subite e, più in generale, la mancata esplicazione della propria personalità  attraverso l’attività  lavorativa- il diritto al risarcimento di tale pregiudizio – con liquidazione da effettuarsi sulla base di criteri equitativi, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico.
Tuttavia nel caso in esame la richiesta risarcitoria inerente al danno all’immagine, dovendo considerarsi tale il discredito che assume sopportato nel proprio ambiente di lavoro, anche a volerlo latamente intendere come danno esistenziale legato all’illegittimo diniego dell’esplicazione della propria professionalità  – seppur per fatto dipendente non dal proprio datore di lavoro, bensì per c.d “factum principis” a seguito dell’illegittima revoca del decreto di approvazione della nomina del ricorrente a guardia giurata, non risulta provato, come non risultano provate le ulteriori voci di danno di cui si chiede la condanna dell’amministrazione resistente.
In tema di risarcimento dei danni da sospensione illegittima dell’attività  lavorativa, infatti, la prestazione patrimoniale commisurata alla retribuzione mensile spettante al dipendente illegittimamente sospeso è destinata a risarcire il danno intrinsecamente connesso alla impossibilità  materiale per il lavoratore di eseguire la propria prestazione lavorativa. La corresponsione di tale voce risarcitoria non esclude, come osservato, che il lavoratore illegittimamente sospeso possa avere subito danni ulteriori alla propria professionalità  o alla propria immagine a causa del suddetto provvedimento illegittimo.
Tuttavia, mentre in relazione alla misura del risarcimento dei pregiudizi economici che si configurano come ineliminabili e immancabili conseguenze dell’inattività  lavorativa a seguito della sospensione illegittima dall’attività  lavorativa incombe sul datore di lavoro l’onere di provare che nel corso della sospensione del rapporto lavorativo il lavoratore abbia eventualmente percepito ulteriori emolumenti, grava sul lavoratore l’onere di provare di avere subito danni alla propria professionalità  e alla propria immagine, ulteriori e diversi da quelli già  risarciti attraverso l’attribuzione della indennità  risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto per il periodo intercorrente tra la sospensione e la reintegrazione Il danno all’immagine, così come quello alla professionalità , non può infatti ritenersi esistente “in re ipsa” in ogni ipotesi di illegittima sospensione dal servizio, ma deve essere puntualmente dedotto e dimostrato (T.A.R. Napoli, Sezione IV, n. 18312 del 2 novembre 2005 cit.).
In particolare devesi evidenziare che alla luce dell’ultimo orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione (cfr. ex multis n. 26972 dell’11 novembre 2008, confermata da n. 3677 del 16 gennaio 2009), al quale ha aderito la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. tra le tante Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716), già  condivisa da questa Sezione, il danno esistenziale non costituisce voce autonoma di danno; il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sotto categorie; al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità  risarcitoria non patrimoniale; non sono meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale; pertanto, nell’art. 2059 c.c. trovano tutela solo le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona, non altrimenti rimediabili. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716, citata, T.A.R. Bari Sez. III, n. 2043 dell’8 settembre 2009).
Tuttavia, anche a voler ammettere la sua configurabilità  per una tipologia di danno quale quella addotta nel caso di specie, incidendo sul diritto al lavoro, la relativa domanda va comunque rigettata in quanto il diritto al risarcimento del danno esistenziale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità  del pregiudizio (Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009 citata e da ultimo T.A.R. Bari, Sez. III, n. 2146 del 12 dicembre 2012 cit.).
Il danno esistenziale – da intendere come qualsiasi danno che l’individuo subisca alle attività  realizzatrici della propria persona, ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità  nel mondo esterno – deve essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni; il ricorrente deve fornire la prova dell’esistenza di tale danno e del nesso di causalità  con l’inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità  lesiva della condotta di parte resistente, incombendo su parte ricorrente che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c. (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 17 settembre 2010 n. 19785 richiamata da Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 6608 del 15 dicembre 2011).
Nel caso oggetto del presente giudizio parte ricorrente non ha allegato alcun elemento atto a comprovare, anche in via presuntiva, tale forma di danno, di guisa che la domanda deve essere rigettata.
Conclusivamente, la domanda di risarcimento del danno va accolta nei limiti sopra specificati e l’amministrazione va condannata al risarcimento del danno patrimoniale subito dal ricorrente, nella misura degli stipendi non percepiti per il periodo di sospensione dell’attività  lavorativa, dal 16 febbraio 2012 al 19 aprile 2012, con interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il Collegio, alla luce dell’esito della causa, in considerazione del principio della soccombenza reciproca, ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, accoglie il ricorso introduttivo e per l’effetto annulla il provvedimento prot. 487/05/Area I Bis del 16 gennaio 2012 del Prefetto della Provincia di Foggia; dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti.
Accoglie in parte la domanda risarcitoria, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto condanna parte resistente al risarcimento del danno patrimoniale in favore del ricorrente, nella misura di cui in motivazione, oltre agli interessi legali, da calcolarsi dalla data del fatto illecito fino al soddisfo, e rivalutazione monetaria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Rosalba Giansante, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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