1. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Titolo edilizio – Ristrutturazione – DIA – Presupposti


2. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Ordine di demolizione – Motivazione -Contenuto

1. La ristrutturazione edilizia attuata mediante demolizione e ricostruzione è soggetta alla dichiarazione di inizio attività  nella sola ipotesi in cui porti alla realizzazione di un organismo che abbia la stessa volumetria e la stessa sagoma di quello preesistente.


2. L’ordinanza di demolizione quale atto repressivo di natura vincolata è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività  dell’opera e non necessita di una motivazione sulla comparazione di interessi e sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.

N. 00054/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00736/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 736 del 2008, proposto da: 
Michele Tannoia, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Genovese, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniele Varola in Bari, corso Vittorio Emanuele II, n. 179; 

contro
Comune di Andria, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Di Bari e Giuseppe De Candia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv Alberto Bagnoli in Bari, via Dante Alighieri, n. 25; 

per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
“del provvedimento emesso dalla Città  di Andria – Settore pianificazione del territorio, emesso in data 26.02.2008, con il quale è stato ordinato al sig. Tannoia Michele, all’impresa esecutrice dei lavori IEVA Costruzioni S.r.l. della quale legale rappresentante pro tempore è il Sig. IEVA Amato e al direttore dei lavori arch. Selano Giovanni Alessandro la demolizione delle opere realizzate presso il lastrico solare di un preesistente fabbricato ubicato tra via Vaglio n. 28 e via Stefano Jannuzzi n. 3 ed il ripristino dello stato dei luoghi.”
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Andria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 novembre 2012 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori, gli avv.ti Vincenzo Genovese e Giuseppe De Candia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
Espone in fatto il sig. Michele Tannoia che, con ordinanza n. 498 del 26 novembre 2006, notificata il 29 novembre 2007, il Comune di Andria aveva disposto nei suoi confronti l’immediata sospensione dei lavori eseguiti presso il lastrico solare di un preesistente fabbricato ubicato tra via Vaglio n. 28 e via Stefano Jannuzzi n. 3 in assenza del permesso di costruire, senza il preventivo deposito del progetto presso il competente Ufficio del Genio Civile, in zona sismica, in zona classificata A/1 nel vigente P.R.G. e consistenti nella realizzazione delle opere specificate nell’ordinanza stessa.
Riferisce che successivamente, in data 21 dicembre 2007, veniva emanata l’ingiunzione di demolizione n. 540, notificata il 28 dicembre 2007, avverso la quale esso ricorrente aveva proposto ricorso giurisdizionale, chiedendo la sospensione in via cautelare dell’ingiunzione impugnata; che, a seguito di ulteriore sopralluogo dell’Ufficio Tecnico Comunale, il Comune di Andria, in data 26 febbraio 2008, aveva emesso l’ordinanza n. 110, notificata in data 27 febbraio 2008, con la quale aveva revocato la precedente ingiunzione di demolizione n. 540 del 21 dicembre 2007 in quanto ritenuta non congruamente rappresentativa della consistenza delle opere nella stessa descritte e, nel contempo, aveva disposto la demolizione delle opere in essa specificate ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Il sig. Tannoia ha quindi proposto il presente ricorso, ritualmente notificato il 24 aprile 2008 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 24 maggio 2008, con il quale ha chiesto l’annullamento della citata ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 110 del 26 febbraio 2008, adottata nei suoi confronti dal Comune di Andria.
A sostegno del ricorso sono state articolate le seguenti censure: 1. violazione di legge, 2. eccesso di potere, 3. carenza di motivazione.
Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Andria eccependo l’inammissibilità  del ricorso per la mancata impugnazione sia dell’ordinanza di sospensione dei lavori che dell’ordinanza di demolizione revocata con il provvedimento oggetto dell’odierno gravame, deducendo l’infondatezza del ricorso stesso e chiedendone il rigetto.
Entrambe le parti hanno prodotto documentazione.
Alle camere di consiglio del 5 giugno 2008, 8 ottobre 2008 e 19 novembre 2008 la causa è stata rinviata; alla camera di consiglio del 15 gennaio 2009 si è preso atto della dichiarazione del difensore di parte ricorrente di rinuncia alla istanza incidentale di sospensione cautelare ed è stata disposta la fissazione del ricorso nel merito per l’udienza del 25 marzo 2009.
Alle udienze pubbliche del 25 marzo 2009, 14 ottobre 2010 e 18 dicembre 2009 la causa è stata rinviata.
In data 18 dicembre 2009 parte ricorrente ha depositato la proposta del piano di recupero presentata al Comune resistente ed assunta al protocollo comunale in data 9 aprile 2009.
Il Comune di Andria ha presentato una memoria per l’udienza di discussione del 5 aprile 2012.
All’udienza pubblica del 5 aprile 2012 la causa è stata rinviata; all’udienza pubblica del 15 novembre 2012 la causa è stata infine chiamata e assunta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio ritiene, innanzitutto, di poter prescindere dall’esame delle eccezioni di inammissibilità  sollevate dal Comune di Andria essendo il ricorso infondato nel merito.
Nel merito, come anticipato, l’odierno gravame è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
Il Collegio ritiene opportuno esaminare congiuntamente i primi due motivi di ricorso, al fine di una completa più esaustiva analisi della vicenda dedotta nel presente giudizio.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto il vizio di violazione di legge sia in riferimento alla denuncia di inizio di attività  che alla normativa antisismica.
In relazione alla denuncia di inizio di attività , il ricorrente, dopo aver ricostruito la storia dell’istituto ripercorrendo cronologicamente la relativa normativa, lamenta che nella fattispecie oggetto di gravame il manufatto per cui è causa non sarebbe stato realizzato ex novo, ma si tratterebbe di una operazione di demolizione-ricostruzione, operazione resasi necessaria e comunque comunicata al Comune resistente in data 12 ottobre 2007 con nota assunta al protocollo comunale n. 74608/2007 nella quale era stato rappresentato che le opere stesse consistevano nel risanamento igienico sanitario e nell’eliminazione di tutte le cause che avevano determinato dissesti e infiltrazioni ed erano motivate da sopraggiunte condizioni di indifferibilità ; parte ricorrente lamenta che dal 12 ottobre 2007 al 21 dicembre 2007, data della emanazione della prima ingiunzione di demolizione, il Comune sarebbe rimasto inerte non rilevando che le opere non rientrassero tra quelle assentibili con la DIA o quanto meno che la DIA fosse un contrasto con gli strumenti urbanistici; comunque gli interventi non sarebbero così rilevanti da giustificare l’adozione del provvedimento di demolizione in quanto sarebbero difformi dalla DIA ma non richiederebbero il permesso di costruire; per quanto riguarda la sagoma il manufatto differirebbe dal preesistente proprio per “l’eliminazione della parte di suppenne gravitante sul muro di prospetto e per il conseguente differente allineamento dei muri perimetrali, sebbene quasi del tutto coincidenti con quelli preesistenti”; “tali minime differenze” sarebbero state “motivate dalla necessità , in fase di ricostruzione, di sanare per quanto possibile vizi e difetti strutturali del preesistente, come per esempio i muri perimetrali non piombati sulle murature e gravanti direttamente sulle volte sottostanti”; parte ricorrente aggiunge che della necessità  della demolizione di parti anche strutturali delle suppenne, intervento che rientrerebbe tra quelli di manutenzione straordinaria, e successiva ricostruzione, avrebbe dato tempestiva comunicazione in data 12 ottobre 2007, ai sensi dell’art. 7 del regolamento edilizio del Comune di Andria.
In ordine al contestato mancato deposito del progetto presso il competente Ufficio del Genio Civile, a suo avviso, trattandosi di tipologie di manufatti ricadenti nella classe IV ai sensi della delibera di G.R. n. 2481 del 9 aprile 1986, non comprendenti manufatti in cemento armato, non sarebbe stato necessario il suddetto deposito; infine parte ricorrente lamenta che, pur ammettendo che la realizzazione di un’opera presso il lastrico solare di un preesistente fabbricato possa eventualmente configurarsi come nuova costruzione, essa comunque non avrebbe trasformato lo stati dei luoghi “deturpandolo” con interventi contrastanti con l’ambiente urbanistico circostante.
In riferimento alla normativa antisismica parte ricorrente, premesso che i Comuni situati in zone sismiche prima dell’adozione dei provvedimenti di irrogazioni delle sanzioni sarebbero obbligati a chiedere il parere del competente Ufficio Tecnico Regionale, si duole che nella fattispecie oggetto di gravame tale parere non sarebbe stato richiesto.
Con il secondo motivo di ricorso il sig. Tannoia ha dedotto l’illegittimità  del provvedimento impugnato in quanto affetto dal vizio di eccesso di potere; parte ricorrente si duole della mancata applicazione dell’art. 33, comma 4, del d.p.r. n. 380 del 2001 alla luce del quale, per gli immobili ubicato nella zona A di cui al d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, occorrerebbe il preventivo parere alla Soprintendenza, parere che il Comune non avrebbe richiesto.
Il primo motivo di ricorso è privo di pregio.
Occorre ricordare che, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità  dell’atto la fondatezza anche di una sola di esse.
Considerato che il provvedimento impugnato è un atto plurimotivato, in quanto adottato sulla base dell’asserita “assenza del permesso di costruire” nonchè “senza il preventivo deposito del progetto presso il competente Ufficio del Genio Civile, in zona sismica, in zona classificata A/1 nel vigente P.R.G.”, esso deve ritenersi legittimo perchè coglie nel segno ed è sufficiente a sorreggerne il dispositivo la prima ragione ostativa con la quale il Comune ha disposto il diniego per cui è causa.
La questione centrale posta dall’odierno ricorso è infatti stabilire se nella fattispecie per cui è causa occorresse il permesso di costruire o fosse sufficiente la denuncia di inizio di attività  in quanto in quest’ultima ipotesi le opere realizzate non sarebbero soggette alla sanzione della demolizione.
In punto di diritto l’art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2001, nella versione risultante alla data di adozione del provvedimento impugnato, al comma 1, lettera d) definisce, quali interventi di “ristrutturazione edilizia”, “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica;”.
In mancanza dei requisiti previsti dal suddetto art. 3 l’intervento non può essere qualificato quale ristrutturazione edilizia, bensì quale nuova edificazione. La lettera e) del medesimo comma 1 dell’art. 3 ricomprende infatti tra gli “interventi di nuova costruzione” quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti.
Due sono, dunque, le ipotesi di ristrutturazione previste dall’art. 3 del d.p.r. n. 380 del 2001: quella contemplata dalla prima parte della norma (c.d. intervento conservativo), che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 ottobre 2007, n. 5214; Cass. pen, 17 febbraio 2010, n. 16393) e quella (c.d. intervento ricostruttivo) attuata mediante demolizione e ricostruzione, vincolata al rispetto di volume e sagoma dell’edificio preesistente.
Quanto al titolo abilitativo necessario per realizzare ristrutturazioni edilizie, l’art. 10 del d.p.r. n. 380 del 2001 subordina a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione c.d. pesante, quelli cioè che “portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità  immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso”.
In tutte le altre ipotesi di ristrutturazione c.d. leggere – quelle cioè di portata minore – è sufficiente la previa presentazione della dichiarazione di inizio attività .
La ristrutturazione attuata mediante demolizione e ricostruzione è, quindi, soggetta alla sola dichiarazione di inizio attività  solo se porta alla realizzazione di un organismo che abbia la stessa volumetria e la stessa sagoma di quello preesistente.
La giurisprudenza accoglie un’interpretazione restrittiva del concetto di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, sempre volta a cogliere gli elementi che differenziano tale tipologia di intervento da quello di nuova costruzione.
Ad un primo orientamento che escludeva la demolizione e ricostruzione dalla fattispecie di ristrutturazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 febbraio 1996, n. 144), è seguito l’orientamento, trasfuso nel Testo Unico dell’edilizia, che ha compreso la fattispecie nella categoria della “ristrutturazione” purchè “fedele”, in quanto modalità  estrema di conservazione dell’edificio preesistente nella sua consistenza strutturale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2000, n. 4397).
Per la giurisprudenza pressochè unanime, anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico-sistematica della nuova normativa inducono a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma e volumi; diversamente opinando, sarebbe, difatti, sufficiente la preesistenza di un edificio per definire ristrutturazione qualsiasi nuova realizzazione eseguita in luogo o sul luogo di quella preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1177/2008; sez. V, n. 476/04; n. 5310/03; n, 4593/03; 18 marzo 2008, n. 1177; 8 ottobre 2007, n. 5214; 16 marzo 2007, n. 1276; 22 maggio 2006, n. 3006; Cass., sez. III, 26 ottobre 2007, 18 marzo 2004).
Il legame con l’edificio preesistente, quanto a sagoma – intendendosi con tale concetto “la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale”, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti (cfr. Cass. sez. III, 23 aprile 2004, n. 19034) – e a volumetria, costituisce, quindi, per unanime giurisprudenza, il criterio distintivo degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente dalle nuove costruzioni.
Alla luce di quanto sopra, passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame, il Collegio ritiene che legittimamente il Comune resistente abbia ritenuto necessario il permesso di costruire per le opere per cui è causa; ad avviso del Collegio, infatti, le opere oggetto dell’intervento in contestazione non possano rientrare nè tra quelle di manutenzione straordinaria, nè in quelle di ristrutturazione edilizia, come sostenuto da parte ricorrente, bensì tra gli interventi di nuova costruzione alla luce della risolutiva circostanza che gli interventi realizzati, come ammesso dallo stesso ricorrente, hanno prodotto modifiche alla sagoma dell’immobile preesistente.
Occorre precisare che parte ricorrente deducendo con il secondo motivo di ricorso la violazione dell’art. 33 del d.p.r. n. 380 del 2001 che disciplina “gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità ” ha sostanzialmente qualificato come ristrutturazione edilizia le opere di cui all’intervento realizzato, seppure ritenuto nel primo motivo di ricorso “finalizzato al risanamento igienico sanitario”.
Devesi inoltre evidenziare che nella comunicazione assunta al protocollo generale del Comune di Andria in data 12 ottobre 2007, con la quale il ricorrente aveva comunicato l’inizio dei lavori indifferibili ed urgenti, lo stesso ricorrente si era riservato di presentare DIA in variante e nella nota del 21 dicembre 2007 aveva esso stesso ricorrente richiesto un ulteriore accertamento da parte del Comune ritenuto dal medesimo ricorrente “indispensabile al fine di determinare quale tipo di richiesta di titolo abilitativo debba essere fatta per completare le opere elencate e comunicate dal Sig. Tannoia con istanza ex art. 7 del Regolamento edilizio.”.
Parte ricorrente inoltre rappresenta in ricorso che l’abuso potrebbe essere sanato con l’accertamento di conformità , ma la relativa istanza non risulta essere stata presentata, nè risulta aver avuto seguito la proposta del piano di recupero presentata al Comune resistente ed assunta al protocollo comunale in data 9 aprile 2009, depositata in giudizio in data 18 dicembre 2009.
Deve altresì ritenersi privo di pregio anche il secondo motivo di ricorso.
Il Collegio, ritenuta la necessità  del permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), deve conseguentemente concludere per l’inapplicabilità  nella fattispecie oggetto di gravame dell’art. 33, del d.p.r. n. 380 del 2001 che disciplina “gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità “.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità  del provvedimento impugnato per carenza di motivazione in quanto dal provvedimento impugnato non si evincerebbe il percorso logico giuridico seguito dal Comune di Andria ai fini dell’adozione del provvedimento stesso.
Anche quest’ultima censura deve ritenersi infondata.
Il Collegio ritiene infatti che il provvedimento impugnato indichi in modo chiaro i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241 del 1990.
Sulla scorta di consolidata e condivisibile impostazione giurisprudenziale, si ritiene che il provvedimento repressivo emesso dal Comune sia sufficientemente motivato mediante la descrizione delle opere e la constatazione che esse non sono state precedute da permesso di costruire.
Presupposto per l’adozione di tale provvedimento è, infatti, soltanto la constatata esecuzione dell’opera in difformità  dalla concessione o in assenza della medesima, con la conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività  dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla sua rimozione nè, trattandosi di atti del tutto vincolati, è necessaria una comparazione di interessi e una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (Consiglio Stato, Sezione V, 07 settembre 2009 , n. 5229; T.A.R. Campania Napoli, Sezione IV 12 febbraio 2010, n. 897, Sezione VI, 7 settembre 2009, n. 4899; T.A.R. Lazio Roma, Sezione I, 16 luglio 2009, n. 7036, Sezione I, 2 aprile 2009, n. 3579).
Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il sig. Michele Tannoia al pagamento delle spese processuali e degli onorari di giudizio, che liquida in complessive € 2.000,00 (duemila/00) in favore del Comune di Andria.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere
Rosalba Giansante, Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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