1. Ambiente ed ecologia – Rifiuti – Competenza esclusiva dello Stato – Fattispecie  


2. Ambiente ed ecologia – Inquinamento – Pianificazione – Esercizio attività  discarica – Art. 2.4.2 allegato I del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 – Interpretazione

1. I rifiuti rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, mentre le Regioni, nel rispetto della normativa statale, possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.) livelli di tutela più elevati al fine di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. 


2. La disposizione dell’art. 2.4.2.-Barriera geologica dell’Allegato I al D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36,  non detta un principio di piena alternatività  e indifferenza tra barriera geologica e barriera artificiale, ma si limita a prevedere il “completamento” delle eventuali insufficienze tipologiche del terreno, tramite l’intervento dell’uomo; sicchè, nella logica del sistema, continuano a prevalere le caratteristiche geologiche del terreno a prescindere dalla prevista possibilità  di interventi artificiali integrativi.
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Vedi Cons. St., sez. V, sentenza 13 maggio 2014, n. 2432 – 2014 ric. n.  4840 – 2013. 
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N. 02100/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00492/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 492 del 2010, proposto da: 
Bleu s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Bice Annalisa Pasqualone e Chiara Chianese, con domicilio eletto presso la prima in Bari, alla via Dalmazia n.161; 

contro
Regione Puglia, in persona del Presidente della G.R., rappresentata e difesa dall’avv. Maria Liberti, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura regionale, al lungomare Nazario Sauro, nn.31-33; 

per l’annullamento
a) della deliberazione n. 2668 del 28.12.2009 della Giunta Regionale Pugliese di “Approvazione dell’aggiornamento del piano di Gestione dei rifiuti speciali nella Regione Puglia”;
b) di tutti gli atti connessi, presupposti e conseguenti, ancorchè non conosciuti;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2012 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori avv. D. Curigliano, su delega dell’avv. B. A. Pasqualone e avv. M. Liberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1.- La società  ricorrente è proprietaria di un’area in agro di Canosa, località  “Tufarelle”, ove è autorizzata a realizzare e gestire un impianto di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi (ex II cat. Tipo B).
Con il d.lgs. n.36/2003 è entrata in vigore la nuova disciplina delle discariche, attuativa della direttiva 1999/31/CE. In particolare le discariche sono state riclassificate in tre categorie a fronte delle cinque previste dalle precedenti disposizioni: a) discariche per rifiuti inerti; b) discariche per rifiuti non pericolosi; c) discariche per rifiuti pericolosi (cfr. art.4 del citato decreto). Lo stesso decreto ha previsto un regime transitorio (art.17) che, in virtù di successive proroghe, è rimasto in vigore fino al 30.6.2009 (cfr. art.5, comma 1 bis, D.L. n.208/2008, conv. con legge n.13/2009); sino a tale data, pertanto, non hanno trovato applicazione i nuovi criteri e procedure di ammissibilità  dei rifiuti in relazione a ciascuna tipologia di discarica, come specificati nel D.M. 3.8.2005 in conformità  al decreto legislativo n.36 in esame. Il D.M. del 2005 è stato poi -medio tempore- sostituito dal successivo decreto del Ministero dell’Ambiente 27.9.2010.
Per quanto rileva ai fini della controversia che ci occupa, vengono in considerazione due disposizioni della richiamata disciplina normativa di fonte ministeriale, attuativa -si ribadisce- del d.lgs. n.36/2003: gli artt.6 e 7.
L’art.6 , con riferimento alle discariche per lo smaltimento di rifiuti non pericolosi (quale quella gestita dalla società  ricorrente), ha stabilito che possono essere smaltiti “rifiuti non pericolosi che hanno una concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25% e che, sottoposti a test di cessione di cui all’allegato 3, presentano un eluato conforme alle concentrazioni fissate in tabella 5”. Il successivo art.7, al comma 1, ha poi individuato tre sottocategorie di discariche per rifiuti non pericolosi (per rifiuti inorganici a basso contenuto organico o biodegradabile; per rifiuti in gran parte organici da suddividersi in discariche considerate bioreattori con recupero di biogas e per rifiuti organici pretrattati; per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o biodegradabili); ha rinviato per la individuazione dei criteri di ammissibilità  relativi a ciascuna delle predette sottocategorie alle Autorità  territorialmente competenti in sede di rilascio dell’autorizzazione (comma 2), parametrandoli a indici quali le caratteristiche dei rifiuti, la valutazione di rischio con riferimento alle emissioni della discarica e l’idoneità  del sito e contemplando la possibilità  di deroga in relazione ad alcuni dei previsti parametri; più precisamente DOC, TOC e TDS.
Poichè gli impianti in questione sono soggetti al regime dell’Autorizzazione integrata ambientale, l’Autorità  territorialmente competente è -ai sensi del d.lgs. n.59/2005- la Regione; in particolare, la Regione Puglia ne ha disposto la delega in favore delle Province a partire dalle domande inoltrate dopo il 1° luglio 2007 (l.r. n.17/2007).
Tutta la vicenda che in concreto ci occupa ha preso le mosse da alcune istanze di riclassificazione di discariche esistenti nelle sottocategorie di cui al citato art.7, motivate sul rilievo che alcune tipologie di rifiuti ivi conferiti presentavano concentrazioni superiori ai limiti della tab.5 di cui al richiamato art.6, in relazione a taluni parametri; nella maggior parte dei casi il parametro per il quale è stata richiesta la deroga è il DOC (Carbone Organico Disciolto).
Tra queste istanze anche quella della ricorrente.
Orbene, a livello normativo sono risultate assenti indicazioni specifiche ai fini della valutazione del rischio prevista dal richiamato secondo comma dell’art.7 del citato D.M.; nè, a tale assenza, ha ovviato il Ministero dell’Ambiente in sede di adozione della nota di chiarimento prot. GAB-2009-0014963 del 3.6.2009. Qui non si rinviene alcuna indicazione per eventuali deroghe al parametro DOC oltre alla prevista generica possibilità  di imporre “ulteriorisoluzioni costruttive e gestionali correlate alle specifiche caratteristiche chimico fisiche dei rifiuti da allocare” in sede di valutazione del rischio associato allo smaltimento di tipologie di rifiuti non conformi ai criteri di ammissibilità .
La Regione Puglia, pertanto, si è determinata al rilascio di autorizzazioni semestrali provvisorie avviando contestualmente la definizione di linee guida.
Queste ultime sono state approvate con deliberazione di G.R. n.2560 del 22.12.2009 e poi richiamate nel nuovo piano regionale di gestione dei rifiuti speciali (approvato con deliberazione di G.R. n.2668 del 28.12.2009) nel paragrafo riservato alla classificazione in sottocategorie degli impianti di discarica.
In particolare in tale paragrafo è contenuto il regime delle deroghe che possono essere richieste ai sensi dell’art.10 del più volte richiamato D.M. 3.8.2005 (e che si dispone possano essere concesse previa approvazione dell’analisi di rischio da eseguire in base alle predette linee guida di cui alla delibera di G.R. 2560/2009) nonchè connesse alle richieste di classificazione in sottocategorie ex art.7 del D.M. citato.
In particolare, stando al piano di gestione in esame, queste ultime possono essere assentite, oltre che a seguito dell’approvazione dell’analisi del rischio ai sensi della delibera di G.R. n.2560 citata, soltanto ove verificate ulteriori due condizioni:
a) realizzazione sui comparti di discarica autorizzati ma non ancora interessati da conferimento di un ulteriore strato impermeabile in geomembrana e di un sistema di monitoraggio dei flussi di percolato tra i due strati;
b) realizzazione di un sistema di recupero di biogas (per le tipologie b e c).
Un’ultima notazione in punto di fatto e di ricostruzione della disciplina di riferimento.
Il regime transitorio di cui alle autorizzazioni in deroga semestrali rilasciate in prima battuta dalla Regione è stato prorogato in relazione a talune tipologie di rifiuti (deliberazione di G.R. n.23 del 19.1.2010), con conseguente possibilità  di deroga al DOC a certe condizioni (che, in definitiva, riproducono quelle su riportate e alle quali è sottoposta la deroga a regime) e con l’effetto sostanziale di concedere un termine per l’adeguamento dell’impianto alle nuove prescrizioni.
La società  B.L.E.U. s.r.l., odierna ricorrente, assume di ricevere una lesione in dipendenza delle previsioni del descritto nuovo piano di gestione regionale di rifiuti speciali di cui alla più volte richiamata delibera di G.R. n.2668/2009, oggetto del presente gravame, poichè applicabile anche agli impianti preesistenti nonchè ad eventuali ampliamenti; e la società  ricorrente stessa ha in corso un progetto di ampliamento.
Con atto depositato in data 14.7.2012 si è costituita in giudizio l’Amministrazione regionale eccependo l’inammissibilità  e comunque l’infondatezza del ricorso.
All’udienza dell’11 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
2.- Si prescinde dall’eccezione preliminare di inammissibilità  poichè il ricorso è infondato nel merito.
Con unico motivo di ricorso la società  ricorrente ha articolato diverse censure, sul piano della competenza all’adozione delle determinazioni gravate e nel merito delle stesse.
2.1.- Sul piano della competenza i rilievi sono di due ordini: a) incompetenza della Giunta regionale ai sensi dell’art.3, comma 6, della legge Regione Puglia n.30/1986 che riservava la competenza all’approvazione del Piano di gestione dei rifiuti al Consiglio regionale; b) incompetenza in assoluto della Regione che avrebbe individuato i criteri di costruzione delle discariche esercitando poteri spettanti allo Stato, in violazione degli artt.117, comma 2, lett.s) cost., degli artt.195, 196 e 199 del d.lgs. n.36/2003.
In ogni caso, la società  ricorrente lamenta che il procedimento seguito non sarebbe conforme all’art.3 citato poichè risulterebbe pretermessa la fase di adozione, quella di consultazione con le Province e con i Comuni nonchè la fase di partecipazione di tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, garantita anche dalla legge n.241/90.
2.1.1.-Partendo dalla censura assorbente (e cioè l’asserita assoluta incompetenza regionale nell’individuazione dei criteri costruttivi delle discariche) deve osservarsi preliminarmente che, affrontando la problematica del sistema di competenze in materia di gestione del ciclo dei rifiuti, la Corte costituzionale (Corte cost. 5 marzo 2009, n. 61) ha richiamato una serie di principi, già  più volte affermati, che disegnano una sistematica, secondo la quale:
<<a) i rifiuti rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (da ultimo sentenza n. 10 del 2009; vedi, anche, sentenze nn. 277 e 62 del 2008) e, conseguentemente, non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell’ambiente (vedi sentenze nn. 10 del 2009, 149 del 2008 e 378 del 2007);
b) le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, debbono rispettare la normativa statale di tutela dell’ambiente, ma possono stabilire per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze (in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.) livelli di tutela più elevati (vedi sentenze nn. 30 e 12 del 2009, 105, 104 e 62 del 2008). Con ciò certamente incidendo sul bene materiale ambiente, al fine non di tutelare l’ambiente, già  salvaguardato dalla disciplina statale, bensì di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle loro competenze. Si tratta cioè di un potere insito nelle stesse competenze attribuite alle Regioni, al fine della loro esplicazione>> (Corte cost. 5 marzo 2009, n. 61; nello stesso si veda anche la successiva 24 luglio 2009, n. 249).
Nella vicenda che ci occupa, ci troviamo esattamente di fronte ad una previsione (quella dell’art. 15 della deliberazione 28 dicembre 2009 n. 2668 della Giunta Regionale Pugliese) che incide sul ciclo di gestione dei rifiuti (e sull’attività  economica svolta dai gestori), ma con la precipua finalità  di raggiungere <<livelli di tutela più elevati>> rispetto a quelli previsti dalla normativa statale in una materia sicuramente e tipicamente di competenza regionale, quale la tutela della salute; finalità , quest’ultima, evidenziata dal fatto che i più elevati livelli di tutela riguardano specificamente i corpi idrici.
Peraltro, non può trascurarsi che le determinazioni gravate non siano destinate a disciplinare le modalità  costruttive delle discariche a norma (nelle quali cioè vengano rispettati a pieno i criteri di ammissibilità  dei rifiuti in ognuna delle categorie previste dal d.lgs. n.36/2003); bensì sono preordinate ad imporre cautele ulteriori a salvaguardia della salute pubblica nell’esercizio del potere ampiamente discrezionale di autorizzare l’esercizio di impianti in deroga ai predetti criteri, secondo le previsioni dell’art.10 della più volte richiamata disciplina ministeriale.
La censura di incompetenza assoluta della Regione (riportata sub a)) non può dunque trovare accoglimento.
2.1.2.- Considerazioni di analogo tenore impediscono altresì la condivisione delle ulteriori censure, entrambe riconducibili -sebbene sotto distinto profilo- all’asserita applicabilità  alla fattispecie che ci occupa dell’art.3 della l.r. n.30/86; e ciò a prescindere da qualsiasi valutazione circa la vigenza dell’art.3 stesso al momento di adozione della delibera gravata, esclusa dalla difesa regionale.
Sotto il profilo dell’asserita incompetenza della Giunta, deve invero osservarsi che la norma de qua, poichè specificamente preordinata a regolare la competenza alla “predisposizione, adozione e aggiornamento” del piano regionale per la gestione integrata dei rifiuti con riferimento agli impianti “a norma” secondo il quadro normativo statale di riferimento, non appare in ogni caso dirimente. Non è infatti in discussione la disciplina a regime della localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti, bensì la regolamentazione delle cautele che -nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale- l’Amministrazione ha ritenuto di prescrivere per gli impianti “non a norma” e che intendano beneficiare del regime derogatorio previsto -si ribadisce ancora una volta- dal citato art.10 del D.M. del 2005 (poi sostituito nel 2010).
In questa parte pertanto, alla quale la stessa ricorrente ha circoscritto il proprio interesse al gravame, la delibera oggetto di impugnazione ha portata regolamentare e non pianificatoria; con la conseguenza che del tutto legittimamente le relative determinazioni, in applicazione dell’art.44 dello Statuto regionale, sono state assunte dalla Giunta.
Se peraltro l’art.3 non può trovare applicazione alla fattispecie in esame, anche l’asserita inosservanza delle procedure ivi prescritte è destinata a non avere alcuna rilevanza ai fini della soluzione della controversia che ci occupa, restandone così travolta la relativa censura.
2.1.3.-Nè può trovare accoglimento la censura diretta a contestare in ogni caso la mancata preventiva audizione da parte della Giunta della Commissione consiliare competente. La contestazione è stata per la prima volta articolata nella memoria difensiva prodotta in data 20 settembre 2012 e neanche notificata, sicchè deve essere dichiarata inammissibile.
2.2.- Veniamo quindi alle censure mosse sul piano del merito delle prescritte cautele.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente la previsione del punto 2.4.2.-Barriera geologica dell’Allegato I al d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 (attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti) sarebbe espressione di un principio di piena equivalenza tra barriera geologica e barriera di confinamento artificiale giacchè, dopo aver individuato le caratteristiche fondamentali di permeabilità  e spessore del <<substrato della base e dei fianchi della discarica>> con riferimento alle diverse tipologie dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, reca una disposizione tesa a regolamentare le ipotesi in cui il suolo e il sottosuolo circostanti la discarica non raggiungano le dette caratteristiche, del seguente tenore: “la barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di cui sopra, può essere completata artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione equivalente” (terzo comma). Siffatta prescrizione renderebbe sostanzialmente inutile e irrazionale il riferimento alle caratteristiche geologiche del suolo circostante la discarica proprio perchè le predette caratteristiche potrebbero essere, in ogni caso, surrogate da idonea barriera artificiale; e, dunque, ne sarebbe confermata l’illegittimità  della previsione impugnata riferita in via esclusiva alle caratteristiche geologiche del suolo circostante la discarica, senza alcuna considerazione della possibilità  di realizzare una barriera di contenimento artificiale ad effetti equivalenti.
Ma la prospettazione non può essere condivisa.
Intanto, a ben guardare, la disposizione dell’art. 2.4.2.-Barriera geologica dell’Allegato I al d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 non detta un principio di piena alternatività  e indifferenza tra barriera geologica e barriera artificiale, ma si limita a prevedere il “completamento” delle eventuali insufficienze tipologiche del terreno, ai fini che ci occupano, tramite l’intervento dell’uomo; sicchè, nella logica del sistema, continuano a prevalere le caratteristiche geologiche del terreno a prescindere dalla prevista possibilità  di interventi artificiali integrativi.
Peraltro, le particolare cautele imposte dall’ente regionale, sia quanto alla peculiare consistenza del suolo sia quanto al previsto rafforzamento della barriera artificiale, devono ritenersi ancora una volta giustificate dall’eccezionalità  della deroga; in presenza cioè di eccezionali circostanze (quelle poste a base della deroga ex art. 10 del d.m. 3 agosto 2005), non può apparire irrazionale una disciplina più restrittiva che imponga una certa tipologia geologica del territorio circostante (quella argillosa) che offra maggiori garanzie sotto il profilo degli indici di permeabilità  (ossia degli indici previsti dal citato art. 2.4.2.-Barriera geologica dell’Allegato I al d.lgs. 13 gennaio 2003, n. 36), in riferimento a problematiche di possibile dispersione e passaggio nelle falde idriche di componenti nocive per la salute. Nè può dubitarsi della presenza di suoli argillosi in Puglia (come desumibile dalla stessa documentazione geologica depositata da parte ricorrente).
Si ribadisce ancora una volta: soltanto l’eccezionalità  della deroga (che, a differenza di quanto prospettato da parte ricorrente, non attiene alla “normalità ” del funzionamento della discarica) rende legittima l’eccezionale previsione regionale tesa ad imporre, nell’esercizio di un potere discrezionale, un ulteriore rinforzo artificiale della barriera geologica naturale con contestuale sistema di monitoraggio nei casi di discariche che accolgono rifiuti con parametri eccedenti i limiti massimi consentiti dal D.M. 3.8.2005; ossia rifiuti potenzialmente molto più pericolosi e maggiormente capaci di inquinare rispetto a quelli a norma. Del resto, l’art.199, comma 2, del d.lgs. n.152/2006, impone l’adozione -attraverso il piano regionale- di misure tese non soltanto alla riduzione della quantità  e dei volumi dei rifiuti ma anche della pericolosità  degli stessi.
2.3.- Un’ultima serie di censure concerne infine l’asserita illogicità  del Piano impugnato sotto due ulteriori distinti profili.
Per un verso, nella parte in cui impone che la localizzazione non solo dei nuovi impianti ma anche degli ampliamenti debba avvenire a distanza “sufficiente” da quelli esistenti al fine di distinguere ed
individuare i responsabili di un eventuale fenomeno di inquinamento, nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga”. Per altro verso, nella parte in cui prescrive che, rispetto agli impianti esistenti che non rispettino i nuovi criteri localizzativi delle discariche, debbano essere attivate procedure di delocalizzazione o previste idonee misure di mitigazione-compensazione.
2.3.1.- Sotto il primo profilo è appena il caso di osservare che parte ricorrente interpreta erroneamente la previsione gravata che ha evidentemente inteso imporre un’adeguata distanza degli ampliamenti non già  dagli impianti ai quali vengono annessi bensì dagli impianti confinanti. Lo stesso criterio dichiaratamente ispiratore della disposizione avvalla tale interpretazione, a prescindere da ogni valutazione circa la sua adeguatezza; non può invero dubitarsi che distinguere l’impianto principale dall’ampliamento successivamente annesso non può avere alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione dell’invocato principio “chi inquina paga” rinvenendosi in simili fattispecie un unico centro di imputazione della responsabilità .
2.3.2.- Sotto il secondo profilo vengono invece in rilievo due ordini di considerazioni.
Intanto nel nostro ordinamento non è rintracciabile alcuna norma che escluda la possibilità  di prevedere, in corso di esercizio di determinate attività , criteri più restrittivi che modifichino anche radicalmente il quadro economico avuto presente al momento di richiesta degli atti autorizzativi, ma che appaiano giustificati, come nel caso che ci occupa, da preminenti esigenze di tutela della salute dei cittadini.
Inoltre -e la considerazione che segue è assorbente- il Piano gravato non ha previsto tassativamente la delocalizzazione degli impianti preesistenti bensì contempla la possibilità  alternativa di adottare misure di mitigazione-compensazione non meglio precisate e, quindi, da definirsi in relazione alle concrete fattispecie; sicchè, allo stato, non si coglie la portata lesiva della previsione impugnata.
3.- In sintesi il ricorso deve essere respinto; considerata tuttavia la complessità  della vicenda, il Collegio ritiene opportuno procedere alla compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Giacinta Serlenga, Primo Referendario, Estensore
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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