1. Pubblica sicurezza – Gioco e scommesse – Apertura di CTD –  Concessione dell’AAMS – Necessità  – Conformità  dell’ordinamento interno all’ordinamento comunitario – Sussiste – Ragioni


2. Pubblica sicurezza – Gioco e scommesse – Apertura di CTD –  Concessione dell’AAMS – Bando – Clausola  impeditiva della partecipazione per impresa già  operante  all’estero –  Conformità  all’ordinamento comunitario – Sussiste 


3. Pubblica sicurezza – Gioco e scommesse – Apertura di CTD –  Concessione dell’AAMS – Bando – Impugnazione rituale  della  clausola escludente – Necessità 


4. Pubblica sicurezza – Gioco e scommesse – Rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario – Armonizzazione delle discipline – Necessità  – Non sussiste

1. L’art. 88 TULPS non è contrario all’ordinamento comunitario sotto il profilo della necessaria titolarità ,  in capo al richiedente l’autorizzazione di p.s. per l’apertura di un centro di raccolta e trasmissione di scommesse all’allibratore estero, della concessione dell’Amministrazione dei  monopoli di Stato (AAMS), sia perchè  il sistema concessorio-autorizzatorio è funzionale a canalizzare le attività  di gioco di azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale, sia perchè  il numero delle concessioni rese disponibili sul mercato è considerevole (pari a 16.000) e che molte di esse sono restate vacanti anche all’esito della gara. Ne discende che allo stato, il sistema italiano non può considerarsi ingiustificatamente limitativo della libertà  di stabilimento ed esercizio dell’attività  economica (nella specie, il TAR  è giunto  a dette conclusioni, previa analisi della giurisprudenza sul tema della Corte di Giustizia delle Comunità  Europee, Placanica – Costa – Cifone – CGCE C- 338 – 04, CGCE C – 72 e 77  – 2010).


2. E’ legittima – alla luce delle pronunzie della CGCE Placanica,  Costa, Cifone –    la clausola del bando per l’affidamento delle concessioni dell’AAMS che preveda l’incompatibilità  tra le autorizzazioni/concessioni tranfrontaliere e quelle italiane, imponendo all’operatore straniero di scegliere tra conservare l’attività  di raccolta delle scommesse nel Paese d’origine o avviare la medesima attività  in Italia. 


3. E’ necessaria la rituale impugnazione delle clausole del bando della gara per l’attribuzione delle concessioni dell’AAMS per l’esercizio delle attività  di scommesse, ove s’intenda contestare l’illegittimità  comunitaria della norma nazionale sulla quale si fonda il bando medesimo (la cd. illegittimità  comunitaria indiretta) e se  dette clausole risultino immediatamente lesive e impeditive della partecipazione alla gara.


4. La materia delle scommesse e del gioco di azzardo non è oggetto di armonizzazione in ambito comunitario, restando ogni Stato membro libero di adattare, nel rispetto dei principi fondamentali dell’Unione, la disciplina più adeguata al perseguimento dei propri interessi, rectius a prevenire una possibile deriva criminale.

N. 01312/2012 REG.PROV.COLL.
N. 02080/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2080 del 2010, proposto da: 
Angela Sardaro, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandra Piccinini, con domicilio eletto presso Giacomo Valla in Bari, via Q.Sella, 36; 

contro
Ministero dell’Interno; Questura di Bari, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso cui sono domiciliati in Bari, via Melo, 97;

per l’annullamento
– del provvedimento del Questore della provincia di Bari notificato in data 07.10.2010 con il quale è stata respinta l’istanza avanzata dalla ricorrente, volta ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) “per esercitare l’attività  di intermediazione priva di autonomia e rischio economico, servizio internet, di telecomunicazione e di trasmissione dati inerenti proposte negoziali di giocate relative a eventi, sportivi e non, di previsione e di abilità , in via telematica, presso i locali siti in Barletta, via Pizzetti n. 18, per conto della “Stanley Malta Limited” di “La Valletta (Malta)”;
– di ogni altro atto antecedente, presupposto, successivo e comunque consequenziale e/o connesso, anche non conosciuto, nonchè le comunicazioni di avvio procedimento e motivi ostativi ex l. 241/2010 della questura di bari ex artt. 7, 8 e 10 bis l. 241/1990 notificata in data 29.05.2010;
nonchè per il risarcimento
di tutti i danni subiti dalla ricorrente per effetto dei provvedimenti impugnati.
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Questura di Bari e di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2012 il dott. Sabato Guadagno e uditi per le parti i difensori avv. A. Piccinni e avv. dello Stato W. Campanile;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
La parte ricorrente ha posto in essere un rapporto contrattuale per operare quale centro trasmissione dati per una società  maltese, la Stanleybet Malta Limited di La Valletta (Malta), titolare di licenza per la raccolta e gestione di scommesse, in base al quale l’organizzazione delle scommesse (ivi compresa la loro accettazione) compete esclusivamente alla società  maltese, essendo riservato al gestore del centro di raccolta e trasmissione dati esclusivamente il compito di mettere in contatto lo scommettitore e la società  Stanleybet, che non risulta essere titolare di alcuna concessione in Italia per l’attività  in esame.
Il ricorrente impugna il provvedimento di diniego della Questura di Bari dell’autorizzazione ex art. 88 TUPLS, in considerazione della mancanza di concessione dell’AAMS in favore della Società  estera, deducendone l’illegittimità  sotto molteplici profili: violazione degli artt. 3, 10, 11, 15 e 41 Cost, del trattato CEE, .del R.D. n. 773/1931, della L. n. 401/89 e succ. mod., del D. L.vo n. 496/48, degli artt. 1 e 3 L. n. 241/90 ed eccesso di potere e chiedendo, in subordine, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per violazione del diritto comunitario.
Il ricorso è infondato.
Al riguardo il Collegio ritiene di confermare l’orientamento, espresso in una analoga controversia, su cui si è recentemente pronunciato (decisione n. 712/2012), rigettando il gravame.
In primo luogo parte ricorrente assume che l’art. 88 T.U.L.P.S., nel prevedere il rilascio della licenza per l’esercizio delle scommesse solo a favore di un soggetto titolare di concessione AAMS o suo incaricato, sarebbe incompatibile con il diritto comunitario, in particolare con il principio della libertà  nella prestazione dei servizi, che può essere limitato solo ove sussistano esigenze imperative di interesse generale e solo se la limitazione non si traduca in una norma di carattere discriminatorio e sproporzionato e sia giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi della attività  disciplinate. La normativa italiana relativa al rilascio delle concessioni per le scommesse ed i giochi d’azzardo, limitando la cerchia dei possibili concessionari, costituirebbe quindi una restrizione alla libertà  di stabilimento.
In altri termini il quadro comunitario risultante dall’interpretazione datane dalle pronunce della CGCE (in particolare sentenze Placanica e Costa- Cifone) imporrebbe al Giudice italiano di ritenere che la previsione di un sistema concessorio per l’esercizio dell’attività  di raccolta e gestione delle scommesse e del gioco d’azzardo sia incompatibile con l’ordinamento comunitario, con la conseguenza che il diniego di autorizzazione ex art. 88 TULPS non potrebbe essere più giustificato con la mancanza di concessione in capo al soggetto operante, essendo il sistema concessorio comunitariamente illegittimo.
Ad avviso del Collegio, non sono configurabili le dedotte censure di violazione degli artt. 3, 43, 45, 46, 49 del Trattato CE, disparità  di trattamento, violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità .
A. – A tal fine è opportuno richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalla cd. SENTENZA PLACANICA, CGCE, C 338-04, che ha preso in esame la posizione penale dei titolari di centri di raccolta e trasmissione dati, sforniti di autorizzazione ex art. 88 TULPS a causa della mancanza di concessione in favore della società  per conto della quale operavano.
Tale mancanza era determinata dall’inutilità  di partecipare alla gara per l’attribuzione delle concessioni stesse, in ragione dell’impossibilità  soddisfare i requisiti relativi alla trasparenza dell’azionariato per il fatto di far parte di un gruppo quotato nei mercati regolamentati.
Nell’occuparsi della compatibilità  della normativa italiana in tema di gioco e scommesse (in seguito modificata con l’introduzione di numerosissime concessioni messe a concorso) con l’ordinamento comunitario nella specifica ipotesi sopra descritta, ha concluso che:
1) Una normativa nazionale che vieta l’esercizio di attività  di raccolta, di accettazione, di registrazione e di trasmissione di proposte di scommesse, in particolare sugli eventi sportivi, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciate dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà  di stabilimento, nonchè alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
2) Spetta ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo mirante a prevenire l’esercizio delle attività  in tale settore per fini criminali o fraudolenti.
3) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che esclude e per di più continua ad escludere dal settore dei giochi di azzardo gli operatori costituiti sotto forma di società  di capitali, le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.
4) Gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nelle cause principali, che impone una sanzione penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per aver esercitato un’attività  organizzata di raccolta di scommesse in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia richieste dalla normativa nazionale allorchè questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette concessioni o autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione del diritto comunitario, di concederle loro.
B. – Successivamente è intervenuta la SENTENZA COSTA -CIFONE, CGCE C- 72 e 77- 2010, che ha ritenuto in contrasto con i principi comunitari la previsione del bando di gara (adottato in attuazione dell’ampliamento del mercato disposto dal c.d. decreto Bersani – d.l. n.223/2006) che imponeva ai nuovi concessionari una distanza minima da quelli già  operanti avvantaggiati non solo dalla preesistenza sul mercato, ma soprattutto, dall’attribuzione di concessioni in contrasto con l’ordinamento comunitario perchè rilasciate a soggetti che non potevano essere costituiti in forma di società  anonime (id est società  di capitali).
La CGCE ha altresì ritenuto in contrasto con il principio di determinatezza e trasparenza, imposto dall’ordinamento comunitario, la previsione dello schema di convenzione annessa al bando di gara che contemplava la decadenza dalla convenzione stessa nel caso che il concessionario fosse sottoposto a procedimento penale per reato “suscettibile di far venir meno il rapporto fiduciario con AAMS”, ritenendo tale clausola in contrasto con il criterio di trasparenza che si sostanzia in un livello di comprensibilità  e determinatezza delle disposizioni di gara tale da consentire agli operatori economici di conoscere in modo esaustivo e certo il contenuto delle clausole dei bandi, in modo da rendere prevedibili gli effetti delle previsioni degli atti di gara.
La corte ha altresì affermato: “70. àˆ pacifico che una normativa nazionale, come quella controversa nei procedimenti principali, la quale subordini l’esercizio di un’attività  economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione, costituisce un ostacolo alle libertà  così garantite dagli articoli 43 CE e 49 CE.”
“71. Simili restrizioni possono tuttavia essere ammesse in quanto rientranti tra le misure in deroga espressamente previste dagli articoli 45 CE e 46 CE, o possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che esse rispettino i requisiti di proporzionalità  risultanti dalla giurisprudenza della Corte. A questo proposito, la giurisprudenza ha ammesso un certo numero di motivi imperativi di interesse generale, quali gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale (sentenza Placanica e a., cit., punti 45, 46 e 48).”
La citazione puntuale dei principi affermati nelle sentenze appena indicate non è irrilevante, ma è funzionale a circoscrivere con esattezza la portata delle decisioni invocate dal ricorrente a sostegno della sua tesi.
In nessuna delle pronunce la corte ha ritenuto in contrasto con l’ordinamento comunitario il sistema concessorio tout court (v. paragrafi 57 e 58 sentenza Placanica: “57 Un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività  per fini criminali o fraudolenti. Per contro, la Corte non dispone di elementi di fatto sufficienti per valutare, in quanto tale, la limitazione del numero globale delle concessioni in relazione ai requisiti derivanti dal diritto comunitario. 58 Spetterà  ai giudici nazionali verificare se la normativa nazionale, in quanto limita il numero di soggetti che operano nel settore dei giochi d’azzardo, risponda realmente all’obiettivo invocato dal governo italiano, ossia quello mirante a prevenire l’esercizio delle attività  in tale settore per fini criminali o fraudolenti. Inoltre, spetterà  ai giudici nazionali verificare se queste restrizioni soddisfino le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda la loro proporzionalità .” e paragrafi 70 e 71 – già  testualmente citati- della sentenza Costa- Cifone).
Il ragionamento operato dalla Corte può essere, invece, così riassunto:
la previsione di un sistema concessorio costituisce una limitazione ai principi di libertà  di stabilimento, nonchè alla libera prestazione dei servizi previste rispettivamente agli artt. 43 CE e 49 CE.
Tuttavia, tali limitazioni (e dunque il sistema concessorio) sono ammissibili, sulla scorta delle stesse previsioni comunitarie (v. artt. 45 e 46 CE), purchè giustificate da motivi imperativi di interesse generale e caratterizzate dal requisito della proporzionalità  all’obiettivo perseguito.
E’ di tutta evidenza che la tesi di parte ricorrente si fonda, pertanto, su un salto logico rispetto alla portata delle pronunce della CGCE, in quanto pretende di desumere dalla illegittimità  comunitaria di alcune specifiche caratteristiche della normativa italiana ovvero del sistema di attuazione della c.d. liberalizzazione Bersani, l’illegittimità  comunitaria del sistema concessorio in sè.
La difesa del ricorrente, infatti, sostiene che dai vizi che hanno inficiato l’attribuzione di concessioni (per come delineati nelle sentenze Placanica e Costa- Cifone), si desuma l’illegittimità  dell’intero sistema concessorio e che il procedimento con cui vengono attribuite le autorizzazioni di polizia recepisca tale illegittimità  tout court.
Tuttavia, così non può essere in quanto la suindicata giurisprudenza comunitaria non sancisce in alcun modo l’illegittimità  totale del sistema concessorio, che invece è ritenuto di per sè ammissibile purchè giustificato da scopi di interesse generale e proporzionato al perseguimento degli stessi.
Alla luce di tali premesse appare evidente che non può rinvenirsi la contrarietà  dell’art. 88 TULPS all’ordinamento comunitario sotto il profilo della necessaria titolarità , in capo al richiedente l’autorizzazione di p.s., di una concessione, in quanto:
– il sistema concessorio -autorizzatorio è funzionale a canalizzare le attività  di gioco d’azzardo in circuiti controllabili al fine di prevenirne una possibile degenerazione criminale.
– negli ultimi anni il numero delle concessioni rese disponibili sul mercato è stato considerevole (pari a 16.000) e molte di esse sono rimaste vacanti anche all’esito della gara.
Ciò dimostra che attualmente il sistema italiano non può considerarsi ingiustificatamente limitativo della libertà  di stabilimento ed esercizio dell’attività  economica.
In definitiva non è la previsione del sistema concessorio tout court che si pone in contrasto con l’ordinamento comunitario, quanto piuttosto eventualmente, le caratteristiche del sistema concessorio stesso ovvero, per essere più espliciti, le eventuali clausole delle previsioni di bando che hanno dato attuazione alla attuata liberalizzazione delle concessioni.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente, la previsione di bando che imponeva la incompatibilità  tra autorizzazioni/concessioni transfrontaliere e quelle italiane (conducendo, di fatto, l’operatore straniero a scegliere tra l’attività  di raccolta e gestione delle scommesse italiane e quella della nazione in cui era già  operante) costituiva, nella sostanza, una clausola di esclusiva, discriminatoria nei confronti dei bookmakers stranieri e sarebbe pertanto illegittima, trattandosi di clausola che, rendendo non conveniente la partecipazione alla selezione italiana, ha di fatto indotto la Stanleybet a non partecipare alla gara per le concessioni.
Questo è il vero punto nodale della decisione e su questo si incentra, in realtà , la doglianza della difesa di parte ricorrente.
Ma anche sotto tale profilo in ricorso non può trovare accoglimento, in quanto le pronunce della CGCE già  esaminate non hanno in alcun modo affermato l’illegittimità  delle previsioni di bando che imponevano la incompatibilità  tra autorizzazioni/concessioni transfrontaliere e quelle italiane, conducendo, di fatto, l’operatore straniero a scegliere tra l’attività  di raccolta e gestione delle scommesse italiane e quella della nazione in cui era già  operante.
C. – Per quanto concerne il bando di gara, la sua mancata impugnazione o la sua tempestiva impugnazione, su cui non sia ancora intervenuta una decisione della competente Autorità  giudiziaria, non sono in grado di determinare un differente esito della presente controversia.
C.1. – Infatti, in caso di mancata impugnazione del bando, come si è verificato nella fattispecie di cui è causa, la giurisprudenza amministrativa e la dottrina sono concordi nel ritenere che l’atto amministrativo adottato in violazione del diritto comunitario (illegittimità  comunitaria “diretta”) è annullabile alla stregua degli ordinari canoni di valutazione della patologia dell’atto, prospettando l’onere di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo entro il prescritto termine di decadenza, pena la sua inoppugnabilità .
Analoghi principi vanno seguiti in ipotesi di illegittimità  comunitaria “indiretta”, ossia quando l’atto sia emanato sulla base di una norma statale che si asserisce anticomunitaria, non essendovi ragione alcuna che renda incompatibile il sistema impugnatorio con la denuncia dei vizi di tale forma di illegittimità  comunitaria.
L’illegittimità  “comunitaria” dell’atto amministrativo deve, dunque, essere parificata alla illegittimità  dell’atto amministrativo per un qualsiasi vizio che ne può determinare l’annullamento ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990,
Ed allora la lesione all’interesse del ricorrente – e ancor prima dell’allibratore estero per conto del quale questi intendeva effettuare l’attività  di raccolta mediante centro di trasmissione dati (CTD) – avrebbe dovuto dar luogo all’impugnativa del bando di gara “comunitariamente” illegittimo, immediatamente lesivo, poichè impeditivo della partecipazione alla gara onde ottenere la concessione.
Nè nel caso di specie possono trovare applicazione i principi enunciati dalla CGCE nella sentenza del 27.2.2003 (procedimento C- 327-00, Santex s.p.a. nella quale la Corte ha affermato che “la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa – una volta accertato che un’autorità  aggiudicatrice con il suo comportamento ha reso impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario a un cittadino dell’Unione leso da una decisione di tale autorità  – impone ai giudici nazionali competenti l’obbligo di dichiarare ricevibili i motivi di diritto basati sull’incompatibilità  del bando di gara con il diritto comunitario, dedotti a sostegno di un’impugnazione proposta contro la detta decisione, ricorrendo, se del caso, alla possibilità  prevista dal diritto nazionale di disapplicare le norme nazionali di decadenza in forza delle quali, decorso il termine per impugnare il bando di gara, non è più possibile invocare una tale incompatibilità .”), in quanto l’autorità  aggiudicatrice – diversamente che nel caso esaminato nella decisione in questione – non ha contribuito con il proprio comportamento all’inosservanza del termine decadenziale di impugnativa, creando uno stato d’incertezza in ordine all’interpretazione da dare a tale clausola, incertezza dissipata solo con l’adozione della decisione di esclusione, essendo ben chiara la portata della clausola limitativa.
C. 2. – Nè l’eventuale tempestiva impugnazione da parte dell’operatore internazionale del bando italiano di gara per il rilascio delle concessioni, che -come si diceva dianzi- non è stata proposta nella fattispecie in esame, avrebbe potuto determinare, come dianzi detto, un esito diverso della presente controversia.
Infatti, quand’anche fossero state successivamente accolte le censure ed annullato il bando, la riedizione del potere amministrativo avrebbe semplicemente comportato la nuova indizione di una gara e l'(eventuale) assegnazione della concessione con efficacia ex nunc.
Anche in tale ipotesi, alla data di adozione del provvedimento di diniego impugnato, il ricorrente sarebbe stato, comunque, privo della concessione (necessario presupposto per il rilascio dell’autorizzazione di cui si reclama il rilascio o, comunque, si impugna il diniego).
Pertanto, in applicazione del principio secondo cui la legittimità  dell’atto va valutata in relazione alla situazione di fatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione, risultando irrilevanti (se non a fini di rimozione in autotutela con efficacia ex nunc) le eventuali sopravvenienze, l’eventuale concessione sopravvenuta non minerebbe la legittimità  del diniego impugnato in questa sede.
Così pure non è configurabile nella fattispecie in esame la dedotta violazione del principio del mutuo riconoscimento tra stati membri, in quanto gli operatori di altri Stati sono sottoposti, prima del rilascio della licenza nel paese di origine a stringenti controlli. In particolare, nel paese di provenienza della Stanleybet (Malta) i controlli si estendono sia alla solidità  finanziaria, sia alla affidabilità  soggettiva e quindi il mancato riconoscimento, da parte dell’Italia, della validità  e affidabilità  di tali controlli, si porrebbe in contrasto con l’intento europeo di creare un unico mercato economico e uno spazio giuridico comune.
Al riguardo il Collegio rileva che la materia delle scommesse e del gioco di azzardo non è oggetto di armonizzazione in ambito comunitario, restando ogni Stato membro libero di adottare, nel rispetto dei principi fondamentali dell’Unione, la disciplina più adeguata al perseguimento dei propri interessi.
In base alle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto e così pure la domanda risarcitoria, stante l’infondatezza dei motivi di ricorso.
Alla luce delle oscillazioni giurisprudenziali in materia ed in ragione della novità  della questione relativa alla portata della sentenza della CGCE C- 72 e 77-2010, le spese possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Sabato Guadagno, Presidente, Estensore
Desirèe Zonno, Primo Referendario
Giacinta Serlenga, Primo Referendario
 
 
 
 

 
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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