1. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Ricorso avverso permesso di costruire – Legittimazione – Vicinitas – Fattispecie


2. Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Ricorso avverso permesso di costruire – Notificazione – Tempestività   – Fattispecie


3. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Permesso di costruire –  Ristrutturazione edilizia – Realizzazione di nuovo piano intermedio – Ferme restando volumetria e altezza del fabbricato – Non costituisce novum – Conseguenze 


4. Edilizia e urbanistica – Attività  edilizia privata – Permesso di costruire – Soprelevazione – Eccedente i limiti delle n.t.a. – Illegittimità  – Fattispecie

1. Quand’anche il ricorrente non dimostri quanto afferma a proposito della titolarità  di una servitù di veduta sull’immobile il cui permesso di costruire abbia gravato, questi è comunque legittimato  ad agire in giudizio in base alla sola sussistenza della vicinitas.


2. Il termine per l’impugnazione del permesso di costruire, ove sia in contestazione la consistenza dell’intervento edilizio e dell’altezza complessiva del  nuovo immobile, non decorre dall’avvio dei lavori, nè dalla data di invio  di una nota di contestazione generica da parte dell’odierno ricorrente al titolare del permesso (nella specie, il TAR ha ritenuto che dal contenuto di  tale missiva non potesse dedursi  inequivocabilmente che il ricorrente conoscesse gli elementi salienti della costruzione come progetta e autorizzata, anche perchè i lavori erano stati appena avviati).


3. L’approntamento, in sede di ristrutturazione edilizia (ove manchi per giunta la prova dell’avvenuta demolizione del fabbricato), di una superficie aggiuntiva definibile quale piano intermedio, non concreta un novum edilizio contra legem,  se tale operazione non attui un incremento della volumetria o dell’altezza rispetto all’edificio preesistente.


4. E’ illegittimo il permesso di costruire per la ristrutturazione edilizia e soprelevazione di un edificio, ove il limite della suddetta soprelevazione, fissato dalle norme tecniche di attuazione del P.R.G. comunale in 3,70 metri, sia stato superato in modo sensibile (di circa 3 metri), non potendosi giustificare siffatto superamento alla luce di altra norma di piano che, al diverso fine di tutelare il decoro urbano, la coerenza e la continuità  architettonica, richiede che il nuovo intervento debba uniformarsi alle caratteristiche architettoniche degli edifici circostanti.


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Vedi Cons. di Stato, sez. IV, sentenza 19 dicembre 2012, n. 6557 – 2012 ricc. nn. 8315 – 20125437 – 2012
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N. 01001/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00479/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 479 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da Francesco Sarcina, rappresentato e difeso dall’avv. Luigi d’Ambrosio, con domicilio eletto in Bari, piazza Garibaldi, 23; 

contro
Comune di Trinitapoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Nino Matassa, con domicilio eletto in Bari, via Andrea da Bari, 35; 

nei confronti di
Alfonso Pasquale, rappresentato e difeso dall’avv. Raffaele Guido Rodio, con domicilio eletto in Bari, via Putignani, 168;

per l’annullamento
– del permesso di costruire n. 101/07 del 29.11.2007, con cui è stato assentita la realizzazione di un fabbricato residenziale previa demolizione del preesistente immobile ad un piano sito in Trinitapoli al corso Garibaldi civico 76;
– di ogni altro atto al predetto comunque connesso, presupposto e conseguenziale, ivi compreso il parere del V Settore in data 3.1.2007 e il parere reso all’esito dell’istruttoria dell’Ufficio Urbanistica, citati nel permesso di costruire ma non conosciuti;
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune del Trinitapoli e di Alfonso Pasquale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2012 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Luigi d’Ambrosio, Nino Matassa ed Antonella Martellotta, quest’ultima su delega dell’avv. Raffaele Guido Rodio;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
Il signor Sarcina è proprietario di un fabbricato in Trinitapoli, corso Trinità  nn. 52-54, in zona tipizzata A2 – area di discreto interesse storico-ambientale.
Con ricorso depositato il I aprile 2008, ha impugnato il permesso di costruire 29 novembre 2007 n. 101/07, con cui è stata assentita la realizzazione di un fabbricato residenziale al corso Garibaldi 76, di proprietà  del signor Alfonso Pasquale, deducendo i seguenti motivi:
violazione degli articoli 10 e seguenti del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, anche in relazione degli articoli 42, 6, 13 e 14 delle norme tecniche di attuazione del vigente piano regolatore generale del Comune di Trinitapoli.
Con motivi aggiunti depositati il 20 maggio 2008 è stato in seguito anche gravato il provvedimento del Responsabile del V Settore – Urbanistica e gestione del territorio – 11-13 marzo 2008 prot. n. 2487, che ha rigettato l’istanza di riesame (datata 22 febbraio 2008) del permesso di costruire.
Si sono costituiti il Comune di Trinitapoli e il controinteressato, ing. Alfonso Pasquale, i quali sostengono sia l’inammissibilità  del ricorso sia la sua infondatezza nel merito.
Sulle conclusioni delle parti, all’udienza del 19 aprile 2012 la causa è stata riservata per la decisione.
Le eccezioni preliminari dell’Amministrazione municipale e del controinteressato sono da respingere.
Il ricorrente invero contesta un permesso di costruire riguardante un immobile che si affaccia sulla strada parallela a corso Trinità  e che confina nella parte interna con quello dell’istante. Quest’ultimo vanterebbe, quale proprietario, una servitù di veduta sull’immobile vicino.
Come si deduce dalla documentazione processuale (soprattutto quella inerente all’azione proposta dinanzi al giudice civile) la servitù sarebbe duplice: la prima collegata a una luce o un affaccio al primo piano (ma la qualificazione è in contestazione tra le parti), la seconda di veduta dal terrazzo/lastrico solare.
Per quel che riguarda il presente giudizio non è stata data prova esaustiva di tali diritti nè è stato prodotto alcun titolo formale. Tali circostanze però, al contrario di quanto argomentato dalle controparti, non incidono sull’ammissibilità  del ricorso, in quanto la relativa legittimazione, per la consolidata giurisprudenza che ha definito il concetto di quisque de populo, è legata anche alla sola sussistenza della vicinitas.
Anche il rilievo in ordine alla tempestività  della notificazione è infondato.
Secondo le parti avverse, la tardività  risulterebbe dal fatto che già  nel gennaio 2008 l’istante avrebbe avuto perfetta consapevolezza delle caratteristiche del nuovo immobile, oggetto del permesso di costruire, e quindi della lesività  dell’atto autorizzatorio, come dimostrerebbe la nota del 10 gennaio 2008 diretta al controinteressato. Il Collegio però ritiene che da tale lettera non si possa dedurre in modo inequivocabile che il ricorrente conoscesse gli elementi salienti della costruzione come progettata e autorizzata, i cui lavori erano appena iniziati.
Nel merito, con il ricorso, il signor Sarcina denuncia che l’intervento autorizzato non rientri nell’ipotesi ammessa dall’articolo 42 delle norme tecniche di attuazione (posto a fondamento dell’atto gravato): non sarebbe stata realizzata infatti una semplice sopraelevazione, consentita da tale articolo, ma una demolizione con ricostruzione, la quale però nella zona è permessa solo nel rispetto del precedente volume.
L’interessato rileva inoltre che non sarebbe stata rispettata l’altezza massima dell’edificio prevista dal citato articolo 42.4.
Tali rilievi trovano già  una risposta da parte del Comune nel provvedimento del Responsabile del V Settore – Urbanistica e gestione del territorio 11-13 marzo 2008 prot. n. 2487 (impugnato con i motivi aggiunti depositati il 20 maggio 2008), che ha rigettato l’istanza di riesame (datata 22 febbraio d2008) del permesso di costruire.
Nel menzionato atto il Comune ha in estrema sintesi evidenziato
– che l’intervento edilizio è stato realizzato nel rispetto degli allineamenti dei balconi, marcapiani e aperture con il fabbricato esistente dello stesso proprietario;
– che il livello intermedio non può essere definito un ulteriore piano fuori terra; esso non comporta peraltro una maggiore volumetria o altezza rispetto al preesistente;
– che l’attività  edilizia assentita non concretizza demolizione con ricostruzione vincolata, ex articolo 14 delle norme tecniche di attuazione, bensì ristrutturazione edilizia, ex articolo 12.
Il ricorso è nella prima parte infondato.
Da un lato, di fatto, non è stato effettivamente provato che l’originario edificio sia stato demolito.
Dall’altro, nella prospettazione delle ulteriori censure, laddove lamenta la realizzazione di un ulteriore, nuovo piano, il ricorrente sembra riferirsi ad un’errata rappresentazione dei luoghi.
Come è evidente dal materiale fotografico e progettuale, la costruzione, acquistata dall’ingegner Pasquale nel 2005 (e sicuramente di pregio minore e molto più recente di quella adiacente, già  in origine di proprietà  del controinteressato) era alta 5,30 m.
Al suo interno con l’intervento in contestazione è stata quindi sfruttata tale altezza per ricavarne una superficie aggiuntiva, definita poi, in sede procedimentale e processuale, dalle parti come piano intermedio.
àˆ chiaro perciò che, quando il signor Sarcina afferma che il cosiddetto piano intermedio costituisca un novum rispetto al preesistente edificio, in effetti, la sua valutazione e qualificazione debba ritenersi errata.
Neppure è chiara nelle deduzioni attoree quale influenza esplichino sulla vicenda le pretese (ma non dimostrate) servitù, visto che, per quanto riguarda la prima, non è mai stata dimostrata la sua natura di veduta e che, per quanto concerne la seconda (di affaccio), è improbabile che in concreto le opere realizzate dal signor Alfonso Pasquale, che si pongono in continuità , per altezza e allineamento, con quelle adiacenti, ne possano pregiudicare l’esercizio; tranne che si concepisca tale servitù come una sorta di vincolo d’immodificabilità  di tutto quanto è oggetto della visuale. Il che si pone al di fuori dell’istituto.
Tali conclusioni d’altra parte sono in linea con quanto deciso dal Giudice civile. Il Tribunale di Foggia, Sezione distaccata di Trinitapoli, con procedimento cautelare ante causam, riguardo alla finestra, affermava che si tratta di una luce irregolare, la quale, mancando dei requisiti di cui all’articolo 901 del codice civile, in quanto servitù non apparente, non poteva essere acquistata per usucapione. In sede di reclamo, ex articolo 669 terdecies e 703, comma terzo, del codice di procedura civile (in cui non veniva contestata la statuizione sopra sommariamente riportata), il Tribunale di Foggia, quanto al diritto di veduta dal terrazzo, ha osservato che tale “pretesa dell’originario ricorrente di mantenere il fabbricato del fondo servente ad un’altezza pari a quella originale non può trovare accoglimento”, poichè una tale servitù negativa è insuscettibile di acquisto per usucapione.
La censura riguardante l’altezza dell’edificio, ma incentrata sull’articolo 42.4. delle N.T.A. è invece fondata.
Occorre precisare innanzi tutto che l’originaria costruzione al corso Garibaldi 76 è stata soggetta a ristrutturazione e su di essa complessivamente è stata realizzata la sopraelevazione.
In definitiva, tutta la costruzione è ora alta m 13,65; anche a voler prescindere dal torrino di metri 2 (che non sviluppa volumetria e che comunque, sebbene approvato, non è stato realizzato), l’altezza assommerebbe a m 11,65. Poichè l’originaria costruzione arrivava a m 5,30, è facile calcolare che rimangono metri 6,35, costituenti la sopraelevazione. Ora, per quanto possano tollerarsi degli scostamenti nel calcoli delle strutture, rimane il fatto che indubbiamente tale sopraelevazione eccede i metri 3,70 consentiti dall’articolo 42.4.
In realtà , soprattutto le fotografie prodotte evidenziano la sostanza dell’operazione compiuta: al posto di una costruzione assai modesta è stato realizzato un edificio in continuità  con quello adiacente (d’impianto neoclassico), assicurando coerenza architettonica al complesso, con un risultato estetico sicuramente di pregio (e incomparabile rispetto alla scarsa qualità  del fabbricato preesistente sul quale l’ingegner Pasquale è intervenuto).
In questa prospettiva si spiegano le difese del Comune e del controinteressato. Essi sostengono sostanzialmente che l’altezza massima di metri 3,70 non costituisce un limite assoluto, essendo in effetti prevalente con riguardo ai singoli casi l’esigenza di continuità  architettonica, di linee e di decorazioni, che il Comune ha comunque voluto garantire in concreto; ciò in forza del disposto dello stesso articolo 42.4 (comma secondo) delle norme tecniche di attuazione, nonchè dell’articolo 72 sempre (secondo la deduzione) delle norme tecniche di attuazione.
In particolare l’articolo 42.4 (comma secondo) prevede “L’intervento comunque dovrà  uniformarsi alle caratteristiche architettoniche degli edifici circostanti”; l’invocato articolo 72 invece così recita: “Le fronti degli edifici che prospettano su vie e spazi pubblici e su vie private o sono comunque da questi visibili, debbono soddisfare le esigenze del decoro urbano tanto per la corretta armonia delle linee architettoniche (contorni delle aperture fascie marcapiano, ecc.) quanto per i materiali (¦). I fabbricati di nuova costruzione a soggetti a ristrutturazione (…) debbono armonizzarsi nelle linee, nei materiali di rivestimento, nelle tinteggiature nelle coperture con gli edifici circostanti, particolarmente con quelli di notevole importanza artistica, avuto riguardo delle caratteristiche dell’abitato e dell’ambiente urbano in cui vengono inserirsi. Quando si tratti di edifici che costituiscono fondali di vie o di piazze per i quali sorga la necessità  di assicurare armoniche prospettive, l’AC ha la facoltà  di prescrivere opportune linee architettoniche e forme decorative, stabilire limitazioni di altezza e dare direttive intese a ottenere determinati inquadramenti architettonici od effetti prospettici”.
Secondo il ragionamento sviluppato dalle parti, l’azione amministrativa dev’essere vagliata alla luce di tali parametri, tenendo presente che essa ha voluto dare applicazione alle norme sopra richiamate, come si deduce in particolare dalla nota dirigenziale 11 marzo 2008, nella quale viene evidenziato che “Al fine di garantire l’armonia architettonica prevista dall’articolo 72 del regolamento edilizio, dato il contesto di zona di discreto interesse storico ambientale in cui l’intervento si pone, si è richiesto il rispetto degli allineamenti dei balconi, marcapiani e aperture con il fabbricato esistente di stessa proprietà “.
àˆ evidente che, in fatto, dato lo stato dei luoghi, la coerenza e la continuità  architettonica potevano essere garantite al massimo grado solo edificando in aderenza alla stessa altezza dell’edificio adiacente. Tale osservazione però non permette di superare le censure avanzate dal ricorrente.
L’argomento del Comune e del controinteressato infatti, per essere convincente, avrebbe dovuto contenere la dimostrazione che le esigenze espresse dall’articolo 42.4 (comma secondo) e dall’articolo 72 consentano di derogare all’altezza massima per le sopraelevazioni imposta dallo stesso dall’articolo 42.4, al primo comma.
Tale (in sè contraddittoria lettura) dell’articolo 42.4 delle norme tecniche di attuazione però non solo non è confortata da alcun elemento testuale, ma è preclusa da ragioni logiche prima ancora che giuridiche.
Nè si può ritenere che assuma valenza derogatoria l’articolo 72. La disposizione, più volte citata come norma tecnica di attuazione, fa in effetti parte del regolamento edilizio (l’articolo 72 delle N.T.A. si occupa infatti delle “Aree agricole speciali (preparco)”). Anche in questo caso non esiste alcun appiglio per affermare un potere (che si configurerebbe, se ammesso, come estremamente ampio se non indeterminato) di disattendere le esatte prescrizioni della norma tecnica di attuazione sull’altezza. Inoltre, il ruolo del regolamento edilizio, in origine (a partire dal regio decreto 8 giugno 1865 2321) unico documento relativo all’urbanistica e all’edilizia, è stato via via ridimensionato, rispetto alle più puntuali disposizioni delle norme di attuazione specificanti le destinazioni d’uso e i relativi indici edilizi, sicchè appare ancor più improbabile che al regolamento sia affidata la funzione di rendere elastici i parametri dell’attività  costruttiva.
Il ricorso dunque dev’essere accolto e, per l’effetto, va annullato il permesso di costruire 29 novembre 2007 n. 101/07.
I motivi aggiunti sono invece da ritenersi inammissibili in quanto si esauriscono nella riproposizione delle medesime contestazioni dedotte con il ricorso ovvero aggiungono nuovi rilievi al permesso di ricostruire, che dovevano però essere già  stati avanzati contro il provvedimento permissivo nell’atto con il quale è stato instaurato il giudizio, cosicchè essi devono ritenersi tardivi.
Tale esito, nel suo complesso, giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire 29 novembre 2007 n. 101/07.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Pietro Morea, Presidente
Giuseppina Adamo, Consigliere, Estensore
Francesca Petrucciani, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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