1. Risarcimento del danno –  Onere della prova – Ripartizione


2. Risarcimento del danno – Onere della prova – Lesione di interesse pretensivo – Criteri e principi generali


3. Risarcimento del danno – Onere della prova – Colpa della P.A. – Presunzione


4. Risarcimento del danno – Contratti pubblici – Colpa della stazione appaltante – Accertamento – Irrilevanza


5. Risarcimento del danno – Lucro cessante – Risarcibilità  – Presupposti e limiti


6. Risarcimento del danno – Obbligazione di valore – Interessi e rivalutazione – Riconoscimento d’ufficio – Possibilità 

1. La domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; grava sul danneggiato, pertanto, l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa).


2. Il risarcimento del danno conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di causalità , evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi formulato ex ante, che l’aspirazione al provvedimento fosse concretamente destinata ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorchè fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene collegato a tale interesse (nella fattispecie, il TAR ha specificato che tale giudizio prognostico non può essere consentito allorchè detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà ).


3. In presenza di un’attività  illegittima posta in essere dall’Amministrazione e foriera di danno per il privato, questi non sarà  onerato di un particolare sforzo probatorio in ordine alla sussistenza di una condotta colposa da parte dell’Amministrazione, ben potendosi limitare ad allegare la sola illegittimità  del provvedimento quale elemento idoneo a fondare una presunzione (semplice) circa la colpa della p.A.. Spetterà , per converso, alla p.A. fornire la prova liberatoria a contrario, dimostrando in concreto che si sia trattato di un errore scusabile.


4. Nelle procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici, la direttiva del Consiglio 18.6.1992 n. 92/50/CE osta all’applicazione di una normativa nazionale che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento causato dalla violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione.


5. Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero solo qualora l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze per l’espletamento di altri servizi, avendoli lasciati disponibili per l’appalto controverso. Quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità , con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (principio del c.d. aliunde perceptum).


6. In ipotesi di danno derivante da fatto illecito, sulla relativa obbligazione di valore possono essere riconosciuti anche d’ufficio rivalutazione monetaria ed interessi legali.

N.
00741/2012 REG.PROV.COLL.
N.
01244/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Prima)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1244 del 2009,
proposto da TSE Impianti s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Teresa
Battezzato, con domicilio eletto presso l’avv. Lucia Moramarco in Bari, via
Nicolai, 57;
contro
Comune di Minervino Murge, rappresentato e difeso
dall’avv. Maria Goffredo, con domicilio eletto in Bari, via Egnatia, 15;
nei confronti di
Apulia s.r.l.;
Ru.Ca. di Nicola Canonico;
Sarcinelli Rosario;
per l’annullamento,
previa sospensione
dell’efficacia,
– di tutte le operazioni di gara di appalto di pubblico
incanto a procedura aperta n. 1459495 indetta dal Comune di Minervino Murge
(Ba) con determina n. 812 R.G. del 31.12.2008, ai sensi degli artt. 3, comma 37
e 55, comma 5 dlgs n. 163/2006 per “Lavori di recupero funzionale ex Cinema
Moderno” nel Comune di Minervino Murge (Ba) – Chiuso Piazza, di cui al progetto
approvato con determina del responsabile del servizio lavori pubblici n. 223 R.G.
del 2.4.2008 del Comune di Minervino Murge (Ba), per un importo complessivo del
quadro economico di € 1.000.000,00, con il criterio del massimo ribasso
sull’importo delle opere a corpo posto a base di gara ai sensi dell’art. 82,
comma 2, lettera b) dlgs n. 163/2006 mediante ribasso sull’elenco prezzi posto
a base di gara ai sensi degli artt. 81 e 82, commi 1 e 2, lettera b) dlgs n.
163/2006, per importo complessivo di € 700.909,24 soggetto a ribasso e €
39.077,34 fisso ed invariabile non soggetto a ribasso d’asta in quanto relativo
all’incidenza della sicurezza, oltre IVA come per legge;
– e precisamente, dei verbali di gara di appalto n. 1 del
19.2.2009 e n. 2 del 27.2.2009 con i quali venivano ammesse a partecipare alla
gara le imprese Costruzioni Generali Intini di Noci, Co.S.Ver. s.r.l. di
Giovinazzo e Costruzioni Facciolongo s.r.l. di Canosa di Puglia;
– dell’avviso di aggiudicazione provvisoria prot. n. 2708
del 2.3.2008 con il quale il responsabile del procedimento, aggiudicava
provvisoriamente alla Apulia s.r.l. la gara di appalto n. 1459495;
– delle determine del responsabile del servizio n. 72 del
27.4.2009 R.P.S. e n. 309 dell’8.5.2009 R.G.S.C., con le quali si procedeva
all’approvazione dei verbali di gara del 19.2.2009 e 27.2.2009 e all’aggiudicazione
definitiva dell’appalto dei lavori all’impresa Apulia s.r.l.;
– di ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale compreso il contratto eventualmente nel frattempo sottoscritto
tra l’impresa aggiudicataria e il Comune di Minervino Murge, atti tutti allo
stato non conosciuti;
e per il risarcimento dei danni subiti e subendi dalla
società  ricorrente per la mancata aggiudicazione in suo favore della gara
consistenti nel mancato guadagno;
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di
Minervino Murge;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza
pubblica del giorno 25 gennaio 2012 per le parti i difensori avv.ti Teresa Battezzato
e Maria Goffredo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 
FATTO e DIRITTO
Con atto n. 812 R.G. del 31.12.2008 il Comune di
Minervino Murge indiceva una gara di appalto pubblico ai sensi degli artt. 3,
comma 37 e 55, comma 5 dlgs 12 aprile 2006, n. 163 per “Lavori di recupero
funzionale ex Cinema Moderno”, di cui al progetto approvato con determina del
responsabile del servizio lavori pubblici n. 223 R.G. del 2.4.2008, per un
importo complessivo del quadro economico di € 1.000.000,00, con il criterio
del massimo ribasso sull’importo delle opere a corpo posto a base di gara ai
sensi dell’art. 82, comma 2, lettera b) dlgs n. 163/2006 mediante ribasso
sull’elenco prezzi posto a base di gara ai sensi degli artt. 81 e 82, commi 1 e
2, lettera b) dlgs n. 163/2006, per importo complessivo di € 700.909,24
soggetto a ribasso ed € 39.077,34 fisso ed invariabile non soggetto a ribasso
d’asta in quanto relativo all’incidenza della sicurezza, oltre IVA come per
legge.
La stazione appaltante procedeva all’individuazione della
soglia di anomalia nella misura del 24,705%.
In un primo tempo risultava aggiudicataria provvisoria la
società  TSE Impianti s.r.l., avendo questa offerto un ribasso del 24,691%.
Tuttavia, a seguito di annullamento in autotutela e di
riapertura della gara, essendo stati rilevati due plichi correttamente
protocollati ma non esaminati, si procedeva alla nuova individuazione della
soglia di anomalia pari al 24,684% con consequenziale aggiudicazione (dapprima
provvisoria e poi definitiva) alla Apulia s.r.l. (offerente un ribasso del
24,676%).
La ricorrente TSE Impianti s.r.l. contesta in questa sede
tutte le operazioni di gara, tra cui l’aggiudicazione provvisoria e quella
definitiva in favore della controinteressata Apulia s.r.l., evidenziando che,
all’esito dell’aggiudicazione definitiva, è stato possibile ottenere accesso
agli atti della procedura e che nel calcolo di anomalia sono state considerate
offerte di imprese per le quali si sarebbe dovuto procedere ad esclusione.
In particolare, osserva parte ricorrente che la ditta
Costruzioni Generali Intini s.r.l. ha presentato una domanda di partecipazione
non contenente in calce alla stessa la sottoscrizione da parte del legale rappresentante
della società ; che le norme del codice dei contratti pubblici prescrivono – a
pena di esclusione dalla gara – il possesso, da parte dei partecipanti, di una
serie di requisiti di ordine generale e speciale; che tutti i requisiti devono
essere certificati dalle imprese concorrenti attraverso la sottoscrizione dei
modelli predisposti dalla stazione appaltante; che, nel caso di specie, i
partecipanti dovevano presentare e sottoscrivere, a pena di esclusione, il
modello di partecipazione di cui all’allegato A; che la ditta Costruzioni
Generali Intini s.r.l. ha presentato una domanda carente sotto tale profilo;
che conseguentemente la mancanza di firma del dichiarante equivale
all’inesistenza della manifestazione di volontà  espressa; che non può essere
considerata valida a tal fine la sola sigla apposta al lato o in alto alle
pagine della domanda di partecipazione come timbro di congiunzione.
Rileva, altresì, che secondo la parte I del disciplinare
di gara (art. 3, comma 1, lett. b) i concorrenti debbono utilizzare per
l’offerta economica unicamente la lista vidimata in via preventiva su ogni
foglio dall’incaricato della stazione appaltante; che in forza dell’art. 5,
lett. c.6) della parte I del disciplinare di gara (rubricato “Cause di
esclusione”) è causa di esclusione dalla gara l’omessa indicazione nell’offerta
economica di uno o più prezzi unitari, ovvero l’indicazione di uno o più prezzi
unitari in cifre ma non in lettere; che dalla lista delle lavorazioni e
forniture presentata dalla ditta Cosver s.r.l. emerge come in alcuni casi
(pagg. 17 [voce EL 03-002a] e 56 [voce T.10.003h] della suddetta lista)
l’importo del prezzo sia indicato soltanto in cifre, e non in lettere; che
ancora l’art. 3, lett. c) della parte I del disciplinare di gara ammette le
correzioni al ribasso a condizione che il concorrente le abbia confermate
singolarmente con firma a margine di ciascuna; che in varie ipotesi (pagg. 2,
19, 20, 39, 41, 44, 47, 49, 58 della lista de qua) la Cosver ha effettuato delle
correzioni confermate con una sigla, senza peraltro indicare esattamente il
numero della voce corretta e senza sottoscrizione della stessa.
Infine, rimarca l’odierna deducente che la ditta
Costruzioni Facciolongo s.r.l. ha presentato una lista della lavorazioni e
delle forniture per l’esecuzione dell’opera e dei lavori, non convalidata nella
modalità  prevista – a pena di esclusione – dall’art. 3, lett. c) della parte I
del disciplinare di gara e cioè con firma a margine; che, inoltre, la stessa
impresa ha presentato l’allegato C “Requisiti di ordine generale” firmato
dall’amministratore Facciolongo Francesco e dal direttore tecnico Facciolongo
Antonio, a cui sono stati allegati documenti di identità  di cui solo quello del
primo è in corso validità , mentre quello del direttore tecnico risulta scaduto
in data precedente alla produzione dell’offerta; che altri concorrenti sono
stati correttamente esclusi dalla gara perchè incorsi in una causa di
esclusione; che ciò non è invece accaduto per i soggetti indicati in
precedenza; che in virtù della previsione di cui all’art. 2, lett. a) della
parte II del disciplinare di gara (lett. b.4) il RUP avrebbe dovuto verificare
l’adeguatezza della documentazione presentata dai partecipanti e la correttezza
della lista.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente il RUP ha
operato in modo errato nel momento in cui non ha disposto l’esclusione delle
ditte Costruzioni Generali Intini, Cosver e Costruzioni Facciolongo;
l’esclusione delle suddette imprese (tutte o anche una soltanto) avrebbe
determinato un diverso calcolo della soglia di anomalia e, conseguentemente,
l’aggiudicazione della gara in favore della TSE.
La deducente chiede, inoltre, l’annullamento del
contratto stipulato e, in subordine, il risarcimento del danno per equivalente.
Si costituiva l’Amministrazione comunale, resistendo al
gravame.
Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio
che, delle domande avanzate dalla TSE nell’atto introduttivo, quella
impugnatoria e di tutela in forma specifica debba essere dichiarata improcedibile
per sopravvenuto difetto di interesse, mentre quella risarcitoria per
equivalente vada accolta nei termini di seguito esposti.
Quanto all’azione demolitoria, va rilevato che è la
stessa ricorrente a manifestare nella memoria depositata in data 14 gennaio
2012 di aver abbandonato la domanda di dichiarazione di nullità , annullabilità 
e/o inefficacia del contratto stipulato dalla stazione appaltante con la
controinteressata Apulia, permanendo unicamente un interesse al risarcimento
dei danni per equivalente in considerazione dell’avanzato stato dei lavori.
Residua, pertanto, ai sensi dell’art. 34, comma 3 cod.
proc. amm. un interesse della società  TSE all’accertamento, ai fini
risarcitori, dell’illegittimità  degli atti gravati.
Ritiene questo Collegio che l’attività  amministrativa
posta in essere dall’Amministrazione comunale sia censurabile e, pertanto, che
la stessa sia fonte di responsabilità  aquiliana della P.A.
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione, formulata da
parte resistente, di tardività  del ricorso introduttivo (notificato in data
10.7.2009).
Invero, la società  ricorrente ha avuto contezza della
asserita illegittimità  della ammissione delle società  in precedenza indicate
(Intini, Cosver e Facciolongo) soltanto all’esito dell’accesso che è stato
consentito in data 19.6.2009 dopo l’aggiudicazione definitiva.
Nel merito, va rilevato che le censure relative alla
offerta economica della Cosver sono fondate poichè detta offerta è stata
formulata in violazione delle prescrizioni del disciplinare di gara.
Infatti, secondo l’art. 5, lett. c.6) della parte I del
disciplinare di gara (rubricato “Cause di esclusione”) è causa di esclusione
l’omessa indicazione di uno o più prezzi unitari, ovvero l’indicazione di uno o
più prezzi unitari in cifre ma non in lettere.
Dalla lista delle lavorazioni e forniture presentata
dalla ditta Cosver s.r.l. emerge che in taluni casi (cfr. pagg. 17 [voce EL
03-002a] e 56 [voce T.10.003h] della suddetta lista) l’importo del prezzo è
indicato soltanto in cifre, e non in lettere in contrasto con la citata
clausola del disciplinare di gara.
Ancora, l’art. 3, lett. c) della parte I del disciplinare
di gara ammette le correzioni al ribasso a condizione che il concorrente le
abbia confermate singolarmente con firma a margine di ciascuna.
In forza dell’art. 5, lett. c.7) della parte I del
disciplinare di gara è causa di esclusione la presentazione di offerte che
rechino, in relazione all’indicazione di un solo prezzo unitario in lettere,
segni di abrasioni, cancellature o altre manomissioni, che non siano
espressamente confermate con sottoscrizione a margine ai sensi del Capo 3,
lett. c).
In varie ipotesi (cfr. pagg. 2, 19, 20, 39, 41, 44, 47,
49, 58 della lista de qua) la
Cosver ha effettuato delle correzioni confermate
esclusivamente con una sigla senza peraltro indicare esattamente il numero
della voce corretta e senza sottoscrizione della stessa, come invece imposto
dal disciplinare di gara.
Ne consegue che la Cosver sarebbe dovuta essere esclusa.
Procedendo al calcolo dell’anomalia dell’offerta ai sensi
dell’art. 86, comma 1 dlgs n. 163/2006 (senza considerare la Cosver, dovendo la stessa –
in base alle argomentazioni espresse in precedenza – essere esclusa) si giunge
alla condivisibile conclusione aritmetica di cui a pag. 15 dell’atto
introduttivo (soglia di anomalia pari a: 24,693%), con l’effetto che la
migliore offerta non anomala sarebbe stata quella della ricorrente TSE (ribasso
offerto del 24,691%) e che la stessa sarebbe risultata aggiudicataria
dell’appalto per cui è causa.
E’, pertanto, accertata ai sensi dell’art. 34, comma 3
cod. proc. amm. l’illegittimità  degli atti impugnati.
Ogni altra censura formulata da parte ricorrente
(astrattamente rilevante in questa sede ai fini dell’accertamento di cui
all’art. 34, comma 3 cod. proc. amm.) resta assorbita.
Deve, conseguentemente, essere accolta la domanda di
risarcimento del danno per equivalente, che parte ricorrente riferisce
nell’atto introduttivo al pregiudizio da mancato utile.
In ordine al riparto dell’onere probatorio in tema di
illecito aquiliano della P.A., Cons. Stato, Sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797 ha affermato che “La
domanda di risarcimento dei danni è regolata dal principio dell’onere della
prova di cui all’art. 2697 cod. civ., in base al quale chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento,
per cui grava sul danneggiato l’onere di provare, ai sensi del citato articolo,
tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per
fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); segue da ciò che il risarcimento
del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento
giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione
della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, della
sussistenza della colpa o del dolo dell’Amministrazione e del nesso causale tra
l’illecito e il danno subito; in particolare il risarcimento del danno
conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in
presenza di tutti i requisiti dell’illecito (condotta, colpa, nesso di
causalità , evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un giudizio di prognosi
formulato ex ante, che l’aspirazione al provvedimento fosse destinata
nel caso di specie ad esito favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorchè
fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza definitiva del bene
collegato a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere
consentito allorchè detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini
di aleatorietà .”.
Nel caso di specie, sicuramente sono integrati gli
estremi della lesione (i.e. ingiustizia del danno ex art. 2043
cod. civ.) della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento
facente capo alla società  ricorrente (i.e. aggiudicazione dei lavori per
cui è causa in proprio favore laddove fosse stata esclusa la Cosver), della sussistenza
dell’elemento oggettivo (adozione degli atti di gara che questo Collegio ha
accertato essere illegittimi nei termini esposti in precedenza), dell’elemento
soggettivo dell’Amministrazione resistente (che ha adottato provvedimenti
illegittimi, così violando regole di buona amministrazione e prudente
apprezzamento) e del nesso causale tra l’illecito e il danno subito (è evidente
che l’azione amministrativa illegittima è causativa, secondo l’id quod
plerumque accidit, di un pregiudizio alla sfera della odierna ricorrente
che sarebbe dovuta essere aggiudicataria dell’appalto).
Peraltro, sul punto della prova dell’elemento psicologico
dell’illecito aquiliano della P.A. Cons. Stato, Sez. VI, 13 febbraio 2009, n. 775 ha evidenziato che:
«¦, in presenza di un’attività  illegittima posta in
essere dall’Amministrazione e foriera di danno per il privato, quest’ultimo non
sarà  onerato di un particolare sforzo probatorio in ordine alla sussistenza di
una condotta colposa da parte dell’Amministrazione, ben potendosi limitare ad
allegare la sola illegittimità  del provvedimento quale elemento idoneo a
fondare una presunzione (semplice) circa la colpa della P.A.
In tali ipotesi, spetterà  quindi all’Amministrazione
fornire la prova liberatoria a contrario, dimostrando in concreto che si
sia trattato di un errore scusabile, configurabile – ad es. – in caso di
contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, di formulazioni
polisense di disposizioni di recente emanazione, ovvero di rilevante
complessità  del fatto sotteso alla determinazione amministrativa.».
Nella fattispecie oggetto del presente giudizio
l’Amministrazione evocata in giudizio non ha fornito la prova liberatoria
dell’assenza di colpa, nè ha dimostrato la sussistenza in concreto di un errore
scusabile.
Va, altresì, rimarcato che l’accertamento in sede
giurisdizionale del carattere “non iure” dell’attività  amministrativa
posta in essere dalla stazione appaltante con consequenziale lesione
dell’interesse legittimo dell’odierna ricorrente implica la consolidazione di
un danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ. nella sfera giuridica della
stessa. In altri termini, la riscontrata illegittimità  dell’azione
amministrativa rappresenta l’indice della colpa dell’Amministrazione convenuta.
In tale eventualità  spettava, pertanto, alla parte
resistente fornire elementi istruttori o anche meramente assertori volti a
dimostrare l’assenza di colpa, parte resistente che all’opposto è rimasta
inerte sul punto.
Peraltro, deve essere evidenziato che, da ultimo, Corte
Giust. CE, Sez. III, 30 settembre 2010, n. 314 ha ritenuto superfluo
l’accertamento, ai fini della responsabilità  della Amministrazione da provvedimento
illegittimo, dell’elemento soggettivo della colpa: “La direttiva del Consiglio
21 dicembre 1989 n. 89/665/Cee, che coordina le disposizioni legislative,
regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di
ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di
lavori, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 giugno 1992 n.
92/50/Cee, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa
nazionale, la quale subordini il diritto a ottenere un risarcimento a motivo di
una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di
un’Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione,
anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata
su una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione suddetta, nonchè
sull’impossibilità  per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie
capacità  individuali e, dunque, un difetto di imputabilità  soggettiva della
violazione lamentata.”.
Relativamente al profilo del quantum del danno da
lucro cessante invocato da parte ricorrente, va evidenziato che secondo Cons.
Stato, Sez. IV, 7 settembre 2010, n. 6485 “Agli effetti della quantificazione
del danno per lucro cessante, che l’impresa partecipante a gara pubblica assume
di aver ingiustamente sofferto per effetto dell’illegittima mancata
aggiudicazione dell’appalto, occorre che essa fornisca la prova rigorosa della
percentuale d’utile che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria, prova
desumibile dall’esibizione dell’offerta economica da essa presentata al seggio
di gara, non costituendo il criterio del 10% del prezzo a base d’asta un
criterio automatico, ma solo presuntivo.”.
La deducente TSE ha prodotto in allegato al ricorso introduttivo
la propria offerta economica con un ribasso del 24,691% così assolvendo il
proprio onere probatorio sul punto.
Tuttavia, come rilevato da Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno
2008, n. 2751, “Il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito
per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto
utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di
altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta è da
ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e
manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte
ridotta la propria perdita di utilità , con conseguente riduzione in via
equitativa del danno risarcibile. Si tratta di una applicazione del principio
dell’aliunde perceptum, in base al quale, onde evitare che a seguito del
risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura
migliore rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell’illecito,
va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio, quanto da lui percepito
grazie allo svolgimento di diverse attività  lucrative, nel periodo in cui
avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione. Tuttavia, l’onere di
provare (l’assenza del)l’aliunde perceptum grava non
sull’Amministrazione, ma sull’impresa, e tale ripartizione muove dalla
presunzione, a sua volta fondata sull’id quod plerumque accidit, secondo
cui l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che
esercita professionalmente una attività  economica organizzata finalizzata alla
produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata
aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali
alternative dalla cui esecuzione trae utili.”.
Poichè, nel caso di specie la dimostrazione dell’assenza
dell’aliunde perceptum non è stata offerta dalla società  ricorrente su
cui gravava il relativo onere probatorio, è da opinare nel senso che l’impresa
possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento
di altri, analoghi lavori, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di
utilità .
Ritiene, pertanto, il Collegio, alla stregua delle
considerazioni sopra esposte, di determinare l’ammontare della somma spettante
alla società  TSE, a titolo di lucro cessante, nel 10% dell’importo dell’offerta
economica da quest’ultima presentata.
Tale somma, secondo quanto indicato in precedenza, va
ridotta in via prudenziale al 5% dell’offerta economica, tenendo conto dell’aliunde
perceptum dell’impresa.
Invero, secondo Cons. Stato, Sez. VI, 19 aprile 2011, n.
2427, “Non costituisce, normalmente e salvi casi particolari, condotta
ragionevole immobilizzare tutti i mezzi di impresa nelle more del giudizio,
nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ragionevole
che l’impresa si attivi per svolgere altre attività . Di qui la piena
ragionevolezza della detrazione dal risarcimento del mancato utile, nella
misura del 50%, sia dell’aliunde perceptum sia dell’aliunde
percipiendum con l’originaria diligenza.”.
Considerato che l’offerta economica presentata dalla
ricorrente risulta pari ad € 527.847,74 (a fronte del formulato ribasso del
24,691% sull’importo a base d’asta, a sua volta pari ad € 700.909,24), la
somma da liquidarsi a titolo di lucro cessante è pari ad € 26.392,39 (5% di €
527.847,74).
Ciò premesso, la complessiva somma di € 26.392,39
riconosciuta alla TSE a titolo di risarcimento del danno da illecito aquiliano
della P.A. (lucro cessante), trattandosi di debito di valore, va rivalutata
anno per anno secondo gli indici ISTAT con decorrenza dalla data dell’illecito
(i.e. momento storico [27 aprile 2009] dell’aggiudicazione definitiva),
oltre interessi legali sulla somma non rivalutata, oltre gli interessi legali
sugli importi annui della svalutazione, dalla relativa maturazione (cioè dalla
scadenza di ogni anno successivo alla consumazione dell’illecito secondo il
cosiddetto criterio “a scalare” individuato dalla Suprema Corte con la sentenza
a Sezioni Unite n. 1712/1995).
Sul punto recentemente Cass. civ., Sez. I, 4 febbraio
2010, n. 2602 hariaffermato la permanente validità  del principio del riconoscimento d’ufficio
della rivalutazione monetaria nonchè degli interessi legali sulla somma
rivalutata e dei criteri enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712
del 1995 intema di computo di rivalutazione ed interessi nelle obbligazioni di valore
quali quelle derivanti – come nel caso di specie – da fatto illecito: “Il
credito da occupazione appropriativa, trovando origine in un fatto illecito
della p.a. ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., costituisce una obbligazione di
valore su cui devono riconoscersi d’ufficio la rivalutazione monetaria nonchè
gli interessi legali sulla somma rivalutata, da calcolarsi secondo i criteri
enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1712 del 1995.”.
In conclusione, il Comune di Minervino Murge è condannato
a risarcire il danno da lucro cessante patito dalla società  ricorrente nella
misura di € 26.392,39, oltre rivalutazione ed interessi legali come sopra
determinati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano
come da dispositivo.
Questo Collegio ritiene opportuno trasmettere, a cura
della Segreteria, copia del fascicolo d’ufficio e della presente sentenza alla
Procura Regionale della Corte dei Conti per la Puglia in Bari per
eventuali iniziative di propria competenza.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez.
I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, così
provvede:
1) dichiarata improcedibile per sopravvenuto difetto di
interesse la domanda impugnatoria e quella volta alla tutela in forma
specifica;
2) accerta, ai sensi dell’art. 34, comma 3 cod. proc. amm.,
l’illegittimità  degli atti gravati e, per l’effetto, accoglie la domanda
risarcitoria per equivalente e condanna il Comune di Minervino Murge al
risarcimento del danno in favore della ricorrente, nella misura di €
26.392,39, oltre rivalutazione ed interessi legali, come in motivazione.
Condanna il Comune di Minervino Murge al pagamento delle
spese di giudizio in favore della ricorrente TSE Impianti s.r.l., liquidate in
complessivi € 4.000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’Autorità  amministrativa.
Dispone la trasmissione, a cura della Segreteria, di
copia del fascicolo d’ufficio e della presente sentenza alla Procura Regionale
della Corte dei Conti per la
Puglia in Bari per gli eventuali seguiti di competenza.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti e le
comunicazioni di rito.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno
25 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Corrado
Allegretta, Presidente
Savio
Picone, Primo Referendario
Francesco
Cocomile, Referendario, Estensore

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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