1. Sanità  e farmacie – Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti esercenti attività  ospedaliera – Equiparazione agli enti ospedalieri pubblici ai fini della remunerazione delle prestazioni erogate a carico del S.S.N. oltre i volumi ed i tetti di spesa assegnati – Non sussiste 


2. Sanità  e farmacie – Classificazione ente ecclesiastico ex art. 20 L. n. 132/1968 – Non equivale a riconoscimento dell’ente ecclesiastico quale ente pubblico ospedaliero 


3. Sanità  e farmacie – L. n. 132/68 (“Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera”) – Elementi a sostegno insussistenza equiparazione fra enti ecclesiastici ed enti ospedalieri 


4. Sanità  e farmacie – L. n. 833/78 (“Istituzione del servizio sanitario nazionale”) – Partecipazione enti privati al S.S.N. – Limiti ed obblighi – Regolati da convenzionamento 


5. Sanità  e farmacie – Art. 41, u.c., L. n. 833/78 – Dotazione finanziaria alle UU.SS.LL. da parte delle Regioni – Da assegnare tenendo conto delle convenzioni con enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – Conferma partecipazione detti enti al S.S.N. nei limiti delle convenzioni 


6. Sanità  e farmacie – Enti ecclesiastici classificati – Inclusione nel Piano Sanitario Regionale di cui alla L. n. 833/78 – In virtù del convenzionamento e non della classificazione – Conferma non consustanzialità  enti stipulanti rispetto al S.S.N. 


7. Sanità  e farmacie – Enti ecclesiastici classificati – Inserimento nella programmazione sanitaria di cui alla L. n. 833/78 – Non conferiva status di ente ospedaliero pubblico 


8. Sanità  e farmacie – L. n. 833/78 – Autonomia riconosciuta ad enti eccelsiastici – Conferma insussistenza equiparazione con enti ospedalieri pubblici 


9. Sanità  e farmacie – D. Lgs. n. 502/92 – Istituzione aziende ospedaliere – Caratteristiche – Incompatibili con la natura privata di una struttura 


10. Sanità  e farmacie – Ente privato con qualifica di “azienda ospedaliera” – Soggettività  giuridica – Rimane immutata – Equiparazione strutture pubbliche – Solo per espressa previsione normativa e limitatamente ai fini prescritti 


11. Sanità  e farmacie – D.Lgs. n. 502/92 – Servizio Sanitario Nazionale – Strutture private – Funzione integrativa e non sostitutiva dell’attività  prestata da quelle pubbliche 


12. Sanità  e farmacie – D.Lgs. n. 502/92 – Tesi equiparazione fra enti ecclesiastici ed enti ospedalieri pubblici – Contrasta con la ratio ed il testo – Ragioni 


13. Sanità  e farmacie – Norme equiparanti ospedali pubblici a quelli gestiti da enti privati – Solo a determinati fini, non ad ogni effetto di legge 


14. Sanità  e farmacie – Enti ecclesiastici ed enti ospedalieri – In che termini sono equiparabili 


15. Sanità  e farmacie – Riforma D. Lgs. n. 229/99 – Programmazione attività  sanitaria – Obbligo previsione volume prestazioni necessarie – Osservanza – Tramite accreditamento ed accordi contrattuali 


16. Sanità  e farmacie – Riforma D. Lgs. n. 229/99 – Accreditamento strutture sanitarie – Finalità  in relazione alla programmazione sanitaria regionale – Irrilevanza ai fini della tesi della equiparazione fra enti privati e pubblici 


17. Sanità  e farmacie – Riforma D. Lgs. n. 229/99 – Domanda di accreditamento – Implica impegno a rispettare programmazione regionale e limiti volume prestazioni assegnato 


18. Sanità  e farmacie – Riforma D. Lgs. n. 229/99 – Accordi contrattuali – Contenuto – Carattere preventivo del corrispettivo determinato – Remunerazione oltre i volumi concordati – In astratto possibile ma solo in base ai criteri stabiliti dalla legislazione regionale 


19. Sanità  e farmacie – Riforma D.Lgs. n. 254/2008 – Corrispettivo preventivato – Costituisce tetto di spesa invalicabile – Salvo che per le aziende ospedaliere ed i presidi delle uu.ss.ll. 


20. Sanità  e farmacie – Enti privati – Qualità  di incaricati di pubblico servizio – Non attribuisce obbligo erogazione prestazioni sanitarie oltre volumi stabiliti e tetti di spesa – Ha rilevanza ai fini penalistici 


21. Sanità  e farmacie – Enti privati – Prestazioni urgenti ed indifferibili – A carico del S.S.N. – Solo entro i limiti di volume e spesa concordati – Oltre tali limiti – A carico dell’utente o dell’ente erogante la prestazione 


22. Sanità  e farmacie – Enti privati – Prestazioni erogate oltre i limiti assegnati – Possibilità  indennizzo a carico del S.S.N. ex art. 2041 c.c. – Condizioni e limiti 


23. Sanità  e farmacie – Enti privati – Prestazioni erogate oltre i limiti assegnati -Indennizzo ex art. 2041 c.c. – Requisito della utilitas e prova – Prestazioni di pronto soccorso indifferibili e non indifferibili 


24. Sanità  e farmacie – D.L. n. 112/2008 – Strutture sanitarie pubbliche – Remunerazione prestazioni oltre volumi assegnati e tetti di spesa – Possibilità  – In ragione della finalità  del S.S.N. 


25. Sanità  e farmacie – D.L. n. 112/2008 – Strutture sanitarie pubbliche – Remunerazione prestazioni oltre volumi assegnati e tetti di spesa – Possibilità  – Ulteriori ragioni 


26. Sanità  e farmacie – Ospedali pubblici – Sono la struttura del Servizio Sanitario Nazionale – Strutture sanitarie diverse da quelle pubbliche – Sono complementari – Conseguenze e differenze 


27. Sanità  e farmacie – Attività  sanitaria – Attività  d’impresa – E’ configurabile come tale – Anche se esercitata senza scopo di lucro 


28. Sanità  e farmacie – Enti privati – Remunerazione prestazioni extra-tetto – Aiuto di stato illegale – E’ potenzialmente configurabile 


29. Sanità  e farmacie – Enti ecclesiastici civilmente riconosciuti – Status di enti pubblici – Non lo posseggono – Ragioni 


30. Sanità  e farmacie – Tetti di spesa – Regressioni tariffarie – Significato e portata 


31. Sanità  e farmacie – Art. 14 L.R. n. 26/2006 – Uniformità  di trattamento fra i tre maggiori enti ecclesiastici della Puglia – Non implica assegnazione di volumi di prestazione e tetti di spesa secondo criteri di rigorosa uguaglianza o proporzionalità  – Ragioni
 

1. Nell’ambito della legislazione sanitaria statale e regionale non esiste alcuna norma dalla quale possa farsi discendere la equiparazione fra enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati e le strutture ospedaliere pubbliche ai fini dell’obbligo di erogare prestazioni a carico del servizio sanitario nazionale oltre i limiti individuati prima dalle convezioni e poi dall’accreditamento e dagli accordi contrattuali e, quindi, ai fini del diritto di percepire la relativa remunerazione (cfr. contra TAR Bari, Sez. III, n. 1796/2011). 


2. La classificazione delle strutture sanitarie ai sensi degli artt. 2 e ss. L. n. 132/1968, costituendo essenzialmente solo un atto amministrativo, ricognitivo della qualità , della tipologia e della adeguatezza della struttura ospedaliera ad erogare prestazioni di assistenza al pubblico, non equivale a riconoscimento quali enti pubblici ospedalieri degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti esercenti l’assistenza ospedaliera, a ciò ostando la soggettività  di diritto privato di questi ultimi. 


3. L’impossibilità  di equiparare gli enti ecclesiastici agli enti pubblici ospedalieri è desumibile già  nell’impianto della L. n. 138/68 alla cui stregua soltanto gli ospedali pubblici avevano l’obbligo di prestare l’assistenza ospedaliera in maniera incondizionata e cioè a prescindere dalla possibilità  di recuperare dal paziente i costi della degenza e delle prestazioni, mentre gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ancorchè classificati, non avevano tale obbligo e la loro partecipazione al servizio sanitario pubblico costituiva una eventualità  legata alla stipula di specifiche convenzioni con gli enti ospedalieri, in mancanza delle quali essi potevano operare solo come enti privati, con costo a carico degli assistiti o degli enti mutualistici ed assicurativi ai quali costoro fossero stati iscritti. 


4. Anche in base alla L. n. 833/78, che ha affidato la somministrazione dell’assistenza sanitaria unicamente a soggetti di diritto pubblico, la partecipazione di enti privati al circuito del servizio sanitario nazionale non poteva che discendere da singoli atti di convenzionamento con le unità  sanitarie locali, ai quali si doveva fare riferimento al fine di determinare il limite dei diritti e degli obblighi di tali enti. 


5. L’art. 41, ultimo comma, L. n. 833/78, stabilendo l’obbligo per le regioni di tenere conto, nella determinazione della dotazione finanziaria delle unità  sanitarie locali, delle convenzioni stipulate con gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati, conferma per un verso che tale obbligo non era automatico, non costituendo tali enti presidi delle uu.ss.ll.; per l’altro, che il finanziamento non era illimitato o incondizionato, dipendendo dal valore delle prestazioni convenzionate in concreto erogate e, soprattutto, dalla esistenza stessa della convenzione. La norma conferma, quindi, l’assunto secondo cui gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati partecipavano al circuito del servizio sanitario nazionale solo nella misura e per le prestazioni in relazione alle quali avevano stipulato le apposite convenzioni prescritte. 


6. L’inclusione degli enti ecclesiastici classificati nel Piano Sanitario Regionale di cui alla L. n. 833/78 conseguiva non alla classificazione in sè, ma al convenzionamento il quale presupponeva l’alterità  del servizio sanitario nazionale rispetto agli enti classificati stessi e cioè la non consustanzialità  degli enti stipulanti rispetto al Servizio medesimo, al quale chiedevano di partecipare mediante la convenzione. 


7. L’inserimento degli enti classificati nel circuito del Servizio sanitario nazionale non costituiva un diritto per costoro, nè un dovere per le istituzioni pubbliche e, d’altro canto, il convenzionamento costituiva, per gli enti classificati, un onere – e non un obbligo – e per le unità  sanitarie locali un atto discrezionale: infatti, ove il ricorso all’ausilio delle istituzioni private e l’inserimento di esse nella programmazione sanitaria fosse stato “obbligatorio” per le istituzioni pubbliche non vi sarebbe stata alcuna necessità  di prevedere il convenzionamento. Per tali ragioni l’inserimento degli enti classificati nella rete ospedaliera e nella programmazione regionale, per quanto giustificata dalla qualità  della assistenza sanitaria offerta da tali enti, non conferiva loro lo status di ente ospedaliero pubblico. 


8. L’elevata autonomia organizzativa e gestionale e l’indipendenza che la legge n. 833/78 riconosceva agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati (rispetto ad altri enti privati considerati invece “presidi” delle UU.SS.LL. ai fini della erogazione delle prestazioni e, come tali, soggetti ad un controllo più penetrante) costituisce un impedimento fondamentale al fine di pervenire alla “equiparazione” di tali ospedali a quelli pubblici sotto il profilo della remunerazione. 


9. Il D. Lgs. n. 502/92 ha trasformato le unità  sanitarie locali da mere strutture operative a servizio di comuni e comunità  montane in aziende con soggettività  di diritto pubblico, dotate di autonomìa organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, affidate alla direzione manageriale di un direttore generale: in base a tali caratteristiche deve ritenersi che le aziende ospedaliere non potevano avere ad oggetto un ospedale gestito da una istituzione privata, a ciò ostando la natura – privata, appunto – della struttura stessa. Le aziende ospedaliere in senso tecnico erano – e sono ancora oggi – disciplinate quali strutture con soggettività  di diritto pubblico, sulle quali le regioni e le unità  sanitarie locali mantenevano un forte potere di controllo, al punto da poter revocare la costituzione in azienda della struttura versante in disavanzo ingiustificato, con conseguente subentro nei relativi rapporti attivi e passivi della unità  sanitaria locale indicata dalla regione (art. 4 comma 1 quinquies D. L.vo 502/92). Il legislatore ha dunque attribuito alle aziende ospedaliere dei connotati che sono totalmente incompatibili con la natura privata di una struttura che, invece, non può esser fatta oggetto, da parte di una Autorità  pubblica, di provvedimenti quali il commissariamento, la revoca della autonomia o l’imposizione delle modalità  di utilizzo degli avanzi di gestione. 


10. La qualificazione di un ente erogatore privato quale “azienda ospedaliera” non può produrre alcun effetto sulla soggettività  dell’ente, sulla proprietà  di esso e quindi sulla disciplina applicabile agli accordi contrattuali. Essi sono e continuano ad essere enti privati, soggetti alle procedure concorsuali in caso di disavanzo, equiparati alle strutture pubbliche solo laddove esista una norma che esplicitamente preveda una tale equiparazione e, comunque, solo ai fini da tale norma individuati. 


11. Il Servizio Sanitario Nazionale costituisce un servizio pubblico che, in prima battuta, deve essere prestato dalle strutture pubbliche, venendo in considerazione quelle private solo al fine di “integrare”, e non di sostituire, l’attività  prestata dalle pubbliche. 


12. Con il D.Lgs. n. 502/92 il Legislatore si propone di razionalizzare il Servizio Sanitario Nazionale nella consapevolezza dell’importanza del controllo e della programmazione della spesa sanitaria. In relazione a tale intento si pone in contrasto la tesi della equiparazione tra enti ecclesiastici ed enti ospedalieri pubblici, in quanto la pretesa libertà  dei primi da vincoli nell’erogare prestazioni per conto del servizio sanitario nazionale precluderebbe un reale controllo della spesa pubblica, tanto più ove si consideri che gli enti erogatori privati conservano autonomia gestionale, in particolare nella decisione di accettare pazienti a carico del S.S.N. e di scegliere la tipologia di prestazioni da erogare. Anche il dato testuale del D.Lgs. n. 502/92 conferma il principio per cui l’attività  degli enti erogatori privati doveva ritenersi predefinita dalle convenzioni e limitata al contenuto di queste. 


13. Alla data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 502/92 esistevano già  numerosi testi legislativi che “equiparavano” gli ospedali pubblici a quelli gestiti dagli enti privati, ma ciò solo a determinati fini. Nessuna norma antecedente o coeva stabiliva, infatti, detta equiparazione ad ogni effetto di legge o anche solo al fine di radicare il diritto degli enti ecclesiastici ad erogare tutte le prestazioni che avessero ritenuto opportuno erogare ed a riceverne il relativo compenso, al di là  di quanto stabilito nelle convezioni ex art. 53 L. 132/68, nelle convenzioni ex L. 833/78, e quindi nei nuovi accordi contemplati dal D. L.vo 502/92, destinati a sostituire le convezioni. 


14. L’unico tipo di equiparazione fra enti ecclesiastici ed enti ospedalieri di cui è lecito parlare in materia è, semplicemente, quella che deriva dal fatto che le strutture private, aspirando ad erogare prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale, hanno dovuto dotarsi di strutture, di attrezzature, di personale e di una organizzazione interna “simile” a quella che caratterizza gli ospedali pubblici e ciò al solo fine di garantire agli utenti di queste strutture la medesima qualità  delle prestazioni erogate dalle strutture pubbliche. 


15. Con la riforma ad opera del D.Lgs. n. 229/99 viene resa obbligatoria, in sede di programmazione dell’attività  sanitaria, la previsione del volume delle prestazioni necessarie, per il rispetto della quale il legislatore ha introdotto gli istituti dell’accreditamento e degli accordi contrattuali, i quali si fondano sul presupposto che il volume delle prestazioni indicato in sede di programmazione annuale è sufficiente a coprire il fabbisogno e quindi che non v’è alcuna ragione logica per assegnare agli enti erogatori – pubblici e privati – dei volumi di prestazioni e dei tetti di spesa “elastici” o in qualche maniera non vincolanti. 


16. L’accreditamento è una procedura finalizzata non soltanto ad una verifica di qualità  delle strutture e delle prestazioni, ma anche della idoneità  dell’ente a rispettare gli indirizzi di programmazione regionale. Tale ultima verifica costituisce una fase cruciale della procedura di accreditamento, la quale deve passare – al fine di renderla effettivamente utile allo scopo – anche attraverso un controllo della organizzazione interna degli enti erogatori e dei criteri che assistono alla accettazione dei pazienti ed alla individuazione delle prestazioni da erogare: ciò spiega la ragione per cui all’accreditamento sono assoggettate tutte le strutture, non solo private ma anche pubbliche, già  in esercizio o di nuova costituzione. Conseguentemente, la circostanza che un ente erogatore sia o meno accreditato nulla dice e nulla prova in ordine alla sua eventuale equiparazione alle strutture pubbliche. 


17. La domanda di accreditamento implica una precisa manifestazione di volontà  da parte dell’ente che lo richiede e segnatamente un impegno a rispettare gli indirizzi di programmazione regionale e, con essi, il limite di volume delle prestazioni assegnato all’istante stesso. 


18. Gli accordi contrattuali concepiti nel 1999 dal legislatore individuavano sia un determinato volume per ogni tipologia di prestazioni, sia il relativo budget; tuttavia questo ultimo non costituiva un dato invalicabile, dal momento che il corrispettivo indicato negli accordi contrattuali costituiva un semplice “preventivo” soggetto a verifica concreta a consuntivo, in base ai risultati raggiunti ed alla attività  effettivamente svolta, che poteva essere maggiore o minore di quella massima individuata dagli accordi. Era dunque in astratto possibile per tutti gli enti erogatori, sia pubblici che privati, la remunerazione oltre il volume massimo concordato, ma non in via automatica, bensì soltanto secondo i criteri che la legislazione regionale avrebbe individuato e, quindi, ad un titolo diverso dall’accordo contrattuale (la Regione Puglia ha provveduto ad adottare tali criteri, ad esempio, con l’art. 17 comma 2 della L.R. 14/04, che ha individuato la percentuale di pagamento per le prestazioni extratetto erogate in regime di ricovero). Ciò conferma che gli accordi contrattuali non costituivano titolo sufficiente per la remunerazione delle prestazioni erogate oltre i volumi indicati negli accordi medesimi. 


19. Con la riforma ad opera del D.Lgs. n. 254/2008 il corrispettivo preventivato in sede di programmazione regionale e negli accordi contrattuali diventa, di fatto, un tetto di spesa invalicabile e ciò vale per tutti gli enti erogatori ad eccezione delle aziende ospedaliere e dei presidi delle unità  sanitarie locali. 


20. La qualità  di incaricati di pubblico servizio rivestita dagli enti privati che erogano prestazioni a carico del S.S.N. rileva solo ai fini penalistici ed implica, all’occorrenza, solo l’obbligo di somministrare le prestazioni necessarie ad evitare un pregiudizio grave ed irreparabile all’utente, non derivando da ciò alcun onere generalizzato di erogare prestazioni oltre i volumi stabiliti ed i tetti di spesa. 


21. Le prestazioni urgenti ed indifferibili effettuate dagli enti privati, benchè necessarie ad evitare le imputazioni di cui all’art. 328, comma 1, c.p., non possono essere poste a carico del Servizio sanitario nazionale quando l’ente erogatore privato abbia già  raggiunto i limiti di volume e di spesa stabiliti negli accordi contrattuali. Conseguentemente, mentre il cittadino vanta nei confronti delle strutture pubbliche un diritto incondizionato (sia pure secondo le tempistiche individuate dalle strutture medesime) a vedersi somministrare, con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, le prestazioni individuate dai Livelli Essenziali di Assistenza, questo diritto incondizionato sussiste nei confronti degli enti erogatori privati solo nei limiti di quelle che una volta erano le convenzioni ed oggi sono gli accreditamenti e gli accordi contrattuali. Oltre tali limiti il costo per le cure ricevute (che l’ente privato non può rifiutare di erogare in favore del paziente che non sia in grado di pagare per essa e che non possa essere trasportato presso una struttura pubblica), qualora l’utente non voglia o non possa pagare il corrispettivo, rimarrà  a carico dell’ente, non esistendo un principio per cui l’incaricato di pubblico servizio abbia sempre diritto di recuperare dalla Amministrazione pubblica il costo delle prestazioni rese. 


22. E’ possibile che prestazioni afferenti i Livelli Essenziali di Assistenza erogate da enti privati oltre i limi assegnati possano essere indennizzate dal Servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 2041 c.c.. In tale evenienza, però, occorre, in ragione del carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., la dimostrazione che il beneficiario della prestazione erogata oltre i tetti di spesa sia stato inutilmente escusso; inoltre, è richiesto il riconoscimento della utilitas da parte di colui che si è indebitamente arricchito e, quindi, si deve poter dimostrare che le autorità  preposte al Servizio sanitario nazionale abbiano ritenuto necessario ricorrere alle prestazioni dell’ente erogatore privato interessato, nonostante il fatto che questi avesse già  raggiunto i limiti concordati.


23. La necessità  di dimostrare il requisito della utilitas previsto dall’art. 2041 c.c. non preclude l’indennizzo per tale via anche delle prestazioni di pronto soccorso indifferibili, per le quali non vi è tempo di chiedere permessi o nulla – osta, purchè la u.s.l. riconosca a posteriori che non si poteva fare altrimenti. Mentre per tutte le altre prestazioni non caratterizzate da urgenza vi è il tempo per interpellare la u.s.l. ed acquisirne il consenso, in difetto del quale l’ente privato dovrà  rifiutare di erogare la prestazione a carico del S.S.N. facendo rilevare al paziente la necessità  di pagarne il relativo costo ovvero di rivolgersi ad altra struttura. 


24. Con il D.L. n. 112/2008 il legislatore ha fatto salva, per le strutture pubbliche, la possibilità  di ottenere – sia pure in base ai criteri individuati dalle regioni – una remunerazione per le prestazioni erogate a carico del S.S.N. oltre i volumi o i tetti di spesa ad esse assegnati. Ciò in ragione del fatto che il Servizio sanitario nazionale è finalizzato a garantire ad ogni cittadino le prestazioni sanitarie reputate necessarie per la tutela del diritto alla salute consacrato all’art. 32 Cost., le quali sono individuate dai Livelli Essenziali di Assistenza, finalità  questa che può essere perseguita solo ove il cittadino possa, in qualsiasi momento, rivolgersi ad una struttura che sia in grado di farsi carico della erogazione delle prestazioni individuate dai L.E.A., a prescindere dalla possibilità  di poterne ripetere dal paziente i relativi costi ed a prescindere dai limiti derivanti dalla programmazione nazionale e regionale. 


25. Il D.L. n. 112/08, pur affermando l’invalicabilità  dei volumi di prestazioni e dei tetti di spesa individuati dagli accordi contrattuali, ha lasciato alle strutture pubbliche la possibilità  di ottenere una remunerazione “a consuntivo” nella consapevolezza che la programmazione regionale, per quanto attendibile, costituisce pur sempre una previsione fallibile e che pertanto può verificarsi la necessità  che prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale (cioè quelle individuate dai L.E.A.) debbano essere erogate anche fuori dai limiti individuati in sede di programmazione del fabbisogno in quanto non procrastinabili sino al momento della stipula dei nuovi accordi contrattuali. La scelta del legislatore per cui solo le strutture pubbliche possono beneficiare di tale possibilità  dipende, non solo dalla circostanza che esse sono meglio gestibili, in ragione del controllo che le Regioni e le u.s.l. esercitano su di esse, nonchè dal fatto che l’assistenza sanitaria costituisce un fine istituzionale dello Stato e delle regioni, ma anche dalla circostanza che la remunerazione per le prestazioni extra-tetto non necessariamente copre tutto il relativo costo ed è quindi ben possibile che le strutture pubbliche che si trovino nell’obbligo di erogare prestazioni extra-tetto accumulino un disavanzo che deve essere coperto dalle unità  sanitarie locali, in qualità  di enti che hanno le gestione e la proprietà  dei presidi ospedalieri (art. 5 D. L.vo 502/97) ed in base ai principi generali sulla responsabilità  patrimoniale del debitore. Mentre lo Stato non può mettere le strutture private in condizione di indebitarsi atteso che non esiste alcuna ragione logica per cui il disavanzo di un ente privato, in sè considerato, debba essere coperto con danari pubblici. 


26. Gli ospedali pubblici rappresentano la vera e propria struttura del servizio sanitario nazionale e il vero e proprio intervento diretto dello stesso nei confronti della collettività , mentre tutte le altre strutture che in qualche modo confluiscono nel sistema sanitario sono tutte in misura maggiore o minore complementari dello stesso (così Cons. Stato, Sez. V, n. 6130/2011). Conseguentemente, le strutture pubbliche devono essere messe in condizione di rendere il servizio “perchè comunque tenute”, con ciò confermando che le strutture private non sono invece gravate dall’obbligo di rendere il servizio “comunque”. Infine, dal carattere meramente complementare delle strutture diverse da quelle pubbliche deriva che non è compito delle istituzioni pubbliche ripianare i debiti degli ospedali religiosi, il che conferma che essi non sono affatto “equiparati” agli enti ospedalieri pubblici. 


27. L’attività  sanitaria può essere astrattamente esercitata anche solo in forma privata ed in regime di libero mercato; pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia della Unione Europea, ai fini dell’applicazione delle norme sulla concorrenza, essa può e deve essere considerata alla stregua di una attività  d’impresa, anche laddove sia in concreto esercitata da un ente che non persegua un fine di lucro (cfr. Corte di Giustizia sentenza resa il 25.10.2001 nella causa C-475/99 e sentenza resa in data 1.7.2008 nella causa C-49/07). 


28. Mentre le strutture pubbliche che esercitano attività  di assistenza sanitaria agiscono nel perseguimento di un fine istituzionale dello stato-comunità  e delle regioni, lo stesso non si può dire per gli enti privati, così che qualsiasi emolumento che dovesse essere corrisposto alle strutture private, fuori dai limiti previsti dalla normativa vigente, per prestazioni extra-tetto, rischierebbe di configurare anche un aiuto di stato illegale. 


29. Gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non possono vantare di aver mai posseduto lo status di enti pubblici: anzitutto perchè hanno sempre partecipato al circuito sanitario pubblico in forza di specifiche convenzioni, stipulate in qualità  di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti; in secondo luogo, perchè detti enti a far tempo dalla entrata in vigore della L. 222/85 (che ha ratificato e dato esecuzione alla modifica dei Patti lateranensi) godono a tutti gli effetti dello status di enti privati e, come tali, essi non potevano possedere, allo stesso tempo, il diverso ed incompatibile status di enti ospedalieri pubblici, non essendo consentito nel nostro ordinamento possedere ed esercitare uno status incompatibile con altro status ufficialmente riconosciuto. 


30. Le “regressioni tariffarie” altro non sono che i criteri per la remunerazione delle prestazioni erogate extra-tetto, adottati ai sensi dell’art. 8 quinquies comma 1 lett. d) del D. L.vo 502/92. Tali criteri, in quanto adottati in attuazione di una norma di legge primaria, hanno comunque efficacia cogente indipendentemente dal recepimento di essi negli accordi contrattuali, i quali ultimi, su tal punto, non potrebbero derogarvi prevedendo soglie diverse di remunerabilità  delle prestazioni erogate extra tetto. 


31. L’uniformità  di trattamento fra i tre maggiori enti ecclesiastici della Puglia, che l’art. 14 della L.R. 26/06 ha inteso perseguire stabilendo anche a favore dell’ospedale “Miulli” e dell’ospedale “Panico” analogo incremento delle tariffe dei DRGs accordato all’I.R.C.C.S. “Casa sollievo della sofferenza”, non può implicare che la Regione debba assegnare alle tre strutture predette volumi di prestazioni e tetti di spesa identici, nè che sia tenuta ad assegnarli nel rispetto rigoroso di un criterio proporzionale. L’assegnazione dei volumi di prestazione ed i tetti di spesa alle tre strutture rimane, infatti, un atto connotato da discrezionalità , nell’esercizio della quale rivestono importanza la capacità  produttiva dei tre enti – sia per quantità  che per tipologia di prestazioni – nonchè la rispettiva dislocazione territoriale, la composizione del bacino di utenza e la presenza di altre strutture accreditate: elementi questi che sono variabili nel tempo.
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Vedi Cons. di Stato, sez. III, sentenza 8 febbraio 2013, n. 735 – 2013; ordinanza 13 luglio 2012 n. 2737 – 2012; ric. n. 4784 – 2012; vedi anche ricorso n. 7492 – 2012 su sentenza n. 454/2012, sentenza 20 maggio 2014, n. 2591 – 2014; esecuzione sentenza CDS 735/2013 non passata in giudicato, sez. III, ric. nn. 2153 – 2013 e 1869 – 2013 
 
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N. 00453/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00207/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 207 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Azienda Ospedaliera – Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G.Panico” di Tricase, rappresentato e difeso dall’avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14; 

contro
Regione Puglia, rappresentata e difesa dall’avv. Antonella Loffredo, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, Pza Massari; 
Azienda Sanitaria Locale Lecce; 
Ente Ecclesiastico Ospedale Generale Regionale “F. Miulli”, rappresentato e difeso dall’avv. Paolo Nitti, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. Bari in Bari, Pza Massari; 

quanto al ricorso principale:
per l’annullamento:
– della determina dirigenziale n. 198 del 7 luglio 2010, trasmessa in allegato alla nota prot. n. AOO-151/8997 del 26.07.2010, avente ad oggetto: “Ospedale Card. G. Panico di Tricase – remunerazione a saldo definitivo prestazioni anno 2008”;
– di ogni altro atto a questo presupposto, connesso e/o consequenziale, ed, in particolare, ove occorra, della nota della Regione Puglia prot. n. AOO-151/9143 del 5.8.2010, della nota della Regione Puglia prot. n. AOO- 151/10299 del 9.9.2010, nonchè solo tuzioristicamente delle note dell’ASL LE prot. n. 87975 del 25.5.2010 e prot. n. 100360 del 14.6.2010, richiamate nella determina impugnata;
nonchè in sede di giurisdizione esclusiva:
– per l’accertamento e la declaratoria del diritto dell’Azienda Ospedaliera Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G. Panico” di vedersi riconoscere economicamente dalla Regione Puglia tutte le prestazioni erogate nell’anno 2008, in favore degli utenti del SSR, anche in eccedenza rispetto all’assegnazione finanziaria originariamente disposta dalla stessa Regione con il DIEF 2008, tanto in virtù dell’equiparazione, sancita a livello nazionale e regionale con disposizioni inderogabili, delle Aziende Ospedaliere gestite da Enti Ecclesiastici civilmente riconosciute alle strutture ospedaliere pubbliche;
– ovvero, quantomeno, per l’accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente:
a) di vedersi riconosciuta a decorrere dal 2008 un’assegnazione finanziaria equivalente e/o comunque proporzionalmente corrispondente a quella disposta dalla Regione Puglia in favore di altri Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti costituiti in azienda ospedaliera insistenti sul territorio regionale;
b) a vedersi riconosciute, anche economicamente, le prestazioni di alta complessità  extrabudget nella misura corrispondente e riveniente dalla corretta applicazione dei DD.II.EE.FF. annualmente approvati dalla Regione Puglia a decorrere dall’anno 2004 e successivamente almeno fino al 2008;
c) a vedersi riconoscere e remunerare la tipologia di prestazioni tassativamente individuate dal comma 1 dell’art. 8-sexies del D.lgs. n. 502/92 e s.m.i. sulla scorta della contabilità  analitica prodotta dalla struttura erogante ed attestante i costi di produzione sostenuti;
quanto ai motivi aggiunti:
– della determina dirigenziale della Regione Puglia-Assessorato alle Politiche della Salute del n. 365 del 17.12.2010,;
nonchè in sede di giurisdizione esclusiva:
– per l’accertamento e la declaratoria del diritto dell’Azienda Ospedaliera Pia Fondazione di Culto e Religione “Card. G. Panico” di vedersi riconoscere economicamente dalla Regione Puglia tutte le prestazioni erogate nell’anno 2008, in favore degli utenti del SSR, anche in eccedenza rispetto all’assegnazione finanziaria originariamente disposta dalla stessa Regione con il DIEF 2008;
ovvero quantomeno, per l’accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente:
– di vedersi riconosciuta a decorrere dal 2008 un assegnazione finanziaria equivalente e/o comunque proporzionalmente corrispondente a quella disposta dalla Regione Puglia in favore di altri Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti;
– e di tutti gli altri atti proposti nel ricorso;
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia e dell’Ente Ecclesiastico Ospedale Generale Regionale “F. Miulli”;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2011 il dott. Roberta Ravasio e uditi per le parti i difensori avv. A. Garofalo, G. V. Petruzzi e E. Sticchi Damiani, per la ricorrente; avv. O. Di Lecce, avv. L. Girone e M. Grimaldi, per la Regione Puglia; avv. G. Corrente, per la controinteressata.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO
Con il ricorso in epigrafe indicato, in origine proposto avanti al TAR Puglia sede di Lecce, la ricorrente Pia Fondazione di culto e religione “Ospedale Card. Panico”, contesta la determinazione regionale che ha determinato l’ammontare globale dovutole per le prestazioni di assistenza ospedaliera erogate nel corso dell’anno 2008, liquidando le medesime a saldo – dedotti gli acconti ricevuti durante l’anno – in € 2.801.910,00.
Riferisce in fatto la ricorrente che con delibera di Giunta Regionale n. 95/08 veniva fissato, in suo favore, un tetto di remunerazione, relativamente all’anno 2008, in complessive € 73.064.000,00, delle quali € 54.900.000,00 per prestazioni ospedaliere, € 12.254.000,00 per prestazioni ambulatoriali comprensive della mobilità  extraregionale, € 1.500.000,00 per spesa farmaceutica, ed € 4.410.000,00 per emergenza ed altre funzioni non tariffate; che nel corso dell’anno erogava prestazioni di alta specialità  per un importo complessivo di € 14.805.423,56, prestazioni di trapianti per € 1.672.735,33, prestazioni di ricovero per € 49.252.686,46 ed infine prestazioni ambulatoriali per € 13.272.794,39.
Tanto premesso la ricorrente impugna la determinazione della Regione n. 198 del 7 luglio 2010 laddove: a) ha inglobato la spesa per prestazioni di alta specialità  a quelle per ricoveri, stimando questa ultima in complessive € 64.058.000,02, e cioè in € 9. 158.000,02 oltre al tetto di spesa assegnato per tale voce, delle quali ha poi riconosciuto solo il 25% ai sensi dell’art. 17 comma 3 L.R. 14/04; b) ha valutato in € 13.272.794,39 la spesa per prestazioni ambulatoriali, e cioè in € 1.018.794,39 oltre il tetto di spesa assegnato per tale voce, sospendendo peraltro la liquidazione di tale extra tetto in mancanza di parametri di riferimento; c) ha conseguentemente determinato il diritto della ricorrente di percepire, in più oltre al tetto di spesa assegnato, € 2.547.500,00 per prestazioni di ricovero, oltre ad € 975.093,16 per maggior spese farmaceutiche e ad € 1.805.210 per esclusive attività  in DRG e specialistica ambulatoriale; e) ha conseguentemente liquidato a favore della ricorrente, a saldo delle prestazioni erogate nel corso dell’anno 2008, dedotti gli acconti già  ricevuti, la somma di € 2.801.910,00.
La ricorrente ha dedotto l’illegittimità  di tale liquidazione per le seguenti ragioni:
I) violazione della normativa statale e regionale in materia di equiparazione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti alle strutture pubbliche ospedaliere, falsa ed erronea presupposizione delle circostanze di fatto e di diritto, eccesso di potere, assoluta carenza di istruttoria e motivazionale, violazione del principio di proporzionalità , perplessità  della azione amministrativa, violazione dei principi di imparzialità , buon andamento e dell’affidamento, ingiustizia manifesta: gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti , qual è l’Azienda ricorrente, sono stati equiparati, dalla legislazione nazionale e regionale nonchè da varie circolari ministeriali agli enti pubblici che erogano prestazioni sanitarie per conto del Servizio Sanitario Nazionale. Pertanto anche per quanto riguarda la determinazione dei tetti di spesa tali enti devono essere trattati al pari degli enti pubblici, con integrale rimborso di tutte le prestazioni erogate a favore degli utenti del S.S.R. In ogni caso non si comprende per quale ragione le assegnazioni finanziarie determinate a favore dell’I.R.C.S.S. “Casa sollievo della sofferenza” nonchè dell’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti siano state determinato in misura quasi doppia, ciò che implica una violazione del principio di eguaglianza tra i tre ospedali religiosi pugliesi sancito dall’art. 14 comma 5 L.R. 26/06;
II) eccesso di potere, assoluta carenza istruttoria e motivazionale, falsa ed erronea presupposizione in fatto e in diritto, violazione delle disposizioni in materia di finanziamento delle prestazioni degli enti ecclesiastici contenute nel DIEF 2008, perplessità , contraddittorietà  dell’azione amministrativa, sviamento, violazione del principio di imparzialità  e buon andamento, irragionevolezza e ingiustizia manifesta: la Regione, nel determinare l’extra tetto, ha considerato separatamente il tetto assegnato per i ricoveri da quello assegnato per le prestazioni ambulatoriali, che invece devono essere accomunate, così come ha statuito anche la DGR n. 311/2007; in ogni caso la ricorrente non ha sottoscritto alcun accordo ai sensi dell’art. 8 quinquies D. L.vo 502/98, e quindi alla stessa non possono essere opposte le regressioni tariffarie previste per gli enti che invece gli accordi hanno stipulato, anche perchè comunque gli enti ecclesiastici debbono avere lo stesso trattamento degli enti pubblici;
III) eccesso di potere per violazione delle disposizioni in materia di remunerazione delle prestazioni erogate dalle strutture ospedaliere gestite da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti contenute nei DD.II.EE.FF. approvati per gli anni 2004-2008, erronea presupposizione in fatto e in diritto, violazione dei principi di affidamento e buona andamento, ingiustizia manifesta: le prestazioni di alta specialità  che superano i limiti del budget avrebbero dovuto essere remunerate extra tetto, giusta quanto previsto nei DIEF 2004 e successivi; la ricorrente ha accumulato un importo di € 3.596.052,34 per prestazioni di alta specialità  di cui avrebbe dovuto percepire il pagamento extra-budget, e pertanto tale importo non avrebbe dovuto confluire nel tetto indicato nella colonna A per l’anno 2008;
IV) violazione dell’art. 8 sexies comma 2 D. L.vo 502/92, violazione dell’art. 20 L.R. 16/97, carenza di istruttoria e motivazionale, erronea presupposizione in fatto e in diritto, perplessità : nel coacervo delle prestazioni di alta specialità , contabilizzate per l’anno 2008 in complessive € 14.805.423,56, sono comprese anche prestazioni relative a trapianti, per un importo di € 1.672.753,33, che avrebbero dovuto essere remunerate a parte, al costo standard, ai sensi dell’art. 8 sexies D. L.vo 502/92e dell’art. 20 comma 1 L.R. 16/97, come modificata dalla L.R. 28/00.
L’ente ricorrente ha pertanto concluso chiedendo l’annullamento della determina impugnata e l’accertamento del proprio diritto a conseguire l’intera remunerazione per le prestazioni erogate extra tetto; in subordine ha chiesto accertarsi il diritto a vedersi attribuire a decorrere dal 2008 un’assegnazione finanziaria equivalente e/o comunque proporzionalmente corrispondente a quella disposta dalla Regione Puglia in favore di altri Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti costituiti in azienda ospedaliera insistenti sul territorio regionale, in virtù della citata equiparazione sancita da disposizioni di legge inderogabili; a vedersi riconosciute, anche economicamente, le prestazioni di alta complessità  extrabudget nella misura corrispondente e riveniente dalla corretta applicazione dei DD.II.EE.FF. annualmente approvati dalla Regione Puglia a decorrere dall’anno 2004 e successivamente almeno fino al 2008;ed infine a vedersi riconoscere e remunerare la tipologia di prestazioni tassativamente individuate dal comma 1 dell’art. 8-sexies del D.lgs. n. 502/92 e s.m.i. sulla scorta della contabilità  analitica prodotta dalla struttura erogante ed attestante i costi di produzione sostenuti.
Con delibera di Giunta Regionale n. 365 del 17 dicembre 2010 veniva riconosciuta, a favore dell’ente ricorrente, l’ulteriore somma di € 305.638,32, pari al 30% dell’extra tetto riferibile alle prestazioni specialistiche ambulatoriali, e tanto in applicazione dell’art. 17 comma 2 della L.R. 14/04.
La Regione Puglia si è costituita in giudizio con memoria depositata il 15 gennaio 2011 eccependo l’incompetenza territoriale del TAR di Lecce, la tardività  della impugnazione della delibera 7 luglio 2010 n. 198, ed infine l’infondatezza nel merito.
A seguito di declaratoria di incompetenza da parte del TAR Lecce, gli atti del fascicolo venivano trasmessi a questo Tribunale, ove pervenivano il 1° febbraio 2011.
Con memoria 1° febbraio 2011 si è anche costituito in giudizio l’ente ospedaliero “Miulli” di Acquaviva delle Fonti.
Alla camera di consiglio del 16 febbraio 2011 la discussione veniva rinviata per consentire la proposizione di motivi aggiunti avverso la Determina Dirigenziale n. 365/2010, motivi che effettivamente l’ente ricorrente depositava in data 12 marzo 2011.
A mezzo degli stessi l’ente ricorrente riproponeva gli stessi motivi già  articolati con il ricorso principale, quali vizi propri e derivati della determinazione impugnata.
Ha resistito l’Ospedale “Miulli” rilevando la propria carenza di legittimazione passiva.
Alla camera di consiglio del 6 maggio 2011 il Collegio respingeva l’istanza di concessione di provvisionale, fissando l’udienza per la discussione del merito al 16 novembre 2011.
L’istanza veniva riproposta con atto depositato il 15 giugno 2011: alla camera di consiglio del 7 luglio 2011 la relativa discussione veniva abbinata al merito.
Il ricorso veniva infine introitato per la decisione alla pubblica udienza del 16 novembre 2011.
DIRITTO
1. .Il Collegio osserva preliminarmente che, attesa l’identità  delle censure che sono state formulate, il ricorso per motivi aggiunti può essere esaminato unitamente al ricorso principale.
2. Con il primo motivo, articolato in due doglianze, la ricorrente censura le determinazioni dirigenziali in epigrafe indicate per la ragione che la Regione Puglia non riconosce all’ente ricorrente l’intero ammontare delle prestazioni erogate oltre i tetti di spesa individuati nel DIEF per l’anno 2008, così finendo per trattare in maniera differenziata gli enti ecclesiastici e le strutture pubbliche in violazione del principio di equiparazione tra le due categorie di enti. Le determinazioni impugnate sono altresì illegittime perchè, assegnando all’ente ricorrente un importo di molto inferiore rispetto a quello ottenuto dall’I.R.C.C.S. “Casa sollievo della sofferenza” e dall’Ospedale “Miulli”, avrebbero violato il principio di uniformità  di trattamento dei tre enti ecclesiastici in questione, sancito legislativamente.
La censura non è fondata per i motivi che seguono.
2.1. Al riguardo il Collegio non condivide l’orientamento di altra Sezione di questo Tribunale (Sez. III sentenza n. 1796/2011), che ha ritenuto sussistente un diritto delle strutture sanitarie classificate e gestite da Enti Ecclesiastici civilmente riconosciuti ad ottenere l’assegnazione di fondi a ripiano di tutte le prestazioni rese a prescindere dai provvedimenti autoritativi regionali, che avevano determinato i relativi tetti di spesa.
Tale prospettazione della difesa di parte ricorrente non può essere accolta per una pluralità  di ragioni, che si accennano e su cui si tornerà  più diffusamente in prosieguo: in primo luogo perchè tali Enti non possono affatto ritenersi equiparati, se non a limitati fini, agli enti ospedalieri pubblici ed in secondo luogo perchè solo a carico di questi ultimi esiste un incondizionato obbligo di prestare assistenza ospedaliera a favore di chiunque necessiti di cure urgenti, indipendentemente dal fatto che disponga, o meno, di forme di assicurazione sanitaria.
2.1.1. A tale conclusione è pervenuto con un excursus cronologico della normativa del settore sanitario a partire della legge Crispi n. 6972/1890, che per prima prefigurò l’assistenza sanitaria ospedaliera come organizzata da un ente pubblico ed impose la trasformazione degli enti morali, delle opere pie e delle istituzioni di carità  nelle c.d. I.P.A.B., Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza.
2.1.2. Una ulteriore tappa fondamentale venne segnata dalla legge Petragnani, n. 1631 del 1938, che costituì il primo atto di riferimento sulla organizzazione, la struttura ed il funzionamento interno degli ospedali, dei quali veniva prevista una prima classificazione nonchè la suddivisione interna in sezioni, divisioni e reparti.
2.1.3 Ma la svolta significativa, nel senso di dare attuazione al dettato dell’art. 32 della Costituzione mediante la costituzione di un servizio sanitario nazionale alla portata di tutti i cittadini, si ebbe con la legge Mariotti, n.132 del 1968, i cui tratti salienti erano i seguenti: a) la trasformazione strutturale dell’ospedale in ente ospedaliero; b) l’affermazione del diritto alla tutela della salute pubblica secondo il dettato dell’art. 32 Cost. con il conseguente superamento del criterio caritativo-assistenziale; c) l’individuazione dei compiti degli enti ospedalieri, che prevedevano anzitutto il ricovero e la cura degli infermi indipendentemente dalla disponibilità  di forme di assicurazione; d) l’inserimento della attività  ospedaliera nel quadro della programmazione nazionale; e) la costituzione di nuovi enti ospedalieri e la classificazione di tutti gli ospedali come generali o specializzati, come ospedali di zona, provinciali, regionali, per lungodegenti o per convalescenti. La legge n. 132/68 enunciava inoltre i criteri per la disciplina dello status giuridico del personale ospedaliero nonchè un sistema di controlli sulla attività  delle “case di cura” private.
Per quanto interessa particolarmente ai fini del presente ricorso, va sottolineato che all’art.1 comma 1 la L. 132/68 enunciava il principio per cui “L’assistenza ospedaliera pubblica è svolta a favore di tutti i cittadini italiani e stranieri esclusivamente dagli enti ospedalieri”, per tali dovendosi intendere “gli enti pubblici che istituzionalmente procedono al ricovero ed alla cura degli infermi” (art. 2 comma 1 L. 132/68).
Quanto agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitavano l’assistenza ospedaliera, l’art. 1, comma 5 e 6, stabiliva che “Salva la vigilanza tecnico-sanitaria spettante al Ministero della sanità  nulla è innovato alle disposizioni vigenti per quanto concerne il regime giuridico-amministrativo¦.Gli istituti e gli enti di cui al quinto comma, ove posseggano i requisiti prescritti dalla presente legge possono ottenere, a domanda, che i loro ospedali siano classificati in una delle categorie di cui agli artt. 20 e seguenti anche ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nel titolo IV della presente legge”, e cioè anche ai fini della programmazione ospedaliera.
Orbene, la classificazione ai sensi degli artt. 20, costituendo essenzialmente solo un atto amministrativo, ricognitivo della qualità , della tipologia e della adeguatezza della struttura ospedaliera ad erogare prestazioni di assistenza al pubblico, non equivaleva affatto a costituire quali “enti ospedalieri” gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti esercenti l’assistenza ospedaliera, a ciò ostando la soggettività  di diritto privato di detti enti. La fondatezza di tale assunto emerge dal confronto tra il comma 6 dell’art. 1, dianzi esaminato, ed il comma 4, che relativamente alle fondazioni e associazioni disciplinate dagli artt. 12 e segg. del codice civile prevedeva espressamente che questi, a domanda ed ove in possesso dei requisiti prescritti dalla legge, potessero ottenere “il riconoscimento come enti pubblici ospedalieri”, non previsto per gli enti ecclesiastici.
La classificazione ai sensi degli artt. 20 e segg. non equivaleva dunque affatto al “riconoscimento come enti pubblici ospedalieri”, dovendosi quindi escludere che gli enti ecclesiastici rientrassero in tale categoria. Sul punto si veda anche la risoluzione della Agenzia delle Entrate n. 159 del 28 maggio 2002, la quale, proprio in ragione della natura privata degli enti ecclesiastici ospedalieri, ha escluso la possibilità  che gli stessi si avvalgano del regime di esigibilità  dell’IVA di cui all’art. 6 comma 2 del D.P.R. 633/72.
La precisazione di cui sopra è estremamente importante in quanto consente di pervenire alla ulteriore affermazione secondo la quale gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ancorchè classificati, non avevano l’obbligo incondizionato di prestare l’assistenza ospedaliera.
Ed infatti l’art. 2 , dopo aver definito gli “enti ospedalieri”, precisava al comma 3 che “Gli enti ospedalieri, salvo i limiti derivanti dalla specializzazione dell’ospedale o dalle particolari esigenze tecniche legata alla forma morbosa che si presenta, hanno l’obbligo di ricoverare senza particolare convenzione o richiesta di alcuna documentazione, i cittadini italiani e stranieri che necessitano di urgenti cure ospedaliere, per qualsiasi malattia, per infortunio, o per maternità , siano o meno assistiti da enti mutualistici ed assicurativi o da altri enti pubblici e privati. Sulla necessità  del ricovero decide il medico di guardia. Gli accertamenti in ordine alla attribuzione delle spese per l’assistenza sono successivi al ricovero, ferme restando le norme vigenti in materia.”.
Solo gli ospedali pubblici, dunque, avevano l’obbligo di prestare l’assistenza ospedaliera in maniera incondizionata, e cioè a prescindere dalla possibilità  di recuperare dal paziente i costi della degenza e delle prestazioni. Ogni altro ente non riconducibile alla categoria degli “enti ospedalieri” era invece ammesso a svolgere l’assistenza ospedaliera secondo quanto previsto dalle disposizioni che li riguardavano (art. 1 comma 2 e 3 L. 132/68), e pertanto a titolo meramente privato. Ai sensi dell’art. 53 u.c. della L. 132/68, tuttavia, gli enti ospedalieri e gli istituti mutualistici ed assicurativi avevano la possibilità  (e si sottolinea che si trattava di mera possibilità , e non di un obbligo) di stipulare con le associazioni e fondazioni non riconosciute come enti ospedalieri nonchè con gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di cui all’art. 1 comma 5, convenzioni per il ricovero dei propri iscritti.
E’ dunque evidente che nel disegno della L. 132/68 la partecipazione degli enti ecclesiastici, ancorchè classificati, al circuito del servizio sanitario pubblico costituiva una eventualità  legata alla stipula di specifiche convenzioni con gli enti ospedalieri, in mancanza delle quali essi potevano operare solo come enti privati, con costo a carico degli assistiti o degli enti mutualistici ed assicurativi ai quali costoro fossero stati iscritti.
Da notare, inoltre, che l’obbligo di assistenza gravante sugli enti ospedalieri in base all’art. 2 comma 3 della L. 132/68 riguardava solo le persone che necessitavano di “urgenti cure ospedaliere”, il che comportava che gli enti privati fossero esonerati dall’obbligo di prestare qualsiasi tipologia di cura, urgente o meno.
2.1.4. Tale situazione non mutava con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale avvenuta con la L. 833/78. Nessuna statuizione di tale legge smentisce il principio statuito all’art. 2 comma 3 della L. 132/68, relativo all’obbligo dei soli ospedali pubblici di prestare assistenza ospedaliera a prescindere dalla possibilità  di ripeterne i relativi costi. Detto principio è invece implicitamente ribadito dall’art. 1 comma 3, ultimo alinea, della L. 833/78, a mente del quale “L’attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni ed agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione del cittadino”: in tale contesto, in cui la somministrazione di assistenza sanitaria è affidata unicamente a soggetti di diritto pubblico, la partecipazione di enti privati al circuito del servizio sanitario nazionale non poteva che discendere da singoli atti di convenzionamento, ai quali si doveva evidentemente fare riferimento al fine di determinare il limite dei diritti e degli obblighi di tali enti.
Ciò premesso si deve ricordare come il cardine del servizio sanitario nazionale, così come disegnato dalla L. 833/78, fosse costituito dalle unità  sanitarie locali, concepite come strumenti operativi dei comuni e delle comunità  montane, prive di autonoma soggettività , alle quali veniva assegnato il compito di erogare le prestazioni di prevenzione, cura, riabilitazione e di medicina legale (art. 19 L. 833/78).
Orbene, i rapporti tra le unità  sanitarie locali e gli stabilimenti ospedalieri diversi dagli ospedali pubblici veniva preso in considerazione agli artt. 39 – 43 della L. 833/78. In particolare erano disciplinati: all’art. 39 i rapporti con le cliniche universitarie; all’art. 40 i rapporti con gli enti di ricerca; all’art. 41 i rapporti con gli istituti ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, gli ospedali di cui alla L. 817/73, l’Ospedale Galliera di Genova nonchè quelli gestiti dall’Ordine mauriziano e dal Sovrano Ordine militare di Malta; all’art. 42 i rapporti con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; all’art. 43 i rapporti con le altre istituzioni di carattere privato che non avevano chiesto la classificazione ai sensi della L. 132/68, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e le istituzioni che avevano un ordinamento dei servizi ospedalieri “corrispondente a quello degli ospedali gestiti direttamente dalle unità  sanitarie locali, nonchè gli istituti convenzionati per le prestazioni di riabilitazione e le aziende terminali.
Ebbene, in tutti casi dianzi menzionati, nessuno escluso, la L. 833/78 disponeva che i rapporti con le unità  sanitarie locali dovessero essere disciplinati da apposite convenzioni, dalle quali soltanto gli enti privati mutuavano la possibilità  di erogare prestazioni a carico del servizio sanitario pubblico.
Non va però sottaciuto che il legislatore aveva introdotto, nella disciplina dei rapporti con i vari enti privati, alcune differenze sintomatiche della natura degli enti privati di volta in volta coinvolti. Infatti, mentre per gli I.R.C.C.S. e per gli enti di cui all’art. 43 la legge specificava che ai fini della erogazione delle prestazioni assistenziali tali enti dovessero considerarsi presidi delle unità  sanitarie locali (art. 42 comma 3 ed art. 43 comma 2), per gli enti di cui all’art. 41 (e cioè gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti classificati nonchè gli altri enti ospedalieri privati citati dalla norma) la legge 833/78 non effettuava tale precisazione, stabilendo invece, al comma 1, che “Salva la vigilanza tecnico-sanitaria spettante all’unità  sanitaria competente per territorio, nulla è innovato alle disposizioni vigenti per quanto concerne il regime giuridico-amministrativo degli istituti ed enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l’assistenza ospedaliera, nonchè degli ospedali di cui all’art. 1 L. 26 novembre 1973 n. 817”. La norma proseguiva poi, ai comma 3, 4 e 5, statuendo che “I rapporti delle unità  sanitarie competenti per territorio con gli istituti, enti ed ospedali di cui al primo comma che abbiano ottenuto la classificazione ai sensi della L. 12 febbraio 1968 n. 132, nonchè l’ospedale Galliera di Genova e con il Sovrano Ordine militare di Malta, sono regolati da apposite convenzioni. Le convenzioni di cui al terzo comma del presente articolo devono essere stilate in conformità  a schemi tipo approvati dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della sanità , sentito il Consiglio sanitario nazionale. Le regioni, nell’assicurare la dotazione finanziaria alle unità  sanitarie locali, devono tener conto delle convenzioni di cui al presente articolo.”.
Dalla attenta lettura delle norme dianzi esaminate emerge come la L. 833/78 non solo confermasse la piena soggettività  di diritto privato di tutti gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitavano l’assistenza ospedaliera, ma anche come riconoscesse implicitamente la autonomia organizzativa e gestionale di tali enti e la loro indipendenza dalle unità  sanitarie locali, a favore delle quali veniva fatto salvo il potere di svolgere solo una vigilanza di tipo tecnico-sanitaria, dovendosi evidentemente escludere ogni diversa forma di interferenza: ciò comportava la impossibilità  per le unità  sanitarie locali di impartire agli enti classificati direttive di organizzazione e gestionali.
Tale ultima circostanza spiega il motivo per cui all’art. 41 ultimo comma, la legge 833/78 abbia sentito la necessità  di specificare l’obbligo per le regioni di tenere conto, nella determinazione della dotazione finanziaria delle unità  sanitarie locali , delle convenzioni stipulate con gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati. Si vuol dire, cioè, che l’obbligo per le regioni di finanziare le unità  sanitarie locali anche in relazione al costo delle prestazioni rese dagli enti in questione, già  classificati ai sensi della L. 132/68, non era automatico, non costituendo tali enti presidi delle unità  sanitarie locali. La norma si è quindi resa necessaria al fine di mettere le unità  sanitarie locali concretamente in grado di stipulare, disponendo della relativa provvista, le convenzioni di cui all’art. 41 comma 3 e 4, e quindi di servirsi di enti sui quali non avevano alcun potere direttivo o gestionale. E’ peraltro evidente che l’obbligo di finanziamento di che trattasi non era affatto illimitato o incondizionato, dipendendo dal valore delle prestazioni convenzionate in concreto erogate (in allora individuate in posti letto e valorizzate a giornate di degenza) ma, soprattutto, dalla esistenza stessa della convenzione.
L’art. 41 ultimo comma della L. 833/78, insomma, non smentiva affatto, ma anzi confermava, l’assunto secondo il quale gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati partecipavano al circuito del servizio sanitario nazionale solo nella misura e per le prestazioni in relazione alle quali avevano stipulato le apposite convenzioni di cui all’art. 41 comma 3 e 4. Peraltro lo stesso principio valeva per ogni altro istituto privato, e quindi anche per gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti ma non classificati, con l’unica differenza che questi enti venivano considerati, ai soli fini assistenziali, presidi delle u.s.l., e pertanto soggetti ad un controllo più penetrante.
Per mera chiarezza espositiva è poi utile sottolineare che il punto di rilevanza della distinzione tra enti ecclesiastici “classificati” e “non classificati” risiedeva, nella L. 833/78, semplicemente in questo: che gli enti “classificati”, già  contemplati nella programmazione ospedaliera per effetto della L. 132/68, se convenzionati venivano inclusi automaticamente nel Piano Sanitario Regionale di cui all’art. 11 L. 833/78, laddove gli enti non classificati venivano inclusi in tali Piani se ritenutane la necessità  ai sensi dell’art. 44 comma 1 L. 833/78: ciò evidentemente per la ragione che sarebbe stato irrazionale escludere dalla programmazione gli ospedali che già  da tempo operavano nel sistema dando buona prova., solo per farvi rientrare strutture che non avevano mai operato prima nel settore della assistenza sanitaria pubblica. Questo, però, non deve far perdere di vista il fatto che l’inclusione di tali enti nella programmazione sanitaria conseguiva pur sempre non alla classificazione in sè ma al convenzionamento – come si desume chiaramente dall’art. 41 ultimo comma, il quale imponeva alle regioni di tenere conto, nella assegnazione finanziaria alle u.s.l., delle convenzioni, e non della classificazione – , convenzionamento che presuppone(va) l’alterità  del Servizio sanitario nazionale rispetto agli enti classificati stessi, e cioè la non consustanzialità  degli enti stipulanti rispetto al Servizio medesimo, al quale chiedevano di partecipare mediante la convenzione. L’inserimento degli enti classificati nel circuito del Servizio sanitario nazionale non costituiva un diritto per costoro nè un dovere per le istituzioni pubbliche, e d’altro canto il convenzionamento costituiva, per gli enti classificati, un onere – e non un obbligo – e per le unità  sanitarie locali un atto discrezionale: infatti, ove il ricorso all’ausilio delle istituzioni private e l’inserimento di esse nella programmazione sanitaria fosse stato “obbligatorio” per le istituzioni pubbliche non vi sarebbe stata alcuna necessità  di prevedere il convenzionamento. Del resto la non obbligatorietà  del convenzionamento e della classificazione, costituiva anche una garanzia per le istituzioni private, che venivano gravate dell’obbligo di effettuare una serie di adeguamenti alle strutture solo nel caso in cui avessero inteso operare per il Servizio sanitario nazionale.
Per tali ragioni l’inserimento degli enti classificati nella rete ospedaliera e nella programmazione regionale, per quanto giustificata dalla qualità  della assistenza sanitaria offerta da tali enti, non li costituiva nel possesso dello status di ente ospedaliero pubblico.
E’ comunque interessante rimarcare l’elevata autonomìa che la legge n. 833/78 riconosceva agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e classificati, la quale, come infra si vedrà , in realtà  costituisce un impedimento fondamentale al fine di pervenire alla “equiparazione” di tali ospedali a quelli pubblici sotto il profilo della remunerazione. Ma su questo si ritornerà  in prosieguo.
2.1.5. Nè i suindicati principi sono stati sovvertiti, ad avviso del Collegio, dal D. L.vo 502/92, il quale, tuttavia, ha dato corso ad una riforma avente lo scopo dichiarato di rendere più efficiente la gestione delle risorse disponibili indirizzandone l’utilizzo verso il raggiungimento degli obiettivi definiti dalla programmazione nazionale e regionale.
2.1.5.1. E così il D. L.vo 502/92 ha trasformato le unità  sanitarie locali, da mere strutture operative a servizio di comuni e comunità  montane, in aziende con soggettività  di diritto pubblico, dotate di autonomìa organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, affidate alla direzione manageriale di un direttore generale, individuando all’art. 4 del D. L.vo 502/92 gli ospedali da costituire in aziende ospedaliere, dotate anch’esse di personalità  giuridica di diritto pubblico e di autonomìa organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica e sancendo, in particolare, al comma 8, che le aziende ospedaliere dovessero chiudere il proprio bilancio in pareggio, che il verificarsi di ingiustificati disavanzi avrebbe comportato il commissariamento dell’ospedale e la revoca della autonomia aziendale, e che gli ospedali non costituiti in azienda ospedaliera avrebbero conservato la natura di presidi dell’unità  sanitaria locale, privi di autonoma soggettività  ma dotati di autonomìa economico-finanziaria, con contabilità  separata all’interno del bilancio della azienda-unità  sanitaria locale, ai quali dovevano anche essere applicate le norme sulle aziende ospedaliere in quanto compatibili (art. 4 comma 9 D. L.vo 502/92).
Quanto dianzi riferito in ordine alle caratteristiche delle nuove aziende ospedaliere consente di affermare che queste ultime non potevano avere ad oggetto un ospedale gestito da una istituzione privata, a ciò ostando la natura – privata, appunto – della struttura stessa. Le aziende ospedaliere in senso tecnico erano – e sono ancora oggi – disciplinate quali strutture con soggettività  di diritto pubblico, sulle quali le regioni e le unità  sanitarie locali mantenevano un forte potere di controllo, al punto da poter revocare la costituzione in azienda della struttura versante in disavanzo ingiustificato, con conseguente subentro nei relativi rapporti attivi e passivi della unità  sanitaria locale indicata dalla regione (art. 4 comma 1 quinquies D. L.vo 502/92). Oltre a ciò va sottolineato che, ai sensi dell’art. 4 comma 8, le aziende ospedaliere hanno il vincolo del pareggio di bilancio, abbiano l’obbligo di utilizzare gli avanzi di amministrazione per investimenti in conto capitale; inoltre il verificarsi di disavanzi di gestione ingiustificati o la perdita delle caratteristiche strutturali e di attività  prescritte comporta il commissariamento e la revoca della autonomìa aziendale.
Il legislatore ha dunque attribuito alle aziende ospedaliere dei connotati che sono totalmente incompatibili con la natura privata di una struttura, che, invece, non possono essere fatte oggetto, da parte di una Autorità  pubblica, di provvedimenti quali il commissariamento, la revoca della autonomìa o di imporre le modalità  di utilizzo degli avanzi di gestione.
Insomma, le aziende ospedaliere di cui all’art. 4 del D. L.vo 502/92 non potevano che essere soggetti di diritto pubblico e tale impostazione è stata mantenuta con la riforma attuata con D. L.vo 229/99. Detto questo non è da escludere che esistano strutture ospedaliere private dotate di caratteristiche strutturali e di organizzazione simili a quelle che l’art. 4 richiede per le aziende ospedaliere, ma ciò non significa affatto che le strutture private possano costituirsi come tali; ed ove una struttura ospedaliera privata dovesse fregiarsi del titolo di azienda ospedaliera – e non si comprende come ciò possa avvenire -, tale titolo avrebbe soltanto l’ effetto di riconoscere che trattasi di una struttura ospedaliera con determinate caratteristiche organizzative e strutturali, ma comunque di diritto privato. Pertanto, a meno di voler pervenire alla sconcertante conclusione che gli enti privati che siano stati in qualche modo riconosciuti quali “azienda ospedaliera” siano divenuti enti pubblici a sè stanti, con il rischio di divenire presidi ospedalieri di proprietà  di una azienda-unità  sanitaria locale in caso di disavanzo o di perdita dei requisiti, la qualificazione di un ente erogatore privato quale “azienda ospedaliera” non può produrre alcun effetto sulla soggettività  dell’ente, sulla proprietà  di esso e quindi sulla disciplina applicabile agli accordi contrattuali. Essi sono e continuano ad essere enti privati, soggetti alle procedure concorsuali in caso di disavanzo, equiparati alle strutture pubbliche solo laddove esista una norma che esplicitamente preveda una tale equiparazione, e comunque solo ai fini da tale norma individuati.
2.1.5.2. La sostanziale differenza che permaneva tra le strutture ospedaliere pubbliche e le strutture private, di cui si è detto dianzi, è confermata dal comma 12 del medesimo art. 4, secondo cui “Nulla è innovato alla vigente disciplina per quanto concerne l’Ospedale Galliera di Genova, l’Ordine Mauriziano e gli istituti ed enti che esercitano l’assistenza ospedaliera di cui agli artt. 40, 41 e 43, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978 n. 833, fermo restando che l’apporto dell’attività  dei suddetti presidi ospedalieri al Servizio sanitario nazionale è regolamentato con le modalità  previste dal presente articolo¦.”.
L’ultimo inciso deve essere letto tenendo presente che l’articolo 4, nella versione entrata in vigore nel 1992, era pressochè interamente dedicato alla individuazione delle aziende ospedaliere ed alla disciplina di esse e che l’unica parte di esso riferibile anche agli enti privati era il comma 7, il quale indicava i criteri che da quel momento avrebbero dovuto assistere le modalità  di finanziamento delle aziende ospedaliere , introducendo il metodo di remunerazione basato su tariffe definite dalla regione sulla base del costo effettivo e della quota finanziata.
Nulla, quindi, doveva cambiare per gli enti ecclesiastici classificati e per gli altri enti privati, salvo il fatto che a fronte della erogazione di prestazioni a favore del Servizio sanitario nazionale essi sarebbero stati remunerati sulla base di un sistema a tariffe del tutto simile a quello praticato nei confronti delle aziende ospedaliere pubbliche o dei presidi delle unità  sanitarie locali.
2.1.5.3. Proseguendo nella analisi del D. L.vo 502/92 va ancora ricordato l’art. 8, comma 5, il quale – sempre nella versione entrata in vigore nel 1992 – affermava: “L’unità  sanitaria locale assicura ai cittadini la erogazione di prestazioni specialistiche, ivi comprese quelle riabilitative, di diagnostica strumentale e di laboratorio ed ospedaliere contemplate dai livelli di assistenza secondo gli indirizzi della programmazione e le disposizioni regionali. Allo scopo si avvale dei propri presidi, nonchè delle aziende di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private, ad integrazione delle strutture pubbliche, e dei professionisti con i quali intrattiene appositi rapporti fondati sulla corresponsione di un corrispettivo predeterminato a fronte della prestazione resa¦.”.
Con tale statuizione il legislatore ribadiva, neanche troppo implicitamente, che il Servizio Sanitario Nazionale costituisce un servizio pubblico che, in prima battuta, deve essere prestato dalle strutture pubbliche, venendo in considerazione quelle private solo al fine di “integrare”, e non di sostituire, l’attività  prestata dalle strutture pubbliche.
Discendeva da tale affermazione il fatto che il Servizio sanitario nazionale dovesse continuare ad essere totalmente controllato dalle Autorità  pubbliche a ciò istituzionalmente preposte, potendo le stesse delegarne a parziale attuazione a soggetti privati senza perdere il controllo del servizio stesso. Del resto non avrebbe potuto essere diversamente, venendo in considerazione un servizio finanziato interamente con danaro pubblico, eccetto che per le quote eventualmente poste a carico diretto degli utenti.
La norma in esame sintetizzava, in realtà , l’intera filosofia sottesa al D. L.vo 502/92, che, allo scopo di realizzare un miglior controllo della spesa pubblica sanitaria, individuava e separava i soggetti preposti alla programmazione, al coordinamento ed al controllo della attività  sanitaria (regioni e aziende sanitarie locali), dai soggetti preposti in via diretta alla erogazione delle prestazioni sanitarie (le aziende ospedaliere, i presidi delle asl e le strutture private): solo a soggetti pubblici veniva affidato l’esercizio delle funzioni essenziali per il controllo della sanità  pubblica, il quale ultimo, peraltro, veniva perseguito anche attraverso una serie di meccanismi (creazione di soggetti autonomi dal punto di vista soggettivo o, almeno, dal punto di vista organizzativo e contabile) finalizzati a responsabilizzare la gestione delle strutture pubbliche.
Il limite del sistema disegnato dalla L. 833/78 era infatti costituito, paradossalmente, dalla centralità  che avevano le unità  sanitarie locali, che accumulavano moltissime funzioni a fronte di una lacunosa attività  di programmazione nazionale e regionale, la quale non era ancora specificamente indirizzata alla determinazione del fabbisogno delle prestazioni distinte per tipologìa nè alla previsione della spesa necessaria per farvi fronte. Nella l. 833/78 il Piano Sanitario Nazionale ed il Piano Sanitario Regionale dovevano concentrarsi soprattutto sulla individuazione di macro-obiettivi (ad esempio: la sicurezza sui luoghi di lavoro; la prevenzione nei confronti di certe malattie; l’igiene degli alimenti, etc. etc.) e delle strategie idonee a raggiungerli; sulla individuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza, degli ambiti territoriali, della ubicazione delle strutture, ed in genere sulle materie indicate agli artt. 4 e 7. Di conseguenza le unità  sanitarie locali si trovavano al centro di una congerie di strutture che dovevano gestire e coordinare senza avere, in punto fabbisogno delle prestazioni e valorizzazione delle stesse, specifici parametri di riferimento, senza avere (salvo che per i presidi c.d. multizonali, di cui all’art. 18) la possibilità  di mettere in atto gestioni separate per i vari presidi ospedalieri, e senza avere poteri di organizzazione e di gestione nei confronti delle strutture private.
Con il D. L.vo 502/92, allora, si comincia a prendere coscienza del fatto che una efficace funzione di contro

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