1. Edilizia e urbanistica – Processo amministrativo – Giudizio impugnatorio – Variante urbanistica contenente dichiarazione di p.u. (accordo di programma) – Interesse a ricorrere – Sussiste – Fattispecie 2. Edilizia e urbanistica – Accordo di programma – Modifica unilaterale da parte di una sola delle parti contraenti – Inefficacia ex art. 1326 c.c. in assenza di accettazione della modifica  da parte degli altri soggetti  dell’accordo.
3. Atto amministrativo – Proroga dei termini ivi previsti – Disposta dopo la sua scadenza – Inammissibilità .
4. Espropriazione per pubblica utilità  – Dichiarazione di P.U. – Proroga del termine di efficacia – Presupposti – Perdurante efficacia ex art.13, comma V°,  DPR 327/2001 – Proroga intervenuta successivamente alla scadenza – Illegittimità .
5. Espropriazione per pubblica utilità  – Dichiarazione di P.U. – Proroga del termine di efficacia – Comunicazione avvio procedimento  – Necessità 
6. Espropriazione per pubblica utilità  – Dichiarazione di P.U. – Proroga del termine di efficacia –  Illegittimità  per mancata attivazione procedure partecipative  – Applicazione art. 21-octies comma 2 L. 241/1990 – Impossibilità  per la natura discrezionale dell’atto di proroga
7. Espropriazione per pubblica utilità  – Dichiarazione di P.U. – Proroga del termine di efficacia – Presupposti  ex art. 13 comma V DPR 327/2001- Casi di forza maggiore o altri presupposti indipendenti dalla volontà  dell’Amministrazione – Necessità  – Motivazione che faccia riferimento alla esistenza di un contenzioso – Insufficienza
8. Giustizia e processo  – Domanda di restitutio in integrum – Avanzata nel corso del giudizio  con memoria non notificata –  Mutatio libelli e non mera emendatio libelli – conseguenze –  Inammissibilità  della domanda
9. Espropriazione per pubblica utilità  – Danno – Risarcimento per equivalente mediante  valore del bene illecitamente occupato – Opzione da parte del danneggiato ex art. 2058 c.c. – Possibilità  solo in presenza di accordo traslativo della proprietà  o acquisizione autoritativa ex art. 42 bis T.U. 327/2001 come introdotto dal D.L. n. 98 del 06.07.2011 art. 34

1. Sussiste l’interesse a ricorrere avverso gli atti di recepimento di un Accordo di Programma contenente una variante urbanistica e dichiarazione di p.u., indipendentemente dal maggior valore o meno sotto il profilo economico della nuova destinazione urbanistica, ove sia lamentata la lesione dello ius aedificandi a causa dell’illegittimo esercizio delle prescrizioni espropriative e non già  la lesione di una generica aspettativa al mantenimento delle destinazioni di zona precedenti.
2. Le variazioni unilateralmente apposte da un Comune per mezzo di una deliberazione di Consiglio comunale sono del tutto inidonee a variare l’assetto disciplinare pattizio contenuto  in un accordo di programma – invece tipico strumento consensuale dell’azione amministrativa richiedente l’accordo unanime delle Amministrazioni partecipanti –  ove non  trasfuse in nuovo accordo e pertanto tali determinazioni devono essere considerate ex art 1326 c.c. tamquam non essent.
3. La proroga dei termini di efficacia stabiliti da un atto amministrativo, in generale, non è ammissibile qualora l’atto la cui efficacia si intenda prolungare sia già  scaduto, richiedendosi cioè che il provvedimento da prorogare sia ad “efficacia durevole”, cioè che gli effetti del provvedimento originario non siano definitivamente esauriti, essendo altrimenti possibile solamente la “rinnovazione” del provvedimento originario (cfr. C. di S.  sez. V^ n. 4498 del 18.09.2008);
4. Ai sensi del comma V dell’art 13 del d.p.r. 327/2001, condizione indispensabile per poter procedere alla proroga dei termini di cui alla dichiarazione di pubblica utilità   è la perdurante efficacia dei termini originari da prorogare.
5. La necessità  del contraddittorio in sede di dichiarazione anche implicita della pubblica utilità , non può che a fortiori essere affermata anche per il sub procedimento distinto e circoscritto alla sussistenza di “presupposti eccezionali” della proroga dei relativi termini, in quanto  atto capace di ledere in via autonoma la sfera giuridica del proprietario, quantomeno sotto il profilo del ritardo nell’emanazione del decreto di esproprio e, conseguentemente, nel pagamento della relativa indennità .
6. L’applicazione della sanatoria di cui all’art 21-octies l.n. 241/1990 e s.m.i. al procedimento espropriativo ed in particolare ad un procedimento di proroga della dichiarazione di p.u.  in ipotesi di mancata attivazione delle procedure partecipative,  può avvenire solo ove sia rigorosamente provata  l’inutilità  a priori dell’apporto partecipativo dei privati proprietari  da parte di chi ne chiede l’applicazione; ciò in quanto il procedimento espropriativo è strutturalmente caratterizzato dalla presenza di sub fasi autonome (vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità ) a rilevanza esterna  espressione di ampia discrezionalità  amministrativa, quali la localizzazione e la definizione del progetto definitivo.
7. Ai sensi dell’art 13 c. 5 del d.p.r. 327/2001,  la proroga dei termini di una dichiarazione di P.U. può avvenire soltanto “per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni” richiedendosi la sussistenza di ragioni del tutto indipendenti dalla volontà  dell’Amministrazione  sub specie di “impedimento obiettivo ed insuperabile” non essendo all’uopo sufficiente l’impossibilità  di concludere le procedure per l’esistenza di un contenzioso (cfr. C. di S. IV n. 4112 del 03.09.2008)
8. La domanda direstitutio in integrum avanzata in corso di causa, indipendentemente dalla sua qualificazione come risarcimento/reintegrazione in forma specifica secondo la prevalente opzione giurisprudenziale oppure come forma di tutela tipica dei diritti reali,  costituisce un mutamento della domanda, non è comunque ammissibile perchè non notificata alle parti del presente giudizio; ed infatti, qualificando la richiesta di restituzione come rimedio risarcitorio, pur rimanendone immutato il petitum immediato, ne consegue una modificazione quantomeno del petitum mediato, in quanto il ricorrente non pretende più una somma di denaro, bensì la condanna dell’Amministrazione a una determinata attività , concretandosi pertanto una mutatio libelli e non già  una semplice emendatio.
9. In tema di danno derivante da una procedura espropriativa illegittima la soddisfazione di una domanda di risarcimento per equivalente è ammissibile ove richiesta dal privato danneggiato in virtù del diritto di scelta ex art. 2058 c.c., ma necessita di un preventivo accordo traslativo che soddisfi la necessità  di formazione di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà ; ciò anche alla luce dello ius superveniens costituito dal recente art. 34 d.l. 6 luglio 2011 convertito in l.15 luglio 2011 n.181.
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Vedi Cons di Stato, sez. IV, sentenza 15 febbraio 2013, n. 928 – 2013; ric. n. 9447 – 2012
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N. 01413/2011 REG.PROV.COLL.

 
N. 01538/2008 REG.RIC.

 
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N. 01413/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01538/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1538 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Giuseppe Rigante, Ignazio Colangelo, Rosa Colamartino, Mauro De Feudis, tutti rappresentati e difesi dagli avv. G. Walter De Trizio, Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso Vito Aurelio Pappalepore in Bari, via Pizzoli, 8; 
contro
Comune di Bisceglie in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Graziano Ciccarelli, con domicilio eletto presso P.Fabio Pinto in Bari, piazza Garibaldi 27; Regione Puglia in Persona del Presidente pro tempore.; 
nei confronti di
Edil Cosbu s.r.l., Cofi s.r.l., Edil di Leo s.r.l.; 
per l’annullamento
previa sospensiva
– del decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 602 del 30.6.2008, pubblicato sul BURP n. 110 del 10.7.2008, avente ad oggetto “Proroga termini ai sensi del comma 5 – art.. 13 del d.p.r. n.327701 e conseguente proroga termini fissati dall’Accordo di programma sottoscritto tra la Regione Puglia ed il Comune di Bisceglie in data 1.4.03, finalizzato all’attuazione del programma di recupero Urbano (P.R.U.) di cui all’art. 11 della legge n. 493/93”;
– della nota n. 0013430 del 14.4.2008 del Comune di Bisceglie di richiesta di proroga di due anni;
– della nota n.0021624 del 23.6.2008 del Comune di Bisceglie di richiesta di ulteriore proroga aggiuntiva di sei mesi per l’inizio dei lavori;
– della nota n. 027583 del 1.8.2008 del Comune di Bisceglie di comunicazione dell’intervenuta proroga;
– di ogni ulteriore atto connesso e consequenziale, ivi compreso, ove occorra, la determina di indennità  di espropriazione del 10.6.2008 (comunicata con nota del Comune di Bisceglie prot. n. 020650 del 10.6.2008).
Quanto ai motivi aggiunti
– del decreto di esproprio del 1° febbraio 2010, nonchè dell’allegato avviso di esecuzione del decreto di esproprio datato 5 febbraio 2010, notificati ai sigg.ri Rigante Giuseppe e Colangelo Ignazio in data 5 febbraio 2010, alla sig.ra Colamartino Rosa in data 9 febbraio 2010 e al sig. De Feudis Mauro in data 10 febbraio 2010 con previsione di immissione in possesso degli immobili oggetto di procedura espropriativa fissata per i giorni 24, 25 e 26 febbraio 2010;
– di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorchè non conosciuto, ivi compresi tutti gli atti richiamati nelle narrativa del decreto di esproprio, tra i quali -ove occorra- anche il provvedimento di determinazione provvisoria dell’indennità  di esproprio.
nonchè di risarcimento del danno per equivalente nella misura da quantificarsi in corso di causa.
 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bisceglie in persona del Sindaco pro tempore.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2011 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori Alessandra Ciocia su delega di Vito Aurelio Pappalepore e Massimo F. Ingravalle su delega di Graziano Ciccarelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 

FATTO e DIRITTO
1. Espongono gli odierni ricorrenti, in necessaria sintesi ex art 3 c. 2 c.p.a., che la Regione Puglia promuoveva la realizzazione di programmi di recupero urbano (P.R.U.), tramite la stipula di Accordi di Programma.
Nel Comparto n. 4 venivano individuate aree di intervento per l’edificazione di nuovi stabili residenziali ad opera di privati, le quali ricomprendevano suoli edificabili ed alcune aree già  edificate di proprietà  esclusiva dei ricorrenti, catastalmente individuati al foglio 5 e precisamente:
– particelle 218 sub 3, 219 sub 3, 1616 e 1618 di proprietà  Rigante; 219 sub 2 e 2409 di proprietà  Colamartino; 218 sub 2, 1553 e 1555 di proprietà  Colangelo; 2188 sub 1 e 209 sub 3 di proprietà  De Feudis.
Con deliberazione GR 2186 del 23 dicembre 2002, la Regione Puglia approvava accordo di programma ex art 34 t.u.e.l.per l’attuazione del P.R.U. nel quartiere S.Pietro, poi sottoscritto il primo aprile 2003, il quale fissava tra l’altro precisa tempistica degli interventi, in particolare prevedendo all’art 6 che “il programma sarà  attuato nel periodo massimo di 36 mesi a pena di decadenza del presente accordo, per le parti private non attuate, a decorrere dalla data di pubblicazione del presente accordo e avrà  le scansioni temporali, riferite alle diverse opere da realizzarsi, fissate nel protocollo d’intesa”.
L’accordo veniva ratificato con del C.C. 51 del 14 aprile 2003, con arbitraria unilaterale modifica del termine di inizio dei lavori e delle operazioni di esproprio, nonchè quelli di ultimazione dei lavori e delle operazioni di esproprio.
Con decreto del Presidente della Giunta regionale n.525 del 30 luglio 2003, pubblicato sul BURP n.90 del 7 agosto 2003, veniva dunque approvato l’accordo di programma, senza le modifiche unilateralmente introdotte dal Comune in sede di ratifica.
Con separato ricorso (RG 1929/05) i ricorrenti ebbero ad impugnare il decreto di occupazione d’urgenza unitamente ad altri atti presupposti e consequenziali; con ordinanza n.38/2006 questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare, confermata in appello dal Consiglio di Stato (con ord. n.4809/2006).
Il Comune di Bisceglie procedeva pertanto alla revoca delle procedura di occupazione d’urgenza, ma dando corso all’ordinario procedimento espropriativo, nonostante l’opposizione manifestata con memorie procedimentali dagli odierni ricorrenti, secondo cui la decisione cautelare di questo T.A.R. avrebbe esteso i propri effetti anche al procedimento espropriativo.
Su motivata istanza del Comune di Bisceglie, la Regione Puglia con d.p.G.Reg. del 30 giugno 2008 pubblicato sul BURP n.110 del 10 luglio 2008 stabiliva la proroga, ai sensi dell’art 13 c.5 d.p.r. 327/2001, dei termini fissati per il compimento delle procedure espropriative per pubblica utilità , sino al 6 agosto 2010 al fine della completa attuazione del P.R.U..
La motivazione della proroga veniva indicata nei ritardi dovuti al contenzioso giurisdizionale amministrativo inerente l’impugnazione dell’occupazione d’urgenza, oltre che allo stato di notevole degrado ed abbandono sotto il profilo ambientale ed igienico sanitario, nonchè sotto quello sociale, nonchè infine nel danno per l’Amministrazione per il mancato conseguimento degli obiettivi da parte dei soggetti attuatori.
Con ricorso notificato il 24 ottobre 2008, ritualmente depositato, gli odierni ricorrenti, come sopra rappresentati e difesi, impugnano il decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 602 del 30.6.2008 unitamente agli ulteriori atti in epigrafe indicati, chiedendone l’annullamento, deducendo le seguenti censure:
I. Violazione e falsa applicazione art 7 l. 241/90, art 11 d.p.r. 327/2001; eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità , difetto di motivazione.
II. Violazione e falsa applicazione art 13 c.5 d.p.r. 327/2001; principi generali in materia di proroga; violazione delle disposizioni contenute nell’accordo di programma sottoscritto in data 1 aprile 2003 e nel d.p.G.Reg. 525 del 30 luglio 2003; carenza di potere, carenza dei presupposti, illogicità  manifesta; sviamento.
III. Violazione e falsa applicazione art 13 c.5 d.p.r. 327/2001; eccesso di potere per carente ed erronea istruttoria, travisamento, illogicità , erronea presupposizione, difetto di motivazione.
Con successivo atto di motivi aggiunti, estendevano il gravame al decreto di esproprio emanato dal Comune di Bisceglie in data 1 febbraio 2010, ritualmente notificato ai ricorrenti, deducendo l’illegittimità  in via derivata rispetto all’attività  presupposta impugnata con il ricorso introduttivo, oltre a vizi propri del decreto quanto alla determinazione dell’indennità  definitiva di esproprio, e formulando per la prima volta generica istanza di risarcimento danni per equivalente nella misura da quantificarsi in corso di causa.
Si costituiva il Comune di Bisceglie, che eccepiva in rito l’inammissibilità  per carenza di interesse, ritenendo vantaggiosa per gli stessi ricorrenti la destinazione urbanistica impressa con l’adozione del PRU, la cui pretesa pertanto consisterebbe in una mera reformatio in peius. Eccepiva inoltre l’ulteriore profilo di inammissibilità  dell’azione ex adverso proposta, attesa la mancata impugnazione dell’accordo di programma del 1 aprile 2003, avendo i ricorrenti gravato con ricorso RG 1929/05 (dichiarato estinto per cessata materia del contendere con sent. 24 febbraio 2011 n.329) la sola deliberazione di ratifica, atto di natura tipicamente endo-procedimentale. Quanto al merito, negava l’invocata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità  al momento dell’impugnata proroga, ritenendo che in assenza di specifico diverso termine in sede di decreto di approvazione dell’accordo di programma, a norma dell’art 13 c.5 d.p.r. 327/2001, l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità  dovesse necessariamente coincidere con il termine quinquennale legale. Quanto alla censura di difetto di motivazione, evidenziava l’indicazione delle puntuali circostanze che avevano imposto la necessità  di proroga, e quanto al dedotto vizio di violazione del c.d. “giusto procedimento” invocava comunque l’applicazione dell’art 21-octies c. 2, non essendosi peraltro i ricorrenti fatti carico dell’onere di dimostrare l’utilità  istruttoria dell’apporto partecipativo.
Alla camera di Consiglio del 11 marzo 2010, con ordinanza n.184/2010, questa Sezione, ad un sommario esame respingeva l’istanza cautelare, con la seguente motivazione:
“- quanto alla censura di violazione e falsa applicazione art 13 quinto d.p.r. 327/2001 e dei principi generali in materia di proroga, perchè il decreto Presidente Regione Puglia 30 luglio 2003 n.525 di approvazione dell’accordo di programma sottoscritto in data 1 aprile 2003 – che è l’atto che ha valore di dichiarazione di pubblica utilità  – non fissa alcun termine diverso rispetto al termine legale quinquennale codificato dal d.p.r. 327/2001;
– quanto alle censure di difetto di motivazione, perchè le ragioni addotte in sede di proroga della d.p.u. appaiono sufficienti sotto il profilo logico-giuridico ex art. 13 c. quinto d.p.r. 327/01 in considerazione che la procedura ablatoria risulta già  definita quanto a localizzazione e approvazione del progetto dell’opera pubblica da realizzarsi, e quanto alla violazione del giusto procedimento perchè il ricorrente non ha fornito alcuna prova circa l’utilità  istruttoria delle osservazioni che si sarebbero presentate nell’ambito del contraddittorio procedimentale”;
Il Consiglio di Stato, con ordinanza n.1445/2010 della IV Sezione, respingeva l’appello e confermava l’ordinanza del giudice di prime cure, non ravvisando profili di danno grave ed irreparabile, rilevando comunque per la complessità  delle questioni di diritto dedotte, “la necessità  di un approfondimento nella fase di merito”.
Con successive memorie non notificate, i ricorrenti avanzavano altresì per la prima volta domanda di restituzione dei terreni di relativa proprietà , previa riduzione in pristino stato, ed in subordine al risarcimento del danno per equivalente al valore venale secondo le consulenze tecniche prodotte o da quantificarsi previa C.T.U.. Chiedevano altresì il risarcimento del danno per mancato godimento degli immobili relativamente al periodo di occupazione illegittima, da quantificarsi secondo il criterio di cui all’art 50 d.p.r. 327/2001.
All’udienza pubblica del 10 febbraio 2011, il Collegio con ordinanza n.4010/2011 disponeva verificazione ai sensi dell’art. 66 c. p. a., nominando il Direttore dell’Agenzia del Territorio di Bari o suo delegato, fissando i seguenti quesiti:
“1) quali trasformazioni, opere e modifiche di destinazione siano state eseguite dall’Amministrazione convenuta sulle aree di proprietà  dei ricorrenti, individuate e descritte negli atti di causa, con accertamento dell’eventuale intervenuta realizzazione dell’opera pubblica di cui alla dichiarazione di pubblica utilità  o, comunque, dell’eventuale irreversibile trasformazione dei fondi;
2) l’intervenuta o meno demolizione dei fabbricati di proprietà  dei ricorrenti individuati e descritti negli atti di causa, insistenti sulle aree di cui al precedente punto 1);
3) l’esatta consistenza, estensione e valore di mercato attuale delle aree occupate e trasformate con separata indicazione dei fabbricati di cui al precedente punto 2) se del caso previa consultazione dei pubblici registri immobiliari;
4) il mancato guadagno a partire dalle date di immissione in possesso, relativo alle aree occupate e trasformate di proprietà  degli odierni ricorrenti”
In data 23 maggio 2011, l’ing. Marco Percoco Morea all’uopo delegato dal Direttore Agenzia Territorio, giusto atto depositato in giudizio, depositava la richiesta verificazione, comprensiva di allegati.
Parte ricorrente a sua volta, depositava perizia tecnica di osservazioni alla verificazione disposta dal Tribunale, contestando sotto più profili il metodo applicato e la stima del valore venale dei cespiti interessati, con conseguente necessario ricalcolo delle voci di danno di cui alla domanda giudiziale.
All’udienza pubblica del 13 luglio 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione.
2. Preliminarmente vanno affrontate le eccezioni di inammissibilità  sollevate dalla difesa comunale.
Quanto alla mancata impugnazione dell’accordo di programma sottoscritto il 1 aprile 2003 avente ad oggetto l’attuazione del P.R.U., la ritiene il Collegio del tutto irrilevante, in riferimento allo specifico thema decidendum oggetto del ricorso.
Infatti, i ricorrenti con il ricorso introduttivo, prospettano unicamente l’illegittimità  in via diretta del decreto presidenziale nella parte in cui dispone la proroga dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità  contenuta nell’accordo di programma approvato con precedente proprio decreto n.55/2003, e non già  doglianze, nemmeno in via derivata, avverso la complessa fase procedimentale che ha visto il perfezionamento dell’accordo. Essendo stato il decreto di proroga ritualmente impugnato, ne consegue de plano l’infondatezza dell’eccezione comunale, essendo appunto tutte le doglianze dedotte, proposte in via diretta contro il citato provvedimento di proroga.
Ugualmente priva di pregio è l’eccezione di carenza di interesse sotto il diverso profilo della non lesività  della nuova destinazione urbanistica impressa con l’adozione del P.R.U..
Infatti, indipendentemente dal maggior valore o meno sotto il profilo economico della nuova destinazione urbanistica, va evidentemente riconosciuto l’interesse a ricorrere allorchè i proprietari interessati lamentino la lesione dello ius aedificandi a causa dell’illegittimo esercizio delle prescrizioni espropriative, deducendo – come nella fattispecie – specifiche censure in merito alla proroga della dichiarazione di pubblica utilità  contenuta nell’origario Accordo di Programma.
Non viene con ogni evidenza in questione la lesione di una generica aspettativa al mantenimento delle destinazioni di zona precedenti, bensì la lesione dello ius aedificandi in rapporto all’illegittimo esercizio del potere autoritativo.
Le eccezioni in rito vanno pertanto entrambe respinte.
3. Quanto al merito, il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti sono fondati in riferimento alla domanda di annullamento, mentre è inammissibile la domanda di restituzione, fondata la domanda risarcitoria per equivalente.
Con il ricorso in epigrafe viene all’esame del Collegio la questione della legittimità  del procedimento espropriativo inerente la realizzazione di programmi di recupero urbano (P.R.U.) ricadente nel quartiere S.Pietro nel territorio del Comune di Bisceglie, in riferimento ad alcune aree edificabili ed in parte già  edificate all’interno del comparto n.4, di proprietà  esclusiva dei ricorrenti.
Ritiene il Collegio che il provvedimento di proroga del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità  qui impugnato sia affetto dai denunziati vizi di legittimità .
4. Venendo innanzitutto all’esame della seconda censura, il Collegio rileva quanto segue.
In data 1 aprile 2003 veniva sottoscritto tra Regione Puglia e Comune di Bisceglie accordo di programma ex art. 34 t.u.e.l. per l’attuazione del P.R.U. di cui all’art 11 l.493/1993, il cui schema veniva approvato con del GR n.2186 del 23 dicembre 2002, con indicazione (punto 6) che “il programma sarà  attuato nel periodo massimo di 36 mesi a pena di decadenza del presente accordo, per le parti private non attuate, a decorrere dalla data di pubblicazione del presente accordo e avrà  le scansioni temporali, riferite alle diverse opere da realizzarsi, fissate nel protocollo d’intesa”. Il protocollo d’intesa allegato all’accordo, all’art 5 stabiliva a sua volta in 4 mesi, a partire dalla sottoscrizione dell’accordo, i termini per l’effettuazione delle procedure espropriative per l’acquisizione delle aree necessarie. Con decreto del Presidente della Giunta regionale n. 525 del 30 luglio 2003 pubblicato sul B.U.R.P. n. 90 del 7 agosto 2003 veniva disposta l’approvazione dell’Accordo, con la espressa previsione secondo cui “nel caso in cui l’Accordo di Programma non abbia attuazione, ovvero non si inizino i lavori nei tempi fissati, le determinazioni assunte si intendono caducate di diritto e conseguentemente poste nel nulla e, pertanto, le aree interessate e individuate riacquistano la destinazione urbanistica prevista dal vigente strumento urbanistico”.
Mette conto anche evidenziare che nella deliberazione C.C. n.51/2003 di ratifica del citato accordo, il Comune di Bisceglie riteneva di precisare – invero in via del tutto unilaterale – la fissazione di autonomo termine per l’ultimazione dei lavori e le operazioni di esproprio, pari a 5 anni dalla data di approvazione del presente provvedimento.
Nel contesto della sequenza procedimentale così riassunta, non priva di apparenti contraddizioni, deve essere dato rilievo ai fini per cui è causa, al decreto presidenziale n.525 del 30 luglio 2003 che ai sensi dell’art 34 c.4 e 6 t.u.e.l. ha valore di dichiarazione di pubblica utilità . L’art 13 commi 3 e 4 d.p.r. 327/2001 nell’introdurre con disposizione innovativa rispetto alla disciplina precedente, un generale termine legale quinquennale suppletivo dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità , decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità , ne consente la previsione di un termine diverso purchè inferiore.
Ritiene il Collegio che la previsione di “attuazione” a pena di decadenza nel termine di 36 mesi contenuta nel punto 6 dell’accordo, unitamente alle descritta comminatoria di decadenza in sede di decreto di approvazione per l’ ipotesi di mancata attuazione, conduca alla conclusione per cui con il suddetto termine le Amministrazioni contraenti abbiano voluto anticipare in 36 mesi il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità , in deroga quindi al termine legale suppletivo stabilito dall’art 13 c.4 d.p.r. 327/2001.
Non ritiene pertanto sul punto il Collegio di poter condividere l’assunto della difesa comunale, secondo cui il termine “attuazione” contenuto nel citato art 6 andrebbe interpretato nel senso del mero avvio dell’Accordo, interpretazione smentita oltre che dall’univoco significato letterale, alla luce degli ulteriori atti della sequenza procedimentale, ed in particolare del decreto presidenziale di approvazione, che ha valore tipico di dichiarazione di pubblica utilità .
Nessun rilievo a tal fine va attribuito alle diverse determinazioni contenute nella citata deliberazione C.C. n.51 del 16 aprile 2003, trattandosi di determinazioni unilateralmente apposte dal Comune, del tutto inidonee pertanto a variare l’assetto disciplinare pattizio contenuto nell’accordo di programma – quale tipico strumento consensuale dell’azione amministrativa richiedente l’accordo unanime delle Amministrazioni partecipanti – non essendo state trasfuse in nuovo accordo. Tali determinazioni debbono pertanto ritenersi ex art 1326 c.c. tamquam non esset, ovvero del tutto inefficaci, alla stregua di una proposta lato sensu negoziale di modifica dell’accordo non seguita da accettazione (da parte della Regione).
Ciò premesso, il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità  andava correttamente individuato in 36 mesi decorrenti dal 7 agosto 2003, ossia dalla pubblicazione dell’accordo sul BURP, con conseguente scadenza il 7 agosto 2006, termine entro cui doveva intervenire l’impugnata proroga.
Infatti, per giurisprudenza del tutto pacifica (Consiglio di Stato sez V 18 settembre 2008, n.4498) la proroga dei termini di efficacia stabiliti da un atto amministrativo, in generale, non è ammissibile qualora l’atto la cui efficacia si intenda prolungare sia già  scaduto, richiedendosi cioè che il provvedimento da prorogare sia ad “efficacia durevole”, cioè che gli effetti del provvedimento originario non siano definitivamente esauriti, essendo altrimenti possibile la “rinnovazione” del provvedimento originario, caratterizzata dalla necessaria ripetizione di tutte le fasi procedimentali e dalla completa rivalutazione di tutte le circostanze di fatto e di diritto rilevanti, attuata mediante un’adeguata ponderazione dei diversi interessi pubblici e privati coinvolti.
Tali considerazioni valgono naturalmente anche in riferimento al procedimento espropriativo quanto ai termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità  (in questo senso con riferimento ai termini di cui all’art. 13, l. 25 giugno 1865 n. 2359, Consiglio Stato, sez. IV, 22 dicembre 2003 , n. 8462, id. sez IV 22 maggio 2006 n.302) laddove l’ultimo capoverso del comma 5 dell’art 13 del d.p.r. 327/2001 richiede coerentemente la necessità , ai fini della proroga, della perdurante efficacia del termine di cui alla dichiarazione di pubblica utilità .
Ne consegue la fondatezza della seconda censura.
5. Quanto alle rimanenti censure avverso il decreto presidenziale di proroga, le ritiene il Collegio ugualmente fondate, sia quanto alla violazione del c.d. “giusto procedimento”, sia quanto al difetto di motivazione.
6. Sotto il primo profilo, qualificando la proroga quale sub procedimento autonomo all’interno di quello più generale volto alla dichiarazione di pubblica utilità  , anche se implicito, nell’approvazione del progetto di opera pubblica (Consiglio di Stato sez IV 30 giugno 2010, n.4176, id. sez IV 16 marzo 2001 n.1578, T.A.R. Lazio Roma sez II 13 ottobre 2006 n.10374) la giurisprudenza del Consiglio di Stato ne ha affermato la ineludibilità  dell’apporto partecipativo degli interessati, in relazione alla discrezionalità  dell’Amministrazione, rispetto al quale il confronto dialettico non è inutile e può servire ad evidenziare (tra l’altro) proprio la sussistenza o meno degli eccezionali presupposti per l’adozione del provvedimento (ex multis Consiglio di Stato sez IV 30 giugno 2010, n.4176, id. sez VI 10 ottobre 2002, n.5443, id. sez VI 5 dicembre 2007 n.6183, id. sez. VI, 4 aprile 2003 , n. 1768, id. sez. IV, 13 gennaio 2010 , n. 39, T.A.R. Campania Napoli sez V 4 maggio 2010 n.2509, T.A.R. Lazio Roma sez II 13 ottobre 2006 n.10374).
D’altronde tali conclusioni risultano avvalorate in base al principio altrettanto consolidato in giurisprudenza (anche di questa Sezione, sent. 24 giugno 2010, n.2665) secondo cui in seno al procedimento ablatorio, l’ordinamento intenda riconoscere e valorizzare le garanzie partecipative dei proprietari espropriandi sia in riferimento alla fase iniziale di apposizione del vincolo, sia a quella di dichiarazione della pubblica utilità  (sia essa esplicita od implicita) in considerazione sia dell’ampia discrezionalità  di cui dispone l’amministrazione nella localizzazione, sia della lesività  dell’effetto finale consistente nella definitiva privazione del diritto di proprietà  (ex multis Consiglio di Stato sez VI 11 febbraio 2003, n.736, id. IV 30 luglio 2002, n.4077, id. IV 26 settembre 2001 n.5070, id. IV 15 maggio 2008 n.2249, id IV 29 luglio 2008 n.3760).
Il riconoscimento della indefettibilità  del contraddittorio procedimentale, da prima riconosciuto in sede pretoria con fondamentale arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (19 giugno 1986 n.6), ha poi definitivamente ricevuto positiva disciplina in sede di approvazione del vigente t.u. in materia di espropriazioni per pubblica utilità  approvato con d.p.r. 8 giugno 2001 n.327 (art. 11)
Per tanto costituisce ius receptum che va garantita “mediante la formale comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, la possibilità  di interloquire con l’amministrazione procedente sulla sua localizzazione e, quindi, sull’apposizione del vincolo, prima della dichiarazione di pubblica utilità , indifferibilità  ed urgenza e, quindi, dell’approvazione del progetto definitivo” (ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3760).
Osserva il Collegio, conclusivamente, che la necessità  del contraddittorio in sede di dichiarazione anche implicita della pubblica utilità , non può che a fortiori essere affermata anche per il sub procedimento distinto e circoscritto alla sussistenza di “presupposti eccezionali” (Consiglio di Stato sez IV 30 giugno 2010, n.4176) della proroga dei relativi termini, atto capace di ledere in via autonoma la sfera giuridica del proprietario, quantomeno sotto il profilo del ritardo nell’emanazione del decreto di esproprio e, conseguentemente, nel pagamento della relativa indennità .
A contrastare le riportate conclusioni non può certo valere lo speciale procedimento seguito dalle Amministrazioni per l’apposizione della dichiarazione di pubblica utilità , dal momento che le garanzie partecipative di cui alla l.241/90 – e a maggior ragione di cui al vigente t.u. espropriazioni – vanno osservate anche allorchè l’Amministrazione utilizzi lo strumento dell’accordo di programma (o della conferenza di servizi) trattandosi di modelli procedimentali che non esimono dalla individuazione di tempi e modi per consentire la partecipazione del privato (Consiglio di Stato, sez VI 05.12.2007 sent n.6183, T.A.R. Puglia Bari sez II, 26 ottobre 2009, n.247).
Diversamente da quanto opinato dalla difesa comunale (e valutato sommariamente in sede cautelare) il vizio di violazione degli artt 7 l.241/90 e 11 d.p.r. 327/2001 non può nemmeno qualificarsi come inidoneo all’annullamento degli atti in applicazione dell’art 21-octies c.2 l.241/90.
Infatti, al cospetto di un atto a contenuto non vincolato bensì di carattere tipicamente discrezionale quale la proroga del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità , non incombeva sugli odierni ricorrenti l’onere di fornire la prova circa la rilevanza del momento partecipativo, essendo invece vero il contrario, ai sensi del secondo allinea del comma secondo della norma invocata.
Sul punto, l’Amministrazione non ha assolto a tale onere probatorio, non avendo fornito la prova, seppur in chiave necessariamente prognostica, della inutilità  a priori dell’apporto partecipativo dei privati destinatari della proroga.
Del resto pure in tale ambito, la giurisprudenza anche di questo Tribunale (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 02 dicembre 2010, n. 4057, T.A.R. Veneto 21 marzo 2011 n.461, T.A.R. Puglia Lecce sez I 24 marzo 2011 n.528,T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 19 luglio 2006, n. 2974) è rigorosa quanto all’applicazione della sanatoria di cui all’art 21-octies nell’ambito di vizi formali/procedimentali in seno al procedimento espropriativo, strutturalmente caratterizzato dalla presenza di sub fasi autonome (vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità ) a rilevanza esterna, espressione di ampia discrezionalità  amministrativa, quali la localizzazione e la definizione del progetto definitivo.
7. Infine, anche la censura di difetto e comunque di inidoneità  di motivazione coglie nel segno.
L’art 13 c. 5 del d.p.r. 327/2001 consente la proroga soltanto “per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni”: la norma è univocamente interpretata, nel contesto come detto di un potere ritenuto eccezionale, in senso restrittivo, richiedendosi la sussistenza di ragioni del tutto indipendenti dalla volontà  dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, sez IV 3 settembre 2008. n 4112) sub specie di “impedimento obiettivo ed insuperabile” (T.A.R. Calabria Reggio Calabria 8 marzo 2001 n.213), non essendo all’uopo sufficiente l’impossibilità  di concludere le procedure per l’esistenza di un contenzioso.
Condividendo tali argomentazioni, peraltro come detto pacifiche, reputa il Collegio inidonee le ragioni del diniego consistenti nella pendenza del contenzioso (RG n.1929/2005) relativo alla disposta occupazione d’urgenza, procedimento speciale e del tutto autonomo rispetto all’ordinario modello procedimentale ablatorio (Consiglio di Stato sez IV, 8 luglio 2011, n.3500, id. IV 30 gennaio 2006 n.293, T.A.R. Sicilia Palermo sez III 8 maggio 2008, n.609, T.A.R. Campania Napoli sez V 24 gennaio 2008 n.384) non essendo il provvedimento di esproprio ove naturalmente risulti la sussistenza dei relativi presupposti (vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione di pubblica utilità  valida ed efficace) risultare invalidato nè in via derivata nè tanto meno in via di caducazione automatica per effetto dell’intervenuta dichiarazione di illegittimità  della precedente occupazione d’urgenza (Consiglio di Stato IV 30 gennaio 2006 n.293). Tanto più che al momento dell’impugnata proroga della dichiarazione di pubblica utilità , vi era soltanto stata una decisione cautelare (ord. Consiglio di Stato 4809 del 11 aprile 2006) di sospensione dell’efficacia dell’occupazione, motivata esclusivamente dal non corretto utilizzo di tale (speciale) strumento, e non certo idonea a precludere all’Autorità  espropriante l’attuazione dell’opera pubblica nei termini indicati nella dichiarazione di pubblica utilità .
Sotto altro profilo, è vero come l’impugnato decreto di proroga sia fornito anche di ulteriore supporto motivazionale, in riferimento alla necessità  di recupero ambientale e riqualificazione urbanistica stante lo stato di degrado ambientale, igienico-sanitario e sociale, per l’asserito utilizzo da parte della criminalità .
Non ritiene il Collegio, anche alla luce delle suesposte considerazioni, di poter valutare le ulteriori ragioni indicate dall’Amministrazione – a parte i profili di genericità  – come del tutto indipendenti dalla relativa volontà , e non idonee ad ostacolare la realizzazione dell’opera stabilita nella dichiarazione di pubblica utilità .
8. Per le suesposte ragioni il ricorso ed i motivi aggiunti sono fondati e vanno accolti, con l’effetto di annullare i provvedimenti impugnati inerenti il procedimento espropriativo.
9. Quanto alla domanda risarcitoria il Collegio osserva quanto segue.
Con il ricorso introduttivo gli odierni ricorrenti non formulano alcuna istanza risarcitoria, mentre con l’atto di motivi aggiunti chiedono il ristoro del danno per equivalente, nella misura da quantificarsi in corso di causa. Con successive memorie depositate il 21 gennaio e 27 giugno 2011, non notificate, viene per la prima volta avanzata istanza di restituzione, previa riduzione in pristino stato, dei suoli e dei fabbricati occupati, ed in subordine viene confermata l’istanza di risarcimento in forma generica quantificando il pregiudizio secondo il relativo valore di mercato sia dei suoli edificabili che dei fabbricati appresi dall’Amministrazione, unitamente all’ulteriore danno per il mancato godimento degli immobili per il periodo di occupazione illegittima.
La domanda di restitutio in integrum avanzata in corso di causa, indipendentemente dalla sua qualificazione come risarcimento/reintegrazione in forma specifica secondo la prevalente opzione giurisprudenziale (ex plurimis Consiglio di Stato VI 13 giugno 2011 n.3561, T.A.R. Emilia Romagna Parma 12 luglio 2011, n.245) oppure come forma di tutela tipica dei diritti reali (T.A.R. Lombardia Milano sez III 5 aprile 2011, n.880) costituendo un mutamento della domanda, non è comunque ammissibile perchè non notificata alle parti del presente giudizio.
Infatti, qualificando la richiesta di restituzione come rimedio risarcitorio, pur rimanendone immutato il petitum immediato, ne consegue una modificazione quantomeno del petitum mediato, in quanto il ricorrente non pretende più una somma di denaro, bensì la condanna dell’Amministrazione a una determinata attività , concretandosi pertanto una mutatio libelli e non già  una semplice emendatio. Ben conosce il Collegio l’orientamento anche di questo Tribunale (sez III 17 agosto 2009 n.2023) di segno contrario, ma non praticabile nella fattispecie per cui è causa, perchè riguardante domanda di restituzione formulata in corso di causa con atto notificato (motivi aggiunti).
Differente è l’ipotesi inversa, perchè la formulazione della domanda reintegratoria contiene implicitamente quella del rimedio per equivalente, costituendone unminus (Cassazione civ III 25 luglio 1997 n.6985, T.A.R. Lombardia Brescia sez I 18 dicembre 2008 n.1796).
Tali conclusioni non mutano ma risultano ulteriormente avvalorate qualificando la domanda di restituzione come tutela reale tipica distinta da quella risarcitoria (T.A.R. Lombardia Milano sez III 5 aprile 2011, n.880) venendone evidentemente mutato lo stesso petitum immediato.
Mette conto evidenziare che la giurisprudenza civile (Cassazione civ. sez II 24 febbraio 1992 n.2255, id. II 29 gennaio 2009 n.2238, id. II 26 maggio 1999 n.5113, id II 1 agosto 2003 n.11744) afferma che la tutela dei diritti reali implica la tendenziale insostituibilità  della restitutio in integrum – salvo che sia “materialmente impossibile” la rimessione (Cassazione civ. sez II 24 febbraio 1992 n.2255) – la quale si aggiunge, rimanendo su un piano distinto, all’eventuale concorrente tutela risarcitoria in presenza di danni risarcibili secondo l’art 2043 c.c., senza applicabilità  dei temperamenti posti dall’art 2058 c.c. per la sola tutela risarcitoria in forma specifica, per l’ipotesi di eccessiva onerosità . Va detto che quanto alla restituzione di beni illecitamente utilizzati dall’Amministrazione per scopi di pubblica utilità , la stessa Cassazione nega come noto la restitutio in integrum ma per la perdurante adesione – anche di recente – alla tesi dell’occupazione acquisitiva (ex multisCassazione Sez. Un. 31 maggio 2011, n.11963, id. 19 dicembre 2007, n.26732) istituto tuttavia da ritenersi in contrasto con l’art 1 del Protocollo Addizionale CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo (Corte europea dei diritti dell’uomo sez II 8 gennaio 2009 n.16508, id. sez III 6 marzo 2007 n.330, id. sez IV 6 marzo 2007 n.43362, C.G.A.S. 22 aprile 2008, n.330, Consiglio di Stato Adunanza Plenaria 29 aprile 2005, n.2).
Pertanto anche volendo considerare la restituito in integrum come forma di tutela reale distinta da quella risarcitoria, la formulazione di tale azione in corso di causa integra una evidente mutazione della domanda contenuta nel ricorso per motivi aggiunti (mutatio libelli) con conseguente necessità  di piena tutela del contraddittorio secondo le regole del processo amministrativo, vale a dire mediante nuovo atto di motivi aggiunti o comunque con memoria notificata.
E’ invece ammissibile e fondata la domanda risarcitoria per equivalente formulata con l’atto di motivi aggiunti, sotto il profilo del danno da perdita delle aree e dei fabbricati illecitamente occupati, nonchè sotto quello del pregiudizio da mancato godimento del bene per il periodo di occupazione illecita.
La disposta verificazione depositata in giudizio, ha accertato l’intervenuta irreversibile trasformazione dei fondi come avvenuta nel periodo compreso tra ottobre e dicembre 2010, nonchè la completa demolizione dei fabbricati di proprietà  dei ricorrenti in data 25 marzo 2010. Quanto al valore di mercato dei terreni e dei fabbricati per cui è causa, il verificatore utilizzando il metodo sintetico – comparativo, ha calcolato il valore di mercato in Euro/mq 750,00 per le unità  immobiliari censite come “abitazioni ultrapopolari”, in Euro/mq 550,00 per le quelle censite come “depositi e magazzini” nonchè in Euro/mq 240,00 per i suoli. Quanto alla voce di danno consistente nel mancato guadagno, a partire dalla data di immissione in possesso (avvenuta il 15 marzo 2010) il verificatore ha fatto utilizzo del criterio previsto dall’art 50 d.p.r. 327/2001, vale a dire dell’indennizzo dovuto in caso di occupazione legittima di un’area.
I ricorrenti hanno a loro volta depositato propria perizia redatta da tecnico di fiducia, di controdeduzioni alle conclusioni e alle stime effettuate dal verificatore. In particolare contestano errori di calcolo nelle superfici effettive da considerare, lo scarso numero di atti di contrattazione analoghi utilizzati per determinare il valore medio, nonchè la discrasia evidente tra i valori ottenuti rispetto a quelli rinvenienti nella deliberazione C.C. n.19/2010, che ai fini ICI ha individuato valore ben più alto e aderente alla realtà  di mercato.
Ritiene il Collegio che i dati utilizzati dal verificatore per l’applicazione del metodo sintetico-comparativo – il quale conserva comunque pur nel silenzio della legge, natura di criterio estimativo principale (ex multis Cass civ. 29 novembre 2006, n.25363) siano in linea di principio sufficientemente rappresentativi, per caratteristiche (la vetustà  dei fabbricati) ubicazione, natura e disciplina urbanistica. Così come si reputa corretto, quanto ai fabbricati, il calcolo delle superfici utili ai sensi del d.p.r. 138/98.
Va però rimarcato l’effettivo evidente contrasto tra il valore di mercato concernente i suoli determinato dal verificatore e quello rinveniente dalla deliberazione dell’organo consiliare depositata in giudizio, che per la zona in questione ha determinato un valore di euro 324,02/mq. ai fini del calcolo della base imponibile ICI, circostanza che dimostra per tabulas il maggior valore medio dei suoli per cui è causa, il che deve condurre ad una rivalutazione in aumento rispetto al valore di cui in verificazione, che il Collegio stima equa, ex art 1226 c.c., in euro 300/mq., che dovrà  pertanto costituire l’unità  di riferimento per il valore dei suoli per cui è causa.
Quanto invece al danno relativo al mancato guadagno per il periodo di occupazione illegittima, che va dal 15 marzo 2010 (immissione in possesso) sino alla data dell’atto con il quale, nei sensi più avanti precisati, si realizzerà  l’effetto traslativo della proprietà , non ritiene il Collegio di dover utilizzare il criterio di cui all’art 50 del t.u. 327/2001, richiamandosi ai precedenti anche di questo Tribunale (sez. I, 17 agosto 2010, n. 3403) che hanno stabilito il criterio dell’interesse legale per ciascun anno di occupazione illegittima calcolato sul valore venale, via via rivalutato dell’area, da ritenersi quale presumibile e normale indice di redditività  dell’immobile.
Tale criterio deve però essere rivisitato alla luce della recente entrata in vigore dell’art 34 d.l.6 luglio 2011 convertito in l. 15 luglio 2011 n.181 – espressamente applicabile anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore – che reintroducendo nell’ordinamento una nuova fattispecie provvedimentale ad effetto sanante di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, con elementi comuni rispetto al soppresso art 43 t.u., individua al comma 3 uno specifico criterio legale, stabilendo che, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità  del danno, il danno è determinato nell’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma.
Ritiene il Collegio che l’entrata in vigore della nuova norma determini l’applicazione del suddetto criterio, e in via retroattiva, in tutte le ipotesi di danno da mancato godimento del bene a seguito di occupazione sine titulo, in seguito ad annullamento del procedimento espropriativo o di intervenuta scadenza dell’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità .
Sussiste ex art 2043 c.c. oltre al danno e al nesso eziologico con l’attività  illegittima annullata, altresì l’elemento soggettivo della colpa, non avendo l’Amministrazioni fornito significativi elementi di prova a giustificazione del proprio operato (ex multis Consiglio Stato, sez. VI, 20 luglio 2010, n. 4660) valutata anche la sufficiente chiarezza della normativa applicata, come interpretata da orientamenti giurisprudenziali univoci.
Così stabiliti i criteri per la determinazione del danno (ai fini dell’applicazione dell’art 34 c.4 c.p.a.) rimane da esaminare la delicata questione circa la possibilità  di giungere ad una condanna puramente risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione, indipendentemente dall’avvenuto trasferimento della proprietà  in suo favore, non essendo l’occupazione sine titulo, anche se accompagnata dalla irreversibile trasformazione del fondo, fatto materiale idoneo a determinare l’effetto traslativo, esito non consentito dall’art 1 del Protocollo Addizionale CEDU – come costantemente interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo – la cui efficacia acquisisce forza di “norma costituzionale interposta” ex art 117 c. 1 Cost. (Corte Costituzionale 11 marzo 2011 n.80, id. 24 ottobre 2007 n.348 e 349) o, secondo altra tesi, formatasi a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (1 dicembre 2009), di diritto comunitario (Consiglio di Stato sez IV 2 marzo 2010 n.1220, T.A.R. Lazio Roma sez II bis 18 maggio 2010 n.11984).
La giurisprudenza non ha fornito letture ermeneutiche univoche.
Infatti secondo una prima tesi, in sintesi, la domanda di risarcimento in forma generica implicherebbe una forma di rinuncia abdicativa del diritto di proprietà , con effetto altresì traslativo in favore dell’ente pubblico che ha illecitamente occupato l’area (Consiglio di Stato sez IV 30 novembre 2010, n.8363, id. sez IV 27 novembre 2008 n.5854, Consiglio di Giustizia Amministrativa 25 maggio 2009, n.486, Cassazione Sez.Un. 19 dicembre 2007, n.26732).
Altra tesi invece, muovendo dall’esigenza di conformità  alla disciplina CEDU, incompatibile con qualsivoglia forma di espropriazione indiretta – situazione che si verificherebbe oltre che nell’ipotesi di occupazione acquisitiva, anche nel caso di mera rinuncia – non ha condiviso il suesposto opinamento, ritenendo indispensabile al fine del prodursi dell’effetto traslativo, il ricorso da parte della PA all’apposito rimedio eccezionale di cui all’art. 43 del t. u. in materia espropriativa, di cui al d.p.r.. n. 327 del 2001. (ex multis T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 04 giugno 2009, n. 3074, Consiglio di Stato sez IV 28 gennaio 2011, n.676, T.A.R. Emilia-Romagna Parma 12 luglio 2011, n.245).
Va infine rammentato, per completezza, che giurisprudenza di questo Tribunale, muovendo dal mantenimento in capo al soggetto danneggiato dall’occupazionesine titulo del diritto di proprietà  sino all’emanazione del provvedimento di cui all’art 43 t.u., ha ritenuto non risarcibile il danno consistente nel valore venale del bene appreso dall’Amministrazione, potendo il danneggiato comunque agire per la restituzione (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 22 settembre 2008 , n.2176, id. sez I 9 settembre 2009, n.2065).
In seguito alla dichiarazione di incostituzionalità  dell’art 43 d.p.r. n. 327 del 2001 (Corte Cost. sent. 8 ottobre 2010 n.293) la necessità  del preventivo trasferimento della proprietà  in favore dell’Amministrazione è stata invero intesa come manifestazione di volontà  inequivoca del proprietario interessato, da effettuarsi esclusivamente negli ordinari strumenti civilistici della compravendita immobiliare ovvero dell’accordo ex art 11 l.241/90 e s.m. o ancora nella cessione volontaria di cui all’art 45 del d.p.r. 327/2001 (T.A.R. Lazio Roma sez II quater 14 aprile 2011 n.3260, Consiglio di Stato sez IV 28 gennaio 2011, n.676) quale vera e propria condizione legale della domanda risarcitoria per equivalente.
La tesi della rinuncia abdicativa, invero in passato sostenuta anche da questo Tribunale (sez III 2 dicembre 2010, n.4057 pur senza approfondimenti sullo specifico punto) presta il fianco a diverse obiezioni, che il Collegio reputa non superabili, anche sotto il profilo strettamente civilistico, in disparte i descritti decisivi punti di contrasto con la disciplina CEDU.
In primo luogo, ai sensi dell’art 1350 c.c. gli atti negoziali ad effetti reali su beni immobili debbono avere, a pena di nullità , forma scritta; il comma 1, 5) vi ricomprende gli atti unilaterali di rinunzia, il che esclude tout court la configurabilità  di una rinuncia abdicativa per fatti concludenti (Cassazione civ. sez II 10 giugno 2003, n.9262) in linea di principio possibile, per i negozi a forma libera, purchè sussistano comportamenti univoci (ex multis Cassazione civ. sez I 4 maggio 2009, n.10218).
In secondo luogo, la rinuncia abdicativa, oltre all’effetto liberatorio dell’originario proprietario, non ha di norma effetto traslativo salvo i casi in cui tale effetto sia espressamente previsto (art 1070 c.c. in tema di abbandono c.d. liberatorio del fondo servente, art 1104 c.c. sulla rinuncia della quota di comproprietà  nella comunione dei beni); ma anche volendosi ammettere la produzione di effetto traslativo, in ipotesi applicando l’art 827 c.c. in tema di proprietà  statale dei beni immobili vacanti, non è dato comprendere come l’asserito trasferimento possa avvenire in favore dell’Amministrazione che illecitamente occupa il bene.
Infine, la tesi della rinuncia abdicativa tacita pare porsi ancor più in contrasto con lo stesso principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art 112 c.p.c. (T.A.R. Lazio Roma sez II quater 14 aprile 2011 n., 3260) limitandosi l’attore ad avanzare una domanda di risarcimento del danno per equivalente. Senza poi dimenticare le conseguenti questioni in tema di trascrizione di tale asserita vicenda traslativa, in relazione al noto principio di tipicità  della trascrizione che ex art 2643 c.c. caratterizza il nostro ordinamento (Cassazione civile, sez. I, 12 novembre 1997, n. 11180, id III 12 dicembre 2003, n.19058)
Quanto invece alla descritta tesi che condiziona l’ammissibilità  della domanda (alla stregua di vera e propria atipica condicio iuris o presupposto processuale) al preventivo formale negozio traslativo, anche in questo caso, invero, sono emerse alcune criticità , trattandosi di una limitazione al diritto di risarcimento del danno da fatto illecito non prevista dalla legge, che si risolve nell’affermazione di un obbligo a contrattare non desumibile da alcuna fonte legale o pattizia, senza contare che (anche in questo caso) non pare scorgersi una sicura coincidenza con il contenuto della domanda attorea, limitato al risarcimento del danno per equivalente, e non già  anche alla conclusione di un accordo ad effetti reali.
Mette conto poi evidenziare che in ipotesi di inerzia dell’Amministrazione (o dello stesso proprietario) nella conclusione del contratto/accordo in questione, non sarebbe possibile neppur in sede di ottemperanza dar corso all’ordine rivolto alle parti in merito alla conclusione del contratto, dovendosi il G.A. limitare alla valutazione di tale condotta soltanto ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità  dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione (T.A.R. Lazio Roma sez II quater 14 aprile 2011 n., 3260).
Quanto infine alla tesi che nega radicalmente il rimedio risarcitorio per equivalente per il danno consistente nella perdita del valore del bene illecitamente occupato, pur condivisibile nelle premesse e nella centralità  della tutela restitutoria – quantomeno in riferimento al periodo in cui era vigente l’istituto della c.d. acquisizione coattiva sanante di cui all’art 43 d.p.r. 327/2001 – pecca, a giudizio del Collegio, nella radicale negazione del fondamentale diritto di scelta ex art 2058 c.c. spettante al danneggiato, tra risarcimento in forma specifica e risarcimento per equivalente (Consiglio di Stato sez V 7 aprile 2009 n.2144, id. sez IV 13 gennaio 2010, n.92, T.A.R. Puglia Bari sez III 2 dicembre 2010, n.4057) sempre che la restitutio in integrum possa qualificarsi come rimedio risarcitorio.
Alla luce delle suesposte considerazioni, ritiene il Collegio di dover comunque confermare il proprio orientamento (11 maggio 2011, n.701) che subordina la soddisfazione del risarcimento per equivalente alla necessità  di un preventivo accordo traslativo, in quanto soddisfa la necessità  di formazione di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà , e ciò anche alla luce dello ius superveniens costituito dal recente art 34 d.l. 6 luglio 2011 convertito in l.15 luglio 2011 n.181.
La nuova norma, che novella il vigente t.u. espropriazioni mediante l’inserimento dell’art 42-bis, e che è dichiarata espressamente applicabile ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore (comma 8), contempla, come condizione legittimante, la corresponsione di indennizzo sotto il duplice profilo: a) del pregiudizio patrimoniale da determinarsi in misura corrispondente al valore venale ; b) di quello non patrimoniale, forfettariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale, con disposizione del tutto innovativa rispetto al pregresso art 43 t.u. ma che affonda le sue radici nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (22 dicembre 2009 Guiso-Gallisay/Italia). Ai sensi del c. 4, il provvedimento notificato al proprietario comporta il passaggio del diritto di proprietà  sotto condizione sospensiva del pagamento delle predette somme a titolo di indennizzo.
Rimane pertanto anche nell’attuale mutato contesto – per altro in gran parte riproduttivo della sanatoria seppur atipica contenuta nel precedente art 43 – la necessità  di un passaggio intermedio, necessario e logicamente precedente il momento risarcitorio, consistente nell’assegnazione di un termine all’Amministrazione perchè definisca (in via negoziale o autoritativa ex art. 42-bis citato) la sorte della titolarità  del bene illecitamente appreso, cui segue, ma in posizione inevitabilmente subordinata e condizionata, la condanna risarcitoria, secondo il criterio esaustivo previsto dallo stesso art. 42-bis (o dalla transazione e dal prezzo della compravendita, in caso di esito negoziale paritetico), che sia ammissibile a risarcimento (secondo i noti canoni di causalità  immediata e diretta rispetto all’illecita apprensione), ivi inclusa la parte concernente i danni riflessi ed indiretti alla parte reliquata della proprietà  privata.
Sulla base di tali premesse, il Collegio ritiene di dover fare applicazione dello strumento processuale della c.d. condanna ai criteri di cui all’art. 34 c.4 c.p.a. in base al quale l’Amministrazione intimata, fatta salva l’ipotesi, per la verità  teorica, che la stessa decida di restituire l’area, limitandosi a risarcire il danno da occupazione illegittima – si dovrà  attenere nel prosieguo alla seguente regola d’azione: a) entro il termine di sessanta giorni (decorrente dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, ove anteriore), il Comune e le parti ricorrenti potranno addivenire ad un accordo con effetti traslativi della proprietà , in base al quale la proprietà  passa al Comune ed alle parti ricorrenti è corrisposta la somma specificamente individuata nell’accordo stesso, la quale dovrà  essere determinata secondo i criteri di cui in motivazione; la somma da liquidare alla parte ricorrente pari al valore venale dei suoli e dei fabbricati demoliti, dovrà  comprendere, altresì, il danno per il periodo di utilizzazione senza titolo di tali beni; essa – giova infine aggiungere – andrà  depurata di ogni corresponsione di somme mediotempore eseguita in favore delle parti ricorrenti, a titolo indennitario o risarcitorio, in relazione alla vicenda ablatoria per cui è causa, conformemente al c. 2 del citato art 42-bis;b) ove siffatto accordo non sia raggiunto nel termine indicato, il Comune – entro i successivi sessanta giorni e, pertanto, entro il complessivo termine di 120 giorni dalla data di comunicazione della presente sentenza – ove ritenga che ricorrano le condizioni di cui all’art. 42-bis del t.u. n. 327/2001 potrà  emettere un formale e motivato decreto, con cui potrà  disporre l’acquisizione dell’area al suo patrimonio indisponibile; in tal caso, il Comune sarà  tenuto a risarcire per equivalente il danno (rectius l’indennizzo) per equivalente, determinando l’importo da erogare con le modalità  indicate al precedente punto a); c) qualora il Comune ed i ricorrenti non concludano alcun accordo ed il Comune neppure adotti un atto formale recante l’acquisizione o la restituzione dell’area in questione, decorsi i termini sopra indicati, le parti ricorrenti potranno chiedere al Tribunale amministrativo l’esecuzione della presente sentenza, ivi compresa, ricorrendone i presupposti, la reintegrazione in forma specifica, per l’adozione delle misure consequenziali, salva la trasmissione degli atti alla Corte dei conti per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio; d) sulle somme tutte sopra indicate andranno riconosciuti gli interessi legali dal giorno del dovuto e fino all’effettivo soddisfo.
10. Per le ragioni che precedono, il gravame va accolto e, per l’effetto, oltre all’annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti, va pronunciata condanna generica del Comune di Bisceglie a risarcire il danno ingiusto cagionato alle parti ricorrenti attraverso l’occupazione (divenutasine titulo a causa dell’effetto retroattivo dell’annullamento) dell’area di loro proprietà , con le statuizioni più sopra enunciate.
Le spese di lite, comprensive dei costi di verificazione di cui alla nota spese depositata in giudizio, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso unitamente ai motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei limiti e nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, e condanna il Comune di Bisceglie, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al risarcimento del danno, in favore dei ricorrenti, per le causali di cui in motivazione, con i criteri e le modalità  pure ivi precisati, da determinarsi secondo la procedura di cui all’art. 35 c. 4 c.p.a., secondo i criteri parimenti in motivazione indicati.
Condanna il Comune di Bisceglie, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti, che si liquidano in complessivi euro 4.900,00, di cui euro 2.400,00 a titolo di compenso spettante al verificatore.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità  amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2011 con l’intervento dei magistrati:
 
 
Antonio Pasca, Presidente FF
Paolo Amovilli, Referendario, Estensore
Rosalba Giansante, Referendario
 
 
 
 

 
 
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/09/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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